L’ospedale era pieno di gente, tra visitatori,
medici e infermieri che vagavano per le stanze e per i corridoi, facendo
ticchettare le suole delle loro scarpe sul pavimento piastrellato, ma più sporco di quanto avrebbe dovuto essere. La donna delle
pulizie non passava che dopo l’orario delle visite, verso l’ora in cui i
pazienti consumavano il loro magro pasto.
L’ala dedicata ai bambini era la più luminosa, con
ampie finestre che lasciavano filtrare la maggior luce possibile, nonostante le
tende bianche ricordassero troppo il triste ambiente dove si trovavano. Anche le lenzuola avrebbero dovuto essere bianche, in
origine, ma per diversi motivi finivano per diventare di svariati colori. Nessuno
ne avrebbe mai fatto un dramma.
Accanto ad ogni letto, un gruppo di persone
preoccupate ma scherzose allo stesso tempo, che facevano
compagnia ai malati. Anche accanto al letto in fondo alla stanza si trovava uno
di questi gruppetti caratteristici, composto da
quattro bambini, due maschi e due femmine, e da un signore anziano.
«Sei proprio uno stupido, Mitsuhiko»
stava dicendo il bambino più grasso, adocchiando la gamba ingessata del suo
amico, straiato sul letto. «Cadere così dalle scale…»
«Non prenderlo in giro, Genta!»
rimbeccò la bambina dai capelli castani, mentre terminava il suo disegno sul
gesso col pennarello rosso. «Sarebbe potuto capitare a chiunque, anche a te»
Genta assunse un’espressione
mortificata, cercando di mormorare qualche scusa, mentre Mitsuhiko
riemergeva dalle lenzuola con le quali si era coperto per la vergogna. «Grazie,
Ayumi» Il suo sguardo si spostò all’istante sulla
bambina bionda, come se si sentisse in colpa per aver parlato prima con
un’altra. «Puoi scrivere qualcosa anche tu, Ai…» disse speranzoso.
Lei ricambiò lo sguardo. «D’accordo» Prese la penna
che la sua amica le passava e scrisse “fortunatamente non ti sei rotto l’osso
del collo” in kanji. Gli altri tre, che andavano
ancora in seconda elementare, non capirono il discorso.
«Ha scritto “spero che tu guarisca presto”» tradusse
il Dottor Agasa, ridendo imbarazzato.
«Ohh» si meravigliò Mitsuhiko. «Sei proprio intelligente,
sai scrivere anche in kanji!» Ed una ventata triste
gli passò attraverso gli occhi.
«Già, Ai è bravissima» convennero Genta e Ayumi.
L’ultimo bambino, dai profondi occhi azzurri
nascosti da un paio di occhiali, trasse Ai in
disparte. «Ti sembrano cose da scrivere?» le chiese.
«Non ci trovo niente di strano» replicò lei. «Davvero,
è stato fortunato a rompersi solo una gamba»
«Eh già…» mormorò lui, capendo che non c’era niente
da fare.
Un signore elegante dal lungo camice bianco entrò
nella stanza, seguito da altri due uomini e due infermieri, che trascinavano il
carro dei medicinali. A vederlo, poteva sembrare davvero un ambasciatore
straniero in visita ad un re, accompagnato dalle guardie e
recante doni del suo paese.
Il signore anziano capì che l’orario delle visite
era finito. «Conan, ragazzi, andiamo»
«Si» rispose il bambino con gli occhiali, facendo
per uscire.
«Ciao ciao Mitsuhiko» salutarono. «A domani!»
«Ciao…» Lo sguardo di Mitsuhiko
indugiò un poco di più sulla bambina bionda prima che sparisse al di là della porta.
«Ci accompagna a casa lei, Dottor Agasa?» chiese Genta.
«Si, ragazzi»
Il corridoio si andava riempiendo di gente che
usciva dalle varie stanze e la confusione aumentava, rimbombando sulle pareti
bianche del reparto pediatria. Tutti parlavano a voce più alta per sovrastare
le voci altrui.
«Scusatemi…» Ayumi alzò
timidamente il braccio per richiamare l’attenzione dei suoi compagni. «Devo
andare in bagno, mi scappa la pipì…»
«Vai pure» le rispose Agasa.
«Il bagno dovrebbe essere da quella parte»
Ayumi tirò un’occhiata alla sua
amica. «La accompagno io» si offrì Ai. «Intanto potete avviarvi all’uscita»
«D’accordo» acconsentì Agasa.
In fondo, Ai non era una bambina, non realmente, e perciò poteva evitare di
aspettarla.
Le due bambine andarono in bagno. Era una bagno stretto stretto, con un
odore cattivissimo. Entrambe furono sollevate quando ne uscirono, tanto che Ayumi evitò di sciacquarsi le mani pur di sbrigarsi.
Ritornando nel corridoio, furono travolte da un fiume di persone che si avviava
verso l’uscita e finirono col ritrovarsi in un reparto sconosciuto.
Diversamente dagli altri, vi regnava un silenzio quasi sovraumano, un silenzio di morte anticipato dal forte odore di disinfettante. Ai si
guardò intorno. Tutte le porte delle camere erano chiuse, ma il corridoio era
composto da vetri, perciò si potevano distinguere le
figure sdraiate sui letti d’ospedale, con la mascherina per l’ossigeno sulla
bocca e la flebo al braccio. Volti spenti, addormentati, come fermi al di fuori del tempo. «Reparto rianimazione…»
concluse.
«Questo posto mi fa paura» tremò Ayumi.
Tutte quelle persone avevano un volto tranquillo, ma troppo irreale per potere credere che fossero davvero solo addormentate.
Ai le prese una mano e si
avviarono insieme verso la porta, sul lato opposto. Se
non si ricordavano male dalla planimetria dell’ospedale, alla fine del
corridoio doveva trovarsi l’ascensore che portava al primo piano. Entrambe,
tuttavia, non resistevano alla tentazione, pur velata da malinconia, di
osservare i pazienti. Ai d’improvviso si bloccò e
lasciò la mano della sua amica per avvicinarsi al vetro di una delle ultime
stanze. Anche Ayumi,
titubante, si sporse a guardare. Sul letto, non diversamente dagli altri che
condividevano la stessa sorte, vi era una ragazza, con lunghi capelli rossi
spettinati, capelli che nessuno si era curato di tagliare da molto tempo. Aveva
un viso delicato, con un pallore molto simile al bianco del cuscino. «Che bella» fu ciò che disse, tristemente, Ayumi. Ai, invece, non parlava. Si
limitava a fissare con i suoi occhi verde acqua quel viso, come se fosse in
grado di vederci il mondo intero. Teneva la mani premute
sul vetro, formando aloni di sudore, e la bocca era semi aperta in un
silenzioso mormorio.
«Ah, siete qua» La voce di Conan interruppe i pensieri di Ayumi.
«Dobbiamo andare…» Era appena arrivato dalla porta dalla quale dovevano uscire,
probabilmente aveva preso l’ascensore.
«S-si…» mormorò Ayumi. Ai non si mosse.
Lui le si avvicinò. «Ai?
Ai?» chiamò. «Haibara!» Le poggiò una mano sulla
spalla, per richiamare la sua attenzione e la sentì sobbalzare sotto di lui.
«Kudou-kun…?» Lo guardò in
modo strano, come se non dovesse essere lì, come se fosse fuori posto.
«Stai bene?» la scrutò.
«Si, certo» Ai si staccò dal vetro con un gesto fin
troppo naturale. «Muoviamoci» Aprì la porta e vi scomparve dietro.
«Uhm…» riflettè Conan scoccando un’occhiata alla paziente misteriosa. Sulla
sua cartella clinica vi era scritto un nome qualunque, banale, nulla che potesse suscitare qualche sospetto. Scuotendo lentamente la
testa, si avviò verso l’uscita seguito da Ayumi, che lo guardava nello stesso modo in cui, poco
prima, aveva guardato anche Ai. Erano entrambi strani, quella
sera, come in molte altre occasioni.
***
Le luci del quartiere di Beika
si stavano accendendo una dopo l’altra con il calare del sole all’orizzonte, e
i neon lo illuminavano quasi a giorno. La piccola automobile rossa del dottor Agasa si districava nel traffico verso casa, dopo aver già
scaricato, non diversamente da un Taxi, Genta e Ayumi alle rispettive dimore.
«Chi era quella?» chiese Conan
interrompendo il silenzio che vi era all’interno dell’auto a dispetto del caos delle strade e dei clacson.
«Chi?» replicò Ai con
un’espressione ignara sul viso.
«La ragazza in coma» Conan
la guardò serio. «Non credo che tu sia rimasta colpita solo dalla sua
situazione…»
Ai voltò la testa, facendo
agitare le sue ciocche bionde, e rivolse tutta la sua attenzione alle auto che
scorrevano nella fila accanto, mentre le luci dei fari si rispecchiavano nei
suoi occhi, stranamente più profondi del solito, rendendoli simili al mare
scuro illuminato dal faro che guida i naviganti. Il finestrino dell’auto
sembrava essersi trasformato nel vetro della stanza d’ospedale. «Sembrava una
persona che conoscevo» mormorò infine, così piano da sembrare solo un’eco in
lontananza. «Ma non poteva essere»
«Chi ti sembrava?» Stavolta fu Conan
a chiedere.
«BloodyMary» Ai stropicciò la punta della sua gonna rossa a pieghe.
«Vuoi dire un…?» iniziò Conan, sapendo che non c’era alcun bisogno di terminare la
domanda.
Finalmente Ai si decise ad affrontare il suo sguardo
severo. «Si, è un membro dell’Organizzazione. Ma mi
sono sbagliata. Non sarebbe stato possibile vederla lì… viva»
«Perché?» Conan si tolse gli occhiali e giocherellò con il radar che
nascondevano. Forse aveva una traccia, certo, molto flebile, come la voce di Ai in quel momento, ma pur sempre una traccia.
«Nessuno dell’Organizzazione viene
fatto curare in ospedali pubblici. Sarebbe troppo rischioso, se qualcuno si
mettesse ad indagare sulla sua vera identità» spiegò lei. «E
poi, dubito davvero che BloodyMary sia ancora viva. È’ troppo pericolosa»
Conan interruppe il suo
divertimento, cercando di elaborare mentalmente la frase che aveva sentito. «Perché questa BloodyMary sarebbe
pericolosa per gli uomini in nero?»
Ai lo scrutava come se cercasse di intuire se le sue
domande erano di pura curiosità o se nascondessero all’interno qualche
interesse personale. «Da quanto ho saputo da Akemi-oneechan,
aveva delle idee troppo rivoluzionarie. Tipo lotta proletaria, sai cosa intendo»
Quanto suonava fredda la sua voce. Non voleva lasciare trasparire niente. Non
era qualcosa che lui doveva sapere. La verità è la cosa peggiore da imparare.
«L’Organizzazione non è qualcosa che ti lascia agire indisturbato… E quando una
persona si comporta in una certa maniera, non ci sono soluzioni. Un colpo di
pistola e il problema è risolto»
Il dottor Agasa ascoltava
tutti questi discorsi quasi distrattamente, tenendo le mani ferme sul volante. «L’Organizzazione
è terribile» disse infine parcheggiando l’auto nel vialetto di casa. «Sono
contento che tu sia scappata»
Ai sentì i capillari delle guance ingrossarsi e
tergiversò. «Non è certo stato un bene per voi» Il sentirsi in colpa era
terribile. Scese lentamente dalla macchina.
«Finiscila!» esclamò Conan.
«Passi la metà del tempo a piangerti addosso sulle disgrazie che credi di aver,
o di poter provocare, ma non fai nulla per rimediare» Non si accorse tardi di
essere stato fin troppo insensibile, e proseguì senza problemi, sistemandosi
nuovamente gli occhiali. «Non è che magari si tratta
davvero di BloodyMary? Potrei provare a mettere una
cimice in-»
«No!» Ai si voltò di scatto verso di lui, agitando
le ciocche bionde, guardandolo con occhi ardenti che lui non le aveva mai visto. «Non è lei, ti ho detto»
Entrò velocemente in casa, lasciando sul vialetto un Conan
profondamente sconvolto da quel suo atteggiamento troppo aggressivo, e si
diresse nella stanza che usava come studio. Al buio, cercò di far calmare il
suo cuore, che, in quel momento, sembrava simile a un
trapano elettrico.
«Perché Shihochan
deve andare in America?!» La bambina dai capelli rossi sbattè
un piede per terra, arrabbiata. «Non voglio!»
«Non è qualcosa su cui possiamo decidere, Nacchan» La bambina più grandicella,
dai lunghi capelli neri, le appoggiò una mano sulla spalla. «La rivedrai
ancora, non preoccuparti»
«Io voglio che ‘tia qui!»
Si liberò dalla presa e corse ad abbracciare la bambina bionda. «Sta qua!»
Ma lei scosse la testa. «Non posso… Non posso…»
«M-ma…» Nacchan iniziò a piangere.
«E’ ora» La voce dura di un uomo venne dalla porta. Si
avvicinò alle due bambine afferrò il braccio di Shiho, strappandola all’abbraccio della rossa, e iniziando
a trascinarla via. Lei si lasciava trascinare senza opporre resistenza. A cosa
sarebbe servito? Nacchan balzò in avanti e le afferrò
la mano libera, unendo i loro due mignoli.
«Promettilo!» disse seria. «Sarai mia amica anche in
America!»
Shiho annuì con la testa, poi
passò lo sguardo sulla sorella, che sorrideva amaramente da lontano, cercando
di incoraggiarla. Non voleva andarsene. Non voleva lasciarle. Cosa le importava se era più intelligente di loro?
«Ricordatelo!» continuò a
urlare Nacchan. «Qualunque cosa succeda,
saremo sempre amiche!» E la porta della stanza si chiuse inesorabilmente dietro
di loro, impedendo a Shiho qualunque sensazione. Non
le restò che guardare avanti, dove c’era il nulla.
Ai si avvicinò a tentoni
alla scrivania, aprendo il primo cassetto. Nascosto dentro una scatola per le
mine della matita, vi era una capsula. L’antidoto che lei stessa,
tempo fa, aveva dato a Conan. Prenderlo era
rischioso, e l’effetto non durava che un paio di giorni. Il tempo non sarebbe
stato sufficiente. Aveva bisogno di più giorni, e di più coraggio.
«Nagisa…»
Appoggiò la capsula sulla scrivania e accese il
computer, lasciando che i numeri chimici del suo complicato veleno si
rispecchiassero nella profondità dei suoi occhi verde acqua, mentre la stanza veniva leggermente illuminata da quella tenue luce.
Note di Akemichan:
Ho dimenticato di dirvi una cosa nel capitolo
precedente… Ah, l’Alzaimer…^^’’ Visto
che non so se tutti lo conoscono, volevo informarvi che “BloodyMary” è un cocktail alcolico fatto con il succo di
pomodoro… Come vedere, i rimandi al sangue sono sempre evidenti… Ma in realtà
sono stata solo fortunata che il mio amico mi ha consigliato questo nome ^^’’
Lo ringrazio, per una volta che fa qualcosa di utile… Il prossimo aggiornamento sarà sabato prossimo
Reviews:
Jaly Chan:
Ciao! Che sorpresa! Non sapevo ti piacesse anche Conan
(in realtà non so molto di te… ^^’’) Bè, sono contenta di ricevere i tuoi commenti anche per questa
storia ^^ p.s. hai ricevuto la mia mail?
Mirtilla: Si, anche Ai è il mio personaggio
preferito, per cui spero davvero di non farla OOC… Mi
saprai dire, visto che la conosci bene ^^ Grazie per la recensione
MelanyHolland: Non ci posso credere!!
Davvero, non posso credere che la persona che ha scritto una delle più belle fic su Conan abbia recensito
proprio me! Speravo tanto che lo facessi, in realtà, ma non credevo di
potercela fare…^^ I tuoi complimenti mi fanno un
piacere immenso ^^ Sei troppo buona. Credo che lo stile cambierà un pochetto adesso che siamo quasi entrati “nel vivo”, ma
spero vivamente che continui a piacerti ^^
Ginny85: Grazie per la recensione. Si, Ai è un
personaggio meraviglioso, per questo le ho dedicato la storia e spero che la
leggano anche tanti altri amanti di Ai come me e come
te ^^
Preview:
«Nagisa, sono io… Sono Shiho…»
«Chi… Come… Cosa… Haibara…?»
«Anch’io sono felice di
rivederti»
«Si vede proprio quanto ti sta a
cuore, vero, Gin?»
«Non potremo ucciderla subito?»