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Ogni mattina mi alzo che son già
stanco,
ogni mattina mi alzo già fiacco,
a ventiquattro anni mai avrò
autonomia,
alla mia età l’autonomia è solo una
bugia,
che poi parlano di matrimoni,
e chi vuoi che si sposi
se gli affitti sono esosi,
se la gioia ha il sapore dei sogni,
se sembra appartenere al mondo dei
sogni.
La nostra generazione sarà
l’ultima a ricevere qualcosa dai
propri genitori,
ma dimentichiamoci i valori,
tutto il resto cos’è, forse verità?
Una verità è che la mattina ci si alza
e prima ancora di bere il latte dalla
propria tazza
il padrone già ti chiama.
Ho un padrone che mi chiama,
ad ogni ora bussa nella mia testa,
la mente mi sta andando in fissa,
lesta,
che non sei indispensabile per
nessuno,
tutti ti butterebbero nel cestino di
turno.
La paranoia
come compagna, nella noia
di una società in cui non mi pare di
rispecchiarmi,
in cui non sono capace di adattarmi,
poi cominciano a parlarmi di
elezioni,
puntuali come se fossero lezioni,
tanto il mio voto a cosa conta?
Ogni politico che ha un vizio
poi se ne fa un bel vitalizio,
pago le tasse per incrementare la
rendita
di gente che vive a spese degli
altri,
a spese dello Stato,
a spese di ogni povero malcapitato
che alla mattina si alza con gli
occhi che sono come fari,
dal tanto che sono allucinati,
dal tanto che sono frustrati.
Il giorno in cui compio ventiquattro
anni
è anche quello in cui mi prometto di
non fare più danni,
che poi tanto non ho modo di firmare
un contratto di sei mesi,
sei mesi a cinquecento euro mensili,
come missili,
come il tempo necessario a far
crescere le messi,
e pensare che mi sento così solo,
che non ho voglia di fare niente,
che il mio sesto senso è così solo,
e non ho voglia più di fare un
accidente.
Alla mattina non mi vorrei svegliare,
a letto me ne vorrei restare,
ad ogni ora vorrei osservare il
cielo,
che di notte è così nero, bello,
limpido,
livido.
Il giorno che compio ventiquattro
anni
è anche quello in cui scopro i miei
limiti;
sono come cani,
nella mia mente si rincorrono e
scodinzolano, vani,
sono i miti
di un’esistenza pura e sincera,
quando il mio cuore è già una
pozzanghera di cera,
sciolta al calore delle menzogne,
che piovono dal cielo come castagne,
profumo di caldarroste,
carine e toste,
profumo di bignè
mentre si sorseggia un tè.
Ho il corpo da uomo e la mente da
ragazzino,
una testolina da ronzino,
da ronzio,
meriterebbe subito un vitalizio,
anzi, due vitalizi,
perché ho molteplici vizi,
e per mantenerli bisogna spendere,
e non lasciare sempre da pagare.
Quando mi sveglio
mi sembra suoni l’adunata,
radunata
nella mia testa
tutta la frivolezza del silenzio,
e se apro bocca mi dicono che devono
studiare,
e al loro futuro devono pensare,
e pure se mi viene da sbadigliare
sembra che il mondo intero si debba
arrabbiare.
Non suono alcuno strumento,
non mieto il frumento,
convivo solo con la noia
esistenziale,
che ha un sapore micidiale,
giuro che sa di bile.
Mi fa star male,
mi fa inabissare
nel mio dolore personale,
mi cullo su un dondolo,
tanto sono solo,
gli altri li ignoro
per il giorno intero.
Vorrei solo saper uscire
dal mio limbo di inerzia,
avere ogni tanto una buona letizia
che possa anche solo farmi
rallegrare.
NOTA DELL’AUTORE
Una poesia davvero triste, che ho
scritto qualche giorno fa, durante un momento di profondo avvilimento. Siccome oggi
è il giorno del mio ventiquattresimo compleanno, pensavo stesse bene
pubblicarla oggi, anche se non mi rispecchio già più nella valanga di parole
senza speranza di questo componimento.
Spero solo vi abbia tenuto compagnia,
a modo suo… grazie di cuore ^^