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Autore: Eneri_Mess    24/01/2018    0 recensioni
Anche Keith sarebbe sparito volentieri. O quello, o avrebbe colpito Lance dritto in faccia, in risposta a un istinto di sopravvivenza che gli stava urlando mayday da mesi.
Nonostante avesse il desiderio di evaporare al riemergere di alcuni ricordi poco utili in quel preciso momento, diverse lampadine si accesero, una dopo l’altra, come fosse stato Natale, anche se più simile a un'epifania.
Il modo in cui Lance stava coccolando la maglietta di Shiro, il discorso a raffica su candele, oli, favori chiesti in giro, i progetti per quell’anno… tutto lo sproloquio riguardo all’avergli fregato la stanza e il compagno di stanza…
Anche l’ultima lampadina si accese.
« Ti piace Shiro »
[College!AU]
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cow-t, seconda settimana, M1.
Prompt: Voce
Numero parole: 5528 (senza le parole delle canzoni ovv)
Note: qualcuno stava aspettando questo capitolo e mi dispiace deluderlo un sacco, perché è venuto fuori veramente meh. Rileggendolo cambierei troppe troppe cose, a cominciare da Keith (sorry micio).

Corretta alla come capitava, non sapevo più dove mettere le mani ~





 

.Capitolo 2


(8:46) - HUNK! Dov è la maglietta di Shiro!?

(8:46) - DOV E’!?

(8:47) - Nn la trovo! era nel letto con me!

 

(8:49) - Calmati amico, è a lavare

 

(8:49) - C O S A? xk????

 

(8:49) - non lo stai chiedendo sul serio, vero? Non te la sei tolta pER UNA SETTIMANA.

(8:50) - fuori ci sono ancora 30°

(8:50) - Chiedeva pietà

 

(8:51) - Hunk

(8:51) - HUUUUNK

(8:51) - xk tu fra tutti mi tradisci così…!

(8:51) - l odore di shiro…! Se ne andrà!!!!!!!!

 

(8:52) - l’odore di Shiro mi è riconoscente per la fine dignitosa in lavatrice

(8:54) - Io e Shay siamo da Hot&Sweet vuoi qualcosa?

 

(8:55) - sì un caffè di lacrime calde cn dose x2 di sforzi-inutili-tanto-nn-mi-nota

(8:56) - e sospiri allo shiroppo di mainagioia grazie

 

(8:57) - Caffè con doppia panna e pancake classici. Niente burro? Mirtilli?

 

(8:57) - mirtilli grazie sei un amico…

 

(8:59) - Il migliore ;)


°°°


« Shiro! »

« Ehi, ciao Lance »

Lance attraversò il quadrato di prato a margine del parco affollato per il pranzo, scavalcò il muretto e andò incontro a Shiro. Keith, seduto a gambe incrociate in mezzo ai loro convenevoli, si irrigidì e al suo sguardo contrito il ragazzo cubano rispose con una mezza linguaccia.

« Posso unirmi a voi? » cinguettò guardando solo il più grande con un esagerato sfarfallio di ciglia e ignorando completamente Keith, che sbuffò alla domanda inutile mentre il suddetto si sedeva ai piedi del muretto, sul fianco libero di Shiro, senza attendere assensi.

« Fa come ti pare » si lasciò sfuggire Kogane tra i denti, guardando il sandwich che teneva in mano come se si fosse ammuffito senza chiedere il permesso. Pretendere di far finta di fronte al sorriso smagliante di Lance fu dura, anche solo per capire come facesse ad allargarlo da orecchio a orecchio, mentre scartava il proprio pranzo dalla confezione take-away della mensa. L’aspetto del cibo servito dall’università era sempre una prova di coraggio.

Con la coda dell’occhio Keith però si accorse che gran parte dell’atteggiamento di Lance era simulato; la postura era rigida, la schiena troppo dritta, la mascella congelata e trafficava esageratamente con le dita, cercando di fingere disinvoltura.  

Shiro si girò solo dopo un altro paio di bocconi alla sua insalata salutare, come ci si poteva aspettare da un atleta; non accennò di essersi accorto dei tentennamenti di Lance. In realtà anche lui era parecchio strano negli ultimi tempi, ma Keith era così sovrappensiero a sua volta che quando se ne rendeva conto finiva poi col dimenticarsene, se si ritrovava poi Lance a gravitargli intorno.

« Sopravvissuto alla prima settimana? » domandò Takashi col suo tono cordiale e incoraggiante che Keith conosceva bene - Shiro era la quintessenza di cordialità e incoraggiamento - ma che per qualche motivo gli rimescolò lo stomaco.

Sull’altro versante, Lance dondolò le spalle, come se avesse voluto riempire più spazio di quello in cui si sentiva costretto. O sperando di dare più aria al cervello e fare fronte al vaghissimo rossore sulla punta delle orecchie.

« Sopravvissuto al cento per cento! Nuovi corsi: check. Nuovi compagni: check. Cibo della mensa - alzò il contenitore triste con una smorfia - … check. Ma cibo a parte, tutto noiosamente al solito. Anche se dal nostro dormitorio… perdonami, dal mio ex dormitorio, ci mettevo meno tempo a raggiungere le aule di mediazione » la frecciatina superò Shiro per beccare Keith, che roteò gli occhi e affondò di nuovo i denti nel sandwich. O quello, o una qualsiasi parte esposta della gola di Lance, con decisamente poca pietà e batticuore.

« Mmmh » Shiro, ignaro di essere seduto in mezzo a una guerra fredda, prese il suo tempo per fare mente locale. « In effetti Garnet Hall è a cinque minuti dal dipartimento di Lingue, mentre Sapphire Plaza è dall’altra parte, sbaglio? » concluse, portandosi la cannuccia del succo di frutta alle labbra.

Lance riuscì ad annuire nonostante lo sguardo si fosse incatenato a ogni centimetro del gesto, seguendolo con adorazione lampante - tranne che per l’interessato, seriamente rimuginante sulle distanze all’interno del campus.

Keith si trovò a pizzicarsi forte il ponte del naso con le dita, reprimendo uno Smettila! che premeva per essere urlato dal profondo della gola ora definitivamente chiusa al cibo. Finì col grugnire esasperato, attirando l’attenzione dell’amico.

« Ehi, tutto ok? Mal di testa? »

Keith sarebbe volentieri saltato fuori dalla propria pelle. L’ultima cosa che voleva era essere tirato in mezzo, ma non intendeva nemmeno lasciare i due da soli.

Chiedeva solo di godersi la pausa pranzo, ricaricare le batterie dopo una mattinata lenta e deprimente nella ripresa dei suoi corsi noiosi; da quando era tornato al campus dormiva poco e aveva sperato che Lance non prendesse sul serio la ridicola sfida sull’accaparrarsi per primo Shiro. Non era pronto al casino in cui si era cacciato, sapeva che sotto pressione avrebbe combinato qualcosa di cui si sarebbe pentito.

Ancora, adocchiò Lance come se fosse una calamita per lo sguardo, che lo stava scrutando a sua volta con le palpebre strette e indagatrici. Perché, tra tutti, lui? si chiede ancora demoralizzato.

« Sto bene » mugugnò, rigirandosi il panino tra le mani. « E tre minuti in più per arrivare a lezione non sono un motivo decente per lamentarsi »

« Cosa? Per tua informazione sono cinque minuti in più. Ho dovuto rivedere tutti gli orari di doccia e colazione! »

« Se ti fermi da Hot&Sweet ogni volta è matematico che arrivi tardi »

« Il mio metabolismo richiede energia sana per carburare »

« Sana!? Avrò visto quel santo di Hunk versare tre dosi di sciroppo più del normale su tutti i pancake che l’anno scorso gli hai chiesto di portarti! »

« Lo shiiiroppo d’acero fa bene alla salute! » e nel dirlo, ammiccò in direzione di Shiro, che corrugò la fronte senza cogliere l’allusione. Keith, con un verso strozzato, buttò la testa all’indietro, finendo col dare una capocciata al muretto ma senza sentire davvero dolore. Forse la soluzione era proprio fracassarsi la testa.

« Ci rinuncio! »

« Aha! » Lance saltellò sul posto trionfante, rovesciando parte del pranzo ancora intonso. « Ti arrendi? Dichiari la sconfitta!? » e nel dirlo, inclinò la testa verso la spalla di Shiro, anche se non sembrò spingersi a sfiorarla. Keith divenne un pezzo di legno all’istante, un pezzo di legno con lo sguardo lampeggiante che annunciava guerra.

« Voi due… » Shiro interruppe il loro contatto visivo, mettendosi in mezzo e spingendoli entrambi indietro con una mano ciascuno sulla spalla. Passò lo sguardo dall’uno all’altro cercando di capire quello che gli stava sfuggendo. « Che state combinando? Vi siete sfidati su qualcosa? »

« NO! »

Monosillabico e urlato all’unisono. Keith e Lance arrossirono incassando la testa tra le spalle. Il silenzio fu imbarazzante e totale, soprattutto lì in quel lato del parco del campus più isolato, lontano dai punti di aggregazione pieni di chiacchiere.

« Ok… o voi due nascondete qualcosa o davvero non andate d’accordo » convenne Shiro, un sorriso divertito nel dirlo, ignaro di essere l’oggetto della contesa.

« La seconda! »

Di nuovo, lo dissero insieme e Shiro scoppiò a ridere, facendoli sprofondare in un abisso di rossore.

« Shiro, piantala! Non c’è nulla di divertente » gemette Keith a braccia incrociate, serrate, intorno al petto, che, fedifrago, stava reagendo di più al colore assunto dalle guance di Lance.

A salvare la situazione fu lo squillo - Somewhere over the rainbow - di un cellulare.  

Keith aggrottò le sopracciglia verso la tasca di Shiro.  

« Hai cambiato suoneria? »

Ma Shiro era già balzato in piedi, la borsa a tracolla.

« No, no è… è la sveglia. Mi ero dimenticato che dovevo vedermi con Matt per un progetto » spiegò sbrigativo, grattandosi la nuca con le dita. « Scappo. Ci sentiamo più tardi, ok? E cercate di non scannarvi mentre non ci sono »

Neanche il tempo di una risposta e Lance e Keith rimasero a fissare la sua schiena sparire alla vista in appena tre falcate.

« Mi hai fatto passare l’appetito » si lamentò Lance, osservando la sua porzione di pasta alle polpette scivolata tristemente da una parte della vaschetta in plastica. Un ammonticchio di spaghetti collosi che avrebbe fatto passare la voglia di mangiare a prescindere.

« Io? Sei tu che sei piombato qui a disturbare »

Lance lo punzecchiò con la forchetta di plastica, ricavandoci solo di vederla spezzata nella presa ferrea del moretto. Lo guardò malissimo.

« Ti approfitti della vostra amicizia decennale per flirtarci! »

« Stavamo pranzando » se c’era una cosa che Keith odiava profondamente era l’effetto che Lance provocava alla sua voce, facendola risuonare scandalizzata anche sulle questioni serie.

« E vorresti negare che la situazione non ti faceva comodo!? Seduti vicini, lontano da sguardi indiscreti…! È un attimo che vi mettiate a imboccarvi a vicenda »

Lance si piegò in avanti, riempiendo la distanza che li separava per piantare gli occhi blu nei suoi e a Keith - che dovette ingoiare la rispostaccia - parve di tornare a una settimana prima, alla discussione più folle che avesse mai avuto.

Era ora che cominciasse a rispondere col fuoco o non sarebbe sopravvissuto ai continui attacchi di Lance.

« Punto numero uno, questo è il posto dove ci siamo sempre visti per mangiare, anche l’anno scorso! Secondo, Io non mi approfitto della mia amicizia con Shiro, quindi non tirarla in mezzo »

Lance si lasciò scappare una risatina. « Ne parli come se fosse qualcosa di solido » e mimò goffamente la presa su un oggetto. Gli servirono pochi attimi per interpretare l’espressione improvvisamente immobile di Keith e capire di aver fatto un’enorme gaffe.

« No, aspetta! Scusa, intendevo qualcosa, ecco, da- da toccare… nel senso- »

« Sei un idiota »

E Keith si alzò, piantando in asso Lance con due pranzi smangiucchiati.



 

°°°


- … e quindi ho combinato un piccolo casino. Non so mordermi la lingua quand’è il momento giusto, capite? Uff, mi dispiace, ok? Una canzone per rimediare, ok? Anche se sono sicuro che Mr Mullet acidoso non ascolti la radio del campus e questo è... va bene, basta, per oggi ho detto anche troppo! A voi la più bella canzone sull’amicizia!

 

… Some other folks might be
A little bit smarter than I am
Bigger and stronger too, maybe
But none of them will ever love you
The way I do, it's me and you, boy
And as the years go by
Our friendship will never die
You're gonna see it's our destiny
You've got a friend in me
You've got a friend in me
You've got a friend in me

 

°°°


(14:04) - La nostra canzone amico?

 

(14:06) - scusa hunk, ho combinato un piccolo casino con kitty boy

(14:06) - nn mi è venuto in mente nient’altro…

(14:06) - xò lui nn mi ha fatto spiegare!!

 

(14:06) - Nessun problema (Y)

(14:07) - Con Keith funzionano meglio le scuse di persona però

 

(14:07) - yep, tanto lo so che non la ascolta

(14:07) - la mia musica

 

(14:07) - Intendevo

(14:07) - Asp

(14:14) - È passata Pidge con una usb per te. Ti saluta

(14:14) - E dice che le devi due frappè e i biscotti di tua madre

 

(14:15) - OH! Vengo a prenderla appena finisco!

(14:15) - … i biscotti!!! IDEA!

(14:16) - Stasera via ai botti (e magari a una botta? *w*)

(14:16) - piano b per la conquista di Shiro!

(14:16) - e se non va, ho il piano c ora!

 

(14:17) - … Facciamo che non mi dici nulla, ok?

(14:17) - Ricordati di chiedere scusa a Keith, qualsiasi cosa sia successa

(14:21) - Lance!

 

(14:12) - yep, buddy


°°°

 

Nel frattempo Keith seppellì la testa tra le braccia, ignorando il lento e noioso discorso del docente.

Nell’orecchio, in cui era incastrata una cuffietta rossa, rimbombò prima la voce di Lance, con quel suo accento esotico per cui aveva sviluppato una dipendenza contro la propria volontà, e poi il motivetto di Toy Story.

Non riusciva più neanche a capire cosa gli stesse succedendo. Il collo gli si era scaldato, eppure allo stesso tempo in testa continuava a ripetere il nome di Lance seguito da epiteti molto poco carini.  

Perché i sentimenti non erano un organo fisico? Insomma, perché non poteva strapparseli di dosso come stava per fare con le sue orecchie?

Niente udito, niente voce di Lance e soprattutto niente scuse che sapevano così di… così…

 

… You're gonna see it's our destiny
You've got a friend in me...

 

Di friendzone. Che poi forse, ragionò dopo, la scelta della canzone era solo per parlare dell’amicizia che il cubano aveva insultato, non necessariamente un riferimento a loro due.

Anche perché loro non erano neanche amici
Se non era che aveva imparato a reprimere gli sbuffi sonori durante le lezioni - dopo essere stato cacciato dall’aula già due volte - Keith avrebbe esternato tutta quella situazione a modo suo.

Il supplizio della canzone fu interrotto sul finire dalla vibrazione di un whatsapp in entrata.

Dopo una rapida occhiata al professore voltato di spalle, Keith si chinò a leggere il messaggio.

 

Da: Marmora Club

Ciao Keith, sono Thace.

Sei rientrato al campus?

Se stasera sei libero ti aspetto.

Vieni un po’ prima.

 

La serata poteva ancora riservare sorprese.


°°°


« Hello, hello
Anybody out there? ‘Cause I don't hear a sound »

 

Lungo le pareti correvano in linee sottili tre gradazioni di luci led viola. Sui tavolini, i piccoli lumi erano schermati da vetrini dello stesso colore. Solo il bancone del bar era la zona con più illuminazione, con la scritta al neon No Guts No Glory sopra le file degli alcolici.

Tuttavia, quello che metteva a proprio agio Keith era la penombra, l’atmosfera sospesa, intima e privata. Le persone sedute ai divanetti, che a volte lo ascoltavano, altre lo ignoravano per il sottofondo che era, erano sagome con fisionomie delineate appena dalle strisce di luce, ma per il resto tutte uguali. Tutte con la pelle resa violacea dal riverbero.

 

« Alone, alone
I don't really know where the world is but I miss it now »

 

Si aggiustò sullo sgabello e tirò indietro le spalle. Le strofe lo carezzarono con un tocco non richiesto, avviluppandosi intorno alla bocca dello stomaco. Anche se conosceva le parole gli sembrava di cantarle per la prima volta. Si concentrò sul suono, sulla propria voce, chiuse le palpebre e le labbra fecero il resto.

 

« I'm out on the edge and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough

 

Cause my echo, echo
Is the only voice coming back
Shadow, shadow
Is the only friend that I have »

 

Keith riaprì gli occhi, senza distrarsi dal ritmo del piano poco distante e dalla base nell’auricolare. Non guardò verso i tavolini, non guardò nessuno. Osservò il pavimento, di quel colore tendente al nero da confondere, e le strisce di luce che erano allo stesso tempo decorazioni e l’unica fonte per vedere all'interno del Marmora Club. A volte si perdeva a seguirle, come se lo potessero portare da qualche parte.

In due anni quel locale era cambiato fino a non essere più riconoscibile. Poteva misurarne il volume con gli occhi e trovarlo familiare, ricordare come su quello stesso palco si fosse consumato tutt’altro, come due anni prima la stessa oscurità in cui ora si trovava immerso piacevolmente lo avesse portato sull’orlo dell’autodistruzione.

L’equilibrio era più stabile, il margine di caduta era molto più distante di prima, un ricordo.

Ma non se ne era mai andato veramente.

Richiuse gli occhi.

 

« Listen, listen
I would take a whisper if that's all you had to give
But it isn't, is it?
You could come and save me and try to chase the crazy right out of my head

I'm out on the edge and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough

Cause my echo, echo
Is the only voice coming back
Shadow, shadow
Is the only friend that I have »

 

Tenne l’ultima sillaba e la musica si gonfiò, come una bolla di ossigeno scampata al fondale per correre veloce verso la superficie. Inspirò profondamente nel breve stacco e sgomberò la mente con una volontà imparata nel tempo e nei giorni grigi. Allontanò ancora una volta quella vertigine serpeggiante che si legava a lui come un nastro di raso e lo tirava verso il ciglio. Aveva imparato a esternare tutto attraverso le note, la voce come mezzo con cui sfumare le emozioni negative e togliere loro peso.  

 

« I don't wanna be an island
I just wanna feel alive and
Get to see your face again

I don't wanna be an island
I just wanna feel alive and
Get to see your face again

 

But ‘til then… »

 

La base scese di nuovo. Colse le sagome, le ombre in un tutt’uno.

Ma stava bene. Davvero.

Continuava solo a osservare quel baratro da cui era stato tratto via. Si era allontanato, aveva ritrovato un posto suo, al sicuro. Quanti passi lo separavano però dal cadere di nuovo?

Abbastanza?

Perché continuava a fissare l’oscurità?

 

« Just my echo… my shadow »

 

Si umettò appena le labbra.


« You're my only friend and…

 

I'm out on the edge and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough

Cause my echo, echo
Oh my shadow, shadow »

 

Il suono del pianoforte si diradò, calando e scemando in punta di piedi.

Keith strinse il bordo dello sgabello con la sensazione di un vuoto intorno alle spalle, quella sensazione di un abbraccio finito che conosceva molto poco.

Riaprì gli occhi e i volti che quella sera costellavano il club erano privi di contorni definiti, e il palco era molto più largo del solito, tra loro, e così buio dove terminava.

Si aggrappò all’ultima nota.

 

« Hello, hello
Anybody out there? »

 

Ci furono applausi, molti più di quelli che ricordasse dall’ultima volta e che trassero Keith fuori da qualsiasi limbo in cui si era calato. La bolla d’aria scoppiò infrangendo la superficie e il respiro nei polmoni parve più fresco, rigenerante. Almeno per un po’.

Accennò un ringraziamento con la testa e un sorriso impacciato. Thace gli aveva suggerito in più occasioni di provare con un grazie pronunciato, ma la parola gli si incastravano in gola ogni volta.

Il pianista si complimentò con un assenso prima di riprendere a suonare un sottofondo per riempire il silenzio che seguì la fine dei complimenti. Keith lasciò il palco per infilarsi dietro la porta “Staff Only”, mentre la serata, frammentata di musica e chiacchiere, riprese.


« Ehi »

Thace lo accolse dietro il bancone del bar con uno dei suoi sorrisi che erano più occhi che angoli di bocca. Era uno sguardo che creava in Keith un misto indefinito, un tiepido calore avvolgente e l’idea nelle orecchie di un “ben fatto” pronunciato con quello che la prima volta gli aveva fatto pensare a come doveva essere detto da un padre vero.

Finendo di legarsi il grembiule, Keith rispose con un assenso del capo. Non era giusto dire che avesse la gola secca, ma più occlusa, come se le pareti della laringe fossero state tirate verso il basso dallo stesso nodo che sentiva al petto. Aveva ancora le note di Echo a rimbombargli nelle orecchie, eppure aveva anche l’idea di essere estraneo al proprio corpo, la mente proiettata ovunque ma non lì con lui.

« Questo lo offre la casa » e Thace spinse un bicchiere tumbler basso pieno un dito sotto l’orlo di un cocktail rosso, con un rametto di timo a spuntare dal bordo. I cubetti di ghiaccio cricchiarono nel movimento.

Keith lo guardò dubbioso.

« Io non bevo »

C’era qualcosa di divertito e paziente nell’espressione di Thace, che diceva Lo so, ti conosco.

« È analcolico »

Le gote del ragazzo si colorarono di rosa, ma il riverbero delle luci soffuse lo mitigarono nello stesso viola che pervadeva il resto del locale.

Il sapore dolciastro delle more e dei lamponi fu il primo a scivolarsi sulla lingua. La punta del limone arrivò come un retrogusto a chiudere la scena, una punta acidula attenuata dallo zucchero. Keith ne mandò giù un secondo sorso generoso, come un antidoto al groppo in gola. Il fresco del ghiaccio lo rilassò, ma si accorse che fu anche l’unica cosa rimasta nel bicchiere.

« Uhm… grazie » disse - e avrebbe voluto aggiungere un era molto buono.

Dall’espressione faceta con cui Thace distolse l’attenzione quando Keith si asciugò le labbra col dorso delle dita si capì che aveva colto il sottinteso senza problemi.

« Hai cantato con molta intensità. I clienti non avevano orecchie che per la tua voce » esordì di nuovo, occupato a preparare un’ordinazione.

Keith si perse a seguire i movimenti precisi con cui misurò e mescolò gli ingredienti del cocktail, piuttosto che elaborare l’osservazione. A Thace non sfuggì. « Un’estate lunga? O c’entra il ragazzo di cui mi hai confessato l’ultima volta che ci siamo visti? »

Colpito.

Lo sguardo di Keith saetò altrove, le labbra, gli zigomi e la fronte piegate in un’espressione combattuta tra un’infelicità generale e un marcato disappunto personale. Da quanto era diventato così sentimentale?

Quando arrivò a passarsi le mani sulla faccia, Thace capì di aver non solo colpito ma anche affondato. Ma prima di incalzare una seconda domanda attese che fosse il ragazzo a parlare.

« … riguardo quel mio… sfogo - e arrossì ancora, fissandosi le punte delle scarpe eleganti - non ero molto… in me »

L’ultima settimana della fine del primo anno era stata la più lunga e pesante (e calda) per Keith. Esami, impegni e un gomitolo di sentimenti intrecciati senza logica lo avevano portato all’ultimo giorno di lavoro al Marmora ad avere una crisi di nervi senza precedenti, a chiudersi nella stanza dello staff mezzo svestito e meditare con la faccia tra le dita su cosa avesse fatto di male nella vita per innamorarsi di Lance McClain.

La scena era così assurda che l’imbarazzo era scivolato da parte, tra un grugnito di Antok e la concisa esortazione di Kolivan, il proprietario del club, a parlarne con qualcuno. Che era suonato più come un imperativo categorico che un consiglio mirato.

E Thace era venuto a cercarlo al momento giusto. O sbagliato, a seconda dei punti di vista. Così ora era anche l’unica persona a conoscenza del suo problema - come si ostinava a definirlo Keith.

Nemmeno Shiro ne sapeva nulla, più per una questione di tempistiche e poi di strenua negazione dell’evidenza da parte di Keith. Meno ne parlava, meno ci pensava, più aveva idea che il problema si sarebbe prosciugato, rinsecchito fino in ultimo a sgretolarsi in polvere.

Sfogarsi con Thace era stato un incidente di percorso. E il fatto che ogni tanto un pensiero su Lance diventasse assillante quanto il soggetto stesso e lui sentisse il bisogno di buttarlo fuori con l’unica persona testimone del suo disagio, era solo un istinto da sopprimere come tutto il resto. L’unica cosa in cui fosse riuscito fino a quel momento era tenere segreto il nome di Lance. Pronunciarlo era un tabù. Pronunciarlo significava dare una nuova scossa di defibrillatore al sentimento che strenuamente cercava di soffocare.

Si era preso una sbandata per Lance, ma sarebbe tornato sui propri passi presto o tardi.

La sfida partita tra loro due sulla conquista di Shiro - e rabbrividì di nuovo al pensiero - era un altro maledetto incidente di percorso. Non c’entrava nulla con i suoi sentimenti o su come il petto diventasse di cemento ogni volta in cui li coglieva vicini - o li immaginava vicini. Si ripeteva che avevano passato un anno come compagni di stanza, che il loro modo di interagire fosse dettato da un’intesa dovuta alla convivenza. Shiro non ricambiava Lance. Non poteva ricambiare Lance.

« Ragazzo, ti fuma la testa »

La voce di Thace lo riportò coi piedi per terra. Si tolse le dita dai capelli come se avesse preso la scossa, e poi ce le ripassò per darsi una sistemata. Aveva finito con l’estraniarsi e farsi incastrare di nuovo dai fili dei suoi sentimenti. Guardò Thace e sentì addosso il suo sorriso incoraggiante. Parlò prima di realizzarlo.

« È un cretino. Continua a insistere su questa storia della stanza! Dice che gliel’ho fregata quando è lui il cretino che non scrive le preferenze sul compagno di dormitorio! Di una cosa importante come quello che è successo alla festa di inaugurazione del nuovo anno invece non ha detto… niente! Non ha detto niente. Neanche una sillaba. Credevo mi avrebbe… credevo fosse... arrabbiato, che volesse discuterne. Invece si è comportanto come se non gliene fregasse nulla. Forse è stata una cosa così ridicola per lui che l’avrà già dimenticata » il tono si era smorzato, infiacchito sulle sillabe. Un’espressione fugace, tormentata, gli strinse la linea degli occhi prima che riprendesse, preda di un secondo pensiero prepotente che ridiede verve alla sua voce. « Invece va in giro con la maglietta di Shiro e… - esalò, gli occhi spalancati e le mani scattarono di nuovo, gesticolando - e gli piace Shiro. A Lance piace Shiro. Non può succedere! Loro due non possono- loro non- »

La mano di Thace gli strinse la spalla. Per la seconda volta Keith tornò al presente, accorgendosi appena di aver farfugliato a ruota libera e gesticolato colpendo il bicchiere del cocktail, rovesciandolo ma senza fare danni.

Thace era accigliato, abituato a sentire i suoi clienti alticci incespicare nelle parole e profondersi in discorsi senza senso. Keith aveva la faccia di uno che si era rigirato nel grattacapo così tanto da rimanerne impigliato, sospeso e con le mani legate. Eppure la soluzione non era così lontana - o drammatica - come credeva. Iniziava con un nome.

« Quindi si chiama Lance »

Fu come accendere la luce in cucina e beccare un bambino con le mani nella biscottiera.

Keith raddrizzò la schiena e incassò la testa. Prima che potesse boccheggiare qualsiasi cosa, Thace riprese.

« Tra di voi è successo qualcosa? » era una domanda piana, ma suonò come un’affermazione che, se possibile, scosse ancora di più la corda precaria su cui il ragazzo cercava di camminare sospeso su una vasca di piranha con la faccia del cubano.

Le spalle di Keith si afflosciarono.

« Si… no » guardò un po’ ovunque, prima di tornare a fissare il barista. « Era ubriaco… »

La pazienza sembrava sconfinata nella figura di Thace, nonostante sospirò e lo ricambiasse con occhi che conoscevano bene i propri polli. « Gli hai chiesto cosa ricorda? »

Keith avampò tanto che per un attimo sembrò dovesse prendere fuoco in cima alla testa.

« Io e… - pronunciò Lance nella sua mente e fu abbastanza - lui non parliamo » le sue mani si mossero nell’aria come se avessero potuto mimare qualcosa che a parole non prese subito una forma concreta. « Non siamo… amici. Siamo… » e il fatto che non trovasse la definizione per concludere la frase lo sconfortò, facendolo riflettere su come in effetti lui e Lance non fossero un bel niente. « … al momento siamo rivali » disse infine con un prurito fastidioso tra le scapole.

Thace lasciò andare una risatina prima che Ulaz lo richiamasse al lavoro.  

« Rivali in cosa? » ripeté divertito, tornando alle ordinazioni. « Mi darai i dettagli più tardi. Tieni »

Keith fu grato del vassoio che gli fu messo tra le mani e della sollecitazione a portare le bevande dall’altra parte del locale.


°°°


Keith si fermò davanti la guardiola, esibendo il tesserino studentesco e beccandosi da parte del custode uno sbadiglio e un gesto che lo sollecitava a muoversi.

Era l’una e le uniche luci accese del dormitorio erano quelle di cortesia e dei segnali “uscita di emergenza”.

Salì i due piani per il corridoio della sua stanza accompagnato solo dal rumore dei suoi passi e dei portachiavi che sbatacchiavano a ritmo. Ogni tanto c’era qualche chiacchiera sommessa o un forte russare oltre le porte chiuse, ma nulla che minasse i suoi pensieri.

In testa aveva sprazzi di riflessioni, ma così a bassa frequenza, dato il sonno, che per quanto ne cogliesse qualcuna, il significato scivolata via al gradino successivo. Stava cercando di ricordarsi gli orari delle lezioni dell’indomani, e insieme le parole di alcune canzoni, ma la verità era che voleva affondare la faccia nel cuscino e lasciar perdere tutto. Soprattutto la voce di Lance nella testa. Gli sembrava di sentirla sempre e ovunque.

Fu davanti la porta della camera, mentre rovistava alla ricerca della chiave, che il suo istinto lo svegliò.

Crucciando la fronte davanti alla lavagna appesa sull’uscio - dove qualcuno aveva corretto la scritta “The boys are back, Shiro & Keith ← usurpatore!”, sicuro a opera di un insospettabile ragazzo cubano - l’udito colse dei mormorii e vaghi movimenti. Il cigolio di un letto e toni soffocati.

Stralunato dalla stanchezza, la chiave ferma a mezz’aria, Keith stette imbambolato a registrare le informazioni, quando un urletto troncato a metà lo fece scattare sul posto.

Lance.

Era davvero la voce di Lance. Non lo stava immaginando. Proveniente dalla camera sua e di Shiro.

Fu talmente rapido a spalancare la porta che neanche si rese conto di aver infilato la chiave. Qualsiasi mormorio tacque, ma la camera era completamente al buio, fatta eccezione per un barlume artificiale dal lato di Shiro. Dal letto di Shiro.

E due facce lo fissarono ricambiando la medesimo sorpresa sul suo viso.

Keith accese la luce, impietoso.

Lance, sempre il più rumoroso, imprecò strizzando gli occhi, mentre Shiro se li coprì con il dorso della mano.

Il Che state facendo!? si impigliò nelle corde vocali di Keith quando constatò che i vestiti erano al loro posto, addosso ai due. E che i due stessero sopra le coperte, apparentemente solo intenti a guardare qualcosa dal portatile. Già questo bastò a decelerare un poco il tumulto che aveva nel petto.

« È tornato l’unno! » borbottò Lance con ancora gli occhi strizzati per la troppa luce, le braccia incrociate e l’aria indignata di una dama. Il filo di una cuffietta partiva dal suo orecchio sinistro e si incontrava con quello che scendeva dal destro di Shiro. Quest’ultimo mise in pausa qualsiasi cosa stessero vedendo, risistemandosi più dritto sul letto.

« Che state facendo? » sbottò in fine Keith, incerto se fissare il compagno di stanza o chi lo accusava di essere un “usurpatore”. Era l’una di notte e quei due stavano vedendo un film? Seriamente? Perché stavano vedendo insieme un film?

« Stavamo continuando una serie che avevamo interrotto l’anno scorso » spiegò Shiro, rispondendo direttamente ai suoi silenziosi dubbi. « Mi sono dimenticato di avvertirti » aggiunse, togliendosi la cuffietta dall’orecchio, per poi guardarlo da capo a piedi, curioso. « Tu invece dove sei stato? »

Nonostante l’occhiataccia indispettita di Lance non lo abbandonasse, Keith sentì le gambe tornare a rispondergli  dopo il falso allarme; si mosse, chiudendosi la porta alle spalle e buttando lo zaino sul proprio letto. Improvvisamente si sentiva arrabbiato, messo da parte.

« Al Marmora » replicò con una nota rigida mentre si toglieva la felpa leggera, rimanendo con uno smanicato nero la cui stampa era così rovinata che si capiva a malapena il nome della band. « Mi sono… anch’io mi sono dimenticato di avvertirti » borbottò trafficando per liberare le lenzuola dai libri e dalle altre cose buttate a caso. Sentiva gli sguardi di entrambi sulla schiena ma l’ultima cosa che voleva era rivolgere loro lo sguardo e rischiare che capissero i pensieri che aveva per la testa. Tutti e due erano bravi in questo, Shiro perché lo conosceva da una vita, Lance perché era una delle persone più empatiche che conoscesse, quando non era un cretino.

Fu proprio quest’ultimo a schiarirsi la gola e rimarcare la propria presenza. Le spalle di Keith guizzarono involontariamente.

« Noi stavamo finendo di guardarci Doctor Who, prima che ci interrompessi »

« Chi? »

Lance scimmiottò il suo chi con una mano a mo’ di becco e come se fosse la risposta più ovvia si indicò la maglia con la scritta I’m just a Mad Man with a Box e il disegno di una vecchia cabina blu.

L’espressione disorientata di Keith parlò per lui e Shiro, spostandosi sul bordo del letto oltre Lance, sorrise un po’ imbarazzato. Anche lui aveva una maglietta a tema, nera, con scritto Bad Wolf in un carattere che colava imitando della vernice fresca su un muro.

« È una serie tv inglese sulla fantascienza. L’anno scorso l’abbiamo interrotta prima per gli esami e poi per via dell’estate, ma è… bella. Ti prende » sembrò non trovare il termine giusto con cui descriverla, le gote accennate di rosa acceso.

« E stavamo finendo un episodio piuttosto creepy prima che piombassi a disturbarci. Hai spezzato tutta la suspance! Gli angeli stavano per attaccare Amy! »

Keith lo ascoltò a metà, preferendo per una volta dare retta alle proprie priorità. Sentì le parole nascergli dal fondo dello stomaco prima che dalla testa.  

« Scusa tanto se sono tornato in camera mia »

Lo sguardo di Lance si assottigliò.

« Quindi lo ammetti! »

« Che è la mia stanza? Sì! E sono stanco, voglio andare a dormire. Conosci l’uscita »

« Sei un ladro di cam- »

« I toni » la voce di Shiro, più profonda, li ammonì e li quietò all’istante. Era pur sempre mezzanotte passata. « Lance, finiamo un’altra sera, va bene? Non avevo visto l’ora » e nel dirlo abbassò definitivamente lo schermo del portatile per poi alzarsi e sistemarlo sulla propria scrivania.

Lance fissò malissimo Keith, mimandogli con le labbra sei un guastafeste. Il moretto era ancora troppo sulle spine per la vicinanza tra loro due, per come si muovevano a pochi centimetri ma senza urtarsi, come se conoscessero bene lo spazio l’uno dell’altro. Con la testa così fissata non riuscì a elaborare una contro-risposta e finì solo con l’incrociare le braccia al petto e accennare di nuovo all’ospite la porta.

Lance terminò di risistemarsi, agguantò la propria borsa a tracolla e si accinse a uscire. Guardò solo Shiro, con un sorriso complice che non includeva neanche per sbaglio Keith.

« Devo sapere che cosa sta combinando River, non facciamo passare troppo tempo, ok? »

Shiro ricambiò l’attenzione con un’espressione che parve riflettere quella di Lance, come due amici e un qualcosa solo loro.

« Contaci. Buonanotte »

« ‘Notte! »

E la porta si chiuse mentre Keith veniva fulminato dalla consapevolezza di non aver mai tenuto conto del rapporto che poteva esserci tra Shiro e Lance dopo un anno passato a condividere la routine del dormitorio.

Erano stati compagni di stanza per un intero anno. Avevano dormito, studiato, mangiato insieme… non potevano essere semplici conoscenti.

Il sonno gli passò quasi del tutto, sostituito da vocine insistenti che per tutta la notte rimarcarono l’ovvio, ossia che se il cubano si era preso una cotta per il più grande, qualcosa poteva essere successo.

   
 
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