“Hai
sentito?”
“Cosa?”
“Pare
che Alicia abbia avuto un contatto con un Darkrai.”
“Cosa?!
Davvero?!”
“Sì,
è successo qualche giorno fa. Ne parlano tutti, qui a
scuola!”
“Beh,
in effetti quella lì è sempre stata un
po’ strana…”
“L’unica
a cui poteva capitare era lei. Sempre a parlare con
i Pokemon…”
“Sì,
è vero, sta sempre a parlare coi boschi con quelle sue
foglie… sembra quasi figlia loro, non fa che
difenderli…”
“Infatti,
sta sempre dalla loro parte! Ti ho raccontato di
cosa mi è successo due settimane fa?”
“No,
cosa?”
“Stavamo
giocando a palla in quattro nel cortile, e a un
certo punto è sbucato dal nulla uno Shinx che si
è messo in mezzo al campo a
cercare chissà cosa miagolando. Siccome
l’intervallo finisce sempre presto gli
ho dato un calcio per mandarlo via, ma invece di scappare mi ha
soffiato
contro. Allora ci siamo messi tutti a tentare di cacciarlo. E allora
quell’animale impertinente mi è saltato addosso,
mi ha graffiato e mi ha morso!”
“Ahia…
il mio gatto quando fa così è
tremendo…”
“Fortuna
che non si è infettato niente, con tutte le schifezze
che toccano le sue zampe. Quando poi sono uscito
dall’infermeria della scuola
ho incrociato per caso quella lì che tornava dai suoi
giardini. Lei ha visto la
fasciatura e mi ha chiesto che era successo; tu sai che non mi piace
rispondere
male alle ragazze, anche se quella è un caso
strano… così le ho detto che era
stato quello Shinx a ridurmi in quello stato. E lei sai che mi ha
risposto?”
“Cosa?”
“
‘E tu cosa gli avevi fatto?’ ”
“Wow…
solo lei poteva dare una risposta così…”
“Ma
infatti! Sta sempre dalla parte dei Pokemon, e scommetto
che continuerebbe a farlo anche se le ammazzassero la madre! Comincio a
pensare
che sia più vicina a loro che a noi…”
“Anche
tu? Io lo penso da quando la conosco… Al non è
proprio
umana. Ogni volta che la vedo mi sembra più simile a un
Pokemon che a un essere
umano.”
“Dopo
questa storia ormai non capisco più nemmeno io che
cosa sia quella là… non è una di noi,
e non viene neanche dalla natura. Se ha
avuto davvero un contatto con quel Darkrai…”
“È
stata maledetta.”
Dio mio, basta!
No, non era
per via delle dicerie sul suo conto che andavano
via via spargendosi sempre più velocemente per tutta la
città. Alicia non ci
faceva il minimo caso, era come se i pettegolezzi fossero stati
divulgati in
una lingua a lei del tutto incomprensibile. O forse non li udiva
proprio. Era
diventata come sorda.
Quando un
essere umano ancora impreparato ad affrontarlo è
sottoposto a un dolore ancora troppo grande per lui, sul momento
diventa
incapace persino di piangere. Così era stato per Alicia: la
notizia tanto
improvvisa che chi l’aveva messa al mondo aveva appena
cessato di vivere,
proprio quando tutti i suoi cari avevano ricominciato a sperare, aveva
abbattuto le sue emozioni in maniera così inaspettata che
non era riuscita
neanche a versare una lacrima. Dopo che il visitatore che aveva causato
quella
situazione aveva levato finalmente il disturbo, la piccola suonatrice
era
diventata sull’attimo completamente apatica: ed era rimasta a
fissare il nulla di
fronte alla porta come una bambola per più di
mezz’ora, finché un abbattuto e
compassionevole Godey non aveva deciso di prenderla per un polso per
trascinarla via da lì. A quel punto Alicia si era
apparentemente ricordata
dell’esistenza del suo tutore, e in lei per un attimo la vita
era sembrata
tornare parzialmente: poi però aveva fissato
l’architetto con due occhi così disumanamente
persi da farlo rabbrividire. E se ne era andata da sola nella sua
stanza senza
dire niente. Nessuno, neanche Godey, seppe mai cosa avesse fatto
davvero in
quella stanza durante quella sera e quella notte: per un momento
all’architetto
sembrò di sentire un paio di suoni senza armonia provenire
da quella camera,
che però furono di così breve durata che
pensò di esserseli immaginati.
La storia di
Darkrai non fu più menzionata. Il giorno
seguente fu poi pubblicato l’atteso articolo di giornale che
annunciava il
sofferto abbattimento dell’odiato Pokemon leggendario da
parte della pattuglia
che era riuscita a sparargli: a quanto pareva la città era
stata convinta che
la temuta bestia portatrice di incubi che la terrorizzava fosse
diventata
finalmente un semplice e spiacevole ricordo. Ciò
salvò sia Alicia che l’essere
che aveva avuto contatto con lei.
Il
coinvolgimento di quella ragazzina nella faccenda era
stato divulgato facilmente nella zona in cui vivevano lei e il suo
tutore
tramite pettegolezzi scaturiti, forse involontariamente, forse no,
dalla bocca
di Joy. Tuttavia, a quanto pareva, l’opinione pubblica aveva
evitato, per qualche
contorto miracolo, di prenderlo in seria considerazione: probabilmente
nessuno
sospettava che una bambina così piccola, da sola, fosse
stata in grado di
salvare la vita di un Pokemon leggendario in punto di morte, per di
più
rimanendo miracolosamente illesa dopo un contatto con una bestia come
quella.
Così avevano preferito credere direttamente alle
testimonianze dei cacciatori.
E se nessuno evidentemente si era fatto molte domande sulle tracce
della
disperata operazione che il Chansey della clinica e quella ragazzina
incomprensibile avevano lasciato nel Centro, forse dai colleghi di Joy
era
stato dato per scontato che quelli non fossero altro che i resti di
un’altra
operazione ufficiale avvenuta da poco. E avevano ripulito prima che
qualcuno
cominciasse a insospettirsi. Per fortuna quell’esperto e
prudente Chansey, che
Alicia aveva assistito solo in minima parte, aveva usato solo lo
stretto
indispensabile per estrarre quel proiettile: avrebbe passato un brutto
momento
anche quella rara creatura dalle conoscenze umane se i suoi padroni
avessero
scoperto che aveva disobbedito agli ordini e compiuto una pazzia come
quella.
In ogni caso,
grazie al cielo, tralasciando i pettegolezzi
sparsi della bassa borghesia, la situazione sociale si era mantenuta
miracolosamente
tranquilla. Ciò permise a Godey di tirare un sospiro di
sollievo: la peggiore
cosa che poteva capitare a quella bambina in un momento come quello era
l’assedio dei media.
In quei
giorni, l’architetto fece forza su se stesso e
lasciò in pace la sua protetta: Alicia doveva trovare da
sola la maniera di
andare avanti. Era una bambina forte abbastanza per superare quel
trauma, Godey
non aveva motivo di avere dubbi al riguardo. In ogni caso lui sapeva di
non
poter fare nulla di sua iniziativa che potesse aiutarla:
l’avrebbe solo
caricata ulteriormente di preoccupazioni immeritate. Nel tempo
trascorso
insieme aveva imparato che Alicia aveva il vizio di preoccuparsi per
gli altri
anche quando era lei ad essere messa peggio di loro; se lui avesse
adottato atteggiamenti
che avrebbero potuto farle pensare che le sue condizioni attuali
rendevano
triste e preoccupato anche lui, ostacolando quindi anche il suo lavoro,
Godey avrebbe
solo peggiorato il suo stato emotivo. Lo scatto per reagire Alicia lo
doveva
ritrovare da sola in se stessa, ed era sicuro che lo sapesse anche lei.
Lui
doveva solo avere pazienza: ci sarebbe stato se lei avesse chiesto il
suo
sostegno, ma per il resto doveva solo attendere. E aveva fiducia che
Alicia non
avrebbe reso poi così lunga quell’attesa.
Forse
però ne avrebbe avuta un po’ meno se avesse
controllato attentamente le sue condizioni. Dopo quel fatto, Alicia era
come
appassita: viveva, si muoveva, agiva, ma sembrava che il suo spirito si
fosse
rinsecchito. Il giorno dopo aveva già ripreso a muoversi e a
svolgere i suoi
compiti di tutti i giorni come aveva sempre fatto, il che sulle prime
avrebbe
fatto pensare che non mancasse molto al suo recupero: ma era diventata
ancora
più pallida del normale e appariva persino più
scheletrica, ed era diventata praticamente
incapace di comunicare. L’unica cosa che si poteva arrivare a
ottenere da lei
in quelle ore erano sguardi persi o pieni di senso di colpa. Per questo
anche
lei faceva del suo meglio per evitare contatti umani: era consapevole
che
probabilmente, se l’avesse vista in quelle condizioni, a un
individuo sensibile
sarebbero sbiancati i capelli. Per sua fortuna era nel bel mezzo di una
settimana di ferie quando accadde quel fatto, e ciò le
permise di non perdere
lezioni.
Soltanto lei
conosceva ciò che in quei giorni stava
accadendo nella sua mente crepata: fra tutti i sentimenti che aveva
iniziato a
provare dopo quel terremoto emotivo prevaleva un senso di sconfitta
totale.
Tu non hai vinto
niente. Hai perso. Tutto, hai perso.
L’unica
sfida che aveva sperato davvero di vincere l’aveva
persa su tutte le linee al momento di ottenere il punto finale. Era
uscita dal
Centro con una consapevolezza fittizia e fasulla, di cui solo i
perdenti
potevano godere. Aveva salvato un Pokemon leggendario maledetto, e
aveva pagato
quel gesto con tutti i centesimi. Aveva provato pietà per
lui perché l’aveva
trovato simile a lei, e si era illusa ingenuamente che lo fosse
davvero: un
errore imperdonabile che solo una bambina così ingenua e
sciocca poteva fare. Da
questa sua presa di coscienza era nato un pensiero odioso e virulento
che aveva
cominciato a infettarle la mente, e che lei, nonostante sapesse bene
quanto
fosse marcio, non era stata capace di respingere.
È
stata colpa sua.
No, non era
vero. Come poteva essere stata colpa sua? Lui
non aveva avuto alcuna parte in quello che le era capitato: lo aveva
trovato in
una condizione pietosa, inerme e più morto che vivo. Era
questione di logica,
anche volendo quella creatura non avrebbe mai potuto farle una cosa
simile in
quelle condizioni e in così poco tempo. E soprattutto, lei
non gli aveva dato
alcun motivo per farsi odiare da lui, quella creatura non aveva motivo
di farle
un torto così grande: al contrario, lei gli aveva fatto un
favore. E nessun
essere vivente pugnala alle spalle il proprio salvatore quando non ha
motivo di
odiarlo.
Eppure…
È
stato lui. È colpa
sua!
Gli hai salvato la
vita. E nello stesso giorno tua madre è morta.
Ti ha maledetta, e tu
lo sai!
Godey aveva ragione,
tutti avevano ragione. Non avresti dovuto salvarlo!
Lui ti ha fatto
questo, perché è con te che è venuto a
contatto!
È tutta colpa sua. Hai
salvato il demone d’Incubo, lui ti ha maledetta.
È stato quel Darkrai a
farti pagare per quello che hai fatto, sciocca!
E a ognuno di
quei pensieri ignobili era scossa dai brividi.
La matita che usava per scrivere e studiare per poco non le cadeva di
mano, ed
era costretta subito a interrompere il suo ripasso giornaliero
così sofferto.
Non è
vero.
Lui non è questo, non
è colpa sua.
Come avrebbe potuto?
In quelle condizioni!
Lui non ha fatto
niente, non ha colpa in tutto questo!
Falsità odiose…
andatevene, subito!
E sotto quello
scontro feroce tra le sue convinzioni e il
parere pubblico la sua testa andava inevitabilmente in crisi. Una
piccola parte
di lei rimasta lucida le ripeteva saggiamente che non importava
più, che quello
che era stato era stato e non serviva rimuginarci sopra, che doveva
pensare ad
andare avanti e non perdere tempo a tormentarsi in quella maniera. Come
tutti
sanno, però, dire e fare sono due cose molto distanti fra
loro, e nelle
condizioni emotive di Alicia lo erano ancora di più.
Mia madre non
avrebbe
mai voluto che pensassi questo di qualcuno.
Sei un essere
spregevole, basta con queste idee ripugnanti!
Lei stessa
faceva fatica a capire in che modo poi lei
ritornasse capace di studiare. Poi capì che lo faceva
perché quella era l’unica
cosa che le permetteva di concentrarsi su altro. Per disperazione.
Le venne paura
di dormire: una serie di orrendi incubi
notturni la aspettava, essi attendevano solo che il suo fisico venisse
meno. La
notte precedente era stata uno strazio, ne conservava ancora tutti i
ricordi, e
per questo non osava cedere al sonno. La notte successiva
riuscì a superarla in
bianco, ma la ragazzina era troppo fragile per sopportarne due di
seguito, e
quella dopo la prese e la trascinò di nuovo nei suoi sogni
distorti e pieni di
crepe, a metà fra sonno e veglia.
Che ho fatto per
meritarmi questo?
… e che ti importa?
Lei te lo ha detto
quando era viva: ciò che non ci uccide ci rende
più forti.
Tu sei forse morta?
E allora reagisci.
Doveva reagire
da sola, ne era perfettamente consapevole:
solo in lei era nascosta la chiave per riaggiustarsi da sola e andare
avanti.
Doveva solo cercare più a fondo, quella chiave era
sicuramente nascosta in ciò
che le era rimasto.
…
ma quanto tempo mi
resta ancora per trovarla?
Adesso
ricordo!
Ecco
dove l’aveva vista la prima volta: era stato
l’inverno precedente, nella
foresta collegata direttamente ai giardini di Alamos in cui un tempo
lui
cacciava abitualmente, poiché vi si concentravano la maggior
parte delle tane
delle sue prede. Certo, tutto questo prima che gli uomini gli
tendessero quella
trappola in cui l’avevano tirato dentro per fame e quasi
ammazzato.
Era
lei!
Aveva
trovato quella bambina mezza congelata sulla neve ai piedi di un
costone
dell’altezza di almeno dieci metri: fortuna che, prima di
piombare giù su una
neve fresca salvavita, l’urto mortale che quella bimba
avrebbe potuto fare era
stato neutralizzato da un paio di rami innevati che il suo fragile
corpicino aveva
incontrato durante la caduta. Meglio ferita che morta, dopotutto.
Imbarazzante
dirlo, ma anche allora sulle prime non si era neanche accorto che fosse
umana.
In effetti, il motivo per cui era andato a prenderla era di per
sé piuttosto
complicato e difficile da spiegare.
Ancora
non riesco a credere che sia una di loro.
Era
accaduto durante una delle sue cacce notturne per procurarsi
abitualmente
qualcosa da mangiare: allora riusciva ancora a permettersi di nutrirsi
con la
selvaggina fresca dei boschi non lontani dai giardini di Alamos, niente
a che
vedere con l’insipido pollame allevato dalla razza umana.
Quella notte aveva
quasi preso un tasso, di quelli molto grassi e appaganti, mancava poco
per
tirarlo fuori dal suo buco. Prima di riuscire ad avventarsi
sull’animale, però,
aveva avvertito una sensazione sgradevole, che era riuscita persino a
fargli
passare la fame in secondo piano. Si trattava di un presentimento
istintivo di
cui era stato dotato per eseguire al meglio il suo scopo di vita: solo
se ciò
avveniva a distanza sufficientemente breve, era in grado di percepire
se un membro
della sua razza, o qualsiasi altro elemento della natura che non doveva
essere
toccato, stava soffrendo a causa di un comportamento dannoso da parte
degli
uomini, in modo da permettergli di rintracciare subito i colpevoli e
punirli
con l’incantesimo del sonno. Quel tipo di sensazione, con sua
spiacevole
rassegnazione, purtroppo aveva la priorità sul riempirsi lo
stomaco: e aveva malvolentieri
risparmiato la succulenta preda per andare a controllare di cosa quella
volta
si fosse trattato, augurandosi con una certa irritazione che fosse
qualcosa di
veramente grave per il quale valesse la pena saltare la cena. Conoscendo
molto
bene se stesso e l’impressione non esattamente piacevole che
il solo vederlo
faceva alle creature senzienti, aveva rintracciato e si era avvicinato
alla
vittima con la stessa andatura furtiva che usava per cacciare,
socchiudendo gli
occhi al limite del possibile per evitare che la loro luce penetrante,
che gli
permetteva tra le altre cose di vedere al buio, la spaventasse. Quando
però si
era trovato di fronte alla malcapitata creatura per frugare nella sua
mente e
capire chi era responsabile del suo stato, la sorpresa era stata
così grande
che non aveva potuto fare a meno di spalancarli: non si trattava di un
Pokemon,
ma di una bambina umana. Come ci fosse finita là sotto era
intuibile, ma il
motivo di ciò non altrettanto: perché gli uomini
avrebbero dovuto gettare una
di loro giù da un dirupo? Poi se ne era ricordato
rapidamente: tutti gli uomini
erano fatti così, lui lo sapeva meglio di chiunque altro.
Evidentemente ai loro
occhi quella cucciola d’uomo aveva costituito un peso che
loro non avevano voglia
di mantenere. Malformazione? Malattia mentale? L’aveva
osservata con
attenzione, ma non aveva trovato niente di tutto questo: anche allora
appariva
estremamente piccola e delicata, questo sì, ma a parte la
ferita sul lato
destro del corpo e qualche linea di febbre non gli era sembrata affatto
malaticcia. E la sua mente era sana e ben sviluppata, non aveva alcun
tipo di problema
cerebrale. Ciò sull’attimo l’aveva
lasciato piuttosto perplesso e indeciso su
come comportarsi: chi doveva essere punito in un caso del genere?
Inoltre
l’errore di spalancare gli occhi di fronte a lei lo aveva
fatto identificare, e
c’era un’alta probabilità che se fosse
sopravvissuta quella piccola umana
avrebbe sparso la voce della sua presenza in quella zona, rendendogli
la
sopravvivenza impossibile. Era stato persino sfiorato dalla tentazione
di
terminarla.
E
poi, ricordò l’Oscuro con interesse, aveva
incrociato i suoi occhi: lì dentro
aveva visto scorrere una vita incompresa e quasi malinconica, ma
sorprendentemente sana e spumeggiante. Sotto la coltre di spavento che
copriva
quelle iridi aveva intravisto una sofferta solitudine, che
però era
assurdamente affiancata da un ardente desiderio di continuare a vivere.
Lui
aveva riconosciuto immediatamente quel tipo di vita, e per un momento
ai suoi
occhi quella bambina così diversa da lui era diventata uno
specchio che
rifletteva la sua immagine in miniatura.
Allora
aveva fatto il colpo di testa più grosso della sua vita: si
era piantato
l’unghia acuminata nel palmo e aveva usato il fluido di
porpora che ne era
fuoriuscito sul quel corpo umano. E la piccola umana aveva ripreso
colore in
nemmeno un minuto di tempo.
Quella
era praticamente l’unica regola che l’intera stirpe
dei leggendari aveva il
dovere di rispettare: mai, mai permettere che il loro sangue sacro
toccasse gli
uomini. Ciò che scorreva nelle arterie dei leggendari
conteneva il segreto
delle loro famose capacità di guarigione superiori che li
distinguevano dai
Pokemon comuni. A loro permetteva di guarire più velocemente
dalle ferite, ma
sulla specie umana aveva effetti ancora più stupefacenti. Inutile dire
che se gli uomini
avessero scoperto una simile proprietà non avrebbero esitato
a muovergli contro
un’altra guerra, forse anche peggiore della prima. E far bere
a un essere umano
il proprio sangue equivaleva a far entrare nel suo corpo una parte di
sé.
Aveva
compreso la reale gravità di quella sua pazzia nello stesso
momento in cui se
ne era accorta anche l’umana. Allora era stato sommerso dalla
paura e dalla
vergogna.
Ed
era scappato. Le aveva mostrato rapidamente la via del ritorno, e poi
era
scappato.
Devi
essere completamente impazzito.
La
benda che si era dovuto tenere addosso per due giorni non aveva fatto
altro che
dargli un fastidio madornale: non era abituato a stare tanto a lungo a
contatto
con cose artificiali, inoltre quella roba aliena gli limitava i
movimenti. E
anche se la ferita che aveva ospitato la pallottola non aveva ancora
finito di
cicatrizzarsi, non aveva potuto fare a meno di strapparsi tutto di
dosso prima
del tempo, esponendo all’esterno quell’odioso buco
residuo ancora incrostato di
sangue secco.
Mi
spiace, ma no, non sono affatto impazzito.
Fissando
quella antipatica cicatrice malformata, capì che, se quel
giorno non avesse
infranto quella regola, non molto tempo dopo di lei sarebbe passato
all’altro
mondo anche lui. Forse era per questo che non aveva ricevuto ancora
alcun
castigo dai leggendari Maggiori per quella sua pazzia. Tuttavia quei
pensieri
catturarono la sua attenzione solo per un attimo: per tutto quel tempo
la mente
dell’Oscuro era stata presa da una serie di dubbi e domande
continue che
riguardavano una sola persona.
…
che starà facendo lei adesso?
Insieme
a quello provocato da quella stoffa aliena, in quei due giorni
l’Oscuro era
stato perseguitato da un fastidio ossessivo provocato da ricordi e
domande che
non avevano che un soggetto: la ragazzina dai capelli biondi e gli
occhi chiari
che dominava sulla foresta.
A
cosa stai pensando, principessa?
Prima
di allora non aveva mai sperimentato la curiosità, per cui
non sapeva definire
da che cosa fossero provocate tutte quelle domande che non lo
lasciavano in
pace nemmeno per un minuto, né nel sonno né da
sveglio.
Discende
da uomini o dalla nostra razza?
Vive
con loro o è figlia dei boschi?
E
se fosse anche lei un essere a metà?
Se
è così, a che scopo vive?
E
perché ha fatto questo a me, che sono il brutto e odiato
castigatore dei suoi
padri?
In
che modo riesce a farsi obbedire dalla nostra natura?
A
che pensa? Che sta facendo? Dove si trova adesso?
Dio,
che fastidio, non era mai stato tanto inquieto. Aveva tentato di dare
la colpa
alla tensione che provava all’idea che una creaturina innocua
come quella gli avesse
messo a nudo l’anima come se niente fosse, in un momento di
fragilità che aveva
fatto riemergere i resti della sua umanità perduta. Per di
più tutto questo era
successo a causa del suo imbarazzante errore di calcolo che lo aveva
fatto
mettere sotto tiro, e ciò gli risultava insopportabile.
Perché ora si sentiva
scoperto e vulnerabile: un’umana adesso conosceva i suoi
segreti, e il suo
popolo poteva usarli come arma contro di lui. Perché gli
uomini erano così: se
si apriva il cuore a uno di loro, questi ci entravano con un coltello.
Perché
ciò avrebbe potuto tornare loro utile.
E
allora perché non ti ha finito? O non ti ha lasciato
lì fino alla fine della
tua agonia?
Non
può mica aver deciso di salvarti la pelle per poi
strappartela subito dopo!
Però
gli uomini erano creature di spirito fragile e di scarso autocontrollo,
e
cambiavano idea in maniera orribilmente facile. Ecco perché
non meritavano la
fiducia della sua razza. Ed ecco perché era stato creato,
brutto esteriormente
e dentro marcio di incubi.
Ma
la vuoi smettere di tralasciare che lei è umana solo in
parte?
Ecco
ciò che lo tormentava davvero: non era capace di spiegarsi
l’esistenza di
quella bambina. Per quante ragioni cercasse di trovare, non capiva
proprio come
potesse essere avvenuto quell’incontro, né come
avesse trovato quella creatura
così piccola e innocente assurdamente simile a lui. E
ciò lo frustrava ai limiti
del possibile.
E
quello era un ennesimo segno che la sua parte umana riusciva ancora ad
avere il
sopravvento su di lui: è tipico degli uomini tormentarsi per
ciò che non
riescono a comprendere e dedicare tutto il tempo della loro vita alla
ricerca
di spiegazioni a tutto.
Confessalo
e basta. La vuoi rivedere, glielo hai detto tu stesso.
Pensava
a questo mentre se ne stava nascosto nei meandri di quei giardini
ameni,
aspettando che la ferita guarisse e gli permettesse di tornare a
sorvegliare il
popolo umano in maniera adeguata. E purtroppo dovette ammettere che
sì, non
c’era nient’altro in grado di calmare la sua
inquietudine. C’era solo un
piccolo problema: mettersi a cercarla sarebbe stata una follia grossa
quanto
quella che aveva fatto quando aveva avuto la pazza idea di donarle il
proprio
sangue.
Se
tutto era andato liscio, l’intera città lo credeva
morto. Sarebbe stato già
difficile continuare a mandare i suoi sogni oscuri alle menti umane
senza
smentire le convinzioni della gente, ma cominciare una ricerca come
quella
sarebbe stato quasi impossibile. E aveva imparato anche troppo
dall’errore che
gli era quasi costato la vita, non sarebbe mai più stato
tanto imprudente.
Ma
voglio capire. Io voglio, voglio sapere.
Chi
sei? Cosa mi hai fatto?
Come
volevasi dimostrare, la sua parte umana ebbe di nuovo il sopravvento,
facendogli preferire i desideri alla saggezza. E decise contro ogni
logica che
l’avrebbe cercata.
Quella
notte stessa sgattaiolò fuori dal suo nascondiglio
improvvisato e si diresse
fuori dai giardini, verso la patria delle persone. Non aveva indizi su
come
trovarla, ma la telepatia che gli era stata concessa era una garanzia
più che
sufficiente. Una volta entro i confini di quel centro abitato
così odiato,
ammantatosi d'ombra, incominciò
a seguire e a frugare nelle menti di ogni essere umano che incrociava,
sperando
di trovare un ricordo che avesse a che fare con la sua principessa.
All’inizio
non ebbe molta fortuna, e a questo era preparato. Tuttavia gli indizi
che
cercava valsero la sua pazienza e gli arrivarono in tempo per
impedirgli di
addentrarsi rischiosamente nel cuore della città: nella
testa di una giovane
donna, che tornava allora a casa da un incontro con le sue simili,
trovò un
ricordo interessante. L’umana aveva visto, due giorni prima,
una bambina dai
riccioli biondi di piccola statura correre lungo la via come se la
stesse
inseguendo un pazzo assassino, tanto da farla preoccupare e pensare di
chiamare
qualcuno. Poi però quella bimba minuta era scappata via ed
era scomparsa così
velocemente che il suo proposito era sfumato del tutto.
L’Oscuro penetrò in
quella mente più in profondità fino a capire in
che direzione l’aveva vista
fuggire: non era andata, con sua somma
soddisfazione, nel pericoloso
centro della città, ma verso una zona al confine proprio con
i suoi giardini.
Inconsapevolmente, quella ragazzina lo aveva salvato di nuovo,
impedendogli di
addentrarsi troppo nella tana del lupo.
In
effetti, man mano che lui si avvicinava alla zona del borgo in cui
aveva motivo
di credere vivesse la sua piccola driade, le fonti delle sue
informazioni
aumentavano: molti l’avevano vista fare regolarmente avanti e
indietro fra i
giardini e la sua casa, e da loro riuscì ad avere il luogo
esatto in cui si
trovava. Ci si diresse a tutta velocità.
Tuttavia
non poté fare a meno di notare che, più si
avvicinava alla dimora della
principessa, più i ricordi della gente a suo riguardo
diventavano sgradevoli:
ciò lo lasciò del tutto confuso. Una donna
pensava a lei con un misto di pietà
e timore, in un’altra casa un ragazzino la ricordava con
fastidio, e in
un’altra ancora addirittura una bambina riservava alla sua
immagine
esclusivamente appellativi offensivi. La sua confusione dopo qualche
minuto si
era trasformata in sgomento.
Tutto
questo non ha senso. Come può quella principessa essersi
guadagnata tutto
questo disprezzo?
Alla
fine, riuscì a trovarla: la sua dimora rispetto alle altre
era davvero molto
vicina ai giardini in cui era stato soccorso da lei, anche se
probabilmente per
un essere umano ci sarebbe voluta una buona mezz’ora per
raggiungerli da lì
usando le proprie gambe. Il posto in cui viveva era sorprendentemente
semplice:
era una casa piccola di appena due piani, di aspetto ordinario e poco
appariscente, costruita di certo per poche persone. L’Oscuro
si sarebbe
aspettato di tutto tranne che una ragazzina di nobile stirpe come lei
doveva
essere vivesse in un edificio così modesto.
Di
certo ora starà dormendo.
Se
solo ci fosse un modo per conoscere i suoi sogni senza
rovinarli…
La
curiosità lo aveva vinto da tempo, non aveva senso tirarsi
indietro proprio
allora. Così raggiunse quelle mura povere e modeste e
cominciò a girarci furtivamente
intorno, alla ricerca di una qualche apertura che potesse permettergli
di
vedere dentro quell’edificio senza pretese. Ma ogni porta gli
si presentò
davanti più che serrata, e tutti i vetri rettangolari
presenti su quelle mura,
quelli che gli uomini usavano per far entrare la luce
all’interno delle loro
case, erano oscurati e chiusi dall’interno.
L’Oscuro non fece alcuno sforzo per
trattenere l’esasperazione.
E
andiamo, non puoi chiudermi fuori dopo che ho fatto tutta questa strada!
Tuttavia,
quando passò a controllare il piano superiore,
riuscì a individuare un unico vetro,
chiuso, ma ancora trasparente, attraverso il quale avrebbe potuto
concedersi di
spiare almeno un frammento di vita della sua giovane salvatrice. Sulle
prime la
cosa gli trasmise una certa eccitazione: ma non appena si fu avvicinato
di più,
essa si spense sul colpo.
Da
quel vetro sentiva provenire delle onde emotive sgradevoli e fredde,
che
pungevano la sua mente e gli infiacchivano persino i muscoli delle ali.
Dalla
stanza su cui dava quel rettangolo trasparente sentiva trasudare
un’aura di
malinconia e solitudine che gli faceva provare la stessa sensazione che
avrebbe
provato sotto una battente pioggia invernale: era come se stesse
percependo
l’odore di un fiore che un tempo doveva essere stato molto
bello e profumato,
ma che ora era sul punto di marcire. Da lì proveniva una
tale emozione di
smarrimento totale da far sentire perso anche lui.
Non
può essere oltre quello strato. Non può essere
suo questo odore malato.
Questa
non può essere lei!
Ma
qualcosa gli diceva che invece dietro quel vetro c’era
proprio l’umana che
stava cercando. Ne rimase sconvolto: quella non poteva essere la
principessa
che conosceva. Lei aveva un profumo dolce e sapeva di bosco, poteva
sentire
ancora il suo spirito vitale percorrergli le vene. Non poteva essere
sua quell’aura
carica di tristezza e malattia.
Dimmi
che non sei tu, questa.
Solo
a fatica riuscì a vincere la tensione che l’aveva
preso a quella spiacevole
percezione: appiccicò le iridi blu al vetro e
guardò dentro.
Era
una stanza semplice quanto l’impressione che
l’edificio dava all’esterno,
ordinata e pulita. Solo poco oltre il vetro individuò una
serie di foglie
ammucchiate alla rinfusa una sull’altra, di cui non capiva
minimamente
l’utilità. Per sua sfortuna, individuò
l’oggetto della sua ricerca anche troppo
presto.
La
piccola umana che lo ossessionava da due giorni era rannicchiata nel
buio in
quello che doveva essere il posto in cui dormiva:
dall’esterno ne intravedeva
la forma esile del corpo. La vide chiusa su se stessa come un
porcospino
gracile e infreddolito, e tremava. Non era possibile definire se stesse
rabbrividendo per il freddo o per la profonda piaga psicologica che
l’Oscuro
percepì come se fosse sua.
Sì,
confermò lui con orrore e profondo sconvolgimento,
quell’aura di incurabile
smarrimento era proprio della principessa. Era abbandonata sul suo
letto a soffrire
come un cane, e la sua mente straziata da un sonno cattivo e spietato
gli aveva
dato la sensazione di avere la testa piena di spine. Il suo silenzio
gli
irrigidiva le ossa: quella esile creatura non emetteva né
singhiozzi né
lamenti. Stava lì, tutta raccolta su se stessa, e soffriva
intensamente in un
silenzio assoluto. E ciò era la caratteristica peggiore.
Non
è possibile. Colei che mi ha ridato la vita appassisce.
Cominciò
a sentirsi anche lui mezzo rinsecchito: la tempesta di emozioni
negative che
proveniva da quella fragile figura lo investiva con la stessa potenza
con cui
lo aveva abbattuto la dolcezza che lei gli aveva mostrato quando lo
aveva trovato
ai giardini mezzo morto. Non doveva andare così, lei non
doveva avere il sonno
tanto inquieto.
Chi
ti sta facendo questo, principessa?
Dimmelo.
Gli darò io quello che si merita, pagherà per
questo oltraggio.
Ma
non c’era nessuno da accusare per il grande dolore con cui la
ragazzina lo
stava avvolgendo: non trovò nomi colpevoli nei suoi
pensieri, così confusi,
trafitti e smarriti da non riuscire a capirne il significato. E
soprattutto,
comprese lui con una frustrazione dolorosa, in ogni caso i suoi poteri non
l’avrebbero aiutata. Se anche ci fosse stato un responsabile per quelle sue condizioni,
punirlo non sarebbe stato di alcun aiuto per guarirla. Non si era mai sentito più
impotente di allora.
E
se lei invece stesse così male proprio per colpa tua? Ci hai
pensato?
Era
una possibilità che faceva fatica a prendere in
considerazione, ma la verità
era che ciò era effettivamente probabile. Lui stesso in
passato aveva riscontrato
difficoltà di controllo sugli incantesimi del sonno, e per
legge della natura chiunque
gli dormisse così vicino soffriva di incubi. Era un motivo
addizionale per cui
nemmeno la sua razza aveva motivo di sopportarlo.
E
certo, idiota, se le stai così vicino è ovvio che
stia avendo gli incubi! Ma ti
rendi conto almeno di che creatura sei?!
Per
un momento se ne convinse, e pensò di tornare sui suoi
passi, sperando che i
suoi sospetti si realizzassero e che la sua lontananza bastasse a far
smettere
a quei sogni cattivi di importunare quella creatura indifesa. Purtroppo
però la
ragazzina smentì subito anche quei dubbi.
Un
attimo prima di allontanarsi dal vetro, due unici pensieri, chiari e
distinti,
partirono dalla principessa e squarciarono la mente
dell’Oscuro in maniera così
improvvisa da farlo trasalire: erano due accuse, violente e opposte,
che si
contrastavano fra loro dentro la giovane umana. E la
cosa più
sorprendente era che il soggetto di quei pensieri accusatori non era
altri che
lui stesso: una delle due convinzioni che si scontravano nel cuore di
quella
triste bambina attribuiva a lui una colpa che non riusciva a definire,
ma che
sembrava essere piuttosto grave; eppure un altro pensiero, altrettanto
tenace,
si opponeva con ferocia a quella accusa e si ostinava a difenderlo. Il
risultato
di quello scontro acceso fra idee era il caos psicologico che regnava
nella
mente della principessa e che le rendeva il sonno insopportabile.
…
ma di che cosa mi accusi, bambina?
Di
certo lo avrebbe capito se fosse penetrato più a fondo nei
pensieri frammentati
della ragazzina. Eppure, per la prima volta, l’idea di
abusare della telepatia
per soddisfare la propria curiosità gli risultò a
dir poco sgradevole.
Tanto
per cominciare, per una lettura più accurata e profonda di
quella mente umana sarebbe
dovuto avvicinarsi di più, e quindi entrare pericolosamente
dentro l’edificio,
per di più infilandosi sotto quel vetro in maniera che non
avrebbe potuto
essere più scomoda. Il secondo problema era che si trattava
di una mente molto
provata e nel caos emotivo più totale, che era necessario
trattare con estrema
attenzione per non peggiorarne la delicatissima situazione. La terza
complicazione era costituita dal fatto che, nel caso di
quell’unica umana, si
sentì davvero un ospite indesiderato che stava ficcando il
naso in fatti intimi
che aveva il dovere di lasciar stare. Il quarto motivo era forse il
più
importante: se avesse deciso di penetrare tanto a fondo in quella mente
umana,
quel gesto sarebbe equivalso a far entrare in lei un frammento di
sé, che avrebbe
potuto marchiarla permanentemente. E se avesse deciso di affondare
completamente nei suoi pensieri fragili e privati si sarebbe esposto al
rischio
che la piccola umana si accorgesse che qualcosa stava effettivamente
frugando
nella sua testa. E quello sarebbe stato il primo passo per farle
raggiungere la
pazzia. Dannata mente umana, non esisteva al mondo niente di
più complicato.
Come
se la tua fosse tanto diversa.
Aver
paura di questi rischi significherebbe che non sei
all’altezza di quello che
sei. Che hai fatto finora? Non è forse tuo scopo di vita
entrare nelle menti
umane?
E
poi dov’è il motivo di queste preoccupazioni
ridicole? Hai già fatto entrare in
lei un frammento di te: la tua linfa vitale di sicuro è
ancora presente nel suo
corpo.
È
dopo esserti inguaiato da solo che ti fai prendere da tutto questo
zelo?
Sei
davvero il miglior campione della contraddizione.
…
ma sì, in fondo avrebbe dato solo una sbirciata, non sarebbe
rimasto a lungo a
frugare in quella mente ferita. E uno come lui non avrebbe dovuto avere
tanta
paura dei rischi di ripercussioni psichiche sul cervello delle sue
vittime:
averla avrebbe significato dichiararsi incapace di controllare i suoi
stessi poteri.
Non entrava e corrodeva le menti della gente da tutta la sua lunga
vita, dopotutto?
… darò
solo un’occhiata. Una sola, velocissima.
Farò
in modo di non danneggiarla minimamente.
La
tentazione lo vinse.
Ispirò
a fondo, si appiccicò alla parete e trasformò la
propria carne e le proprie
ossa in un’ombra amorfa e impalpabile. E affrontò
lo sgradevole ingresso; trattenendo
il fiato si infilò a fatica nella fessura che separava vetro
e muro, attraverso
la quale solo un’ombra sarebbe potuta passare. E nemmeno in
quella forma
risultava particolarmente comodo superare quell’odioso
ostacolo: nonostante il
suo spessore fosse ridotto al minimo, rimaneva sempre una creatura
vivente
separata dalla materia. In quella maniera il suo corpo si appiattiva e
si
adattava semplicemente agli oggetti che lo circondavano. Ciò
significava provare
dolore se veniva ad esempio colpito o calpestato. Certo però
questi erano
difetti ben trascurabili in confronto ai vantaggi che questa
abilità conferiva.
Quando
finalmente riuscì a far passare oltre quello strettissimo
pertugio anche le ali,
l’Oscuro poté finalmente recuperare la propria
forma originale. Una volta
all’interno non aveva potuto fare a meno di guardarsi intorno
con curiosità
ancora maggiore: non aveva mai visto tutti gli oggetti presenti in
quella
piccola camera, per lui era un piccolo mondo tutto nuovo. Inutile dire
che non
gli era mai passato neanche per la testa di infiltrarsi in una casa
umana prima
di allora. Tuttavia si ricordò rapidamente del motivo che lo
aveva spinto a
compiere quella pericolosissima entrata: e i suoi occhi tornarono a
posarsi sulla
figura raccolta della principessa, che continuava a dormire proprio
accanto al
vetro.
Spero
per te che ne sia valsa la pena, specie di suicida mancato.
Represse
una tensione che rischiava di farlo scoprire, e in silenzio si
avvicinò piano
al giaciglio di quell’esile e misteriosa creatura. Non
poté fare a meno di
concedersi un minuto per osservarla con interesse.
… è
proprio lei.
Ora
che se la trovava proprio davanti non gli fu difficile confermare che
si
trattava di una ragazzina minuta e davvero magrissima, per non dire
quasi
scheletrica. La pelle aveva assunto un pallore che, non fosse stato per
i suoi
tremori, l’avrebbe fatta passare tranquillamente per un
cadavere. E i capelli
biondi alla luce lunare apparivano spenti e rinsecchiti, proprio come i
petali
di un bucaneve appassito. A quella visione a un uomo molto sensibile
probabilmente si sarebbe stretto il cuore; l’Oscuro per
fortuna aveva visto
cose ben peggiori. Tuttavia non nascose a se stesso che nel vedere
quella
piccola driade ammalata un brivido interiore l’aveva
attraversato, forse di
paura, forse no.
Come
è piccola…
Non
ho mai visto creatura vivente con aspetto più fragile di
questo.
Come
ha fatto a non spezzarsi per tutto questo tempo?
Forse
si stava spezzando proprio in quel momento. L’idea gli
suscitò una tale
indignazione da provocargli il desiderio a malapena contenuto di
mettersi a ringhiare
come una bestia.
Vuoi
scherzare?! È rimasta intatta fino ad ora e adesso comincia
a rompersi?!
Guarda
che non ho fatto tutta questa strada per vederla spegnersi!
Si
avvicinò solo un altro poco a quel ramoscello di forma
umana: subito la
tempesta di smarrimento e dolore che imperversava nella testa di quella
bambina
tornò a picchiargli contro come una bora. Peggio di quanto
avesse immaginato.
Non
le avrai fatto bere col tuo sangue anche la tua autostima, vero?
Fallo.
E muoviti, prima che qualcuno colga la possibilità di
smentire la tua morte.
Quando
finalmente riuscì a distogliere l’attenzione da
quella figurina rannicchiata, affrontò
con cautela quella bufera di pensieri frammentati e distorti che
vorticavano
pericolosamente intorno alla principessa. La cosa non
risultò impossibile, ma
di certo neanche facile: raramente gli era capitato in vita di dover
dare fondo
a tutta la sua esperienza e abilità per leggere una mente
umana, e questo era
uno di quei casi. Con un minimo sbaglio, un ipnotizzatore normale avrebbe potuto creare in quei
pensieri
fragili una frattura che, per quanto piccola, avrebbe potuto avere
conseguenze
psichiche permanenti sul soggetto: ma lui non era un ipnotizzatore normale.
L’ingresso
in quella mente provata lo fece sudare non poco, ma l’Oscuro
riuscì a superare
quell’ostacolo di incubi e ricordi caotici senza intaccarne
nemmeno uno: la
principessa non si accorse di lui. Il castigatore di uomini
però non si fermò
certo lì, e si immerse con prudenza ancora più a
fondo, dove credeva di trovare
le risposte allo strazio emotivo che imperversava in quella testa che
aveva
osato violare. E le trovò.
Subito
dopo schizzò fuori da quella mente in crisi appena in tempo
per evitare che la
sua presenza non invitata iniziasse a corroderla. Quando
rientrò in se stesso
gli girava persino un po’ la testa.
Sacrissima
Terra, quante me ne fai passare…
Mentre
recuperava il controllo di sé la osservò per
assicurarsi di non aver sfiorato la
sua già fragile lucidità mentale: la principessa
continuava a dormire, non era
cambiato niente in lei, né la sua posizione, né
il suo sonno inquieto. Era
rimasta intatta, la sua mente non lo aveva percepito frugare tra i suoi
ricordi
come un ladro. Tutto era andato liscio. Eppure l’Oscuro non
provava alcun
sollievo; al contrario, dopo aver carpito ciò che aveva
trovato nella testa della
ragazzina si era ritrovato quasi più smarrito di lei.
‘Mia
madre non esiste e non esisterà più’.
Che
significa? Chi te l’ha uccisa? Chi ha osato infliggerti una
simile piaga?
L’Oscuro
per tutta la vita non aveva fatto altro che seguire, punire e ammonire
colpevoli di qualcosa: non era in grado di capire che alcune disgrazie
accadevano anche senza che qualcuno le provocasse. D’altra
parte tutte le
sofferenze che aveva osservato e vissuto erano sempre state causate
dagli
uomini. C’erano sempre loro dietro a
tutto, vincevano sempre, e ormai invecchiavano così
lentamente che quasi tutta
la sua razza, lui compreso, aveva dimenticato che potessero morire
anche senza
ammazzarsi fra loro. Quindi l’Oscuro non comprendeva il
significato dei pensieri
di quella creaturina martoriata.
‘È
scomparsa per sempre. Subito dopo averlo toccato. Ma non è
colpa sua. Lui non
può averlo fatto in così breve… no,
sì… sì, oppure no… no,
cioè sì… cioè no! Mi
ha maledetta lui? O no? Perché mi hai fatto questo,
Darkrai?’
Non
è stata colpa mia!
Più
cercava di capire quegli acuminati pensieri rubati più essi
gli risultavano
incomprensibili, e al contempo lo facevano sentire tirato in causa.
Non
sono stato io a farti questo!
Io ti
giuro sulle mie ali che non ho mai pensato di infliggerti questo
dolore! Perché
avrei dovuto? Che colpa avevi, tu, per meritartelo?
Tu,
creatura innocente, che sei stata l’unica ad avermi mostrato
pietà?
Ti
aiuterei, se solo potessi!
Ma
il fatto era che lui non era stato creato per aiutare, ma per rovinare.
Conteneva il male facendo del male, la sua esistenza era una
contraddizione,
come quella degli uomini. E non c’era male da fermare col
male dei suoi incubi
in quel caso, non c’era alcun colpevole da punire. Avrebbe
maledetto i suoi
creatori, se ciò gli fosse stato permesso.
Le
è stato inferto un dolore immeritato.
Il
mondo le ha dato un castigo che non merita.
Non
dovrebbe sopportare questi incubi, perché non li merita.
Perché
è lei che soffre? Perché lei che non ha fatto
niente?
Non merita questa punizione, non è giusto!
E
a lui, punitore di uomini per eccellenza, la cosa risultava
così inconcepibile
da farlo impazzire: quella situazione non rientrava nelle leggi
naturali. Per
tutta la sua vita era stato convinto che a ogni azione dannosa dovesse
corrispondere
un castigo, castigo che nella maggior parte dei casi doveva infliggere
lui di persona. Mai in vita sua si era confrontato col caso di un danno
inflitto a una
creatura innocente del tutto arbitrariamente e per di più
assurdamente senza
colpevoli. Era innaturale, sbagliato, non era in grado di capirlo e
tantomeno
di spiegarlo, e ciò lo faceva diventare pazzo.
Fatemela
aiutare, solo lei, sono in debito con lei!
E
se non merito questo onore, fatelo voi per me: voi leggendari dai
poteri
superiori potete farlo!
…
no, non potevano. Non stava agli altri leggendari agire sugli uomini,
non era
area di loro competenza. Non sarebbero state di alcuna
utilità né le tempeste
del sommo Lugia, né il dominio dei cieli del grande
Rayquaza, né l’energia dei
lampi di Zapdos e Raikou. Era lui il guardiano degli uomini, nessun
altro
poteva intervenire su quel popolo complesso e imprevedibile. E
Cresselia…
Cresselia non era in grado di far smettere le sofferenze che gli uomini
provavano
spontaneamente. Non sarebbero bastate le sue piume lucenti, che dalla
natura
avevano ricevuto il potere di bloccare i suoi pericolosi poteri, a far
sparire
il dolore della principessa.
Certo,
sarebbe comodo lasciare alla figlia del quarto di luna tutto il peso di
questa
responsabilità.
Ma
se sei tu che vuoi agire, dal momento che nessuno te lo ha chiesto, da
solo
devi farlo.
Per
soddisfare il suo desiderio non poteva chiedere aiuto a nessuno;
d’altra parte,
non c’era nessuno a cui potesse rivolgersi un essere aborrito
come lui. E anche se gli altri leggendari non
sarebbero mai
intervenuti per un esserino tanto insignificante, nessuno di loro aveva
il
diritto di condannarlo se lui avesse deciso di agire di testa sua sulla
sorte
della sua salvatrice.
Quella
ragazzina stava subendo senza motivo un castigo che lei non meritava:
ciò
andava contro l’ordine naturale delle cose. Non avrebbe
infranto alcuna legge
della natura né mancato di rispetto a nessuno dei suoi
signori se avesse deciso
di lenirle le ferite.
O
almeno di provarci.
Certo,
genio, perché esattamente come pensi di fare?
Il
suo tempo stava per scadere, non poteva rimanere lì dentro
ancora per molto.
Rifletté: lui non aveva il potere di farle dimenticare i
dolori né tantomeno di
farli sparire. Però c’era una cosa che
l’Oscuro meglio di chiunque altro
conosceva: se c’era una cosa in grado almeno di anestetizzare
gli affanni del
corpo e dell’animo, questo era…
Il
sonno.
E
chi più di lui ne era esperto?
Ecco,
questo lui poteva fare: se non poteva farle dimenticare la perdita che
aveva
subito, poteva almeno dare ordini, lui che ne era il padrone, a quegli
incubi che
rendevano insopportabile a quella bambina distrutta un sonno che
avrebbe dovuto
essere ristoratore. Vista così sembrava una gran bella idea,
peccato che…
Tuo
compito è diffondere incubi, non cancellarli.
Non
può far smettere un incubo ciò che ne
è la stessa fonte.
…
però lui aveva il potere di decidere quali incubi mandare.
Non poteva cancellarli,
ma poteva distorcerli, cambiarli, intrecciarli fra loro. Su questo non
aveva
limiti: poteva modellarli secondo il suo volere, avrebbe fatto in modo
che la
principessa sognasse quello che meritava.
E
lei merita… merita…
… cosa merita?
…
no, un limite enorme c’era, purtroppo. C’era un
altro motivo molto chiaro per
cui l’Oscuro non era mai stato capace di dare gioia o
soddisfazione al sonno
degli uomini. Come poteva qualcuno trasmettere qualcosa come speranza e
serenità ad altri se lui stesso non sapeva cosa
significassero? Darkrai non
conosceva quelle parole: sapeva che si riferivano a qualcosa di
astratto che
gli uomini gradivano, ma l’idea di
‘speranza’ e ‘gioia’ per lui
era
inesistente, quelle parole gli risuonavano vuote, in testa. Non le
comprendeva,
tantomeno era capace di trasmetterle. Perciò si incaponiva
come un matto su
cosa far vedere in sogno a quella bambina di abbastanza potente da
farle
passare almeno una notte tollerabile.
…
una cosa che piace agli uomini.
Ah,
geniale: e cosa piaceva agli uomini?
…
no, non va. Tu non sai cosa piace a loro… cosa piace a lei.
Non
era possibile plasmare in testa a qualcun altro immagini che lui stesso
non
aveva mai visto. Le uniche cose che poteva mostrare in sogno agli altri erano cose necessariamente viste e conosciute di
persona.
…
ma non lo conosco! Io non conosco ciò che lei desidera.
Ma
si era così intestardito sul portare a termine quella sua
missione personale
che decise comunque di passare velocemente in rassegna le sue
discutibili
esperienze personali, sperando scioccamente che tra loro ci fosse un
qualche
indizio su cosa la principessa avrebbe considerato
‘bello’, e che lei avrebbe
voluto sognare.
Ovviamente
la sua rassegna generale si rivelò piuttosto deludente:
l’Oscuro degli uomini non aveva visto che il marcio,
perché
era ciò di cui si doveva occupare e di cui doveva far
sognare. E tra lui e il
popolo degli uomini non c’era che odio reciproco. Quando mai
in vita sua aveva
visto e giudicato ‘bello’ qualcosa che apparteneva
al mondo degli uomini? Un’unica
volta il suo odio antico per l’umanità era stato
sospeso: era stata proprio la
principessa a cacciarlo via, quando lo aveva guardato con quegli occhi
lucidi
di compassione e lo aveva toccato con le sue dita piene di vita. Lei
era tutto
il suo ‘bello’, lei era tutto ciò che di
piacevole conosceva.
Non
ho che te, solamente te…
… certo!
E
allora ebbe finalmente il colpo di genio di cui aveva bisogno.
Ho
capito! So cosa farti vedere.
Gli
incubi che quella notte stavano perseguitando la giovane umana erano
creati
dalla sua consapevolezza di aver perso per sempre ciò a cui
lei teneva di più.
La principessa stava male perché, come lui, era rimasta
sola, e pensava, senza
darsi pace, a ciò che aveva perduto.
E
non si rendeva conto di ciò che le era rimasto.
L’Oscuro
si chinò piano sopra di lei: tremava ancora, non aveva
smesso un secondo di
agitarsi sotto quei sogni persecutori. Fissò con ammirazione
quel corpicino
così apparentemente fragile che, nonostante tutto, non si
era mai spezzato
sotto i pesi che aveva dovuto sopportare.
Sono sicuro che sei capacissima di
guarirti anche da sola.
Non ho motivo di dubitarne, dal momento che
sei arrivata fino a questo punto.
Hai
salvato me, perché non dovresti essere capace di salvare
anche te stessa?
…
ma non offenderò la tua dignità se ti do solo un
piccolo aiuto, no?
Stese
il lungo braccio nero sopra il suo capo abbandonato, e
pensò. Dalla pericolosa
zampa a tre dita si staccò lentamente
un’impalpabile e piccola sfera nera, che
scese piano sopra di lei fino a toccarle la fronte candida. Per un
momento il
fisico della principessa fu avvolto da una grande camera sferica del
colore
della notte profonda. E quando essa si dissolse, l’Oscuro
osservò con un piacere
che non aveva mai provato che l’espressione tesa che aveva
sul volto aveva
cominciato lentamente a distendersi. Sull’attimo una vibrante
emozione
sconosciuta lo aveva scosso, e per un momento era stato attraversato
dalla
inspiegabile tentazione di mettersi sbattere le ali con la frenesia di
un
colibrì; per sua fortuna, prima di abbandonarsi a gesti
decisamente indecenti
per un leggendario, un rumore sospetto proveniente
dall’esterno della stanza gli
aveva fatto allarmare tutti i nervi.
Va
bene, grande eroe, inchini e congratulazioni.
Ma
ora fila via!
Il
suo tempo era scaduto da un pezzo. Si inabissò in fretta e
furia nel pavimento,
corse a infilarsi sotto il vetro da cui era entrato e
sfrecciò via da
quell’edificio con un tale fuoco in corpo da fargli credere
di poter combattere
ad armi pari con Giratina in persona.
Per
la prima volta in vita sua, aveva reso felice qualcuno.
Nei
sogni non si comprende mai di star sognando. Si perdono
anche i ricordi del proprio passato immediato, a volte ci si dimentica
perfino
di chi si è. Vale per i sogni, come per gli incubi. E nei
suoi sogni
frammentati e avvelenati Alicia ricordava solamente due cose della sua
realtà:
che aveva freddo ed era sola. Nel sonno non decifrava più
nitidamente la
consapevolezza di aver fatto un gesto folle e illegale per il nemico
giurato
degli uomini o che subito dopo sua madre aveva smesso di respirare: gli
incubi
che la straziavano da tutta la notte erano confusi, traduzioni
imprecise dei
suoi sentimenti, da cui riusciva solamente a capire di star soffrendo.
Nei sogni il tempo non esiste, per cui è impossibile
definire quanto tempo passa da uno all’altro. Alicia non
seppe mai in quale
momento e perché, all’improvviso, il carattere di
quei sogni cattivi avesse
cominciato a mutare. Semplicemente, dopo un ultimo incubo di cui
ricordava
solamente di essere inspiegabilmente morta senza accorgersene,
all’improvviso
le era calato sugli occhi come un sipario nero e pesante, che aveva
cancellato
tutto ciò che le stava infestando la testa sottoforma di
sogni insensati.
E la sua coscienza era stata misteriosamente trasportata
senza preavviso in un luogo buio e vuoto, in cui non c’era
che lei sola, non
altre creature viventi, non altri oggetti inanimati, non un minimo
rumore. Di
norma un bambino della sua età avrebbe probabilmente provato
paura nel trovarsi
all’improvviso da solo in un luogo tanto silenzioso: eppure
in quella
indefinibile, immisurabile camera nera c’era un tepore vivo e
accogliente, che
l’aveva fatta inspiegabilmente smettere di rabbrividire,
portandola persino a
credere assurdamente che quel luogo senza fondo né contorno
fosse casa sua.
Istintivamente aveva cominciato a camminarci dentro per un
po’, ammirando quel nero
senza fondo che sembrava una creatura viva dotata di volontà
propria.
Poi in quel nero aveva fatto all’improvviso la sua comparsa
un dettaglio: aveva una forma riconducibile a quella ovale, e per
qualche
motivo assurdo, nonostante non ci fosse alcuna luce a interrompere quel
vuoto
oscuro, pareva brillare. Ci si era avvicinata, come la sua
curiosità di bambina
la invitava a fare, e aveva osservato quello strano oggetto senza
capire.
Appariva piatto e liscio, e sembrava essere vuoto anch’esso:
solo che il suo
interno le ricordava per qualche motivo una superficie acquatica, e
rifletteva
assurdamente una luce tenue, luce che però in quel buio non
era presente.
Pareva quasi un lago in miniatura messo in verticale di fronte a lei,
attraverso il quale tuttavia si rifletteva un sole o una luna che non
esistevano. Non aveva resistito all’impulso di toccarlo:
allora la superficie
si era rapidamente increspata, e ciò che era riflesso dentro
di essa aveva
cominciato rapidamente a modificarsi. Quando finalmente le increspature
erano
svanite, Alicia era rimasta a bocca aperta.
All’interno della nuova superficie era apparsa, senza
dettagli né sfondi particolari, una figura diafana e
aggraziata, che emanava
uno splendore degno di un’aurora boreale. Sembrava provenire
da un altro mondo:
la sua luce era talmente celestiale che Alicia ne rimase incantata, e
ci mise
parecchio a capire che si trattava di una figura umana.
Era una creatura bellissima. Il suo corpo, dai capelli
lucenti e sani alla punta delle esili dita femminili, era di una
semplicità perfetta
e splendente, la quintessenza della vita: Alicia pensò
subito che fosse stata
partorita dal paradiso. La sua luce era talmente abbagliante da far
dimenticare
completamente a chi la guardava anche quelli che qualcuno avrebbe
potuto
giudicare difetti corporei. La magrezza di quella figura, avvolta in
quello
splendore non terreno, appariva graziosa e delicata, come il gambo di
un bel
bucaneve appena uscito eroicamente dal ghiaccio che si innalza sotto il
sole
dell’alba per gridare a tutti che la primavera è
vicina. Quella pelle tanto
chiara sembrava essere stata plasmata da neve fresca, fragile e che si
scioglie
facilmente, ma con la purezza e la sofficità delle nuvole. E
quei suoi due
occhi cristallini erano talmente accesi, luminosi ed espressivi che
avrebbero
potuto addomesticare un Gyarados inferocito solo guardandolo.
Alicia ne era rimasta così rapita da dimenticarsi di
respirare: per sua fortuna nei sogni niente avviene secondo le leggi
della
fisica. L’unica cosa che era riuscita a fare di fronte a
quella meravigliosa
creatura era stato sorridere: era un istinto naturale, una reazione del
tutto
spontanea e automatica davanti a quella creatura, che doveva essere
senz’altro
di rara e nobile stirpe. E la splendida principessa le aveva restituito
un
sorriso che aveva raddoppiato la sua bellezza. Alicia sentì
il dovere di
inchinarsi di fronte a quella regina così gentile, e lo fece
nella maniera più
educata ed elegante che conosceva, sperando che ciò la
compiacesse almeno un
poco. Con suo sommo piacere lei sembrò gradirlo molto, tanto
da restituirle
subito un grazioso e rispettoso inchino che l’aveva fatta
sentire molto
gratificata: era il suo modo di dirle che erano sullo stesso livello,
che erano
amiche da sempre. Non avevano nemmeno bisogno di parlarsi, non era
necessario
per capirsi a vicenda. Essere l’amica del cuore di una
così pura creatura era
tutto ciò che Alicia potesse desiderare.
Sentendosi molto più in confidenza con lei, le aveva dunque
teso la mano per suggellare definitivamente la loro amicizia. La
principessa le
aveva dato subito la mano a sua volta, senza smettere di mantenere il
sorriso su
quel suo volto diafano incorniciato da capelli che sembravano fatti di
raggi di
sole intrecciati. Il fatto che lei avesse i capelli biondi non fece che
farla
sentire ancora più vicina a lei: erano capelli proprio come
i suoi.
… proprio come…?
Solo allora Alicia fu raggiunta da un bizzarro sospetto.
Alzò il braccio sinistro a fare un gesto di saluto: la
principessa subito glielo restituì.
Piegò la testa di lato: anche l’altra fece la
stessa cosa.
Sbatté le palpebre: la regina luminosa fece lo stesso.
Ma…
Infine si portò la mano al petto e indicò se
stessa: la
creatura che, ormai lo capiva, era riflessa in quello specchio, si
indicò a sua
volta.
… sono io, questa?!
Allora aprì gli occhi con violenza e si ritrovò
nella sua
camera inondata dalla luce del mattino.
Continua...
Nota dell’autrice:
la stesura dell’ultimo
capitolo è stata veramente infernale. Mi sento di dare la
colpa all’università,
da quando ci sto dentro non riesco più a scrivere come prima.
Qualcuno
avrà capito che la
sottoscritta ha un carattere leggerissimamente pendolare: a volte la
mia radice
sadica mi riempie dell’irresistibile desiderio di sangue che
mi porta a
scrivere a raffica di scannamenti degni dell’Aliens di
Cameron, altre volte ho
un bisogno irrefrenabile di anestetizzarmi e farmi quaranta pagine di
linguaggio dell’interiorità. Beh, ora lo sapete XD
E anche se fra le note
c’è scritto ‘introspettivo’,
il che dovrebbe preparare a sufficienza la pazza gente che decide di
leggere,
mi sono spaccata l’anima per ridurre il superfluo che
potrebbe rendere la
lettura troppo lenta e noiosa. E sinceramente non credo di esserci
riuscita.
Ma anche se sto
passando un
periodaccio decisamente indesiderabile, tra esami da rifiutare, hard
disk
resettato (con tutti i file irripetibili che ci stavano dentro), uno
studio che
farebbe impallidire Leopardi e un canale squartato da un qualche aborto
umano
che non aveva niente di meglio da fare che segnalarmi e farmi rimuovere
15
video a caso… non sentitevi in colpa a darmi il colpo di
grazia (tanto non
credo che attualmente le cose mi potrebbero andare peggio XD), se lo
ritenete
necessario. Tutti noi autori emergenti abbiamo bisogno delle vostre
critiche,
non c’è niente di offensivo nel farle, al
contrario: tutti sono capaci di fare
un complimento, la critica invece richiede sincerità e
cervello. Io l’ho capito
soprattutto dopo l’uscita di settima generazione (sempre se
quella si possa
chiamare generazione…). E se, invece, questa storia vi
è piaciuta e vi piace
ancora adesso, lo devo anche e soprattutto a un ferocissimo utente che
venne
anni fa su uno sperimentale e malfatto primo capitolo (è la
sindrome da prima
pagina, sta dappertutto, non solo su EFP XD) e non si fece problemi a
sbattermi
in faccia tutto ciò che c’era da aggiustare (anche
se invece di aggiustare io
ho proprio ricominciato da zero).
Detto questo, per il
momento mi
ritiro nel mio letargo di studio matto e disperatissimo a tempo
indeterminato;
ma non preoccupatevi, il tempo per osservare di nascosto i vostri
movimenti più
sospetti lo trovo, sempre e comunque ;-)