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Autore: Restart    26/01/2018    0 recensioni
2003
Sarah Habbott ha vent'anni ed è all'inizio del suo ultimo anno alla Queen Mary.
Non ha ancora deciso che lavoro fare, che vita cominciare.
Ha un'ipotetica vita da favola, ma in realtà non è tutto rose e fiori. Soprattutto quando viene a sapere che al posto della sua adorata professoressa di letteratura è arrivato uno sfigato epico, uno che va a giro in bicicletta, che ha un ridicolo accento scozzese e aspetto piuttosto insipido.
Nessuno sa il suo nome, si conosce solo come Il Professore.
Ma in lui c'è qualcosa di molto più profondo, che Sarah scoprirà man mano che il tempo passa.
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sarah – Damien Rice, The Blower’s Daughter
2003
«Allora? Non mi racconti niente della tua uscita domenicale col prof?» sussulto perché non l’avevo sentita arrivare, lei e il suo passo felpato. Cat scuote la testa all’indietro e la cascata di capelli biondi ondeggiano freneticamente davanti alla sua schiena, poi mi guarda ammiccando ad un sorrisetto malizioso.
«Shh, abbassa la voce» la ammonisco, continuando a sistemarmi un po’ il trucco.
«Okay, scusa, ma io voglio sapere cos’è successo. È passata quasi una settimana e tu non mi vuoi dire niente» acconsente, avvicinando il suo viso al mio e obbligandomi a fermarmi.
«Cat, abbiamo lezione adesso, ne parliamo dopo»
«Non me lo vuoi dire! Ah! C’è qualcosa che nascondi!?» scuoto la testa vigorosamente, ma a lei questo non basta. Vuole tutto il resoconto dettagliato, da buona ciacciona. «È una promessa?» mi chiede sbattendo un paio di volte quelle ciglia lunghissime e bellissime.
«Ma cosa? Io non ti ho promesso niente»
«Che me lo dici dopo. È una promessa?» annuisco stancamente e lei torna a sorridere. «Andiamo a lezione, via».
Non riesco a sopportarlo. In realtà non è che non riesco proprio a sopportarlo, né proprio lui. Ma non riesco a sopportare questo mio dissidio interiore. Mi spiego meglio; vorrei tanto adorarlo, ma c’è una parte di me, che punta i piedi e mi impone di odiarlo prepotentemente. E io non vorrei, veramente. Perché ha una passione immensa per quello che insegna, la letteratura, l’arte e professori come lui sono gemme rare. Ma al contempo non sopporto il fatto che si sia fatta quest’idea sbagliata di me. Cioè che sia un pezzo di ghiaccio e che quindi i miei scritti ne risentano. Non voglio finire l’anno come una studentessa mediocre. Il mio grande orgoglio m’impone di dare sempre il massimo e quando prendo una valutazione che sia inferiore a quella a cui pensavo ci rimango enormemente male. Son fatta così, purtroppo. Testarda, e orgogliosa fino all’osso.
«Sarah? Che fai, non vai a pranzare?» la mano del professore mi ondeggia davanti agli occhi. Mi risveglio come da un sogno. Improvvisamente quella tiepida bolla in cui mi ero rinchiusa a rimuginare, scoppia. «Stai bene?» sbatto un paio di volte le palpebre e finalmente riesco a mettere a fuoco.
«Ehm, sì, grazie» rispondo piano, iniziando a mettere i libri e i quaderni dentro la mia borsa di tela rossa. Il professore torna alla cattedra, ma sento il suo sguardo ancora puntato addosso. «Le succede spesso questa specie d’“imbambolamento”?» mi chiede mentre sistema le sue cose dentro la consunta valigetta in pelle.
«A volte. Inizio a pensare a molte cose e mi estranio dal mondo reale. Faccio digressioni su digressioni e alla fine mi sembra di essere dentro una bolla inaccessibile al mondo» abbozzo un sorriso, fermandomi un secondo per guardarlo negli occhi. Mi osserva tristemente, con le sue iridi azzurre puntate sul mio volto.
«Succede anche a me a volte» dice a bassa voce. «Esco per quelli che sembrano solamente pochi secondi, invece possono essere ore intere. Mia moglie non lo sopporta questo mio atteggiamento» conclude, arricciando le labbra in un sorriso amichevole. C’è un po’ di silenzio tra noi, ci limitiamo a fissarci negli occhi, ma alla fine lui decide di parlare. «Domenica prossima stesso allenamento, stesso posto?» e io mi limito ad annuire in silenzio. Non dice altro e se ne va, gettando uno sguardo al mio viso per l’ennesima volta prima di varcare la porta.

«Okay, hai un quarto d’ora per parlare prima che arrivi Matt» mi avverte Cat tra un morso al suo sandwich e l’altro. «Spara tutto».
«Okay, va bene, mi arrendo» mi schiarisco un paio di volte la voce prima di cominciare. «Siamo stati un po’ sul Millennium Bridge e abbiamo parlato un po’ e mangiato le noccioline quelle che ti piacciono tanto. Poi mi ha portata a vedere l’Amleto al Globe». La vedo sorridere, con gli occhi che le si illuminano. Lo fa sempre quando viene a contatto con un gossip interessante.
«Che bello! Tu adori quel posto! Oddio sembra un vero appuntamento!» stilla stringendo i pungi vicino al suo viso. Mi scappa una mezza risata nel vederla così.
«Sei fuori come un terrazzo» le dico, ma lei pare non farci troppo caso. Alza le spalle e dà due grandi morsi al suo panino.
«Poi dell’altro mi racconterai un’altra volta, okay? Quando sarai più pronta» sussurra, senza nemmeno guardarmi, perché i suoi occhi sono concentrati sul sandwich che tiene in mano. Io non riesco a rispondere, boccheggio solamente. Come fa a sapere di Nathan? “Mi conosce fin troppo bene” è la risposta.
«Come fai a saperlo? Io non te ne ho accennato» puntualizzo. Lei finalmente alza lo sguardo e mi fissa negli occhi.
«Ti ho visto Sarah» risponde semplicemente, ma c’è un po’ di durezza nella sua voce. Come se mi stesse rimproverando. «Non fare idiozie. Mike è un ragazzo d’oro, saresti una cretina a fartelo scappare. E io non aggiungo più niente perché sta arrivando Matt.» Cambiò velocemente espressione e sul suo volto apparve un dolce sorriso sognante, un sorriso che dedica solamente al suo ragazzo.
«Ciao bellezze» si siede accanto a Cat e si sporge per darle un bacio sulla guancia. «Che mi raccontate?». Potrei anche iniziare a parlare, ma la mia amica mi ferma e inizia a blaterare di idiozie varie, cose come feste, riunioni, un monte di roba da studiare. Sono nella loro bolla felice, la stessa che io uso per estraniarmi dal mondo esterno, ma più bella. Finisco il mio panino e la mela mentre loro non mi degnano neanche di uno sguardo. Se ne stanno lì a rimirarsi, a parlare delle loro cose, a darsi due baci ogni tanto. Che brutto fare il terzo incomodo. Vorrei che Michael fosse qui, vorrei anche io qualcuno da abbracciare e sbaciucchiare durante la pausa pranzo. Invece mi trovo con quattro amici, tutti fidanzati e io sono il quinto incomodo. Almeno Seb e Lily ora non ci sono.
Li saluto frettolosamente, inventandomi la scusa del bagno e mi dirigo verso la aula della prossima lezione.

Quel pomeriggio vado a giocare a basket con Mike, anche se in realtà non ne ho molta voglia. Lui, invece è carico e per la prima volta mi straccia.
«Bellissima, che hai?» mi chiede baciandomi sulla guancia. Io alzo le spalle, per fargli capire che non è niente, ma so che non è niente. Mi sento questo strano rimescolio allo stomaco da stamattina, ma non riesco a decifrarlo. In questo momento ho solo voglia di andare a casa a farmi una doccia e leggere un libro.
«Mike andiamo a fare un giro in centro stasera? Ho proprio bisogno di svagarmi» propongo mentre torniamo a casa, uno accanto all’altro, camminando piano. Lui accetta subito, dicendo che sperava che gli chiedessi di fare qualcosa del genere da quando è arrivato.
Forse questa strana malinconia che sento dentro è dovuta al fatto che debba ripartire e che non lo potrò vedere fino a Natale, visto che non può ritornare a novembre. Vorrei che stesse sempre qui con me, poterlo chiamare ad ogni ora, senza la paura di svegliarlo. Una parte di me vorrebbe sempre sapere dov’è, con chi è, vorrei conoscere i suoi amici, vorrei conoscere la gente con cui esce occasionalmente nella bella New York, magari anche quelle meravigliose ragazze americane che a malincuore ha dato due di picche perché non mi voleva tradire.
Non sono mai stata una tipa gelosa, anzi. Ho sempre criticato coloro che morivano dalla voglia di conoscere qualunque cosa facesse il partner, con chi uscisse, con chi andasse a bere una birra al pub il venerdì. E piano piano mi sto trasformando in una di queste persone. E io non voglio.
Quella sera quindi usciamo insieme ai soliti quattro, più altri ragazzi nostri amici, cioè soprattutto amici di Michael. C’è Chris, il suo migliore amico, Hugh (per cui avevo una cotta colossale, ma questo non lo dirò mai a Mike), il ragazzo australiano conosciuto al liceo e suo compagno di squadra di calcio, Lea e Molly, della mia squadra di basket del liceo e poi dovrebbe arrivare un amico di Micheal che non ho mai conosciuto, un amico d’infanzia che viveva accanto a casa di sua nonna del Devonshire. Quest’ultimo, tra parentesi, è in ritardo.
«Ha detto che ha avuto dei problemi a lavoro, ma che ce la farà per la cena. Intanto andiamo a berci qualcosa al bar, tanto il tavolo non è ancora pronto» Mike mi bacia sulla fronte e mi passa la mano tra i capelli, credendo di fare un gesto carino. Ma io potrei picchiarlo. Mi ci sono volute una grande quantità di tempo e pazienza per farli così belli mossi e rischia di poterli spiaccicare solo per fare un gesto totalmente inutile. Gli lancio un’occhiata di fuoco e lui capisce all’istante, visto che smette di carezzarmi.
Siamo tutti a bere tranquilli, quando Chris dice di aver visto “l’anello mancante” del gruppo dall’altra parte della strada. E io esulto interiormente. Finalmente si mangia! Ma non faccio in tempo a distendere le labbra in un sorriso tra il contento per l’arrivo del cibo e cortesia, che subito mi si spegne appena vedo questo amico misterioso.
Merda!
Il cuore comincia a battere all’impazzata e io vorrei sotterrarmi. Cerco con lo sguardo Cat, che è troppo impegnata in una conversazione sui film di Batman con Hugh e Lea. Tento con Lily, ma lei si sta presentando all’ultimo arrivato. Mi hanno abbandonato! Aiuto!
Penso freneticamente come potrei evitare di parlarci, d’incontrarci con lo sguardo. Svenire? No! Peggio! Tutta l’attenzione sarebbe focalizzata su di me e poi magari mi sveglierei tra le sue braccia che veloci hanno impedito che sbattessi la testa a terra e ci guarderemmo negli occhi e… NO! Sarah, basta fantasie! Hai un ragazzo!
Sennò? Che potrei fare? Con la coda dell’occhio lo vedo superare tutti gli ostacoli delle presentazioni e intanto io cerco di nascondermi dietro Hugh e il suo fisico da nuotatore.
Pensa, Sarah, pensa ad una via di fuga! Scappare dalla finestra? No, sono sigillate.
Andare in bagno e poi filarsela con la scusa che mi sono sentita male? Eh, questa non è male, anche se mi perderei tutta una serata meravigliosa dove siamo finalmente tutti insieme, cose che non succedeva da mesi. Allora le opzioni sono due: o affrontare il problema, o scappare dal bagno.
Non ci penso neanche mezzo secondo. Scappare dal bagno.
Cerco di sgattaiolare verso la porticina nera che porta al corridoio delle toilettes, ma sento una mano stringermi la spalla, costringendomi a fermarmi. Merda! Il mio piano è andato in fumo!
Mi volto e lo vedo, davanti a me, più bello che mai. I suoi occhi stasera sembrano ancora più brillanti con questa luce soffusa del ristorante. Indossa un completo blu, che oltre a mettere in risalto le sue iridi, esalta anche il colore meraviglioso dei suoi capelli. Emana un profumo dolce, ma allo stesso tempo sicuro, forte.
Vedo Michael sorridente e orgoglioso al suo fianco, lo vedo parlare, aprendo velocemente la bocca, ma non riesco a sentire una parola di quello che dice.
Anche lui sembra un po’ scombussolato nel vedermi. Me ne sono accorda dallo sguardo scioccato che mi ha rivolto non appena ci siamo finalmente visti in viso. Sembra emanare sicurezza, ma lo vedo profondamente a disagio. Vorrebbe andarsene, ma non sa come fare. Vorrei proporgli mentalmente la fuga dal bagno, ma non sono ancora telepatica, purtroppo.
«Sarah, posso presentarti il mio più vecchio amico? Lui è…»
 
   
 
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