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Autore: Captain_Dragon    23/01/2018    1 recensioni
[Dedicata alla mia Sensei e musa ispiratrice, InsaneMonkey, la quale è una delle ragioni per cui esisto ancora su questo sito. Ti dovevo una fanfiction.]
[Dedicata alla mia vecchia amica Akeryana, che non sento da molto tempo. Grazie per aver condiviso con me le gioie e gli scleri di un fandom dimenticato.]
Jack/Hebina
Lui un poliziotto, lei una piratessa. Lui un pipistrello, lei una serpe.
Due anime opposte, eppure complementari.
Il loro destino marcato a fuoco nello spazio e nel tempo, una passione comune in grado di unire due cuori che non sono fatti per stare insieme.
Lo sguardo immortale d'una luna benevola sarà per sempre custode del loro amore.
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La prima romantica che scrivo e, con estremo coraggio, anche la prima erotica.
Perché certe cose vanno sperimentate.
Spero non sia uscito un obbrobrio.
Enjoy!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hebina, Jack
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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.:Varco spaziotemporale random:.

H-Hola!

Lo so, lo so che non mi faccio sentire da anni qui, non ho la faccia di tornare a ripresentarmi come se nulla fosse senza alcuna spiegazione...

Quindi ecco.

Non ho voglia di inventarmi scuse, né tanto meno di giustificarmi, cosciente che in fondo sarebbe inutile nonché indecente.

Il fatto è che ad un certo punto mi sono bloccata. Letteralmente.

Le idee c'erano, ed io avevo pensato di metterle su carta, ma la voglia non c'era.

Non trovavo l'impulso di aprire il programma e mettermi a scrivere.

Non lo trovavo e basta.

E di certo le medie -con esami compresi- e l'inizio delle superiori non hanno aiutato.

E nemmeno il mio amore nascente per Deviantart, che mi ha spinto a mettere da parte le fanfiction per dedicarmi ai disegni.

Comunque, lì non trovo l'appoggio che mi serve, e a poco a poco mi sono convinta che forse sarebbe stato meglio ritornare.

E quindi adesso eccomi di nuovo.

Eh, speravate di esservi liberati di me!

 

Ora vi lascio alla fanfiction, la quale è incentrata sulla shipping Jack/Hebina. Siccome non ho trovato praticamente niente su di loro, né su EFP né in nessun altro sito, ho deciso di fare da sola.

La fanfiction non è altro che il remake di una vecchissima che scrissi nel lontano 2014, storia alla quale vennero tarpate le ali prima che potesse venire alla luce (e Arceus sa quanto io abbia sclerato per questo).

Buona lettura!






 


Nox amantium astrorum

 
 

...furono baci furono sorrisi

poi furono soltanto i fiordalisi

che videro con gli occhi delle stelle

fremere al vento e ai baci la tua pelle...

 

La canzone di Marinella – Fabrizio de André

 


 

 

I passi dell'aliena erano sicuri e silenziosi, mentre ella percorreva la lunga e sinuosa linea di un sentiero al limitare di un laghetto dalle acque perlacee.

La luna, muta e benevola, irradiava con i suoi raggi d'argento l'esile figura solitaria, che da sola interrompeva quel quadro di statica magia dipinto con i colori scuri del bosco lì vicino e della superficie scintillante dell'acqua.

 

Alcuni animali terrestri, qualche scoiattolo rossiccio e qualche gattino dal manto striato, osservavano incuriositi la donna e alcuni, più arditi, s'avvicinavano per poterle sfregare contro il proprio musetto umido.

La giovane ricambiava con timidi sorrisi - sleali e beffardi i suoi sorrisi, sempre pronti a increspare l'immagine di una donna fiera e intoccabile, ciò che lei era convinta di essere, con maliziose stille d'affetto.

Le bestiole si lasciavano coccolare, ma dopo un po' si voltavano e tornavano ai propri nascondigli, ben protetti dal male del mondo circostante, e l'extraterrestre continuava imperterrita il suo cammino.

 

« Certo che è strana la Terra, soprattutto di notte. Non finisce mai di stupirmi. »

 

Borbottò fra sé e sé, sedendosi su una vecchia panchina arrugginita.

Le fredde sbarre di ferro accolsero le sue membra stanche, mentre le unghie smaltate picchettavano sui braccioli scoloriti dal tempo e dalle intemperie; uno sguardo sfinito e annoiato si posava sulle foglie ingiallite cadute a terra che decoravano con maestria il sentiero.

Un piede calciò via una palla di sterpaglie la quale, inerme, si lasciò scivolare lungo la via e andò a finire chissà dove.

 

La giovane sbuffò e gettò all'indietro la testa, per poi trovare lo sguardo della luna che ricambiava il suo.

L'astro l'abbracciava con la sua fredda luce e rimaneva lì, silenzioso, bellissimo, eterno.

 

Un sorriso impacciato le curvò le labbra a mezzaluna, mentre la quiete regnava sovrana in quel luogo.

Una leggera brezza notturna si premurava di destare le foglie che coronavano le maestose querce, ed esse si lasciavano cullare suonando una musica genuina e soave.

Le acque di zaffiro non emettevano un sibilo ma rimanevano ad ascoltare i mille suoni della natura, mentre qualche uccello le sorvolava intento a individuare una preda.

 

L'aliena passò le dita affusolate tra le proprie ciocche cobalto, massaggiandosi il cuoio capelluto con delicatezza.

Era stanca, la passeggiata in mezzo alla natura terrestre l'aveva sfiancata, convinta com'era che in un posto del genere ci sarebbe stato poco da vedere e più da rubare.

Le sorelle l'avevano lasciata indietro, colme di una gioia e di una curiosità a tratti fanciullesche, intente a svelare le mille e più sorprese che la Terra riservava loro.

Alcune volte si ritrovava ad invidiarne la vitalità e perfino l'ottusità, poiché loro sapevano sempre come mantenere il sorriso, nonostante le miriadi di situazioni senza via d'uscita in cui spesso incappavano.

Erano sciocche, ma erano le uniche che l'apprezzavano per com'era e la facevano sentire amata.

 

Si stiracchiò inarcando la schiena e gettando all'indietro le braccia, mentre un debole sbadiglio emerse dalle labbra viola.

 

Una mano dalla pelle diafana andò ad aprire una piccola custodia legata alla vita della donna, al suo interno una macchina dalle sfumature smeraldine veniva gelosamente custodita.

La tirò fuori, il materiale lucido di cui era costituita rifletteva con grazia i raggi della pallida luna.

Miriadi di ghirigori corvini erano stati sapientemente dipinti sulla carrozzeria, come a formare le minuscole scaglie tipiche dei rettili.

Due paia di grossi tubi di scarico erano situati accanto ai vetri rosei dell'abitacolo, mentre quattro grandi ruote facevano mostra del loro fucsia sgargiante.

 

La giovane prese un panno candido e iniziò a lucidare il proprio tesoro con meticolosità, attenta a non rovinare nulla.

Un canto arcano e infantile si librò pian piano nell'aria e decine di creature accorsero ad ascoltare la voce vellutata dell'aliena, la quale non prestava alcuna attenzione al mondo circostante.

Cantava con trasporto, deliziando gli animi degli esseri che erano giunti a lei e che idolatravano tacitamente la sua persona.

Chissà cosa avrebbero detto le sue sorelle, alla vista di quel lato gentile che lei si premurava sempre di celare al mondo.

 

Tuttavia lei non era attorniata da soli animali terrestri, un'ombra scura faceva capolino dal tronco di una quercia e un sorrisetto compiaciuto delineava le sue labbra sottili.

 

« Una ninnananna? »

 

Una voce profonda e un po' divertita ruppe l'atmosfera celestiale che si era creata, rovinando il momento magico – come qualcuno s'affretterebbe a dire.

La donna balzò in piedi, colta alla sprovvista da quell'interruzione alquanto sgradita. Assottigliò lo sguardo e indietreggiò, pronta a reagire in caso quella presenza si fosse rivelata ostile.

 

« Chi sei? Fatti vedere! »

 

Tuonò con un tono che non ammetteva repliche, mentre esortava la figura ad uscire allo scoperto.

Quest'ultima si limitò ad alzare le mani in segno di resa e a passo lento si fece accogliere dallo sguardo indagatore della luna.

Era un giovane alieno, il suo corpo snello era fasciato da una tuta viola, sul capo portava un casco dalle sfumature dorate e violacee e uno sguardo furbo era dipinto sul suo volto. Quel suo sguardo furbo.

 

« Ti chiedo scusa per averti spaventata... »

 

« Fa' silenzio! Perché sei qui? »

 

Tagliò corto lei, riconoscendo all'istante l'uomo che tanto l'aveva inseguita e tormentata durante gli anni, mettendole i bastoni tra le ruote ogni volta che aveva avuto la possibilità di accaparrarsi un bel bottino. Eventi rari che lei, puntualmente, si lasciava sfuggire e così i suoi sogni s'infrangevano e svanivano in una nube di polvere astratta.

Doveva molto a quell'instancabile poliziotto spaziale. Birbanterie che presto si sarebbe curata di restituire al suo compagno di avventure e disavventure.

 

L'uomo si sdraiò sulla panchina dove poco prima lei sedeva, e lasciò che un braccio dondolasse pigramente raschiando il terreno erboso sotto di sé.

Era incredibilmente calmo, gli occhi socchiusi, lo sguardo annoiato fisso su quello accigliato e inquisitore della donna.

 

« Perché sei qui, Jack? » Ripeté.

 

« Non agitarti così tanto, Hebina. Non sono in servizio, sono qui solo per rilassarmi. »

 

Rispose lui, osservando con curiosità la sua vecchia nemica, la quale non osava abbassare la guardia. Di certo non credeva ad una sola parola.

 

« E perché, sentiamo, saresti venuto proprio nel posto dove io stavo passeggiando? La Terra è un pianeta molto grande, di certo le probabilità di incontrarci erano minime! Sono sicura che eri qui apposta per spiarmi! »

 

Lo accusò, una mano stretta sul fianco morbido e l'altra puntata contro l'alieno. Le labbra imbronciate lasciavano trasparire stizza e fastidio, i dolci lineamenti del viso giallognolo erano percorsi da sottili rughe dovute alla rabbia.

 

L'altro sorrideva, dilettato e incredulo, mentre guardava quel buffo personaggio accusarlo così apertamente.

Una risata echeggiò nell'aria, una risata sincera e anche un po' colpevole, che fece allontanare i pochi animaletti rimasti e fece irritare ancora di più la giovane.

 

« Kazuya mi ha consigliato di venire qui. Ha detto che è un posto molto tranquillo e che una bella passeggiata mi avrebbe fatto distendere i nervi. Poi ho sentito qualcuno cantare e mi sono avvicinato per capire chi fosse. Anche io sono sorpreso di vederti. »

 

Il suo tono era amichevole, intento a far capire che non avesse intenzione di arrestarla, non in quel momento perlomeno.

Si alzò a fatica dalla panchina, abbandonando il gelido metallo, e si avvicinò a lei.

 

« Quindi non sei qui per sbattermi dentro? » Volle accertarsi l'aliena, utilizzando il linguaggio tipico dei banditi come lei.

 

« No. »

 

«Bene. »

 

Disse semplicemente, e riprese il cammino che era stato per troppo tempo interrotto. Lui sembrò incerto sul da farsi, ma infine decise di seguirla e passeggiare accanto a lei.

Hebina sbuffò contrariata in un primo momento, poi si convinse che era meglio tenerselo buono.

 

I minuti scorrevano inesorabili, la luna diveniva man mano sempre più luminosa e incantevole; innumerevoli stelle s'apprestavano a decorare l'immenso firmamento dalle tonalità plumbee.

Si addensavano sempre più diamanti sul velo oscuro che troneggiava su tutti coloro che sollevavano il capo in una muta preghiera o in un'ammirata osservazione.

Era notte fonda.

 

Un'atmosfera imbarazzata gravava sui due alieni, i quali non si prestavano alcuna attenzione reciproca. I loro piedi si posavano simultaneamente sul terreno polveroso e pieno di sgradevoli pietruzze che provavano a ferirli, invano.

Non proferivano parola, nemmeno i loro sguardi si sfioravano.

 

Jack era concentrato sul ruvido legno di un albero lì vicino – come se temesse l'agguato di qualche criminale.

Minuscole formiche camminavano ordinatamente una dietro l'altra formando una linea dritta che andava a sparire in un cunicolo all'interno del tronco; rigorose e precise come i più esperti dei soldati.

Sogghignò, e ricordi da tempo assopiti vennero alla luce, ricordi vividi e dalle mille sfumature.

Rimembrò quando, lì su Gurao, lontano anni luce dalla Terra, le leggi ferree e gli allenamenti sfiancanti lo provavano e plasmavano il suo corpo e la sua mente, rendendolo infine il pilota esperto qual era.

Anche in quell'occasione Hebina era stata al suo fianco.

Ironia della sorte.

 

« E tu perché sei qui? » Le rivolse la domanda di poco fa.

 

Lei nemmeno s'accorse del quesito appena posto, impegnata com'era a esaminare un lampione poco più avanti – il primo di una lunga scia.

Il grigio metallico li sovrastava, mentre il suo sguardo arcigno e ghiacciato scrutava il mondo attorno a sé.

La donna era totalmente catturata dalla luce cerea e forte dell'oggetto, quindi l'alieno le punzecchiò la spalla e, accertatosi che stesse ascoltando, ripeté la domanda.

 

« Cercavo un posto per allenarmi. Fiona mi ha detto che qui nei dintorni si trovano molti piloti desiderosi di gareggiare, ma forse intendeva solo di giorno. »

 

Replicò lei, una punta di delusione nella voce.

 

L'altro allora si fermò di colpo. Un sorriso sornione gli dipinse il viso, vivide scintille di determinazione venivano sprigionate dagli occhi color rubino.

 

« Beh, si da' il caso che tu ti sia imbattuta nel più abile pilota di Scan2go di tutto l'universo! »

 

Affermò arrogante, indicando sé stesso.

 

Hebina s'illuminò d' improvviso, il ghigno deciso che da sempre contraddistingueva la sua persona prese il posto che gli spettava sulla bocca color malva, la quale ora esibiva una fila di denti di perla – uno un po' più aguzzo degli altri.

 

Una mano afferrò prontamente la macchina che poco prima era celata nella custodia e l'aliena la mostrò con fierezza all'altro, com'era solita fare tempo addietro ogni qualvolta le venisse proposta una sfida.

 

« Quanto siamo presuntuosi stasera! Spero non ti metterai a frignare dopo che la mia Historia ti avrà fatto mordere la polvere!»

 

Eccola, era tornata l'Hebina di un tempo, la donna forte e indipendente che non osava piegarsi nemmeno al più temibile avversario.

 

Indomabile fuoco divampava nelle sue iridi di vetro,

l'identico fuoco che divampò quel giorno in cui il Sole per poco non si spense,

l'identico fuoco che adesso ardeva vivo negli occhi dell'eterno rivale.

 

 

 

 

★ ☆ ★ ☆ ★ ☆ ★ ☆ ★ ☆ ★ ☆

 

 

 

 

Le due auto sfrecciavano l'una accanto all'altra, la gomma quasi si scioglieva sul terreno a volte erboso, a volte polveroso, che sporcava e tinteggiava le ruote con le mille sfumature della Terra.

I giovani fiori, immobili e inquieti, speravano soltanto di non venire violati o recisi dai dischi di pece che tutto promettevo fuorché pietà; guai ad intralciare la corsa dei due piloti.

La luna osservava curiosa quell'insolito teatro che di rado veniva sfoggiato sul pianeta, complice il fatto che i suoi abitanti amavano troppo le proprie tradizioni per lasciarsi andare alla ludica attività così all'improvviso.

 

Con le dita d'argento toccava il metallo lucente dell'auto di Jack, che sfoggiava con grazia eleganti tonalità ametista, in contrasto con le forme spigolose e talvolta asimmetriche della carrozzeria.

Con le unghie di luce graffiava la superficie color smeraldo dell'Historia, la quale non si curava delle pietruzze che si sollevavano seguendo le ruote e cozzavano con il gelido metallo e rischiavano di rovinarne l'incantevole disegno.

Con gli occhi di brillante vegliava sui piloti, sull'ispettore e sulla piratessa, che come cane e gatto s'accapigliarono in passato ma che ora erano uniti da un'unica grande passione.

 

Il vento sferzava le macchine, cercando di fermarne la corsa ma queste testarde fendevano l'aria, chiaro fumo e fiamme lasciavano dietro di sé. Le neonate fiammelle vivevano per pochi effimeri istanti, per poi morire sulle foglie e sui ciuffi d'erba – prima però li bruciavano e li dipingevano di luce, poi li costringevano a spegnersi con loro.

 

Il vento poi giunse ai piloti, e ne colmò gli animi e ne scosse le chiome. Jack non badò alla danza dell'aria, che indiscreta e irriverente gli lambiva il corpo, non tentennò nel momento in cui il soffio tentò di ferirgli lo sguardo color del sangue.

 

Quello stesso sguardo che dipingeva il personaggio di superbia, e taluni lo definivano così un tipo distaccato, serio e ligio al dovere.

Quello stesso sguardo che a volte lo tradiva, quando dalle pupille traspariva il bisogno costante di conforto, di sicurezza, di un qualcuno che comprendesse i tormenti di un uomo che per troppo tempo è vissuto all'ombra del fallimento.

Quello stesso sguardo che ogni volta si chinava, con rispetto si direbbe, dinanzi a un superiore. Ma c'era chi pensava si chinasse per timore, che cercasse un nascondiglio da un pericolo imminente, da una tempesta pronta a travolgerlo.

Quello stesso sguardo che adesso, finalmente, era libero da ogni traccia di male e ora adornava la figura di un abile pilota. Un pilota animato dalla passione e dal solo intento di vincere.

 

Hebina nel frattempo si era persa in quello sguardo, come se desiderasse che un po' di quell'ardore venisse trasmesso anche a lei.

A lei non mancava certo l'ardore, ma ritrovava negli occhi dell'altro una nota di arcano che l'attraeva, una punta di diverso celata nell'insieme, come una pennellata di rosa che si trovasse fuori posto nel dipinto di un tramonto.

Un nonsocchecosa, ecco, che raramente aveva intravisto nelle iridi di qualcun altro. Forse nello sguardo di Fiona quando quest'ultima dava il meglio di sé, forse nello sguardo di Kazuya quando questo era certo di avere la vittoria in pugno.

Eppure era diverso.

 

Non accortasi che la propria mente aveva già raggiunto i variopinti uccelli in mezzo alle nubi, l'aliena perse il controllo della propria auto, che andò a sbattere contro una grossa e nuda roccia, senza che i fili d'erba potessero in alcun modo attutirne lo schianto.

Destatasi infine, Hebina sentì il sangue raggelarsi nelle vene, e corse come una dannata in direzione dell'Historia.

Povera Hebina.

Crollò sulle ginocchia quando vide che il muso dell'auto era schiacciato e accartocciato, il metallo tutto grinzoso e appuntito; i fanali dislocati – solo di poco, per fortuna – e un fumo grigiastro che usciva dal cofano.

Sembrava che quella maledetta roccia fosse stata messa lì apposta, malvagia e scaltra, in attesa che l'auto ci finisse contro.

 

Jack raccolse la propria auto e raggiunse immediatamente la piratessa. Balbettò incerto quando vide le condizioni in cui versava l'altra macchina, non sapeva se fosse più opportuno richiamarla per la sua guida sconsiderata o tentare di confortarla in qualche modo.

 

« Hebina...»

 

« Non infierire!» Sbottò lei.

 

Avvolse l'Historia in un panno di cotone e la sistemò alla bell'e meglio dentro la custodia, dopodiché si sedette a malavoglia su una panchina poco distante, la quale a differenza della prima faceva mostra di uno sgargiante verde scuro. Di certo era stata ridipinta da poco.

 

Lì accanto, un lampione irradiava la figura longilinea della donna, come un guardiano la proteggeva e l'accoglieva sotto uno sguardo di luce che era freddo e caldo allo stesso tempo.

Un cupo silenzio gravava sui due alieni, interrotto solo dal frenetico e incessante ronzare degli insetti.

 

Jack sospirò sconfitto, ma seguì l'esempio della donna e prese posto accanto a lei.

 

« Mi dispiace. »

 

Disse semplicemente, cosciente del temperamento imprevedibile dell'aliena.

Lei non si curò delle sue parole, goffe e imbarazzate sillabe che si muovevano a cavallo dell'aria e dell'insicurezza, dirette alle orecchie puntute di Hebina.

Stille di sale minacciavano di liberarsi dalla spessa barriera d'orgoglio che impediva qualunque scambio tra l'universo – a volte docile, a volte crudele – e l'animo dalle mille sfaccettature.

Stille di sale che non avrebbero mai testimoniato quanto l'accaduto bruciasse nel cuore della donna, quanto tenesse al piccolo oggetto che ora giaceva deturpato tra quattro pareti di metallo.

Stille di sale che mai, mai, avrebbe palesato di fronte a qualcun altro, figuriamoci il suo peggior nemico.

 

Jack sentì spegnersi il fuoco che poco prima irrorava d'energia ogni sua cellula, messo a tacere alla vista dei due quarzi che tremolavano immersi in un oceano di lacrime prossimo all'alta marea.

 

Le labbra color trifoglio rimasero serrate, piegate in una smorfia appena percettibile, ma la mano incauta si posò sulla spalla dell'altra; gli artigli quasi le graffiarono la candida pelle del collo, segno che egli non era pratico di gesti d'affetto.

 

« Mi dispiace. » Ripeté.

 

Lei scosse la testa e sventolò la mano per aria, com'erano soliti fare i terrestri.

Era amareggiata e infuriata con se' stessa, ma ringraziò silenziosamente il poliziotto per essersi curato del suo dolore.

 

« Fa' niente... La farò riparare. » Mormorò abbassando lo sguardo.

 

C'era comunque una nota di rammarico nella sua voce, una minuta goccia di debolezza che era sfuggita all'attenta inquisizione del suo orgoglio.

Nota che, Jack sapeva bene, stonava con l'immagine della piratessa.

Stonava troppo.

 

All'improvviso l'alieno si alzò e si posizionò di fronte all'altra, le mani sui fianchi e uno sguardo inflessibile, risoluto, a tratti intimidatorio.

Si chinò con decisione al fine di fronteggiare Hebina, le cui sopracciglia inarcate fungevano da cornice ad uno sguardo sbigottito.

 

« Questa non è l'Hebina che conosco! » Asserì con tono incerto e al contempo risoluto.

 

« L'Hebina che conosco non si butta giù per simili sciocchezze! Non dirmi che la tua permanenza sulla Terra ti ha rammollito! Tu sei una donna forte e fiera, dov'è finita tutta la tua grinta? »

 

Il fiume di parole s'interruppe nel momento in cui il buon senso di Jack chiamò l'istinto per dargli una sberla, il tutto interrotto solo dallo sguardo indecifrabile di lei.

 

« Jack mi... » Sbatté le palpebre due o tre volte « Mi hai appena fatto un complimento? »

 

Le lunghe ciglia d'inchiostro fendettero l'aria ancora una volta, mentre il sangue veloce e beffardo s'addensava sotto la pelle delle guance.

 

Lui dischiuse le labbra ma da lì non uscì che un sibilo, il quale probabilmente voleva solo sfuggire al tacito tumulto che scuoteva i pensieri dell'ispettore.

Ahimé, anche gli zigomi di lui ora sfoderavano un vistoso vermiglio.

 

Non poté fare altro che sedersi, riparandosi adeguatamente dallo sguardo curioso e indagatore dell'altra.

Jack non era un individuo freddo e calcolatore, questo era certo, ma perché mai uscirsene con un'affermazione tanto avventata?

 

Hebina si sorprese di sé stessa quando avvertì il proprio cuore gioire soddisfatto, si sorprese di quanto il suo amor proprio possa aver gradito il complimento che serpeggiò senza volere fuori dalla bocca dell'extraterrestre seduto accanto a lei.

Perché era stata solo la sua superbia ad averne gioito, giusto?

 

« Intendevo... »

 

Jack si sforzò di eludere il notevole imbarazzo che i suoi occhi palesavano, mentre raschiava nervosamente l'arida terra con un piede. Le parole si rifiutavano di abbracciare il suono e nascere, probabilmente consce del fatto che, se fossero uscite, sarebbero andate a sbattere chissà dove.

 

« Non ti azzardare mai più a darmi della rammollita, intesi? »

Furono invece le parole di lei a rompere il silenzio, e vennero pronunciate con un tono sicuro e a tratti divertito.

 

L'altro si girò subito verso di lei e vide che l'acre nota di avvilimento era svanita dal suo volto, il quale adesso mostrava un sorrisetto compiaciuto e due gemme cariche di fiducia.

 

Il ronzio degli insetti, intanto, sembrava esser cessato.

 

« Comunque grazie. » Proseguì. « Non è da tutti parlarmi in questo modo. Vedrò di sdebitarmi anche di questo. »

 

« Hai altri debiti nei miei confronti? »

 

Jack rispose quasi automaticamente, inclinando il capo come a far trasparire una punta di confusione e di sorpresa.

Per una frazione di secondo lei sembrò esser stata presa in contropiede, ma s'affrettò a dar risposta al suo quesito.

 

« Si, ecco... » Addolcì il tono. « Noi abbiamo passato molto tempo assieme, su Gurao, sulla Terra, un po' dappertutto. Eri sempre lì a fregarmi il bottino da sotto il naso, a dare un senso a quelle giornatacce che altrimenti sarebbero state vuote. Insomma. Ecco.... Ad aggiungere un pizzico di avventura ad una vita altrimenti noiosa e troppo facile. »

 

Tentò di adornare un discorso, a suo avviso senza senso, con dei termini presi da chissà dove.

Di nuovo, il sangue le tinteggiò di vermiglio le guance.

L'atmosfera imbarazzata ora gravava più pesante che mai.

 

« Grazie. »

 

Le sei lettere si librarono con grazia dalle labbra dell'altro, il cui sguardo era incatenato al suolo, quasi a studiare con cura le forme irregolari dei minuscoli granelli di terra e polvere ora addensati su due montagnole.

La bocca curvata all'insù, dalla quale si scorgeva appena una fila di denti di cristallo.

 

« Talvolta ripenso anch'io a quei momenti, a tutte le volte in cui credevo di poterti catturare una volta per tutte, ma alla fine tu fuggivi sempre, dando prova della tua astuzia e del tuo coraggio. Ti ammiro molto per questo, sai? »

 

Lei pian piano si era fatta più vicina, ammaliata dalla voce dell'altro, quasi abbandonandosi alla carezza del suono, a tutte quelle involontarie adulazioni. Lui si voltò verso di lei, ed una forza misteriosa lo costrinse ad avvicinarsi a sua volta.

 

« Jack... »

 

Le loro labbra si sfioravano appena, tutt'attorno il mondo taceva, il vento era muto, l'acqua era immobile.

La luna, invece, luccicava maliziosa, come se fosse consapevole della vera natura di quella forza misteriosa che aveva spinto i due piloti a fuggirsi con lo sguardo e ora a cercarsi con il fiato.

 

Finalmente le loro bocche si unirono, mentre le palpebre velavano la passione nascente nelle loro iridi, mentre le mani si cercavano e l'aria si faceva più calda.

 

I loro respiri si fecero roventi, mentre i corpi si strinsero l'uno all'altro.

Chissà come, finirono entrambi su un manto di smeraldo, ad accoglierli gli stessi steli che poco prima avevano temuto la loro ira.

 

« Hebina... »

 

Il lieve sibilo venne subito messo a tacere dalle labbra che si desideravano e si torturavano, le lingue impegnate in una danza di fuoco e d'amore.

Si mordevano ora con forza ora con delicatezza, come a tentare di strapparsi l'un l'altro la pelle, vinti e dominati da quell'istinto animale che non avrebbe dovuto esserci in quel luogo, in quel momento.

 

Gli artigli di lui ferirono la candida pelle di lei, mentre questa lo stringeva sempre di più a sé, sempre con più fervore.

I fili di cobalto che pendevano dal capo di Hebina si sparpagliarono sconnessamente sul terreno, come le setole di un pennello pregno di colore si sparpagliano sulla tela immacolata.

I respiri si mozzavano a vicenda, con foga entrambi tentavano di liberarsi dal vincolo opprimente degli abiti, le parole morte nelle loro bocche lasciavano che fosse la passione a parlare.

 

Si bramavano e si pretendevano e si stringevano e si amavano, c'era odore d'amore e di erba, di natura e di selvaggio.

Le umide labbra di Jack lambirono la gola bianca di Hebina, e lei permise che la sua lingua esplorasse la pelle e ne apprendesse il sapore.

Inclinò la testa all'indietro di rimando, la bocca semiaperta, mentre uno sguardo colmo di piacere s'incatenava ai brillanti lassù nel cielo, i quali ridacchiavano tra loro e ornavano un immenso cielo d'onice.

 

Un gemito le sfuggì dalle labbra quando Jack sostituì i denti alla lingua, come ad assaggiare la carne di lei, poi risalì di nuovo per avventarsi sulle labbra piene.

Le loro gambe erano strette le une alle altre, i seni di Hebina premuti contro il petto dell'altro, entrambi sembravano pervasi da un arcano potere che li faceva sussultare e sobbalzare.

Le dita dell'alieno s'insinuarono tra le ciocche color notte, tentennò quando sentì la pelle della schiena venire graffiata – quasi lacerata – dalle unghie smaltate della donna. Lei era come aggrappata al corpo del poliziotto, come se fosse l'unico appiglio in mezzo alla tempesta che imperversava nella sua mente.

 

Le gambe snelle cinsero la vita sottile di lui, la piratessa lo guardò, gli occhi al limite della voglia, della disperazione, della fame.

Per quanto il suo cervello implorasse un minimo di lucidità, Jack non si fece attendere due volte, e affondò in lei come se dal suo amore dipendesse la sua vita.

 

Iniziò a spingere, piano piano, poi sempre più veloce, come sapesse da sempre come doveva fare, a guidarlo un amore che finalmente poté fiorire, che finalmente poté scrivere sulle pagine eterne della volta celeste due parole che assieme plasmavano un ossimoro, un meraviglioso ossimoro.

 

Il corpo di Hebina si trovava lì, sulla Terra, sovrastato da quello del suo amante e circondato da erba e fiori, i quali avevano ormai perso la loro innocenza.

Il corpo di Hebina si trovava lì, sulla Terra, ma la sua mente non l'accompagnava, la sua mente era persa, dissolta tra i mille meandri dell'universo.

 

Era bello quel momento, più bello di qualsiasi altro, per quanti simili ne abbia vissuti. Non credeva di poterci finire in quel vortice di passione e di libidine.

Non credeva che sarebbe stato proprio Jack a farcela precipitare.

Non credeva che si sarebbe abbandonata al piacere così facilmente.

 

Era dolce quel momento, più dolce di qualsiasi altro, perché mai ci fu spazio per la dolcezza nella sua vita, un continuo mordi e fuggi era sempre stata la sua vita.

Ora, tra le braccia del suo eterno rivale, Hebina poté finalmente sentirsi libera.

 

Tra gemiti e ansimi, raggiunsero assieme l'apice, prima lui, poi lei.

 

Jack le cadde addosso, sfinito e incapace di porre fine a quel fiume di emozioni.

Hebina ritornò infine sulla Terra, e la prima cosa che fece fu volgere lo sguardo verso il rivale – poteva ancora considerarlo solo un rivale, dopo quello che era successo?

 

Non badò neanche all'espressione che compariva sul proprio volto, sapeva solo che voleva guardarlo, voleva scorgere ogni sfumatura di lui, ogni suo pensiero.

 

Lui ancorò i suoi rubini ai quarzi dell'altra, sul viso indossava amore, sconcerto e le ultime stille di passione che erano rimaste dopo la loro unione.

Si guardarono per interminabili istanti, poi all'improvviso entrambi si alzarono da terra e cominciarono a raccogliere goffamente i propri vestiti.

 

« M-Mi dispiace! » Balbettò Jack, non sapendo come sbrogliare la situazione.

 

« No, no! È anche colpa mia...» Ribatté subito lei.

 

Si rivestirono in silenzio, attenti a non sfiorarsi nemmeno con gli occhi.

Ad un certo punto la piratessa riprese a parlare. E la luna sola sa come dovette fare appello a tutta la propria sfrontatezza per proferire quelle parole.

 

« Ascolta... So che non ci può essere niente tra di noi, non ci deve essere niente tra di noi, ma... Che ne pensi di.... Rifarlo... Qualche altra volta? »

 

L'altro trasalì, non si voltò nemmeno a guardarla, non è lecito sapere quali fossero le emozioni che il suo volto esibiva.

 

« Certo... » Bisbigliò. « Sarà il nostro piccolo segreto. » Si girò infine a guardarla, e le sorrise, un sorriso sincero il suo, un sorriso sincero e anche un po' impacciato.

 

Lei si avvicinò, e incatenò un'ultima volta le labbra alle sue. Entrambi tremavano, nel loro bacio era celata una muta promessa. Una promessa di cui non si sarebbero dimenticati.

 

Poco lontano, nascoste agli occhi dalle possenti querce, due figure facevano capolino. Due giovani donne, una alta, onde di menta che le pendevano dal capo, ed una un po' più bassa, le cui corte spighe di grano erano raccolte in due graziosi codini.

Ora si guardavano, ora guardavano la coppietta che stavano osservando già da molto tempo.

Entrambe avevano le mani a celar le labbra, sui loro occhi sbigottimento e, i lettori mi consentiranno, panico.

 

« S-Sorella? »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dalla cima del Monte Lanakila:

 

FINALMENTE! F-I-N-A-L-M-E-N-T-E!!

Finalmente ho finito di scrivere questa fanfiction!!!

Davvero.

Tredici pagine ragazzi. TREDICI PAGINE.

POSSO MORIRE FELICE!

 

Mi ero dimenticata di come ci si sentisse a scrivere una fanfiction, di come inizi ad andarsene per i fatti suoi nel bel mezzo della scrittura. Devo ammettere che ciò mi è mancato :')

 

Conobbi Scan2Go nel lontano 2011, e seppur nelle vesti di una dolce e innocente fanciulla, sentivo che tra Jack ed Hebina c'era qualcosa, e ora la mia versione di quel “qualcosa” è divenuta la mia fanfiction di Buon Ritorno.

 

Ringraziamenti:

-InsaneMonkey, a cui dedico tutte le anafore :)

-Akeryana, a cui dedico il lemon X)

-Illogico Terrestre, che è l'unica persona che conosco nella vita reale ad aver guardato questo anime. Ammettilo, tutto troppo platonico per te, eh?

-Il Comandante, che è sempre lì a supportarmi e a sopportarmi e ti dedico la parte dello sbigottimento XD
 

  
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