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Autore: Echocide    24/01/2018    1 recensioni
Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un castello splendente, benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era viziato, egoista e cattivo. Accadde però che una notte di inverno una vecchia mendicante arrivò al castello e offrì al principe una rosa in cambio del riparo dal freddo pungente.
Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise del dono e la cacciò, ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la vera bellezza si trova nel cuore.
Il principe la respinse di nuovo e in quel momento la bruttezza della mendicante si dissolse ed apparve una bellissima fata.
Il principe si scusò, ma era troppo tardi, perché lei ormai aveva visto che non c'era amore nel suo cuore e per punirlo lo tramutò in una orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti.
Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l'ultimo petalo, l'incantesimo si sarebbe spezzato.
Con il passare degli anni il principe cadde in preda allo sconforto...
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.099 (Fidipù)
Note: Ed eccomi nuovamente qua con un nuovo appuntamento de La bella e la bestia e, signori e signore, mancano esattamente tre capitoli alla conclusione di questa storia, che ci lascerà nel mese di febbraio. Eh, sembra ieri quando la cominciai, sotto la richiesta insistente di qualcuno. Ad ogni modo, eccoci qua con un nuovo capitolo e...beh, non dico altro.
Detto questo, andiamo come sempre a ricordarvi la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92, mentre per gli altri miei social vi rimando alla descrizione nel mio profilo (altrimenti qui faccio la lista infinita!).
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Si mosse per la casa, attraversandola per tutta la sua larghezza, scuotendo il capo e fermandosi di tanto in tanto, osservando la farfalla candida che volteggiava sopra il tavolo: «Non sei di aiuto» dichiarò, incrociando le braccia al seno e tamburellando le dita sulla stoffa del vestito: «Dovremmo trovare una soluzione, non manca molto al momento in cui l'ultimo petalo cadrà e sai cosa questo significa, no? Lui rimarrà una bestia e tu…beh, diventerai una farfalla a tutti gli effetti.»
L'insetto si mosse, volando in cerchio sopra il tavolo e facendo sbuffare la donna: «Lo so che è tutta colpa mia, non c'è bisogno di rivangare sempre questa cosa» sospirò, avvicinandosi alla porta, afferrando il mantello di lana pesante, appeso e gettandoselo sulle spalle: «Io non so cosa fare, non so proprio come rimediare o aiutarlo a sciogliere questa maledizione: la ragazza era la soluzione, ma adesso…» si fermò, stringendo i lembi dell'indumento contro la gola: «Che cosa posso fare? Come posso…vorrei solo tornare indietro e non dare il via a tutto ciò: parlare con lui, dirgli chi ero e non maledirlo.»
La donna si voltò, alzando appena un angolo della bocca e sorridendo alla farfalla, mentre allungava una mano, l'indice ben proteso mentre le altre dita piegate, guardando l'insetto volare e posarsi vicino alla punta: «Vorrei non aver fatto questo a te» continuò, avvicinando la mano al volto e chiudendo le palpebre: «Ma è tardi per rimediare a tutto ciò. Voglio solo fare in modo che questa maledizione non si compia: ci dev'essere un modo e lo troverò» la farfalla sbatté le ali, agitandosi nell'aria e muovendosi sconclusionata attorno al volto della donna, facendola ridere: «Sono contenta che la mia decisione ti piaccia» dichiarò quest'ultima, aprendo l'uscio di legno e rabbrividendo appena, mentre metteva un piede fuori e affondava per gran parte della scarpa nel fango.
Una nebbia leggera dominava la foresta, allungandosi fra gli alberi e scivolando sopra gli arbusti, mentre l'umido e il freddo le entrava dentro le ossa e un lieve tremore le scosse il corpo, mentre si sistemava meglio il mantello e, un passo dopo l'altro, avanzava nel terreno molliccio, incurante delle macchie e dello sporco che si andava a creare sull'orlo dell'abito.
La foresta era la sua casa e l'aveva vista molte volte in quel modo: le persone comuni, gli umani, la temevano e la consideravano una minaccia, ma per lei nessun mostro si annidava poco distante da lei, protetta dalla foschia che si levava di tanto in tanto.
Si prese il cappuccio del mantello con entrambe le mai, tirandolo sopra la testa e proteggendosi così dall'umidità.
I pensieri vagavano mentre si addentrava fra gli alberi, lo sguardo rivolto verso il terreno, attenta agli ostacoli sul suo cammino: non sarebbe di certo stata la prima volta che finiva con la faccia immersa nel fango per colpa di qualche radice traditrice.
Un sorriso le curvò le labbra, ricordando un avvenimento del genere: era stato per colpa di una radice se aveva conosciuto l'uomo che aveva amato con tutta se stessa. Se chiudeva gli occhi poteva rivivere tranquillamente quel giorno: ricordava il calore del sole sulla pelle, i tiepidi raggi che filtravano fra le fronde, gli odori che le penetravano il naso e la facevano sorridere. Era un momento di quelli dove la primavera cominciava a lasciare segno di sé, nonostante l'inverno non volesse cedere il posto: aveva vagato per la foresta con il naso per aria, assaporando la vita che ritornava; era stata una radice a tradirla, facendola inciampare e rovinare contro un cespuglio. Si era ritrovata immersa di foglie, infangata e, mentre cercava di districarsi dai rami degli arbusti, aveva notato la figura solitaria poco distante da lei.
Un uomo l'aveva guardata con fare curioso, prima di sorriderle e avvicinarsi: l'aveva amato fin da subito, perdendosi in quegli occhi che avevano il ghiaccio e il fuoco assieme, e lo aveva seguito spinta dall'impulsività della sua natura fatata.
Quella stessa che poi l'aveva riportata nella foresta, comprendendo che la vita in un'abitazione completamente umana rassomigliava a una gabbia per lei: aveva abbandonato lui e il loro bambino, nato da quell'unione perfetta, perché era semplicemente fatta così.
Aveva cercato di avvicinarsi di nuovo, attendendo che lui fosse stato lontano per non cadere nuovamente vittima dei suoi sentimenti e, tutto quello a cui era arrivata, non era stato nient'altro che una maledizione al suo unico figlio.
Un essere fatato non poteva essere una brava madre.
Lo aveva compreso in quel momento.
Inspirò, lasciando andare il passato e osservando le mura in pietra che, da tempo ormai, avevano perso la loro guerra contro la natura: il castello sembrava adombrarsi a ogni minuto, l'abbandono e l'incuria regnavano ancora più sovrani.
Eppure, quando la ragazza era stata lì, la maledizione aveva ceduto il passo e la natura aveva ripreso a essere complice di quelle mura, ma adesso il cuore spezzato della bestia non aveva fatto altro che accelerare il tutto e lei non sapeva assolutamente cosa fare.
Non poteva ritrarre la maledizione, altrimenti lo avrebbe fatto da tempo e neanche andare a cercare la fanciulla in una città tossica per lei; strinse le labbra, alzando lo sguardo e osservando le guglie del castello, i tetti appuntiti e le mura quasi completamente coperte dai rampicanti.
Mancava poco. La fine era vicina.
E non sapeva assolutamente che cosa fare.
Sospirò, posando una mano sulle pietre e osservandole mentre si muovevano sotto l'influsso della sua magia, permettendole così di accedere al giardino, continuò ad avanzare, osservando le piante che crescevano incolte mentre la sua mente cercava di ricordare quel posto com'era un tempo: aiuole curate, siepi che creavano percorsi, gazebi e fontane.
L'eleganza e la bellezza era stata ovunque lì.
Si fermò a un gazebo, stringendosi il mantello al petto e osservando la costruzione ora più vicina: non si sarebbe spinta oltre, non voleva avere il timore di incontrarlo, di vederlo e sentire il peso della propria colpa, vedere l'accusa nei suoi occhi.
Era una codarda, lo sapeva bene.
Si avvicinò alla balaustra di pietra, poggiando le mani su questa e stringendola appena, troppa la paura di vederla sbriciolarsi, continuando a fissare quella che, per un breve tempo, era stata anche casa sua. Accentuò appena la presa, lasciando andare poi tutto e portandosi il pugno chiuso al petto, chinando la testa e sentendo le proprie emozioni galoppare selvagge: dolore, senso di colpa, vergogna.
Tutto si mischiava.
Voleva vederlo.
Voleva vedere suo figlio e, al contempo, non incontrarlo.
Incoerenza allo stato puro.
Scosse la testa, tornando a fissare l'abitazione e raccogliendo ogni oncia di coraggio per andare avanti: si voltò e tornò a percorrere le vie trascurate del giardino, diminuendo la distanza fra lei e un possibile incontro con lui.
Che cosa gli avrebbe potuto dire, se lo avesse avuto davanti a sé?
Come avrebbe potuto scusarsi? Con quali parole?
Cosa poteva fare una madre che aveva condannato il proprio figlio?
Si fermò, voltandosi e tornando indietro, i piedi che quasi volavano sul piastrellato dei vialetti, tornando al muro e alla sicurezza che c'era al di là del muro; lo superò e continuò ad andare avanti, finché non fu abbastanza sicura di aver messo abbastanza distanza fra lei e tutto ciò che aveva fatto.
Il suo errore.
«Sono una stupida» si mormorò, poggiando una mano contro il tronco di un albero e lasciandosi andare, inginocchiandosi fra le radici che fuoriuscivano dal terreno, non curandosi di macchiare il vestito o il mantello, e cercando di calmare il proprio cuore.
Alzò la testa, sorridendo appena quando vide la farfalla bianca volare fino a lei: alzò una mano e la guardò, mentre si adagiava con grazia sul suo dito, sbattendo le ali e zampettando fino al dorso della mano; la portò più vicina al volto, sentendo il bisogno del suo conforto e sapendo che non poteva darle altro che qualche movimento: «Non ce l'ho fatta» mormorò, scuotendo il capo e poi poggiandolo contro il tronco con un gesto troppo impetuoso, che le strappò una smorfia di dolore: «Sono una codarda. Una stupida codarda e non so proprio come risolvere tutto questo.»
La farfalla si mosse, volteggiando nell'aria e posandosi sul suo naso, strappandole un sorriso di divertimento: «Dici che tutto si sistemerà? Non ti ricordavo così ottimista» decretò, vedendo l'animale tornare a librarsi nell'aria e poi adagiarsi sulla sua gonna, costringendola a guardare verso il basso: «Hai fiducia nell'amore di quella ragazza per lui, vero? Sei certo che tutto si sistemerà. Sei fiducioso come sempre: anche su di noi eri così e guardarc…» si bloccò, scuotendo la testa: «No, non sono noi. Hai ragione. Voglio credere anche io che tutto si risolverà. Voglio farlo.»
 
 
Marinette osservò sua madre mentre rimboccava amorevolmente la coperta al marito, allungando poi una mano e carezzandogli il volto, sfiorandogli con l'indice i baffoni: «Dorme tranquillo» mormorò Sabine, alzando la testa e incontrando lo sguardo della figlia: «Era così…»
«Stravolto» mormorò la ragazza, annuendo con la testa e stringendosi le braccia attorno al busto: «Pensi ci sia bisogno di chiamare qualche medico?»
«Non credo. Mi sembra in perfetta forma: un po' denutrito e delirante, ma penso sia normale» Sabine annuì con la testa, sorridendo alla figlia e raggiungendola ai piedi del letto, passandole poi un braccio attorno alla vita e poggiando la testa contro la spalla: «Vedrai che starà bene.»
La ragazza annuì, continuando a fissare il padre e poggiando il capo contro quello della madre: non c'era niente di diverso nell'uomo, nulla faceva intendere il suo soggiorno presso il castello e poi chissà dove; se non fosse stato confuso, leggermente delirante, quando era entrato nel negozio avrebbe sicuramente creduto che fosse semplicemente andato a Toulouse e tornato.
«Mi chiedo dove sia stato…» mormorò sua madre, allontanandosi e scuotendo la testa, tornando al capezzale del marito e posandogli una mano sulla guancia, passandola poi fra i capelli corti e lasciandola sul cuscino, accanto al viso dell'uomo: «Che cosa ti è successo, mon chére?»
Marinette chinò la testa, facendo un passo indietro e allontanandosi, sentendosi di troppo e il bisogno di lasciare il momento solo ai propri genitori; ignorata dalla donna, uscì dalla camera e si chiuse dietro la porta, stazionando nel corridoio, non sapendo cosa fare: mosse alcuni passi verso le scale che portavano al piano inferiore, fermandosi e ricordandosi che, dopo l'arrivo del padre, sua madre aveva chiuso il negozio.
Non aveva senso tornare di sotto, in attesa di clienti.
Scosse il capo, voltandosi e avviandosi verso la fine del corridoio e salendo l'insieme di assi di legno che portavano alla sua mansarda; salì lentamente ogni gradino, scivolando con la mano lungo il corridoio sentendo il petto dolerle: andava mal volentieri nella sua vecchia tana, troppo simile all'officina del castello. Quasi si aspettava di trovare Vooxi a borbottare in un angolo e salutarla con quel modo di fare brusco che lo contraddistingueva.
Arrivò alla cima, poggiando la mano sulla porta e spingendola in avanti, osservando la stanza immersa nel solito caos: il tavolino era pieno di strumenti e pezzi di metallo, le mensole alle pareti ospitavano parte dei suoi esperimenti riusciti e non, il pavimento era un campo minato fra casse, viti e quant'altro.
Era il disordine più assoluto.
Si guardò attorno, mentre si avvicinava al tavolo e prendeva un martello fra le mani, soppesandone il peso e picchiando con leggerezza contro il palmo della mano; lo posò nuovamente, dirigendosi verso la finestra e aprendola, lasciando entrare gli effluvi nocivi di Parigi e sistemandosi sul davanzale, tirando su una gamba e poggiando il mento contro il ginocchio, lasciando vagare lo sguardo sui tetti della città.
Il cielo era grigio quel giorno, quasi la quotidianità da quelle parti: le esalazioni creavano quasi un microclima nella città ed erano rare le giornate di sole o di cielo completamente terso; doveva tornare veramente indietro con la memoria, se voleva ricordare l'azzurro alto e i raggi del sole che le scaldavano la pelle.
Al castello di Adrien, invece, immerso nella natura com'era il tempo seguiva il suo naturale corso: aveva amato le giornate di sole che le permettevano di passeggiare nei giardini abbandonati e quelle di pioggia, rintanata nell'officina a chiacchierare con Vooxi o in casa, divertendosi con il resto della servitù sapendo che Adrien la seguiva ogni secondo con il suo sguardo.
Le mancavano tutti.
E poteva quasi sentire il suo petto vuoto senza la loro presenza: non c'era più il sarcasmo di Plagg, la dolcezza di Tikki e Mikko, l'esuberanza di Flaffy, la saggezza di Wayzz o le battute al vetriolo di Vooxi; la musica di Nooro non l'accompagnava e non sentiva più lo sguardo di Adrien carezzarle la pelle.
Era sola adesso.
 
 

 

 

   
 
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