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Autore: Wings_of_Mercurio    22/01/2018    1 recensioni
Stan sta tentando di rimettersi insieme dopo la rottura con Wendy.
Craig di combattere la sua solitudine.
Tweek di ricostruire la sua vita.
[Staig] [Creek] [Stendy]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Craig, Kyle Broflovski, Stan Marsh, Tweek, Wendy Testaburger
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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26. 23:56


Sabato mattina.
Come fosse riuscito a lasciare il suo letto tanto presto, per uscire fuori al freddo, era un mistero, per Stan.
Aveva pensato tante volte, lungo il tragitto, di tornarsene a casa, dicendosi che fosse una cazzata, chiedendosi chi glielo facesse fare, domandandosi se non si stesse rendendo ridicolo,a presentarsi così, di punto in bianco, in un posto dove non era neanche stato invitato. 
Si ritrovò a fissare le mura del centro ricreativo della città, dove si tenevano le assemblee cittadine.
Kenny poteva semplicemente dire che l'incontro fosse lì, piuttosto che scrivergli tutto l'indirizzo completo facendolo gironzolare attaccato a Google Maps. 
Ora che era lì, il cellulare ancora in mano, solo il vialetto di entrata a separarlo dall'edificio, la sua risoluzione stava scivolando via. Non si vedeva, a stare in cerchio, con le altre persone, ad ascoltare ciò che di più merdoso c'era nella loro vita. Non ne aveva bisogno. Era già più felice, adesso, da quando aveva capito di doversi impegnare, nella vita. Non voleva che quella nuova armonia fosse spazzata via dalla rievocazione di ricordi che non voleva.
E se si fosse rivisto, in quella gente, che magari aveva dato via la sua vita, per l'ebbrezza? Se avesse intravisto, una parte di sé, proiettata nel futuro? O ancora peggio, poteva rivivere molte delle cazzate che aveva fatto suo padre, i pianti di sua madre, il malessere di Shelly, che incolpava lui, di tutto. 
Quello era stato un periodo relativamente breve, della sua vita, quando aveva dieci anni, l'unico in cui il vizio di suo padre era sfuggito al controllo di tutti e la sua famiglia ne stava cadendo a pezzi. 
Non voleva affrontare la realtà; sebbene avesse ammesso con se stesso di avere un problema, non era pronto ad ammetterlo dinanzi agli altri, perché l'avrebbe vissuta come una sconfitta. 
Lui era meglio, di quella gente là dentro.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Lui non era, ancora a quel punto, poteva rialzarsi da solo. Lo stava già facendo. Era sobrio da due giorni... o quasi. Aveva sentito il richiamo della bottiglia, ma ne aveva preso solo un goccio, non si era ubriacato. Poteva farcela. Non era ancora al punto di non ritorno.
Avrebbe voluto piangere.
Fece un passo verso la struttura, ma fu un gesto del tutto involontario, il suo subconscio che cercava di salvarlo da se stesso.
Poi arretrò. Non poteva entrarci. Lui non era un vecchio ubriacone senza speranze, lui beveva solo quando le cose andavano storte. Bastava semplicemente farle andare meglio, essere positivi. Non aveva bisogno, di quelle stronzate.
Se ne sarebbe tornato a casa.
E fu quello che provò a fare, voltandosi indietro e incamminandosi.
La pesante porta del centro ricreativo si aprì, Stan poté udirla, ma non ci fece molto caso, fino a che...
<< Ehi, ragazzo >> lo chiamò una voce preoccupata.
Stan si bloccò sui suoi passi. Conosceva, quella voce.
Si voltò verso di lei, con un groppo in gola.
<< ...Zio Jimbo... >> realizzò, guardando il possente uomo con un cappello da cacciatore e il doppio mento.
Sentì di nuovo le lacrime affiorargli agli occhi. Allora era davvero, una cosa di famiglia. 
Suo zio lo fissava con sguardo paterno, in pensiero.
<< Non sei al negozio? >> chiese, con la voce che gli tremava, senza riuscire a controllarla. Suo zio aveva un negozio di armi, insieme ad un vecchio veterano di guerra senza un braccio, di nome Ned.
<< C'è Ned, al negozio, adesso >> 
Jimbo lo fissava in pena; Stan riconobbe quella sfumatura, nei suoi occhi, la realizzazione che nulla, nient'altro, avrebbe potuto fare in zona -una zona dove c'era solo il centro ricreativo e il municipio-, un ragazzo di quasi diciotto anni, di sabato mattina. Stan riconobbe un dolore fin troppo familiare, in quegli occhi.
E lui si sentiva andare in pezzi, davanti a loro.
<< Vuoi venire dentro con me a farmi compagnia? >> chiese suo zio, un uomo semplice, dagli ideali spiccioli, nazionalistici; un uomo che si dipingeva di rudezza ma con un cuore grande, tutto per la famiglia. Un uomo che stava cercando in quel momento di fare il suo bene, ma senza intaccargli l'orgoglio, perché suo zio, nella sua fierezza americana, doveva capirlo alla perfezione.  
Stan annuì, sconfitto, le labbra strette in una linea sottile, e gli occhi rivolti verso il basso, appannati di lacrime. 
Mentre si dirigeva verso la mano tesa di suo zio, Stan avrebbe voluto piangere dalla commozione. Perché la sua famiglia era quella che lo condannava, ma anche quella che lo stava salvando.


<< Hai sentito che l'agente Barbrady ha beccato Cristophe con le scommesse? >> chiese Clyde, gli occhi rivolti al soffitto.
Aveva insistito perché Craig passasse la notte a casa sua, come facevano da bambini, solo tutti e due. Forse per ricordargli che fossero ancora amici, al di fuori del loro trio, anche senza Token, che infatti non aveva invitato. 
In quel momento, si trovavano sul pavimento della sua camera nei sacchi a pelo, anche se Craig non ci entrava più tanto nel suo.
<< Come lo sai? >> chiese, senza particolare interesse.
<< È venuto da me per cercare di nascondersi >> ridacchiò Clyde, che se ne stava con le braccia incrociate dietro la testa << Barbrady gli stava correndo dietro, con il fiatone >>
<< L'hai fatto entrare? >>
<< No! Non voglio mica finire nei guai per lui >> disse, a ragione.
Tanto Barbrady lo avrebbe fatto stare nella cella del suo ufficio per una notte al massimo, poi lo avrebbe rilasciato, intenerito, facendosi promettere che non l'avrebbe più rifatto.
<< Glielo avevo detto >> commentò Craig, per nulla impressionato.
<< Poi mi dici come hai fatto, a farti ridare le chiavi della macchina di Token da Jason? >>
Token era l'unico, del gruppo, ad avere un auto, perché era anche l'unico a potersela permettere, e in un non ben definito diverbio, che Craig non si era premurato di approfondire, Jason, uno dei ragazzi del loro anno, gli aveva sottratto le chiavi, rifiutandosi di restituirle. Come Token si fosse fatto prendere le chiavi da Jason, che non era neanche il più sveglio tra gli sfigati, era un mistero, per Craig.
<< Se riesci a spingere la testa di qualcuno abbastanza in fondo ad un water, riesci ad ottenere di tutto >>
Clyde ridacchiò << Sei tremendo >>
<< Se l'è cercata >> commentò Craig, che davvero, non si riteneva una persona violenta, ma solo iperprotettiva.
<< Bèh, scommetto che non hai provato a chiedergliele con le buone >> ipotizzò Clyde.
Craig ci pensò. No, in effetti non ci aveva neanche pensato. Perché avrebbe dovuto, se Jason aveva già espresso la volontà di non volerle restituire?
Il fatto era che, Token gli aveva chiesto di aiutarlo, e lui l'aveva fatto.
Scrollò le spalle.
<< Craig? >>
<< Mmm? >>
<< Sei pronto a parlare? >> domandò Clyde, con quel suo modo aperto.
Craig restò per un attimo in silenzio.
Non è che non volesse parlare; semplicemente, non sapeva cosa dire, per iniziare.
Clyde aspettò pazientemente, cosa strana, per lui che non smetteva di parlare. 
<< Tricia è lesbica >> ammise, con un fil di voce, e il suo petto si appesantì solo a pronunciare quelle parole. 
Ci fu silenzio, per un attimo, da parte di Clyde << Wow. Questa sì che è una bomba... >> disse, cauto << ...tuo padre lo sa? >>
Craig scosse la testa << No. Solo io >>
<< Bella merda. Pensi che darà di matto quando lo saprà? >> chiese Clyde, preoccupato.
<< Non lo so >> rispose Craig, sinceramente << Onestamente, non lo voglio sapere >>
<< Ma lei sta bene? >>
Craig annuì << Ha una storia con questa ragazza... >> confessò << ...che le piaceva da un sacco di tempo, ma... >> procedette, prudente << ...lei è stata chiara, con Tricia, dicendole che non poteva esserci niente di più, tra di loro, perché... continuano a piacergli i ragazzi... >>
<< Bèh, mi sembra un'enorme cazzata, sai? Se ha una storia con Tricia, allora le piacciono anche le ragazze, no? >> argomentò Clyde, convinto delle sue parole.
Craig scosse leggermente la testa << Tricia è la prima ragazza, con cui è stata. O almeno, credo... >>
Clyde rifletté << Se a Tricia non piace questa situazione, perché continua a starle dietro? >>
Craig scrollò le spalle << Non lo so... È... come se questa ragazza abbia una specie di ascendente, su di lei... >>
<< Non mi sembra per nulla salutare... >>
<< Però Tricia ha incontrato anche un'altra ragazza. Lei... è speciale, le piace davvero, sembra che la faccia stare bene... >> disse, arrossendo, nell'oscurità della stanza, ma tanto Clyde non lo stava neppure guardando.
<< Bèh... >> iniziò Clyde, il tono un po' più allegro << E questa è una cosa seria? >>
Craig si morse le labbra << Non ne ha idea. Però spera che lo diventi >>
<< Quindi, a quest'altra ragazza, Tricia piace? >> domandò Clyde, cercando di capirci qualcosa.
<< Non ne sono sicuro. Tricia pensa di sì, solo che... >> si fermò, a riflettere.
<< ...che? >> lo incoraggiò Clyde.
<< Ha l'impressione che le stia nascondendo qualcosa. Ha... paura di fidarsi di lei >>
Clyde sospirò << Quindi, ricapitolando: da una parte abbiamo la sincerità disarmante, dall'altra l'incertezza. Personalmente, non mi piacciono le bugie, o le persone poco chiare, perché odio non capirci niente, specialmente nei sentimenti. Tuttavia... magari potrebbe essere solo un'impressione, no? O, magari, se a questa ragazza Tricia piace davvero, forse ha bisogno solo di un po' di tempo per aprirsi? Potrebbe darle il beneficio del dubbio. Alla fine, con la prima ragazza mi sembra di capire che non può esserci niente, no? Quindi si tratta di rincorrere il nulla contro il mettersi in gioco, quindi forse è meglio la seconda. Anche se dipende... a Tricia quale delle due ragazze piace di più? >> 
<< Credo la seconda >> rispose Craig, senza esitazione.
<< Quindi, perché, sta ancora appresso alla prima? >>
Craig non seppe rispondere. L'unica cosa che gli venne in mente, fu la notte passata con Stan. I suoi occhi lucidi, l'aria elettrica, il modo in cui sembrava avesse bisogno di lui. E poi le coccole sotto le lenzuola, senza nessuna aspettativa, solo per donarsi, per cercare di scaldare l'altro. C'era comunque qualcosa di sincero, in questo, di totalizzante, perché il loro amore iniziava e finiva in quei momenti, intensi, e Craig aveva iniziato ad apprezzarne l'esclusività solo quando aveva iniziato a sperare meno in qualcos'altro; solo quando si era trovato con le stesse necessità di Stan. E non era un bisogno solo fisico, ma anche emotivo, di non sentirsi soli, di avere qualcuno in cui trovarsi. 
Era una cosa che non sapeva spiegare, ma del tutto diversa, da quella che c'era stata con Tweek, perché in quel caso, nonostante l'avesse solo toccato, erano state investite un sacco di emozioni e fiducia. E Craig era davvero grato, della fiducia che Tweek gli aveva dato, di come si fosse abbandonato nelle sue mani, della possibilità che aveva avuto di osservare il suo viso rilassato nel piacere. Era stato qualcosa che li aveva connessi, ancora di più, attraverso i loro cuori.
<< Craig? >> lo richiamò Clyde.
<< Non lo so >> rispose Craig, essendosi dimenticato perfino cosa gli avesse chiesto l'altro.
Clyde sospirò << Secondo me, se le piace la seconda, dovrebbe chiudere, con la prima. Non può sperare che le cose diventino serie, se prima non le tratta come tali. E poi, sarebbe ingiusto, continuare con entrambe... >>
Clyde aveva ragione. Era ingiusto, continuare questa cosa con Stan, se voleva stare con Tweek... anche se tremava all'idea di chiuderla. Non sapeva, se ne avesse avuto il coraggio, ed era una cosa a cui stava pensando a malincuore, perché era difficile, lasciare andare qualcosa che aveva rincorso per così tanto tempo, qualcosa che mai avrebbe lasciato andare, se Tweek non fosse entrato nella sua vita come un fulmine a ciel sereno.
Non voleva neanche avere i piedi in due scarpe diverse, così come faceva Stan, perché aveva provato in prima persona quanto quella cosa lo facesse soffrire. E non poteva, pensare a Tweek nella sua stessa situazione.
Doveva parlare con Stan.
La stanza cadde silente, per un po'.
<< Craig? >> lo chiamò poi, Clyde, alzandosi seduto nel suo sacco a pelo, e guardandolo << Tu lo sai, che sono stupido, vero? >> chiese.
<< Sì >> rispose Craig, senza remore.
<< Quindi, se dovessi dirmi qualcosa, me lo diresti chiaro e tondo? >>
Dopotutto, Clyde, non era così stupido.
Prese un lungo respiro << Sì... Sono gay >> confessò, come a strapparsi via un cerotto per sentire meno dolore, poi si voltò a guardare l'altro.
Clyde lo stava osservando stupito, forse più per la dichiarazione schietta, che per il fatto in sé.
Craig deglutì a vuoto, si sentiva ansioso, e temeva il giudizio di qualcuno, per la prima volta nella sua vita.
<< Devo dire che non mi sorprende... >> lo informò invece Clyde << Cioè, o dovevi essere gay, o dovevi avere qualche problema... >>
Craig scoppiò a ridere, sollevato, e Clyde con lui.
<< Insomma, non ti ho mai sentito parlare di ragazze e cose così >>
Invece Clyde aveva passato la sua adolescenza a parlare di ragazze, e Craig non aveva mai saputo come relazionarvisi, e forse questo aveva contribuito al loro allontanamento.
<< Bèh, adesso sai perché >>
<< ...È per questo, che ti sei allontanato? >> chiese Clyde, con una nota di dolore << Da noi, intendo >>
Craig restò per un attimo in silenzio, poi annuì << Anche. Non... non sapevo come affrontarlo... >>
<< Tu... puoi parlare con me, lo sai? Voglio dire, non capisco un cazzo di ragazzi... grazie al cielo... però, sono ancora tuo amico >> arrossì.
Craig sorrise, poi gli fece il dito medio.
Clyde ridacchiò, lanciandogli il suo cuscino in faccia.
  
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