Crossover
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Autore: evil 65    20/01/2018    28 recensioni
Il Multiverso, così come lo conosciamo… non esiste più. In seguito ad un fenomeno distruttivo noto come Lo Scisma, un uomo misterioso che si fa chiamare il Maestro è riuscito creare una realtà completamente separata dalle altre, dov’è adorato come un dio onnipotente.
Apparentemente inarrestabile, il Maestro comanda col pugno di ferro questa nuova terra, chiamata "Battleground", nella quale vivono numerosi personaggi provenienti dai vari universi, tutti immemori delle loro vite precedenti.
Ogni storia ha il suo principio. E questa è la loro epopea...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Anime/Manga, Film, Fumetti, Telefilm, Videogiochi
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccovi il nuovo capitolo di Battleground! Ci tengo a precisare che gli OC di questa storia non sono tirati fuori a caso, ma rappresentano il prodotto delle circostanze. Tutti loro, infatti, avranno rapporti con personaggi canonici. Inoltre, aggiungo che anche in questo capitolo compariranno personaggi umanizzati come nel precedente.  
Godetevi l'aggiornamento e lasciate una recensione!


Capitolo 4 - Il Vigilante Mascherato
 
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"There’s no surrender, always remember
It doesn’t end here, we’re not alone
Just wait though wide he may roam
Always a hero comes home
He goes where no one has gone
But always a hero comes home…
"
Idina Menzel - A Hero Comes Home

 
Pianeta Terra – Centro Imperiale
 

Gongmen -  Capitale della Cina


Il sole splendeva alto nel cielo sovrastante la città di Gongmen, avvolgendo il miscuglio di edifici orientali nel chiarore e nell’afa del pomeriggio inoltrato. 
Popolosa e dalla grande influenza commerciale, la città si estendeva per miglia lungo una verdeggiante collina, circondata da un’estesa e folta vegetazione sempreverde.
Al confine ovest della città, sorgeva il castello dei Royston, una delle famiglie nobili più influenti. Gli alberi lo circondavano in un ampio semicerchio, le folte chiome a gettare un’ombra rinfrescante sopra la piccola arena circolare, situata all’esterno delle mura.
Il clangore delle lame delle spade cozzanti le une contro le altre risuonava nell’ampio spazio. Due soli contendenti si misuravano al suo interno: un uomo sulla trentina e un ragazzo, palesemente più giovane dell’uomo.
Il primo combatteva con uno spadone, da lui retto con due mani, e indossava un giustacuore e delle braghe. 
Anche il secondo indossava delle braghe, bianche, e una semplice maglia verde. Aveva due spade, una per mano. Parevano fatte di luce purissima e ronzavano di energia verde; le teneva in mano con maestria, quasi fossero fatte di semplice plastica, maneggiandole con destrezza e sapienza.
Ad osservare i due pareva non esservi nessuno. L’arena era vuota, a parte loro e una presenza singolare: appollaiato su uno degli spalti del complesso, se ne stava tranquillo uno strano barbagianni, intento a ripulirsi il piumaggio candido e color crema. A intervalli regolari lanciava occhiate rapide ai guerrieri, le pupille adornate da un’espressione fin troppo intelligente.
Il ragazzo scartò di lato, schivando un fendente dell’uomo e facendogli perdere l’equilibrio. Fu troppo facile poi accostare vicino alla schiena le punte energetiche delle spade.
<< Siamo quattro pari >> lo avvisò, ritraendo le armi.
<< Non darti tante arie, il primo punto l’ho fatto io >> sghignazzò l’uomo, mentre riponeva la lama nel fodero sulla schiena.
Fatto ciò, si girò in direzione del barbagianni appollaiato sugli spalti, tendendo il braccio destro. Gli occhi dell’uccello si illuminarono mentre spalancava le ali e spiccava il volo. Si poggiò sul gomito dell’uomo, battendo le ali come se avesse delle mani al posto delle piume.
<< Padron Fire è stato bravissimo! >> bubolò il volatile, in direzione del ragazzo << È riuscito a battere padron Logan con facilità, questa volta! >>
<< Non si è trattata di semplice bravura, Rowlet, ma di costante allenamento >> replicò Logan Royston, accarezzandogli la gola piumata << e Fire migliora ogni giorno che passa. >>
Il ragazzo chinò il capo, facendo ondeggiare i folti capelli, mentre una scintilla di orgoglio gli si accendeva nello sguardo color del fuoco. Era stato in parte quello a fargli principalmente guadagnare il suo soprannome, “Fire”, quando Logan Royston l’aveva accolto sotto la propria ala a soli otto anni, durante i quali aveva vissuto in un orfanotrofio sperduto ai confini di Gongmen, capitale della Cina.
<< Lord Royston! >> gridò all’improvviso una voce: era uno dei servi del castello Royston, che correva trafelato nella loro direzione, con in mano quella che pareva una busta chiusa con la ceralacca.
Gli occhi azzurri di Logan ammonirono il figlio adottivo, e immediatamente quest’ultimo fletté le dita assorbendo nel palmo le spade di luce facendole svanire nel nulla, quasi non ci fossero mai state. Il servo non si accorse di nulla e corse fino ad arrivare davanti al suo padrone, riprendendo fiato e porgendogli la busta.
<< Marchese, è appena arrivato un invito per voi e vostro figlio! Lord Shen ha indetto un ricevimento e un ballo di gala per stasera! >>
Fire sussultò nell’intimo a quelle parole. 
Lord Shen Feng. La Fenice Bianca. Non c’era abitante su quella terra che non avesse mai sentito quel nome, anche solo indirettamente. Il governatore della città di Gongmen, dopotutto, era uno dei più fidati sostenitori del Maestro, il supremo Signore di Battleground.
Logan prese la busta tra le dita e constatò che effettivamente al suo interno c’erano due inviti per lui e per suo figlio. Alzò lo sguardo verso l’umile servitore, sorridendo.
<< Grazie. Puoi per cortesia dire agli altri di esordire i preparativi? Ci tengo che sia tutto pronto in tempo per stasera. Il nostro governatore potrebbe rimanerci molto male, se arriviamo in ritardo. >>
Lord Royston era diverso da tutti i nobili della città di Gongmen: gentile, onesto e soprattutto rispettoso e cortese verso la servitù. Molti avrebbero dovuto prendere esempio da lui, pensò Fire con sdegno.
Il servo rispose al sorriso. << Consideratelo già fatto, mio signore. >>
Detto questo, girò i tacchi e si allontanò, rivolgendo un inchino di saluto anche al giovane Royston.
<< Un ricevimento e un ballo di gala >> commentò Logan, sorridendo ironico << Come al solito il governatore non bada a spese. >>
<< Ha sicuramente in mente qualcosa >> s’incupì Fire << qualcosa di grosso, se ci tiene che Royal Noir venga a saperlo. >>
<< È probabile. Potrebbe essere una trappola per catturarti, ma non è la prima volta che organizza questo genere di eventi, lo sai. Come sai che dovrai presenziarvi ad ogni costo,  se non vuoi che la tua copertura salti. >>
Il giovane alzò gli occhi al cielo e sbuffò, scatenando l’ilarità del padre.
<< Tra poco sarà sera >> disse l’uomo, lanciando un’occhiata al cielo.
Tornò a guardare Fire.
<< Hai mezz’ora di tempo per prepararti. E cerca almeno di somigliare al figlio di un marchese, quando ti ripresenterai. >>
                                                                                                                                           
* * *
 
"I am a question to the world
not and answer to be heard
or a moment that’s held in your arms
And what do you think you’d ever say?
I won’t listen anyway
You don’t know me
and I’ll never be what you want me to be…"

John Rzeznik - I’m Still Here
 

La flebile luce del tramonto filtrava attraverso la finestra della sua camera: nel riflesso dello specchio, il verde cupo dei suoi capelli acquisiva una tonalità ancora più scura, accentuata maggiormente dalla mescolanza con le numerose e sottili striature corvine. Li aveva pettinati alla bell’e meglio, raccogliendoli in piccole punte ordinate; alcune ciocche se ne stavano scomposte sopra la fronte, mentre le due più lunghe erano sistemate davanti alle orecchie, ai lati del viso, ad accarezzargli appena il mento.
Gli occhi color del fuoco parevano brillare di luce propria, mentre fissavano il volto riflesso, dalla forma ovale e la carnagione chiara. Le iridi scarlatte sfumavano in pagliuzze dorate attorno alla pupilla; sembravano muoversi al riflesso della luce, come due piccole fiammelle.
Fire abbassò lo sguardo sui propri abiti, non potendo fare a meno di storcere le labbra: gilet verde trifoglio dal lungo orlo che gli scendeva fino ad accarezzargli il retro del ginocchio, stivali candidi, pantaloni e camicia bianca di pizzo, con tanto di cravattino bordeaux. Al posto del cadetto sudato per l’allenamento adesso c’era un diciottenne compito, elegante e regale, l’immagine perfetta del figlio amorevole e obbediente di un marchese come Logan Royston. Esattamente ciò che la gente credeva fosse lui.

Detestava dover apparire simile a praticamente tutte le persone che era costretto a frequentare ad ogni ricevimento o ballo di gala nel quale il padre adottivo lo trascinava.
Non c’era nessuno di loro che possedesse almeno un briciolo di personalità o intelletto serio, o che non condividesse gli ideali del governo tirannico del Maestro.
Era per questo che, oltre a Logan e a Rowlet, non si era mai legato a nessuna persona mai incontrata sulla sua strada. Percepiva lontana la gente comune, distante da lui anni luce, anzi, percepiva l’intero mondo viaggiare su una frequenza diversa dalla sua. Come se lui, in realtà, non fosse lì.

Non era nemmeno un comune essere umano, sarebbe stato pretendere troppo. Era nato con quello strano potere di poter generare quell’energia verde - che soleva chiamare semplicemente "luce verde" o "laser" - e manipolarla a piacimento, semplicemente con la forza del pensiero.
Molto esaltante, qualcuno avrebbe potuto pensare. Peccato che tutti gli individui dotati di abilità paranormali venivano brutalmente braccati dal governo o consegnati al Maestro, dove sarebbero stati trasformati in membri produttivi della macchina imperiale.

Non era facile nascondere un’identità segreta e simili poteri, come non era facile sopportare il fatto di dover vivere in un mondo recluso, schiavo dell’ignoranza, della violenza, della falsità e della più totale ipocrisia e corruzione politica, una giungla incontaminata nel quale i forti sbranavano i deboli.
Eppure era proprio per quel mondo, nel quale non si sentiva al suo posto, che lottava nelle vesti del suo alter-ego, Royal Noir, nella speranza di poter in qualche modo cambiarlo e trovare il proprio equilibrio.
Quasi senza accorgersene si era portato una mano al petto, sfiorando qualcosa sotto il tessuto della camicia.
Fece scivolare fuori dal colletto un laccio sottile di cuoio, al quale era infilato un anello di rubino incastonato in una montatura d’argento, raffigurante il simbolo araldico di un drago ad ali spalancate ritto sulle zampe. Sotto di esso, inciso a caratteri sanguigni, c’era scritto “Baelfire”.
Baelfire. “Fuoco di Bael”. Era questo il suo nome completo, al quale però si rifiutava di rispondere se non tramite l’abbreviazione “Fire”.
Talvolta, Logan lo chiamava col nome completo, come  quando era preoccupato, quando doveva parlargli di qualcosa di importante o semplicemente perché si divertiva a stuzzicarlo e a venire ripreso dal figlio che puntualmente precisava con: “Mi chiamo Fire!”. Ma quest’ultimo episodio accadeva principalmente quando era ancora un bambino.
Nonostante preferisse la forma abbreviata, il proprio nome gli piaceva, principalmente perché era stato Logan Royston a farglielo piacere svelandogli il significato.
<< Hai un nome insolito, ma mi piace >> aveva detto Logan << Sai cosa significa? >>
<< No >> aveva risposto, con una vocetta vispa, normale per i suoi otto anni.
<< Fuoco di Bael. >>
<< E chi è Bael? >>
<< Un demone. >>
<< Come un demone? >> E qui gli era salito un broncio che Logan aveva giudicato adorabile. << Allora significa che sono cattivo... >>
<< Non devi per forza vederla in questo modo >> aveva risposto il marchese << Bael è un re infernale, un ottimo capo di guerra, alla testa di seicentosessantasei legioni di demoni. Chi ti ha dato questo nome voleva augurarti di essere un grande condottiero esattamente come lui. Di essere il fuoco che incendia gli animi dei suoi soldati quando si lanciano in battaglia. Ti è stato dato il nome di un guerriero. >>
Al sentire quelle parole, gli occhi del bambino si erano illuminati di una luce adorante.
<< Lo pensate davvero? >>
<< Se dovessi dare questo nome a mio figlio, sarebbe per tale motivo. E ho la sensazione che tu abbia davvero delle capacità degne del tuo nome, Baelfire, ma dipende solo da te. Sei disposto a diventare mio figlio? >>

A Fire, sin da piccolo, i nobili erano sempre stati antipatici.
Spesso le inservienti dell’orfanotrofio li portavano a fare delle gite per la città. Non era raro incontrare nobiluomini e nobildonne dei ranghi più vari, a spasso per le vie più affollate e interne, spesso in gruppetti di tre o quattro persone. Tutti gli erano sempre apparsi come degli snob, smorfiosi e dai modi insopportabilmente affettati, sempre troppo perfetti e impeccabili, come stupidi manichini imbottiti di fronzoli.
Quando gli si presentò all’orfanotrofio, manifestando l’interesse di adottarlo, comprese che Logan Royston fosse un nobiluomo dal portamento solenne, l’esprimersi in maniera perennemente cortese e il vestire in modo elegante. Eppure aveva qualcosa che lo rendeva completamente diverso da quella massa di superficiali.
Il sorriso non aveva niente a che vedere con quelli di plastica a cui era abituato: era caldo, sincero e accogliente, pareva illuminare il viso squadrato, dal mento accuratamente rasato.
Gli occhi, azzurri e limpidi, spiccavano grazie alle folte sopracciglia, conferendogli uno sguardo arguto e benevolo al tempo stesso. 
I fluenti capelli castani scendevano sciolti e scompigliati lungo le spalle; un modo di tenerli piuttosto sconveniente per uno del suo rango. Quel minuscolo particolare lasciava percepire in lui una sottile vena ribelle, contribuente a renderglielo subito simpatico.

All’inizio, gli fu difficile credere che quell’uomo, dalla personalità tanto gentile e giocherellona, fosse venuto lì, in quello squallido luogo, per adottarlo. Royston credette in lui dal primo istante: vide in lui una scintilla, qualcosa che negli altri bambini dell’orfanotrofio non aveva visto. Capì che era diverso, e che per questo era speciale. Fu questo ciò che lo spinse ad adottarlo, a sceglierlo tra tutti gli altri.
L’unico orfanotrofio in tutta la città di Gongmen si trovava nei bassifondi.
Non il luogo migliore in cui crescere, così aveva pensato Logan quando vi si era recato, attraversando il cancello di ferro nero di un cortile spoglio, davanti ad un edificio squadrato e tetro circondato da altre ringhiere che parevano la delimitazione di una prigione.
Aveva salito i gradini fino al portone e bussato una volta. Ad aprirgli era stata la direttrice dell’orfanotrofio, la signora Cole, la quale l’aveva fatto accomodare nel proprio ufficio, gli aveva parlato dei bambini e mostrato i loro fascicoli, con il nome, l’età, i segni particolari. E tra tutti i bambini che avrebbe potuto adottare, aveva scelto Fire.

Inutile dire che la direttrice ne era rimasta molto sorpresa.
<< È un ragazzo strano >> aveva detto al nobiluomo << Lo è sempre stato, sin da bambino. Non piangeva quasi mai. E poi, quando è diventato un po’ più grande, è diventato… discolo. >>
<< Discolo? >> le aveva fatto eco Logan.
<< Fa spesso a botte con gli altri bambini… anche se una volta l’ha fatto per difendere Bill Denbrough e i suoi amici da Henry Bowers e la sua banda di teppisti… non vi dico quanto abbiamo faticato per separarli e come li ha ridotti. Si caccia spesso nei guai per questo genere di cose. Non ha quasi nessun amico >>.
Henry Bowers era il peggior essere umano dell’intero orfanotrofio.
Sadico, folle e violento, era stato mollato in orfanotrofio dal padre a quattordici anni: il suo unico scopo nella vita era quello di tormentare ininterrottamente i ragazzi più piccoli di lui, assieme ai suoi leccapiedi. Fire ricordava come fosse ieri tutte le volte che si erano scontrati sia verbalmente che fisicamente, tutte le volte che gli aveva tenuto perfettamente testa anche se più piccolo di lui, tutte le volte che aveva difeso gli altri ragazzini perseguitati, come Bill Denbrough e i suoi amici Ben, Beverly, Richie, Eddie, Mike e Stan.
Con il susseguirsi in cui li aveva difesi e aiutati, tra i ragazzi era nata una certa intesa. Non erano propriamente suoi amici, ma sapevano di poter contare su di lui e che lottava dalla loro stessa parte. Si era sentito solo molto più del lecito quando erano stati adottati l’uno dopo l’altro, e non li aveva più rivisti.
Poi aveva conosciuto Rowlet, il quale era stato brutalmente spedito a sbattere contro la finestra della sua stanza da un burrascoso temporale, e nell’impatto si era ferito ad un’ala.
Era rimasto non poco scioccato una volta scoperta la sua incredibile capacità di parlare, seppure in modo piuttosto sgrammaticato. Questo non lasciava dubbi sul fatto che non fosse certo un normale animale: difatti, come aveva pazientemente spiegato ad uno stupefatto e curioso Fire, era un Animagico, ovvero, come lasciava suggerire il nome, un animale magico, anche se in pratica la sua magia consisteva nelle dimensioni piuttosto bizzarre e rotondeggianti, assieme alla propria intelligenza sviluppata e la parlantina sciolta.

Solitamente gli Animagici avevano una padronanza eccellente di qualsiasi idioma esistente; il fatto che il barbagianni costituisse un’eccezione poteva essere puramente un caso più unico che raro. E quanto all’intelligenza sviluppata, Fire avrebbe avuto qualcosa da ridire: più volte Rowlet aveva dimostrato di possedere la personalità ingenua, innocente, gioiosa e leggera di un bambino, eppure dimostrava più comprensione e buon cuore di molti esseri umani.
Fatto sta che il giovane l’aveva preso con sé e accudito in gran segreto nella propria stanza, nutrendolo occasionalmente con gli insetti che catturava per lui nel giardino e con gli avanzi dei pasti dell’orfanotrofio, finché non era guarito.
Da allora il barbagianni non aveva più voluto abbandonarlo, e non l’aveva fatto nemmeno quando Logan l’aveva adottato.
In seguito, il giovane aveva avuto modo di narrare al padre adottivo come fosse giunto all’orfanotrofio, sebbene in realtà non ricordasse nulla, ma non se ne stupiva, dal momento che non era altro che un neonato. Ciò che sapeva era una ricostruzione di quello che gli aveva raccontato la signora Cole. 
Tutto avvenne una notte di maggio, la più burrascosa: il vento fuori fischiava e faceva un freddo terribile. Qualcuno bussò alla porta più e più volte, finché la direttrice non andò ad aprire. Ma quando aprì, sull’uscio non c’era nessuno, salvo il neonato Baelfire dentro una cesta di legno intrecciata, avvolto in una candida copertina di lana e con al collo il prezioso e insolito anello con inciso il suo nome. Era rimasto all’orfanotrofio da allora. 
Chiunque l’avesse lasciato lì probabilmente non sapeva cosa farsene di lui e l’aveva completamente dimenticato. Il pensiero che un giorno qualcuno venisse a riprenderlo, o anche solo ad adottarlo, non l’aveva mai sfiorato in tutti quegli anni che era cresciuto in quell’edificio triste e malmesso.
L’ottimismo non era mai stato il suo forte; trovava patetico e anche peggio illudersi con false speranze. Meglio la nuda e cruda realtà: nessuno lo voleva o l’aveva mai voluto.
Nessuno, tranne Logan Royston e Rowlet. Loro erano probabilmente la cosa più preziosa che possedeva, insieme a quell’anello.

Mentre formulava quei pensieri, Fire prese il gioiello nel palmo della mano, rigirandolo tra le dita. L’argento sembrava molto bello e puro, e il ragazzo ammirò la ricchezza e lo splendore del colore della pietra e del metallo, così come la perfezione della forma. 
Per quanto ne sapeva, ce l’aveva da sempre, da quando la Cole l’aveva trovato sui gradini dell’orfanotrofio, e da allora non se n’era mai separato.
Era un oggetto straordinario e di altissimo pregio, qualcosa di assai improbabile da trovare tra i possedimenti di qualcuno di umile, dunque ciò lasciava intuire che le sue origini non fossero comuni. Sebbene lo disgustasse il pensiero di essere figlio dei nobili che tanto disprezzava, aveva cercato informazioni sul simbolo del drago, chiaramente uno stemma o un blasone nobiliare, nella speranza di scoprire qualcosa di più su chi fosse la sua famiglia e da dove provenisse.
Ma nessuno dei nobili di Gongmen aveva uno stendardo rosso con un drago, e in tutti i suoi balli a cui malvolentieri aveva partecipato non aveva riscontrato alcuna somiglianza personale con nessuna delle persone che aveva avuto modo di incontrare.
Aveva concluso di non essere originario della capitale, e che probabilmente le sue radici fossero molto più antiche e lontane, chissà dove, nell’universo di Battleground.
<< Signorino Fire? Siete pronto? >>
Il volto di uno dei servi sbucò fuori dalla porta della stanza, riscuotendo il giovane dai propri pensieri.
<< Mi dispiace disturbarvi, ma vostro padre mi ha mandato a chiamarvi: la carrozza è pronta e vi sta aspettando. >>
<< Arrivo >> rispose il giovane. << Devo solo prendere un’ultima cosa: riferisciglielo, per cortesia >>.
Il servo annuì inchinandosi, per poi allontanarsi con passo felpato, lasciandolo da solo.
Fire si avvicinò all’armadio ed estrasse da un cassetto segreto una polsiera nera con al centro incastonata un cristallo dalla colorazione verde e brillante.
La indossò e la coprì con la manica della camicia, perché non si vedesse.
Il Vigilante Mascherato conosciuto come Royal Noir non avrebbe tardato ad entrare in azione.


                                                                                                                                                   * * *
 
"I’ve got the scars from tomorrow and I wish you could see
That you’re the antidote to everything except for me
A constellation of tears on your lashes
Burn everything you love
Then burn the ashes
In the end everything collides
My childhood spat back the monster that you see
My songs know what you did in the dark…
"
Fall Out Boy - My Songs Know What You Did In The Dark
 

La carrozza aspettava all’ingresso principale del palazzo. Era riccamente decorata e trainata da una coppia di splendidi cavalli bianchi. Un valletto aprì ossequiosamente la porta a Fire e non appena quest’ultimo si sistemò sul sedile, rivestito di una stoffa morbida e pregiata, richiuse la porta.
Ad attenderlo, all’interno, c’era già Logan. Anche lui si era cambiato: indossava un abito celeste, di fattura ottocentesca. Appollaiato sulla sua spalla stava Sören; non appena il ragazzo si sedette, spalancò le ali per posarsi sulla sua spalla.

<< Padron Fire è davvero elegante, stasera! >> bubolò, raggiante.
<< Hai preso tutto? >> gli chiese Logan, lanciandogli un’occhiata eloquente.
Era praticamente l’unica persona, assieme a Rowlet, a conoscere l’identità segreta del ragazzo, e sapeva nasconderlo con maestria.
Fire annuì con decisione. << Sì, padre. >>
Era solito riferirsi a lui per nome, ma in sua presenza, non lo chiamava mai “Logan”, e nelle occasioni ufficiali come quella evitava di usare l’informale “papà”.
Ad uno schiocco di redini i cavalli si mossero, imboccando il sentiero asfaltato che dalla foresta li avrebbe condotti dritti alla civiltà. Appesi su alcune mura della città che scorreva davanti ai suoi occhi, c’erano alcuni manifesti politici raffiguranti il Maestro: aveva un’espressione gioviale e sorridente, fissava l’interlocutore a braccia aperte, come a volerlo accogliere, e a grandi caratteri sanguigni sotto aveva scritto: “Ascolta il tuo Maestro”.

Non si sarebbe mai detto che dietro quell’espressione si nascondesse un animo sadico e crudele, degno degli incubi più neri.
Fire storse le labbra e
osservò la carrozza risalire la strada sopra l’altura dove, forte della posizione che aveva sulla parte più alta della collina, c’era il castello di marmo bianco e rosso di Shen Feng, meta del loro viaggio.
Sapeva che la posizione della costruzione non era sol
o strategica e tattica, ma anche morale, in un certo senso: il governatore voleva elevarsi sopra tutto e tutti, specialmente sui deboli e sugli oppressi.
Il ponte levatoio venne abbassato, rivelando gli immensi e imponenti giardini, tanto grandi e pieni di vegetazione da sembrare una riproduzione della foresta di Gongmen. Il perimetro era quadrato e circondava il castello, posizionato esattamente al suo centro. Un valletto di Feng si affrettò a condurli verso lo spazio dove venivano parcheggiate le carrozze, ove venne sistemata anche la loro, e una volta scesi, li condusse all’interno del palazzo. 
Fire pensò che, se fosse stato per lui, ne avrebbe fatto tranquillamente a meno: c’era stato così tante volte da conoscere praticamente a memoria la strada.
Illuminata da decine e decine di torce, il salone in cui sarebbe stata servita la cena era una stanza tanto ampia da potersi smarrire da una parte all’altra. Al centro, il grande tavolo era coperto da una candida tovaglia di lino, su cui erano disposti una quarantina di piatti d’oro, mentre sul fondo della sala stavano schierati i camerieri. Condotti dal valletto, gli ospiti entrarono nella spicciolata, e in poco tempo la sala si riempì e risuonò del brusio delle loro voci, mentre erano intenti a chiacchierare tra loro. 
Fire si tenne in disparte; si inchinava, quando Logan lo presentava, dispensando qua e là qualche sorriso, che non mancava mai di provocare dei gridolini acuti nelle giovani fanciulle del suo stesso rango, da lui rigorosamente ignorate.
Non aveva la minima intenzione di partecipare a qualsivoglia conversazione: quegli eventi lo annoiavano a morte e non sopportava quelle riunioni di stupidi egocentrici che non facevano altro che blandire suo padre; spesso si domandava come facesse quest’ultimo a restare perennemente sorridente, ad annuire e a partecipare attivamente alle conversazioni che intrecciavano i nobili fermatosi a parlare con lui.
Rowlet era appollaiato sulla spalla del giovane, intento a ripulirsi le penne, senza proferire parola, e per un istante Fire quasi lo invidiò: almeno lui non doveva fingere nulla e non preoccuparsi di dover apparire in un determinato modo davanti a tutta quella gente. Aveva la possibilità di essere sempre se stesso.
Lord Shen fece il suo ingresso nella sala praticamente per ultimo.
Era un uomo sulla quarantina, eppure la pelle chiara del viso, liscia come porcellana e quasi diafana, non sembrava affatto suggerire tale età. I lunghi capelli candidi scendevano lungo la schiena e quasi si confondevano con le piume di pavone bianche e rosse che indossava, ritte dietro il capo, sostenute e intrecciate tra le ciocche. Sempre di bianco era vestito, con un lungo kimono di seta che gli scendeva fino a coprirgli i piedi con un lungo e delicato strascico. 
Ma l'aspetto più rilevante della figura in sé erano senz’altro gli occhi: sottili e affusolati, le iridi erano rosse, di una sfumatura più scura e cupa di quelle di Fire: due rubini dai riflessi color del sangue che gli conferivano uno sguardo intenso e inquietante, tanto che pochi osavano tentare di sostenerlo.
Una perfetta incarnazione di ciò che, col tempo, Fire aveva imparato: i mostri più crudeli e spaventosi erano quelli travestiti da angeli.

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Tutti tacquero non appena lo videro, e lui assaporò quel silenzio. Avanzò solenne, lo sguardo fiero e calibrato; al suo fianco passeggiava con la stessa lentezza e leggiadria il suo pavone albino personale, Ho-Oh, che ad un gesto della sua mano si appollaiò sul dorso di essa.
Anche Fire, imitando i convitati, chinò il capo, e Shen lo guardò con soddisfazione, indugiando a lungo sulla sua figura come a nutrirsi del disagio e della rabbia repressa che trasudava dal giovane, nascosta troppo bene per non poter essere riconosciuta da un maestro della menzogna e della recitazione come il governatore.
Tutti si inchinarono, e Lord Shen salutò gli invitati che, dopo aver porto in ginocchio i loro omaggi, si alzavano uno dopo l’altro.
<< È sempre un piacere godere dell’onore della vostra responsabilità >> disse Logan, restando in ginocchio qualche secondo più degli altri.
<< È sempre un piacere ospitare un uomo giusto e retto quale voi siete >>ribatté il padrone di casa ,in tono cerimonioso.
Il resto della conversazione, per Fire, si perse nel brusio di sottofondo.
Certo, Shen sapeva di quest’ultimo e della sua identità segreta, eppure non sospettava minimamente che anche il padre adottivo ne fosse al corrente: Logan sapeva recitare molto bene la propria parte e d’altronde il governatore non era infallibile.
Il ricevimento fu esattamente come se l’era immaginato: noioso e interminabile.
Ormai conosceva il copione: i convitati che elogiavano le pietanze e la disciplina dei servi, le opere buone del governatore e del Maestro di cui era il fido braccio destro in ambito politico, suo padre che blandiva i presenti in misura proporzionale al potere di cui erano detentori, e lui, Fire, che dispensava solo qualche sorriso e qualche battuta, nella speranza di essere notato il meno possibile.
Piluccando con parsimonia una porzione di carne alla brace, pensò che preferiva mille volte stare a guardare Rowlet che beccava il mangime dalla preziosa ciotola d’oro accanto al proprio piatto, piuttosto che perdersi nelle prevedibili conversazioni di quei nobili scialbi e superficiali.
<< Rowlet non si stancherà mai di ripeterlo >> cinguettò l’uccello in un tono vagamente sprezzante, a bassa voce, perché solo il padroncino potesse sentirlo << il governatore e Ho-Oh sono pappa e ciccia. >>
Il suo sguardo saettò con la coda nell’occhio verso Lord Shen, il quale si trovava a capotavola e alternava bocconi piccoli e masticati lentamente alle chiacchiere con Logan e altri due nobili che gli stavano seduti di fianco.
Dall’altro lato, accanto al suo piatto, c’era il pavone Ho-Oh, impegnato anch’egli a mangiare da un’altra ciotola d’oro piegando appena il collo, lungo e sottile, con movimenti leggiadri e aggraziati, quasi fosse una sorta di reincarnazione in forma animale del proprio padrone.
Fire non sopportava di stare così vicino all’uomo che odiava e soprattutto non sopportava che quest’ultimo stesse così vicino al proprio genitore adottivo: ogni volta avvertiva un nodo allo stomaco, come se temesse che da un momento all’altro Shen potesse usare la propria forchetta, o peggio, il proprio coltello, e conficcarglielo dritto nella gola.
Forse era solo paranoia, dal momento che il governatore di Gongmen non poteva certo permettersi di assassinare un ospite influente quanto Lord Royston in pieno ricevimento, eppure quello non bastava a tranquillizzarlo.
Con Shen non doveva mai abbassare la guardia, l’aveva imparato a proprie spese.
Le portate si susseguirono, e così le vacue chiacchiere dei commensali. Fissò gli occhi nel piatto, concentrandosi sul cibo ,su Rowlet e il suo mangime, così da avere una scusa per non guardare in faccia quella gente che disprezzava. Infine, quando anche il dolce finì nelle pance degli ospiti, il padrone di casa si alzò e invitò tutti a trasferirsi nella sala da ballo.
Si poteva accedere ad essa direttamente dalla sala da pranzo, in quanto l’uscio era dall’altra parte della stanza: la sala da ballo era immensa, rettangolare, caratterizzata da una fila di finestre in ambo i lati, una che dava sulla terrazza e l’altra che dava sull’immenso giardino. Un’orchestra si trovava su un’alta gradinata e, ad un cenno del padrone di casa, aveva iniziato a suonare, mentre una parte gli ospiti si disponeva in file e iniziavano a volteggiare a ritmo di musica e l’altra parte si ritirava agli angoli della sala per fare una capatina al buffet disposto in preziosi tavoli o per discutere di affari.
<< Rowlet sta morendo di caldo, padron Fire >> si lamentò il barbagianni << per piacere, lascia fare un volo fuori di qui! >>
<< Abbassa la voce! Vuoi farti scoprire? >> lo zittì il giovane, mentre si allontanava il più possibile da tutti i convitati e si dirigeva verso una delle finestre rettangolari dell’ampia sala, prendendo il rapace tra le mani.
<< Vai, ma vedi di fare attenzione mentre voli: siamo nella tana del lupo, nemmeno i cieli possono essere sicuri >>.
Aprì i palmi e osservò il barbagianni spiccare il volo, invidiando ancora una volta la sua inconscia libertà: gli sarebbe piaciuto molto, in quel momento, tirare fuori il proprio costume e librarsi anche lui nell’aria, ma sapeva bene di non potere. Con un sospiro, si appoggiò al parapetto, osservandolo finché non si disperse nel buio della notte. 
Il cielo era cosparso di stelle scintillanti, un fresco venticello soffiava dalla finestra, scompigliando i capelli del giovane affacciato. La vista dava sull’immenso giardino di siepi e rose bianche, ancora più brillanti alla luce della luna piena.
Dovette ammettere che si trattava di uno spettacolo mozzafiato come pochi, ma l’incanto venne presto rotto quando si accorse di un gruppo di stormtroopers, soldati dell’Impero vestiti con armature bianche e armati di blaster, armi da fuoco laser.
Facevano la guardia ad un gruppo di persone in catene, sopra un carro di legno.
<< Il tuo amato paparino non ti ha insegnato che non è educazione spiare le persone, Royal? >>
Fire trasalì; la voce di Shen proveniva ad un soffio di distanza da dietro di lui.
 Prima che potesse anche solo pensare di muoversi sentì la mano del governatore artigliargli e stringergli con forza la spalla e qualcosa di affilato e appuntito penetrare nella carne, tanto che dovette adoperare tutta la propria forza di volontà per non cacciare un urlo.
Lord Shen indossava praticamente sempre, su entrambe le mani, partendo dal polso, un paio di guanti composti di filamenti color argento di vibranio, uno dei metalli più resistenti e versatili della galassia. Entrambi terminavano lungo le unghie in artigli affilati come rasoi, i quali ,in quel momento, erano conficcati nella carne della spalla di Fire. 
Quest’ultimo digrignò i denti con tanta forza da sentirli scricchiolare e gli afferrò di scatto il polso, cercando di scostarlo, ma la presa di Shen era ferrea; con l’altra mano, il governatore gli strinse i capelli con forza, ma al posto di un verso di dolore il giovane si lasciò sfuggire una sequela di imprecazioni.
<< Il solito impulsivo >> sospirò l’uomo, strattonandogli appena la testa verso destra, cosicché potesse gettare un rapido sguardo agli invitati dall’altro capo della sala << Ti consiglio di stare calmo, questa non è certo la serata giusta per una scazzottata. Non vorrai mica mettere a rischio la vita di tutte queste povere anime innocenti, non è vero?>>
Il ragazzo serrò le labbra. Per quel che gli riguardava, avrebbe volentieri lasciato morire ognuno di quegli stupidi dei convitati, a parte Logan, ma sapeva che non era affatto giusto e che, benché li odiasse, erano esseri umani anche loro.
Shen sorrise ad osservare la sua espressione combattuta e il sorriso divenne di trionfo quando lo vide stendere i muscoli e abbandonare la posizione d’attacco. Tuttavia, non gli tolse gli artigli dalla spalla: sapeva di fargli male ed era una fonte di completo divertimento per lui, soprattutto la lotta del ragazzo per non mostrare la sofferenza provocatagli.
<< Mi fa piacere constatare che il buonsenso non ti manca... >>
<< Che cosa diavolo stai macchinando in quella tua testa bacata?>> sibilò Fire, fulminandolo con lo sguardo, tentando di restare lucido; la ferita alla spalla bruciava orribilmente.
L’albino sospirò di rimando. << Macchinando... come al solito hai una visione piuttosto ingenua della realtà. Sono un uomo d’affari. In questo momento sto semplicemente vendendo il mio prodotto migliore: corruzione e bella vita per tutti coloro che sanno mantenere la bocca chiusa... e una mente aperta alle mie proposte. Ci vuole molto lavoro per mantenere buona la popolazione di Gongmen, non pensare che sia un compito alla portata di tutti. >>
Questo spiegava perché avesse osato aggredirlo in pieno ballo, pensò Fire. Gli invitati sembravano non aver notato nulla: erano tutti troppo impegnati a ballare e a discutere, ma non avrebbe saputo dire se fosse davvero così o se effettivamente Shen le avesse pagate per chiudere un occhio.
Per un attimo, il cuore gli si strinse in gola al pensiero di Logan, ma poi scosse la testa; Royston non era così, gli voleva bene, non si sarebbe mai abbassato al livello di quei bastardi, anche se si comportava come loro. Certo era nelle grazie di Lord Shen, ma non l’avrebbe mai e poi mai assecondato in uno dei suoi loschi fini.
Fece correre lo sguardo tra la folla e lo vide intento a ballare con una dama, verso l’ultima fila: da quella distanza era impossibile poterli notare, specialmente se concentrato sul ballo. Era un bene, non aveva intenzione di coinvolgerlo in quella faccenda, come non lo coinvolgeva mai in nessuna delle sue missioni; se la sarebbe cavata da solo anche questa volta.
Lanciò un’occhiata al carro fuori dalla finestra, poi al governatore.
<< Immagino che questa sia un’altra delle tue missioni da benefattore, non è così? >>  domandò, con ironia tagliente come una lama.
Shen ridacchiò divertito.
<< Dipende tutto dalla tua concezione di bene o male, Fire >>.
Emise un sospiro quasi sognante.
<< Si tratta sempre di questo per te, non è vero? Bene o male. Giusto o sbagliato. A volte il confine tra le due cose è una linea molto netta. A volte è nebulosa. E spesso è... sì, come per la pornografia! La riconosci quando la vedi. >>
Una smorfia schifata si disegnò sul viso del giovane, che tentò ancora di divincolarsi dalla sua presa.
<< Sei disgustoso >> sibilò.
Per tutta risposta, l’albino scrollò le spalle.
<< Una questione di gusti, suppongo. D’altro canto, anche la differenza tra bene o male dipende da persona a persona. >>
Volse lo sguardo in direzione del giovane.
<< Certe questioni... certi confini... sono fondamentali, perché ci vincolano gli uni agli altri, all’umanità. Non tutti la pensano così, non tutti vedono la linea ben marcata, ma solo nebbia. Facciamo un esempio, ti va?>> domandò con tono divertito, strattonandogli la testa all’indietro << Un uomo è morto. Ed io gli ho tolto la vita. Questo non è in discussione, è un dato di fatto. Un fatto, e per i fatti non c’è un giudizio morale, indicano soltanto quello che è, non quello che pensiamo, come ci sentiamo... ci sono e basta; quello che avevo in mente quando ha tolto la vita al quest’uomo, se ho provato piacere nell’atto, oppure tutt’altra cosa... è irrilevante. Le questioni di bene o male, per quanto importanti siano, nella vita sono solo fuori luogo, solo i fatti importano. >>
Arricciò ambo le labbra in un sorriso.
<< E i fatti, Royal, parlano chiaro: io avevo il pieno potere di uccidere quell’uomo. Perché? Perché la legge dice che posso. Non importano le tue convinzioni, non importa quello che pensa la gente. Io sono al comando. E chi è al comando agisce sempre per il bene della legge. E in una società mutevole come la nostra... la legge è l’unica definizione di bene che importa. E quelle persone hanno infranto la legge, e per quelli che agiscono in tal modo, per quelli che agiscono come te... vi è solo una sentenza >>.
Fire rabbrividì, poi scosse la testa con convinzione. << Ti sei mai fermato anche solo un istante a domandarti perché questa società sia mutevole? Perché ci sia gente come me, che si contrappone a te e al tuo Signore? Tu non fai rispettare la legge. Tu fai rispettare la tua legge, le tue regole, perché questo è il vostro impero, un impero che opprime i suoi abitanti ed è indifferente ai bisogni dei più deboli. Qualsiasi cosa tu faccia, la fai per far rispettare una legge che non ha altro scopo che costringere tutti a rispettare la tua autorità e a fare ciò che più ti aggrada. Parli di giustizia, di rispetto della legge, eppure sei crudele con chi ha più bisogno di aiuto, non te ne importa niente della tua gente, solo del tuo tornaconto, solo delle persone che possono darti vantaggi politici. Sei pronto a buttare in pasto agli squali chi non ce la fa. Sei convinto che chi sia al potere sia sempre nel giusto, che ogni sua azione sia giustificata, ma ti sbagli. A te e al tuo padrone non importa dei fatti o della gente, ma a me sì. Ed è per questo che combatto. E non mi importa quanto tu possa essere folle e crudele da giustificare le tue azioni con “è la legge”. Io combatterò sempre. >>
<< Cuore nobile… ed egoista. Saresti disposto a dare la vita per queste persone, mentre per la tua e per coloro che ami non hai alcun riguardo. Dimentichi la cosa più importante, mio piccolo e ingenuo passerotto: sei solo. Sei sempre stato solo, e lo sarai anche nella morte… è solo questione di tempo. Farai anche tu la fine di queste persone, un giorno... >>
Lo sguardo color del sangue scorse famelico sulle persone davanti alla finestra, per poi agganciarsi a quello color del fuoco dell’avversario.
<< Ora, se vuoi scusarmi, ho un paio di faccende da sbrigare… Vigilante Mascherato. >>
Ritrasse gli artigli dalla spalla con un colpo secco, lacerando appena il tessuto del vestito e spillando uno spruzzo di sangue, tutto in maniera tanto veloce che stavolta Fire non riuscì a trattenere il rantolio di dolore; si portò una mano alla spalla, macchiandosi il palmo di liquido scarlatto, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, Shen si era già allontanato mescolandosi tra la folla di invitati, e l’istante dopo era come svanito nel nulla.
<< Padron Fire! >>
La voce acuta di Rowlet proveniva dalla finestra, da dove il barbagianni era entrato. Si accostò all’altra spalla del giovane, osservando con gli occhioni sgranati e preoccupati la ferita.

<< Sto bene >> rispose Fire, tamponandosi la spalla con la mano, ma la smorfia di dolore sul viso tradiva la menzogna << sono solo dei graffi… >>
<< Padron Fire sta sanguinando! Rowlet va a chiamare padron Logan! >>
<< Zitto, stai zitto, cervello di gallina!>> sibilò, tuffandosi sul volatile e imprigionandolo tra le braccia per impedirgli di volare via, mentre con una mano gli strinse il becco acuminato tra le dita.
Rowlet emise un acuto bubolio soffocato di protesta e si dibatté come un disperato, arruffando le penne e cercando di beccare senza pietà le dita del padroncino, ma senza risultato.
Fire doveva uscire dalla sala il più in fretta possibile, e senza dare nell’occhio, ma sapeva che era da pazzi, dato che stava sanguinando copiosamente e che ciò non sarebbe più potuto passare inosservato. Tuttavia si era trovato in situazioni più difficili. Aveva semplicemente bisogno di un diversivo da attuare alla svelta.
Ignorando a forza il dolore e le proteste del rapace, si trascinò dietro i tavoli sistemati davanti alle finestre, imbanditi di torte e pasticcini e provvidenzialmente provvisti di piatti di ceramica e posate.
A poca distanza, una fila di camerieri stava passando di fianco ai tavoli e agli invitati con in mano un vassoio con altri dolci. Fu allora che ebbe un’illuminazione.
Rinunciò a tamponarsi la spalla con la mano e afferrò il manico di due forchette da uno dei tavoli dietro i quali si era nascosto, macchiandola leggermente di sangue. Assottigliò lo sguardo e prese la mira verso il cameriere più vicino. Non appena questo gli passò davanti senza vederlo, scagliò una forchetta a mo’ di giavellotto e lo colpì con precisione millimetrica alla mano, facendogli perdere la presa sul vassoio, e l’altra sul piede, facendolo inciampare: il cameriere precipitò in avanti, rovesciando la torta che portava dritto sulla testa di una dama e trascinando con sé il resto dei valletti che caddero a terra in modo piuttosto goffo e ridicolo, quasi come delle tessere del domino umane.
Tutti i convitati si girarono in direzione del trambusto provocato dal capitombolo e dalla dama, che aveva cacciato un urlo degno di un soprano; Fire ne approfittò per sfrecciare indisturbato fuori dalla stanza e appoggiarsi ad una parete per riprendere fiato, lasciando finalmente andare Rowlet.
Il barbagianni scattò in aria, esplose in un respiro profondo e sbottò: << Padron Fire avverte prima di fare queste cose! Rowlet stava per soffocare, per tutti i pennuti spennati! >>
Ma, all’udire in risposta un gemito soffocato e a vedere le condizioni del padroncino, l’espressione del volatile si addolcì di colpo. Volò verso il giovane e lo aiutò a sfilarsi il gilet per arrotolarlo attorno alla spalla a mo’ di fasciatura e fermare così l’emorragia.
Fire respirò lentamente, finché il dolore non smise di essere una tortura assoluta e si trasformò in un’orribile pulsazione. Provò a muovere e piegare il braccio, avvertendo una fitta alla ferita, ma strinse i denti e la ignorò. Alzò lo sguardo verso Rowlet e borbottò un ringraziamento.
<< Padron Fire adesso dice cos’è successo? >>
<< Shen >> si affrettò a rispondere, serrando i denti << Mi ha preso alle spalle. Non hai notato niente, nel tuo volo fuori? >>
<< Solo delle persone prigioniere di quei brutti soldati bianchi. >>
Il barbagianni sgranò gli occhi, come colto da un’illuminazione improvvisa.
<< Oh! Rowlet adesso capisce! È tutto un piano del governatore! Ecco perché Rowlet l’ha visto uscire fuori in giardino! >>
<< Lo sapevo >> borbottò Fire, poi tagliò corto << Non c’è tempo da perdere, dobbiamo intervenire e salvare quelle persone. >>
<< E padron Logan? >>
<< Lo sai che non dobbiamo coinvolgerlo, è troppo rischioso. Andiamo! >>
E, senza aggiungere altro, il giovane si precipitò lungo il corridoio alla destra della sala, seguito dal barbagianni.
I camerieri erano tutti ammassati sul pavimento e si stavano lentamente risollevando da terra in tutta fretta, cercando di non inciampare nuovamente, e raccogliendo le pietanze che avevano fatto cadere.
Uno di loro tentava di scusarsi umilmente con la dama grassoccia dalla voce acuta e irritante che aveva involontariamente investito con una delle torte. Nella sala echeggiò qualche risata soffocata: l’attenzione degli invitati era tuttora rivolta a quello spettacolo.
Di tutti, tranne quella di Logan Royston.
Il marchese era stato l’unico, tra tutti, ad accorgersi dell’improvvisa fuga del figlio adottivo, e soprattutto che il putiferio scoppiato qualche istante prima era stata opera sua. E questo era stato possibile perché Logan non aveva smesso di tenerlo d’occhio per tutto il tempo, anche se all’apparenza appariva distratto e intento a conversare con gli altri convitati.
Fire non lo sapeva, ma il padre adottivo vegliava sempre su di lui, soprattutto durante quel genere di eventi. Intuiva spesso ogni pensiero del figlio, sapeva come ragionava e come si sentiva. Ma soprattutto, sapeva quanto il giovane tenesse a lui tanto da non coinvolgerlo mai direttamente nelle sue missioni, per paura gli succedesse qualcosa: riteneva di dover essere lui a dover proteggere Logan e mai viceversa, perché era il Vigilante Mascherato Royal Noir e perché Logan era suo padre e mentore, e, in quanto tale lo amava oltre il possibile, anche se questo non lo esplicitava mai a voce alta.
Tuttavia, Royston era una di quelle persone a cui non servivano le parole per capire.
Logan stesso era rimasto orfano dei propri genitori a soli sedici anni, e questo l’aveva costretto, in poco tempo, a dover assumere il dominio del castello e delle terre dei Royston. Se da una parte era stato un dolore perdere le persone che l’avevano messo al mondo e allevato, dall’altro era stato una sorta di liberazione: compiuti i diciotto anni l’avrebbero certamente costretto a sposare una giovane di buona famiglia, in modo che si sistemasse e avesse a propria volta degli eredi. Era così che funzionava, per quelli come lui.
Invece aveva potuto scegliere personalmente di dedicarsi all’amministrazione delle terre di famiglia, si era dedicato ad opere di beneficienza per i cittadini più poveri e alla regolazione del lavoro dei propri servi. In tal modo si era guadagnato l’obbedienza della servitù e la benevolenza dei sudditi, col tempo tramutatesi in estrema fedeltà e, in alcuni casi, un’amicizia sincera, qualcosa di rarissimo in quell’oscura epoca. Non faceva ciò per il proprio tornaconto, o per ricevere qualcosa in cambio, ma semplicemente perché era la cosa giusta da fare, perché era d’animo buono e altruista.
L’idea di adottare Baelfire – Fire, come pretendeva di farsi chiamare – non gli era venuta così, di punto in bianco: in tutti quegli anni si era spesso sentito solo, nonostante le proprie amicizie tra i servi e qualche nobile del suo rango con un po’ di sale in zucca. Gli mancavano l’amore e l’affetto di una famiglia, e aveva desiderato costruirsene una tutta sua adottando un bambino.
Non essendosi mai innamorato di nessuna e perciò non potendo avere figli propri, questa era l’unica soluzione. E poi, essendo di buon cuore, l’idea di adottare un povero orfanello gli scaldava il cuore: gli avrebbe offerto una casa e il proprio amore paterno, amandolo come figlio proprio, e quest’ultimo, sperava, l’avrebbe amato a sua volta come proprio padre.
Erano pressoché svariati i motivi per cui Fire ammirava il padre adottivo e perché aveva assunto l’identità di Royal Noir.
Inizialmente, Logan era stato all’oscuro del suo segreto, ma non gli ci era voluto molto per scoprirlo, essendo il figlio ancora alle prime armi e inesperto. Aveva deciso di sostenerlo nella sua lotta e nella sua segretezza, e soprattutto di aiutarlo a migliorarsi, accettando il fatto di non venire direttamente coinvolto per il proprio bene.
Dunque non si era troppo sorpreso al capitombolo dei camerieri, né si era domandato dove il figlio adottivo stesse andando: sapeva che ciò aveva a che fare con la sua attività notturna.
“Sta’ attento, Baelfire” pensò.

                                                                                                                                                     * * *                                                                                                               
"Goodbye gravity
Goodbye enemies
I’m going up to a place where the world is small
Where I can fly above it all
If I don’t make it, sing my song
From here I’m weightless
No stars are famous
And world is small…
"
Idina Menzel - Small World
 
<< Presto, padron Fire, da questa parte! >>  bubolò Rowlet, volando spedito lungo il corridoio con il giovane che gli correva dietro, finché entrambi svoltarono verso una delle porte di legno.
Fire spinse in avanti la maniglia e scivolò rapido all’interno di una stanza semibuia, illuminata solo dalla luce della luna filtrata attraverso il vetro di una finestra. Chiuse la porta di scatto, e quasi rischiò di schiacciare il barbagianni, il quale riuscì a scostarsi appena venendo preso di striscio.
<< Avvoltoi maledetti!>> imprecò << Padron Fire può stare più attento!? >>
<< Abbassa la voce! >> sibilò il ragazzo in risposta, tirando indietro la porta per liberarlo e prenderlo delicatamente tra i palmi, con una delicatezza e un fare premuroso che raramente gli si riconosceva.
<< Tranquillo, non ti sei fatto niente >> sussurrò, lisciandogli le piume arruffate.
Lo lasciò, osservandolo svolazzargli davanti, poi si appoggiò con la schiena alla porta, riprendendo fiato dalla corsa. Sfiorò con le dita la benda sulla spalla; la ferita pulsava ancora, ma tutto sommato era sopportabile.
Si guardò intorno, per capire, nonostante il buio, in quale remota stanza del corridoio si fossero infilati, anche se la cosa era irrilevante. L’importante era essere finalmente solo - a parte la presenza di Rowlet - lontano da occhi indiscreti e, soprattutto, che in quella stanza ci fosse quella larga ed imponente vetrata la cui vista dava sul giardino del castello.
Si avvicinò a scrutare fuori: gli stormtroopers e i prigionieri erano ancora lì, in attesa, circondati da un muro di siepi e di alberi. Vi era un sentiero ,dalla parte opposta del giardino, e Lord Shen lo stava percorrendo per giungere da loro. Accompagnato dal suo pavone Ho-Oh, si muoveva verso la radura a passi lenti e misurati, come a voler godere di quel momento in tutte le sue sfumature, comprese le espressioni atterrite della gente che  lo vedeva arrivare.
<< Merda... >>
Fire studiò le dimensioni della vetrata, i metri che la separavano da terra e la distanza aerea che avrebbe dovuto percorrere per raggiungere i prigionieri. Concluse che sarebbe stato facile tendere un’imboscata agli stormtroopers, utilizzando le file di alberi come nascondiglio. Di loro non si preoccupava mai troppo: erano facili da abbattere e lui era abbastanza veloce da schivare i colpi dei loro blaster.
Era Shen a preoccuparlo. Non si sarebbe mai azzardato ad affrontarlo da ferito, neanche con un misero taglietto, ma sapeva di non avere scelta, se non quella di abbandonare quella gente al proprio destino: un’opzione che non intendeva prendere in considerazione.

Rowlet si appollaiò sulla spalla sinistra del giovane, quella sana, e con lui osservava il paesaggio fuori dalla finestra. << Padron Fire non dovrebbe andare lì fuori ora che si è fatto male. >>
<< Sai che devo. Non posso lasciarli nelle mani di quel folle >> rispose, carezzandogli la gola piumata e lanciandogli un’occhiata d’intesa << Sei con me? >>
<< Rowlet è sempre con te, padron Fire! >> sentenziò il rapace, gonfiando il petto piumato per darsi importanza.
Per un attimo, al giovane sfuggì un sorriso sincero, rapidamente sostituito da un’espressione calcolatrice. Senza esitazione si tirò su la manica della camicia, scoprendo la polsiera con il cristallo; chiuse gli occhi e si concentrò, premendo due dita sopra la pietra verde.
 Subito questa splendette di una luce del medesimo colore che illuminò i suoi vestiti, i quali iniziarono lentamente a tremolare fino a disgregarsi e a comporsi in una massa verdastra e informe.
Fu solo per un istante. La massa gli si ricompattò attorno al corpo, formando così il costume di Royal Noir.


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La scherma, il corpo a corpo e il tiro con l’arco non erano le uniche conoscenze che Logan Royston gli aveva trasmesso. Il padre adottivo possedeva delle discrete nozioni di meccanica e alchimia, un bagaglio di cultura parecchio raro da trovare nei nobili del suo rango, ma non inesistente.
Una volta espresso il desiderio di aiutare il figlio nella sua impresa, aveva ideato e realizzato quel bracciale, usando uno speciale materiale corvino modellabile in qualsiasi modo e capace di adattarsi a qualsiasi tipo di superficie.
Infine, aveva aggiunto quella pietra verde, che poteva essere scambiato uno smeraldo. In realtà, era un cristallo di Polvere, trovabile in tutti i negozi di Remnant, un pianeta di Battleground, nonché uno dei suoi principali snodi commerciali.
L’aveva modificato in laboratorio e incastrato nel bracciale, in modo che, ogni volta che il figlio l’avesse indossato, potesse cambiare a proprio piacimento la struttura molecolare dei propri abiti semplicemente con la forza del pensiero, trasferendo energia dal cristallo fino al dispositivo alchemico.
In tal modo, Fire poteva assumere l’identità di Royal Noir in un secondo netto, dove voleva e quando voleva: gli bastava sfiorare il cristallo con le dita, concentrarsi per immaginare i suoi vestiti cambiare forma e, in un attimo, questo accadeva.
Inizialmente la trasformazione – così era solito chiamare questo “processo” – era stata molto difficile, principalmente perché concentrarsi richiedeva un grande sforzo e perché ancora non aveva un’idea ben precisa di come modellare i suoi abiti. Solo col tempo aveva deciso che sarebbe stato una sorta di guardiano della notte, un vigilante sempre presente a vegliare su Gongmen e a punire con i suoi artigli coloro che minacciavano i cittadini.
Era stato questo a dargli l’idea di modellare il suo costume sul gufo: una creatura della notte bella e maestosa, ma letale per le sue prede.
Una mantellina verde smeraldo gli copriva interamente il capo con un cappuccio frastagliato, sulla cui cima era posta una grande piuma bianca svettante verso l’alto. Il viso era coperto da una maschera di gufo nera con tanto di becco ricurvo, mentre un lungo, ampio e largo mantello scuro era tessuto sulle spalle e retto sui gomiti da dei lacci, scendendo a sfiorargli il retro del ginocchio, come una tenda nascondente il resto del corpo.
Era solo quando tendeva l’arco e scoccava una freccia - generata grazie ai suoi poteri - che era possibile intravedere la semplice muta bianca di lino con una cravatta di pizzo, che ricordava vagamente l’abito di un nobiluomo, cosa che aveva in parte dato origine al nome che la gente gli aveva dato. Royal Noir in francese significava letteralmente “reale nero”, per la loro convinzione, da lui stesso alimentata, di essere un reale decaduto che aveva deciso di abbracciare le tenebre e ribellarsi all’Impero.
Fire, o meglio, Royal Noir, tese il braccio ferito in avanti, simulando di tendere la corda di un arco invisibile. In tutta risposta, una lieve fitta gli attraversò, ma anche stavolta lui la ignorò. Non aveva scelta, si ripeteva, avrebbe dovuto combattere anche in quelle condizioni.
Si diresse verso la finestra e ne spalancò con un gesto le persiane, salendo in equilibrio sopra il bordo, con il barbagianni che svolazzava al suo fianco. Fissò l’orizzonte, poi si girò a guardare il fidato compagno con un’espressione ferma e decisa.
<< Andiamo, Rowlet. >>
Con un gesto si spinse in avanti, tuffandosi dritto nel vuoto. Mentre perdeva rapidamente quota, aprì le braccia di scatto, alzandole all’altezza delle spalle.
Il cristallo sulla polsiera brillò di una luce smeraldina e i lacci del mantello stretti sui gomiti si sciolsero di scatto. Seguendo quel movimento, la seta si spalancò ampia sopra la schiena, gonfiandosi al vento e acquistando bordi compatti e frastagliati, esattamente come un paio di immense e gigantesche ali d’uccello, le quali iniziarono subito a sbattere, frenando la caduta.
Tese le braccia verso l’alto e sfrecciò su nel cielo, sollevandosi appena sopra gli alberi per non essere visto. L’aria fredda iniziò a sferzargli il volto semicoperto e sfrecciare lungo la piuma del cappuccio e i suoi abiti, mentre disponeva il corpo in orizzontale rispetto al suolo, distante da lui parecchi chilometri.
Perfino in quel mentre sentì la tentazione del vuoto. Desiderò di innalzarsi in cielo, su, sempre più su, sfruttare le correnti ascensionali e volare via, solo per perdersi in quella sensazione di assoluta libertà e spensieratezza.
Volare era una delle pochissime cose che riusciva davvero a renderlo felice come una Pasqua. Lo faceva spesso, anche quando non era in missione, sempre con l’uso del prezioso costume. Sapeva, però, che in quel momento c’erano altre priorità.
Vide le fronde degli alberi scorrere sotto il suo sguardo, sempre più rapide.
Senza esitazione, si diresse verso il luogo dell’esecuzione, con il barbagianni al fianco.

                                                                                                                                                     *  * * 

"When the stars start to shine
The gods above are smiling in the night
Like spark to a flame
Feel it as my fear begins to fade..
."
IAMEVE - To Feel Alive
 

La radura circondata dagli alberi era illuminata da una serie di torce tenute in mano dalle guardie. La luna splendeva alta nel cielo, semicoperta da un paio di nubi scure, gettando un’ombra spettrale sul bel giardino del palazzo. I prigionieri erano disposti in file al centro della radura, costretti in ginocchio e circondati dal gruppo degli stormtroopers.
Lord Shen apparve dinnanzi a loro, bianco e candido, l’angelo del paradiso che li avrebbe condotti verso la fine eterna. Ma gli occhi color del sangue, frementi di malizia e crudeltà, tradivano l’animo demoniaco che si celava sotto le sembianze dell’apparente eterea purezza di quella figura: alla sua sola vista, il terrore e l’angoscia nei volti dei poveri malcapitati era aumentato.
La Fenice Bianca volse le iridi di rubino in direzione degli stormtroopers e delle proprie guardie lì presenti.
<< “Hai quello che ti meriti” è un modo di dire. Che sopravvive al tempo perché è vero. Per molte persone, ma non per tutti, alcuni hanno più di quello che si meritano. Perché credono di essere diversi dagli altri, che le regole, quelle a cui le persone come voi e me, le persone che lavorano e faticano per arrivare dove sono… non si applichino a loro, che possono fare qualsiasi cosa, purché sia per il bene di coloro che amano. >>
Si interruppe per qualche istante, per enfatizzare il tutto e gustarsi le espressioni atterrite e ipnotizzate allo stesso tempo dalle sue parole.
<< Agiscono nell’ombra, e siamo noi a proiettarla con la nostra indifferenza, con una diffusa mancanza di interesse per tutto quello che non influenza direttamente la nostra vita quotidiana… >>
Volse lo sguardo in direzione dei prigionieri.
<< Contrabbandieri, sobillatori… ladri >> sussurrò con disprezzo.
Un uomo osò alzare lo sguardo e parlare con fare concitato: << La prego, Lord Shen, cercavo solo di sfamare la mia famiglia… >>
<< Silenzio! >> gli gridò uno stormtrooper, facendosi avanti e iniziando a colpirlo a forza con la canna del blaster, costringendolo a terra in un lamento di disperazione e dolore insieme.
Il governatore osservò il soldato picchiare il poveraccio senza minimamente scomporsi. Poi, dopo un paio di violenti colpi, sollevò una mano.
<< Basta così >> ordinò.
Lo stormtrooper ubbidì senza fiatare, imbracciando il fucile e facendo un passo indietro per risistemarsi nella fila compatta di cui faceva parte.
L’albino avanzò lentamente verso il prigioniero, il quale tentava faticosamente di risollevarsi sulle braccia, e gli si inginocchiò davanti, fissandolo negli occhi.
<< Mio viscido amico, credimi… capisco bene la tua situazione. Per questo, ho intenzione di aiutarti! >>
Si sollevò in piedi e passeggiò intorno al resto dei prigionieri, il lungo abito candido che gli svolazzava dietro come la tunica di un fantasma.
<< Vedete, tutti voi siete incappati in quello che io chiamo la “trappola della vita”. Questa profonda certezza che le cose saranno diverse, che se ti farai avanti, che sei proverai a combattere contro le probabilità… sarai realizzato. >>
 Una smorfia gli deformò il bel volto.
<< Al diavolo la realizzazione e la risoluzione. Che vadano al diavolo quei due dannatissimi vasi vuoti che contengono questo mare di escrementi che chiamiamo vita. La realizzazione non si raggiunge, non fino all’ultimo istante… come loro! >>
Ad un suo cenno, le guardie sollevarono le torce, illuminando qualcosa che prima era rimasto nascosto nel buio della notte: una grande quercia spoglia, dall’imponente corteccia. Rami robusti e nodosi si allungavano verso il cielo e altri si allungavano in direzioni opposte verso la terra, come dita pronte a ghermire chiunque si trovasse sotto.
Sulla prima fila di rami paralleli al terreno erano appesi, con una grossa corda stretta saldamente attorno al collo, corpi di persone impiccate, inermi e ondeggianti al flebile venticello della sera come dei manichini.
Uomini, donne e persino bambini e ragazzi: tutti col capo piegato di lato, la bocca contratta in un ormai muto rantolio e gli occhi vitrei, rivolti verso il cielo stellato che mai più avrebbero potuto vedere.
Fu quella straziante visione a scioccare del tutto i prigionieri ancora vivi, fermi e immobili ad osservare con occhi sgranati quella che, ormai era chiaro, sarebbe stata la loro inevitabile condanna.
Shen rimase a contemplare per qualche istante il terrore dipinto sulle loro espressione, poi si rivolse loro sorridendo affabile.
<< Vedete? È di questo che sto parlando, è questo che intendo quando parlo del tempo e della morte e della futilità. Ci sono considerazioni più ampie all’opera. Guardateli negli occhi! Non ha importanza se sono vivi o morti, puoi comunque leggere nei loro occhi, e sai cosa capisci? Che loro hanno accolto la morte! Non subito ma, proprio lì, all’ultimo istante, come un sollievo inequivocabile! >>
Si strinse nelle spalle per un istante, ostentando noncuranza.
<< Certo, erano spaventati, ma poi hanno visto per la prima volta quanto fosse facile lasciarsi andare. L’hanno visto in quell’ultimo nanosecondo. Hanno visto quello che erano, che noi, ognuno di noi, in tutto questo grande dramma, non è mai stato altro che un cumulo di presunzione ed ottusa volontà, e allora si sono lasciati andare! >>
Ad un suo cenno, tutti gli stormtroopers imbracciarono i fucili e li puntarono in direzioni degli ormai terrorizzati prigionieri.
<< Alla fine, non devi aggrapparti così forte per capire che tutta la tua vita, tutto il tuo amore, il tuo odio, la tua memoria, il tuo dolore… erano la stessa cosa, erano semplicemente un sogno, un sogno che si è svolto in una stanza sprangata. >>
Volse un ultimo sorriso condiscendente al prigioniero che prima era stato picchiato.
<< Ciò che sto per fare, mio caro… è semplicemente liberarvi da quel sogno. >>
<< Questo lo credi tu >> gli rispose una voce, proveniente da qualche parte nel buio, in mezzo alla vegetazione circostante.
Tutti i presenti si guardarono intorno, cercando di individuarne l’interlocutore, sorpresi e in qualche modo atterriti. Ad un tratto videro qualcosa di grosso, scuro e svolazzante muoversi tra gli alberi.
<< Un fantasma! >> strillò uno stormtrooper.
Lord Shen non aprì bocca, semplicemente perché riteneva uno spreco d’aria dire a quel soldato quanto fosse idiota lui e la sua affermazione. Conosceva meglio di chiunque altro lì presente la voce risuonata e colui a cui apparteneva. L’avrebbe riconosciuto tra mille.
Nello stesso istante, dal folto della vegetazione, si librò in cielo la figura di Royal Noir, le grandi ali piumate a gettare un’ombra sui presenti; tra le mani teneva teso l’arco, con una freccia di energia verde fosforescente già incoccata.
Poi, prima che qualcuno potesse emettere solo un fiato, iniziò a scagliarne una serie da tutte le direzioni possibili, andando a colpire dritto nel segno gli stormtroopers. Ad uno ad uno, di seguito, i soldati in armatura bianca caddero in orizzontale l’uno addosso all’altro, come delle goffe ed impacciate tessere del domino ambulanti.
L’incappucciato atterrò in piedi a pochi metri di fronte a Shen, ponendosi a protezione dei cittadini. Le sue ali si contrassero e si ripiegarono sulla schiena, tornando ad essere un lungo mantello svolazzante.
Le guardie del governatore, senza che quest’ultimo avesse dato alcun segnale, sguainarono le spade e si misero in posizione, ma il Vigilante non parve farvi caso, nemmeno alle voci concitate e alle grida di giubilo dei prigionieri suscitate alla sua apparizione. I suoi occhi di fuoco erano puntati in quelli sanguigni dell’albino.
Lord Shen fulminò i condannati con un’occhiata, zittendoli, poi si girò a sostenere lo sguardo del giovane.
La sua intenzione iniziale sarebbe stata quella di sorridere, gongolando tra sé e sé di essere riuscito ad attirarlo lì. Ma non sorrideva. Le sue labbra erano disposte in una linea sottile e marcata di livida rabbia.
Se c’era una cosa che odiava con tutto sé stesso era l’arroganza, l’insolenza e l’insubordinazione, oltre all’essere ostacolato. Royal Noir, in quel momento, come ogni volta che si incontravano, incarnava tutto questo messo insieme. Lo fissava con sfida, il mento sollevato, sicuro di sé, nonostante non si trovasse nella migliore delle situazioni. Non pareva minimamente toccato dalle parole rivoltegli dall’uomo poco prima, quando l’aveva ferito.
Era questo uno dei motivi dell’odio di Shen nei confronti del Vigilante Mascherato, in generale: il fatto che quel moccioso osasse ogni volta sfidarlo e ostacolarlo, nonostante il rischio di morire o di far saltare la propria copertura. Detestava la sua testarda ed ostinata resistenza e non comprendeva i suoi buoni principi e il suo spirito di sacrificio.
Per un certo tempo i due continuarono a guardarsi fisso. L’albino rivolse una veloce occhiata agli stormtroopers a terra, senza battere ciglio. Fece poi una smorfia infastidita e tornò a guardare in volto l’incappucciato.
<< Così, Royal Noir >> disse in tono di solenne ironia, riacquistando il sorriso malefico << sei giunto a liberare questa massa di infelici così simili a te. >>
Il ragazzo creò rapido un’altra freccia tra le mani e la incoccò, puntandola in direzione del governatore. << Manderai al macello te stesso o le tue guardie, pur di impedirmelo? >> gli chiese, in tono di sfida.
<< Farò molto di più >>. Shen sogghignò, passandosi la lingua sulle labbra.
Fatto ciò, estrasse dalla veste, con un movimento repentino, dei kunai in vibranio dalla forma di piume di pavone.
<< Manderò te al macello. Oh, ma sta’ tranquillo, non ti ucciderò. Non subito, almeno. Sarà più gratificante farti assistere prima allo spettacolo che hai rimandato. Una volta terminata la festa per loro, inizierà la tua. >>
<< Allora mi concede questo ballo, principessa? >> Royal lo invitò ad attaccare con un cenno della spalla, sorridendo derisorio.
L’albino digrignò i denti, e l’istante dopo, partì all’attacco, scagliandogli contro le piume kunai. Prontamente, il Vigilante scoccò la freccia riuscendo a deviarne alcune, altre con un’altra freccia, ma l’ultima lo prese di striscio alla spalla ferita, facendo esplodere tutto in una miriade di scintille di dolore. Mordendosi le labbra per trattenere un urlo, Royal barcollò, tentando di mantenere l’equilibrio per non cadere.
Shen approfittò di quell’attimo di smarrimento colpendolo dritto in faccia con un manrovescio, spaccandogli il labbro e lasciandogli il segno sanguinante degli artigli sullo zigomo. Il giovane cadde a terra, sentendo chiaramente la schiena urtare violentemente il terreno; puntini neri gli danzarono davanti gli occhi. Riuscì ad intravedere il governatore avanzare, una lunga lancia dalla lama frastagliata tra le mani.
Incapace di vedere chiaramente, colpì prendendo mentalmente la mira, e, un istante dopo riuscì a vedere la freccia centrare l’avversario dritto alla gamba: il laser bruciò la carne e la trafisse spillando sangue, costringendo l’uomo ad indietreggiare con un urlo strozzato, a metà tra la rabbia e il dolore.
L’incappucciato colse l’attimo e riuscì a rimettersi in piedi con uno scatto, scagliando un’altra freccia. Questa trapassò una candida ciocca dei capelli del governatore, per poi conficcarsi nel tronco di un albero alle sue spalle, inchiodandolo sul legno.
Fece per creare un'altra freccia ed incoccarla, ma immediatamente si ritrovò circondato dalle guardie del governatore che gli puntavano contro le lame delle spade, tagliandogli ogni via di fuga.
<< LASCIATELO! >>
La voce gracchiante e isterica che pervase l’aria, impedendo alle guardie di agire, apparteneva a Shen. L’albino si era liberato tagliandosi la ciocca con un colpo di lama, incapace di toccare la freccia laser senza bruciarsi il palmo della mano.
<< È mio >> ringhiò, con la voce che non era altro che un basso sibilo carico di minaccia, chiaramente rivolto alle guardie.
Afferrato il messaggio, queste decisero saggiamente di riporre le armi e di indietreggiare, facendosi da parte.
L’uomo avanzò, finché non si trovò ad un soffio di distanza da Royal, premendogli la punta della lancia sulla gola. I suoi occhi erano inchiodati sul giovane e dardeggiavano famelici, folli d’ira, quasi volessero incenerirlo con lo sguardo.
Il Vigilante si vide riflesso nelle iridi sanguigne e, sebbene adesso provasse una certa inquietudine di fronte al proprio avversario, non lo diede a vedere. Mise su un sorriso sfottente, ben sapendo che facendolo imbestialire ancora di più avrebbe in qualche modo potuto assicurarsi un vantaggio, nell’imminente scontro.
<< Bella piega, principessa >> lo schernì.
Si mossero in cerchio, l’uno scrutando i movimenti dell’avversario. Royal ripose l’arco sulla schiena e materializzò tra le mani una spada fatta di pura energia.
<< Ragazzino superbo e insolente >> disse Shen, roteando la lancia << Preparati ad incontrare il tuo destino >>
<< En garde! >> gli gridò in risposta il giovane, mettendosi in guardia.
Senza altre parole si slanciarono l’uno sull’altro. Royal era agile e rapido. Riuscì a parare il doppio dei colpi e a contrattaccare di conseguenza, ma Shen era più robusto, nonostante l’apparenza ingannasse, e di poco inferiore in bravura.
<< Sei migliorato notevolmente, Fire. >>
L’uomo calcò di scherno il soprannome, mentre parava un suo affondo. 
<< Il tuo paparino deve essere molto fiero di te! >> continuò con un ringhio.
Come avesse scoperto la sua identità, il ragazzo non lo sapeva, né l’aveva mai capito: durante i loro scontri fisici, per Shen non era stato difficile procurarsi un campione del suo DNA sotto forma di una stuzzicante e densa quantità di sangue rimastagli sul ferro della lama della spada. Analizzando il campione nel proprio laboratorio, non gli era stato difficile risalire all’identità segreta del proprietario.
Certo, forte di questo fatto avrebbe potuto rivelare tutto al suo signore, il Maestro, e raccogliere prove sufficienti per incriminare il moccioso e spedirlo sulla forca. Ma sarebbe stato troppo semplice, e troppo poco appagante.
Il governatore voleva la soddisfazione di catturare il Vigilante Mascherato con le proprie mani; voleva consegnarlo lui stesso al Maestro, e che quest’ultimo gli concedesse la possibilità di giustiziarlo personalmente.
Voleva affondare i suoi artigli e la sua lama nelle carni del giovane fino a spillargli tutto il sangue che aveva, riempiendosi le orecchie delle urla di dolore e delle implorazioni di pietà; fargli capire che aveva fallito nella sua sciocca e insensata impresa, che era stato sconfitto e che coloro che l’avevano sostenuto avrebbero pagato assieme a lui.
Voleva vedere il fuoco abbandonare i suoi occhi per sempre. E dulcis in fundo, dopo avergli fatto subire il tutto da vivo e avendo a disposizione il suo cadavere, avrebbe esposto la sua testa mozzata nella piazza centrale di Gongmen, cosicché tutti potessero constatare la sua fine e la sorte che toccava a coloro che osassero sfidare l’Impero e soprattutto lui, Lord Shen.
Fino a quel momento, Rowlet, il barbagianni ,era rimasto nascosto tra i rami bui degli alberi, passando totalmente inosservato, per ordine del suo padroncino. Quest’ultimo gli aveva raccomandato di liberare i prigionieri non appena fosse riuscito a distrarre il governatore; così, mentre i due si fronteggiavano e le guardie erano impegnate a guardare, timorose che potesse accadere qualcosa al loro padrone, svolazzò alle loro spalle e, pazientemente, iniziò a lavorare col becco uncinato e acuminato sulle corde che legavano le mani dei prigionieri.
Alcuni di loro si accorsero del volatile, tutto concentrato nello svolgere il compito, ma decisero saggiamente di fare finta di nulla per non destare sospetti. Si stupirono non poco quando, una volta che tutte le corde furono recise, il rapace bisbigliò loro di allontanarsi senza fare rumore, ma anche in questo caso fecero buon viso a cattivo gioco, dato che avevano la possibilità di mettersi in salvo.
Tuttavia, le guardie, sebbene fossero impegnate ad osservare lo scontro pronte ad intervenire nel caso fosse accaduto qualcosa al governatore, non erano del tutto indifferenti alla sorveglianza dei prigionieri, e quando si accorsero che stavano tagliando la corda si misero ad inseguirli, le spade tese.
Rowlet, coraggiosamente, li fronteggiò, attaccandoli al viso con gli artigli e il becco, riuscendo in qualche modo a rallentare qualcuno di loro, ma non avrebbe resistito a lungo: gli nuoceva la piccola statura e il gran numero di colpi di lama che incassava, seppur di striscio, e lo sforzo di schivarne completamente alcuni.
<< Aiuto, padron Royal! >>  stridette disperato; alcune guardie erano riuscite a bloccare una parte dei condannati, mentre l’altra arrancava nel tentativo di fuggire.
Fire avrebbe voluto con tutto sé stesso corrergli in aiuto, ma Shen lo stava mettendo alle strette, pur essendo entrambi feriti e quasi alla pari in bravura.
A un tratto, l’albino l’agguantò al polso, gli strinse un braccio attorno al collo e calò la punta della lancia verso lo stomaco.
L’arciere riuscì a intercettarla e a pararla con un scatto. Le dita della mano libera scattarono automaticamente sul braccio nel tentativo di allentare la morsa alla gola, mentre, allo stesso tempo, tentò di mantenere ferma la presa sulla lancia; se l’avesse persa anche solo un istante, Shen avrebbe potuto trafiggerlo. La lama di vibranio sprigionò scintillem cozzando contro la lama laser, come se quest’ultima non fosse nulla più di un semplice metallo.
<< Oh, poverino, il tuo gufetto sembra essere in difficoltà >> sghignazzò il governatore, incalzando l’arma, malignamente divertito << Mi chiedo chi sarà il primo a cadere: lui, tu o i miserabili straccioni per cui sei praticamente venuto ad immolarti? >>
<< Che ne dici di te!? >>
Il Vigilante gli mollò una sonora gomitata allo stomaco, gli pestò un piede e gli tirò una testata all’indietro, sgusciando via dalla sua presa e sfoderando l’arco.
Mentre Shen si piegava in due dal dolore, Royal Noir si gettò nella mischia, incoccando e lanciando frecce da ogni direzione, senza quasi mai sbagliare il colpo: le guardie che mancava le trafiggeva un istante dopo.
Grazie all’intervento tempestivo, alcuni dei prigionieri, prima bloccati dalle guardie, riuscirono a liberarsi e Rowlet poté riprendersi, ma l’istante dopo volò al fianco del padroncino, bersagliando gli avversari senza pietà con la punta del becco e liberando bubolii acuti; il giovane non poteva capirli, perché non espressi nella propria lingua, ma avevano tutta l’aria di essere delle imprecazioni piuttosto scurrili.
<< Scappate!>> gridò un istante dopo ai prigionieri, riuscendo finalmente a sgombrare loro la strada dalle guardie << Andate verso il ponte levatoio! Vi copro io!>>
Gli diedero retta senza pensarci due volte: ad uno ad uno si voltarono e si diressero dove aveva loro indicato. L’uomo che prima era stato picchiato dallo stormtrooper si fermò un istante per ringraziarlo, accorato, poi seguì gli altri fuggitivi.
Era sicuro che, in quel preciso istante, il ballo dentro il castello stesse continuando. Probabilmente nessuno degli invitati dentro al castello sapeva dell’esecuzione quasi avvenuta in giardino: Logan aveva ragione, era stata tutta una trappola per attirare lui. Questo poteva garantire che il ponte levatoio non fosse stato risollevato. I soldati sopra la guardiola lo facevano solo quando ogni singola carrozza usciva dal giardino, ma certo non avrebbero permesso ai condannati di fuggire.
<< Rowlet! >>
 Il barbagianni gli svolazzò immediatamente davanti, quando si sentì chiamare.
<< Dobbiamo volare sopra la guardiola del ponte e assicurarci che i soldati di Shen non lo alzino! >>
Con un gesto azionò le ali e con un salto si slanciò in aria, preceduto dal volatile. Si era sollevato solo di un misero metro di altezza, quando si sentì artigliare alla caviglia: gli artigli di vibranio penetrarono nella carne, e con un potente strattone venne rispedito a terra, supino.
Shen era tornato alla carica, un’espressione di una ferocia agghiacciante dipinta sul viso. In un attimo gli fu addosso, bloccandolo a terra con tutto il suo peso e occludendogli nuovamente la trachea con le dita.
Il bagliore di una lama balenò davanti agli occhi del giovane, che, rantolando, riuscì appena in tempo a stringergli con forza il polso per bloccarlo, la lama del kunai ad un centimetro dal volto, mentre con l’altra mano cercava di aprire le dita strette sul collo.
<< Non così in fretta, passerotto >> sibilò il governatore, la bocca e il naso colanti sangue, cercando di affondare il kunai; per lo sforzo di trattenerlo, il Vigilante sentì il braccio tremare.
<< Padron Fire! >> esclamò  la voce acuta d’allarme di Rowlet. Il barbagianni planò verso di loro.
<< No, Rowlet! >>  gli boccheggiò in risposta  << Raggiungi il ponte! Ferma i soldati! >>
<< Ma… >>
<< Fallo! È un ordine! >>
Il barbagianni capì dal suo sguardo che non c’era margine di trattativa. Sebbene volesse troppo bene al padroncino per abbandonarlo così, sapeva di dover fare quel che gli diceva, perché altrimenti sarebbero potuto arrivare altre guardie cattive a fare del male a quelle povere persone. Così si voltò e volò via.
<< Bloccalo! >> strillò Shen, rivolto a qualcuno che non rientrava nel campo visivo del giovane. Poi udì un frullare d’ali e vide il pavone Ho-Oh librarsi in cielo, sopra di lui, all’inseguimento di Rowlet.
<< No…! >>
Cercò di gridare per avvertire l’amico, ma gli mancava il fiato. Non aveva più la forza di trattenere l’avversario: avvertì la lama del kunai sfiorargli la pelle della gola incidendola appena, ma ancora una volta represse ogni verso di dolore.
Shen scoppiò in una risata infernale che gli diede i brividi.
<< Complimenti, ragazzino, non mi divertivo così da anni! Oh, dovrei ringraziarti… ma penso che sarà molto più gratificante ucciderti lentamente. >>
Royal gli assestò una secca ginocchiata nel tentativo di scrollarselo di dosso, ma l’albino, per ripicca, gli strinse i capelli strattonandogli la testa all’indietro e conficcò il kunai dritto nella coscia, assaporando con un sorriso l’urlo di dolore conseguente.
Serrando i denti per il dolore, l’incappucciato volse lo sguardo al cielo, cercando di scrutare verso l’alto: intravide Rowlet, niente più di un puntino color crema, sul punto di raggiungere la guardiola, per poi essere investito da una grossa macchia biancastra che non era altro che Ho-Oh il pavone.
Si divincolò più animatamente a quella vista, cercando di raggiungerlo.
<< Oh, tu tieni tanto a quella piccola palla di piume, non è vero? >> sussurrò Shen, seguendo il suo sguardo.
Ghignò maligno e lo afferrò per il cappuccio, raddrizzandolo davanti a sé e bloccandogli le braccia dietro la schiena.
<< Bene… allora lo vedremo morire insieme! >>
<< No… >>
Doveva reagire.  Maledizione, doveva reagire! Non poteva permettere a quel bastardo maledetto di averla vinta, né poteva lasciare che Rowlet e quella gente pagassero a causa sua.
Strinse i pugni, divincolandosi e concentrandosi intensamente, avvertendo una scarica di energia attraversargli il corpo. Il palmo brillò di un bagliore di luce verde e, guidato dall’istinto, lo premette sullo stomaco dell’albino: immediatamente, un potente raggio d’energia verde si sprigionò e lo spazzò via, mandandolo a cozzare contro un albero e facendolo svenire.
Senza attendere oltre ,il Vigilante Mascherato spiccò il volo. Vide Ho-Oh tirare un colpo sotto con gli artigli a Rowlet e fargli perdere quota; si tuffò sul rapace per acchiapparlo al volo, stringendolo tra le braccia, e spazzò via il pavone con un altro raggio d’energia, così come aveva fatto prima col suo padrone.
<< Rowlet! >> esclamò preoccupato.
Mentre volava sospeso in aria, Fire lo esaminò: aveva tutte le piume arruffate, il corpicino pieno di tagli superficiali e gli occhi chiusi, ma per fortuna il suo petto candido si alzava e si abbassava regolarmente. Si azzardò a tirare un sospiro di sollievo: era forte, più forte di quanto apparisse, era sicuro che se la sarebbe cavata.
Adesso doveva pensare al resto.
Si calò giù il cappuccio e vi ripose l’amico piumato, stringendo i legacci perché non cadesse, e poi sfrecciò nuovamente verso la guardiola.
Sotto di lui, intravide la strada che conduceva al ponte levatoio: i prigionieri la stavano attraversando, alcuni di loro erano riusciti a superare il ponte, che però si stava inevitabilmente sollevando per chiudersi. Presto o tardi sarebbero sopraggiunte altre guardie se non agiva alla svelta.
Incoccò una freccia e la tese davanti a sé, prendendo la mira verso i due soldati che si apprestavano ad alzare il ponte e li colpì, uno dietro l’altro. Le catene che sostenevano il ponte si slegarono con uno scatto e il ponte rimase steso in orizzontale, permettendo così al resto dei prigionieri di passare e di dissolversi nella notte, tra le grida di gaudio e giubilo rivolti alla sua persona.
Svegliato da quelle grida, Lord Shen rinvenne e vide l’inconfondibile mantello e il cappuccio del suo avversario, in piedi sopra la guardiola. Sotto di lui, i prigionieri si dileguavano nella notte, protetti dalle mura dei palazzi e delle case.
Royal Noir lo fissò con i suoi occhi di fuoco, resi brillanti dalla luce della luna che alle spalle lo investiva. Uno sguardo, il suo, che esprimeva sfida e disprezzo messe insieme.
Poi spalancò il mantello e sparì tra le nubi scure, accompagnato da un urlo di pura rabbia strozzatosi dalla bocca dell’albino.

 

 
Personaggi
 
Baelfire "Fire" Royston/Royal Noir
Opera: OC (Original Character)
Razza: umana (sensitivo ?)
Theme: https://www.youtube.com/watch?v=8C_L9vxrRyk
Soundtrack: https://www.youtube.com/watch?v=ywKdA4iaKCM
https://www.youtube.com/watch?v=wbhw-G4fUug
Autore: Rory Drakon

 
Lord Shen
Opera: Kung Fu Panda 2
Razza: umana (pavone albino nell'opera originale)
Video Tribute: https://www.youtube.com/watch?v=68xRqMDCgHM
Soundtrack: https://www.youtube.com/watch?v=hecQF7fbjnw
Autore: Rory Drakon


I bambini dell'orfanotrofio provengono dal romanzo di It, e la signora Cole è un personaggio marginale tratto da Harry Potter e il Principe Mezzosangue. Gli altri personaggi sono tutti OC, e sono stati tutti curati da Rory Drakon. 
  
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