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Autore: Sinkarii Luna Nera    27/01/2018    3 recensioni
Prequel di ''Reflecting Mirrors"
Una Lusan, un Hakaishin e tutto ciò che è avvenuto prima che centinaia di milioni di anni, assieme a centinaia di milioni di situazioni complesse, portassero al presente per come lo conosciamo -nel bene e nel male.
(Ignoro il motivo per cui l'amministrazione si sia divertita a cancellare un'intro che è stata qui per anni, ma non abbia ancora cambiato il mio nick. Misteri della fede.)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Champa, Lord Bills, Nuovo personaggio, Vados, Whis
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Reflecting Mirrors'
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«Tra quanto hai detto che arriverà il mio fratello scemo?»
 
«Appena Whis gli darà la libera uscita. Calcolando anche il tempo che serve loro per arrivare qui da me, direi due ore e mezza. Champino?»
 
«Sì?»
 
«Quegli albumi dovrebbero essere già montati a neve».
 
Il dio sospirò, diede un’occhiata alla ciotola sul tavolo e iniziò a sbattere gli albumi più velocemente di quanto avrebbe potuto fare qualunque frullatore. «Sei una schiavista, Anise».
 
«Sei tu che hai voluto imparare come si fa la torta drakht» replicò la ragazza «E se sarai tu a lavorarci sopra magari gli “spiriti della foresta” non si mangeranno mezzo impasto crudo come l’ultima volta, non credi?»
 
«Ehi! Stai insinuando che lo abbia mangiato io?!»
 
Anise, per nulla arrabbiata con lui, fece una breve risata. «Champa, l’impasto di questa torta è molto liquido e tu avevi due baffi giallo chiaro lunghi così, quindi non sono insinuazioni, sono accuse precise!»
 
«Gli spiriti della foresta mi avevano incastrato!» cercò di difendersi lui, pur sapendo benissimo di essere colpevole.
 
«Gli albumi ora vanno incorporati ai tuorli e lo zucchero che hai montato prima, e sii delicato, se no si smonta tutto. Poi metti la farina, il lievito in polvere, e dopo ancora il burro sciolto. Al lavoro, schiavo!» scherzò la ragazza.
 
«Sì però a me spetta la fetta più grossa, sia chiaro!» esclamò Champa, eseguendo gli ordini uno dopo l’altro.
 
«Ricordati che quella torta andrà divisa in cinque parti, perché è molto probabile che Vados si aspetti che ne facciamo una, e dunque che torni».
 
«Poteva rimanere e basta. Stando da solo con te mi diverto più di quando c’è anche lei, però non è molto carino accorgermi che non mi vorrebbe attorno. So che non sono l’Hakaishin più diligente, o il più sveglio, o il più forte, o il più magro… però non mi sembra di essere tanto peggio di altri, no?»
 
«Certo che non lo sei, tu sei molto meglio di svariati tuoi colleghi, e lo dico con cognizione di causa. Se penso a Quitela ho ancora voglia di dargli fuoco».
 
«Quello è piuttosto normale, ma non invitarlo al mio diciottesimo voleva dire fargli uno sgarbo, e non voglio problemi con gli altri Hakaishin. Quitela avrà pure barato a braccio di ferro per vincere contro Beerus, ma resta più forte di me, e io purtroppo non sono mio fratello» disse Champa, alzando gli occhi al soffitto «Dunque non posso farmi detestare da tutti -parecchio- e decidere di fregarmene. Davvero, quando siete insieme e vedo come si comporta con te a volte ho il dubbio se sia davvero lui oppure no: di solito è più bravo ad abbandonare le persone che a star loro vicino, se queste non rispettano i suoi personalissimi canoni di “valore”».
 
Anise aveva la sensazione di essere finita in un discorso alquanto scivoloso, anche se non aveva detto o fatto nulla per incapparvi. «C’è qualcosa in particolare che ti spinge a dirlo?»
 
Champa esitò, rendendosi conto che se avesse continuato a parlare avrebbe finito per raccontarle di quel che era successo quando lui e Beerus erano piccoli, un argomento difficile per lui quanto lo era per suo fratello. Non era troppo sicuro di volerne parlare. «Vecchie storie. Ma le cose non sono cambiate da allora, credo che lui mi consideri sempre un fallito».
 
«È un peccato che non riusciate a parlare di quelle vecchie storie, o che difficilmente ci riuscireste senza saltarvi alla gola. Litigate per ogni minima cosa, ma in fondo tu vuoi bene a Beerus, e lui ne vuole a te. È difficile riuscire a odiare davvero un fratello, anche quando fa cose che non dovrebbe fare, e soprattutto se hai solo lui nell’Universo».
 
«Ora parli di me e Beerus, o di te e tua sorella? Con tutto il rispetto, se non sapessi di poterla scagliare dall’altra parte del pianeta con un buffetto potrebbe quasi, beh, non dico farmi paura, ma…» Champa fece con gesto con la mano che significava “quasi” «L’atmosfera che c’era qui quando ci siamo trovati tutti e tre insieme qualche giorno fa era un po’strana».
 
«Non si è comportata male».
 
«È vero» ammise il dio, mentre rovesciava l’impasto nello stampo «Non ha detto o fatto niente di strano, però c’era qualcosa che non andava. Non sono così scemo da non notare quando c’è tensione nell’aria. Sei sicura che tra voi due vada tutto bene?»
 
Così come Calida non si era comportata male con Champa, non lo aveva fatto neppure con lei. In tutto il tempo che era passato aveva continuato a farle visita sempre lo stesso giorno della settimana e sempre alla stessa ora, a portarle sempre almeno un sacco pieno di qualcosa, a chiederle se tra lei e Beerus andava tutto bene -accontentandosi di “Sì, è tutto a posto” come risposta- e a farsi raccontare di quel che vedeva Anise nei suoi viaggi in giro per il cosmo, una curiosità che era legittima. Non c’era nulla di strano in tutto ciò.
Però c’erano dei momenti -tipo quelli in cui lei dava le spalle a Calida per occuparsi degli infusi, o andare a prendere qualcosa da mangiare, o simili- in cui Anise si sentiva quasi “trapassare” dallo sguardo verdastro di sua sorella, e avvertiva la stessa tensione che aveva colto Champa.
Non era una sensazione piacevole, soprattutto perché quando si voltava cercando di coglierla in fallo la trovava immancabilmente intenta a fare o a guardare tutt’altro, e ai suoi “C’è qualcosa che non va?” la risposta di Calida era sempre un tranquillissimo “Va tutto bene. Perché?”.
Anise aveva perfino iniziato a pensare che fosse tutto solo e soltanto nella propria testa, che fosse tutta un’impressione, e che dunque le sue fossero solo delle ingiustificate "manie di persecuzione", delle quali non poteva colpevolizzare altri che se stessa.
 
«Certo, va tutto bene. Vedi, Calida è abituata ad avere tutto sotto controllo, ed è piuttosto… diciamo “protettiva”, nei miei confronti. Credo che trovi difficile accettare l’idea che io abbia a che fare con persone più forti di lei, e alle quali eventualmente non potrebbe impedire di fami del male».
 
«Io e Beerus però non vogliamo farti del male» disse Champa, un po’confuso.
 
«Sì, io questo lo so, e credo che lo sappia anche lei. Solo che un conto è sapere qualcosa, un altro convincersene! Credo che le vada semplicemente dato tempo, tutto qui» minimizzò Anise «Non è nulla di preoccupante, Champa, puoi stare tranquillo».
 
«La conosci meglio di me, quindi immagino di non poter far altro che crederti. Già, le hai poi dato il tesoro?»
 
Anise fece una smorfia. «È lì in cantina, eppure me ne dimentico sempre. Sarà che da quando sono diventata una Iarim Neiē ho poco tempo per tante cose… ti rendi conto che quest’anno non ho nemmeno raccolto il grano?»
 
«E allora? Basta andare in una qualunque città e ci daranno la farina gratis, e anche qualunque altra cosa di cui tu abbia bisogno, ciò senza fare la minima fatica. È quello che vorrebbero tutti».
 
«Io però ho come l’impressione di starmi... non so, forse mi sto "perdendo" un po’. Perché devo farmi dare gratis una cosa da chicchessia, se posso procurarmela da sola come ho sempre fatto? Perché dovrei letteralmente rubare il lavoro di qualcun altro? O ancora, perché dovrei andare a comprare della farina che sarebbe potuta servire a qualcuno che non è in grado di farsela da sé? Io sono del tutto autonoma, a me stessa provvedo da sola, è questo che io sono, è questo che io faccio. Anzi, ormai è diventato quasi un “facevo”» aggiunse, senza particolare allegria.
 
«Dici tutto questo per del grano non raccolto? L’ho sempre detto che tu pensi troppo. Tu resti sempre in grado di fare tutto quello che fai, non è che se non raccogli il grano diventi meno in gamba, e poi sei una Iarim Neiē» le ricordò il dio «Che si presume in futuro diventi una Neiē, con tutto quel che comporta. Sarà Whis a fare tutto al posto tuo».
 
«Quest’idea non mi va a genio, perché io e Whis non ci piacciamo» disse la Lusan, schietta «Siamo civili una con l’altro solo perché nessuno dei due è tipo da comportarsi diversamente, ma faremmo volentieri a meno di frequentarci, se potessimo. Le cose erano così quasi un anno fa, sono così adesso, e credo che rimarrebbero così anche tra centinaia di milioni di anni, se dovessimo essere entrambi vivi».
 
«Beerus cosa ne pensa?» le chiese Champa, mentre infornava la torta.
 
«Per quanto ne sa Beerus, tra me e Whis fila tutto liscio come l’olio… a parte quando lo punzecchio chiedendogli come si riproducono gli angeli. Già, tu sapevi che si riproducono esattamente come facciamo noi? Io credevo che i piaceri carnali fossero cose troppo da mortali per loro, e invece-»
 
«Vados moneeeeeeella!» esclamò l’Hakaishin per poi scoppiare a ridere come un cretino «Vai a vedere che ha sequestrato le mie riviste porno per leggersele lei! Però ci sono solo donne…»
 
«Magari avete dei gusti in comune!» ipotizzò Anise, pur non credendoci affatto.
 
«Ti rendi conto che ora per colpa tua ogni volta che la guarderò la immaginerò intenta a fare cose con una qualche donna?! Non che sia una brutta visione, ma capiscimi!» gemette Champa «Cambiamo argomento, va’. Prima abbiamo parlato del tesoro, no?»
 
«Sì, e qualche tempo fa ti ho anche parlato della leggenda che c’è dietro. C’è qualcosa a riguardo che ti incuriosisce?»
 
Champa annuì. «Sì, i poteri che aveva questo Rubedo. Di quelli non hai detto molto».
 
«Quel che si sa non entra molto nei dettagli. Sono cose successe molto tempo fa, cose che io stessa consideravo inventate, almeno fino a quando non ho visto il tesoro e ho saputo della maledizione. Beh, in virtù dell’ultima cosa che ho detto -riguardo la maledizione- posso affermare con certezza che fosse un mago potente» disse Anise «Tanto che per fermarlo, come sai, fu necessario riunire tutti i maghi di tutte le città. Si dice che fosse in grado di volare, che scagliasse raggi luminosi dalle mani con i quali poteva distruggere una città in un secondo, che nessuna arma fosse in grado di abbatterlo, che potesse muovere le cose col pensiero, che potesse controllare i corpi delle persone e anche che potesse far nascere montagne come funghi -ma questa mi sembra un’idiozia pazzesca. Ah, giusto, ho dimenticato un’ultima cosa: si narra che se vai davanti a una superficie riflettente e pronunci “Rubedo” per tre volte, questi appaia e ti trascini dentro suddetta superficie. È una cosa ancora più idiota di quella delle montagne!»
 
«Sai che invece potrebbe non essere così campata per aria?» la contraddisse Champa, pensieroso «Se questo Rubedo aveva il controllo della Dimensione degli Specchi -o comunque poteva entrarne e uscirne a piacimento- potrebbe davvero averla usata per rapire le persone, e da lì potrebbe essere nata quest’ultima leggenda».
 
«Aspetta: la Dimensione degli Specchi? Esiste davvero una cosa del genere?» si stupì Anise «Cosa è di preciso? Un po’posso arrivare a capirlo da sola, ma se tu hai qualche dettaglio in più sono interessata a saperlo. Tanto la torta deve cuocere per un’oretta, per cui abbiamo tempo».
 
«Te la faccio breve: è un posto in cui si può entrare usando ogni superficie riflettente che c’è sul pianeta. La Dimensione degli Specchi le mette tutte in comunicazione quindi, per esempio, potresti entrarci dal vetro di questo bicchiere» ne prese in mano uno «E uscire da una pozzanghera dall’altra parte del tuo mondo. Ecco, sì: c’è una Dimensione degli Specchi per ogni pianeta, non una sola che comprende tutte le superfici riflettenti dell’Universo. Comunque la struttura non cambia granché, è sempre incasinata, solo che su alcuni pianeti è più grande e su altri più piccola. Potrei chiederti se hai capito, ma tanto lo so, che hai capito!»
 
Anise prese il bicchiere dalla mano di Champa, e lo appoggiò sul tavolo. «Sì, è tutto chiaro. Ora però ho un’altra domanda».
 
«Spara».
 
«Immagino che non tutti abbiano modo di entrare in questa Dimensione, ma tu sei un dio, quindi puoi farlo, giusto?»
 
L’Hakaishin annuì. «Però ci sono stato solo una volta, perché non mi piace granché. Posso entrarne e uscirne, ma non ne ho il controllo. Gli angeli invece sì».
 
«C’è qualcosa che questi benedetti angeli non siano in grado di fare?» sospirò la lince, alzando gli occhi al soffitto «La mia domanda vera però era un’altra: anche se non ti piace, possiamo entrare nella Dimensione insieme?»
 
«No. Assolutamente no, non se ne parla» rifiutò Champa.
 
«E dai…»
 
«No! Sappiamo tutti che sei una lincina curiosa, però non ti porterò lì dentro. Alle Dimensioni degli Specchi non piace avere estranei che vagano dentro di loro, li attaccano» le spiegò lui «Non sono un problema per un angelo o per un dio, ma per un mortale senza poteri potrebbero essere letali. Io non voglio che ti succeda qualcosa, e questo non solo perché Beerus mi strangolerebbe».
 
«Questo discorso potrebbe valere se andassi lì dentro da sola, ma io avevo proposto di entrare lì insieme a te, che sei un Hakaishin. Non potrebbe capitarmi niente di male, ne sono sicura» sorrise la Lusan «Mi fido di te e della tua potenza. Se ci sei tu, neppure il posto peggiore dell’Universo riuscirebbe a farmi paura».
 
Sembrava che Anise avesse più fiducia in lui di quanta ne aveva lui stesso, cosa che lo fece vacillare dalla posizione di netto rifiuto che aveva preso. Forse aveva ragione lei, forse non avrebbe dovuto farsi tutti quei problemi: era l'Hakaishin del sesto Universo, e non lo era diventato per caso, nessun Hakaishin diventava tale per caso. Era diventato un dio perché aveva un potere abbastanza grande per poter avere quel ruolo, e avrebbe dovuto lasciare che una banale Dimensione degli Specchi spingesse lui, una divinità, a rifiutare la richiesta di un’amica? Una simile idiozia non esisteva né in cielo né in terra.
Anise voleva andare nella Dimensione degli Specchi? Bene, allora ci sarebbero andati! Sarebbero entrati, le avrebbe mostrato quant’era confusionario quel posto, e ne sarebbero usciti: non c’era altro da dire. «Ho cambiato idea, ti porterò a vederla. Sali sulla mia schiena, come fai con Beerus… dovresti anche stare più comoda!»
 
Anise, temendo che potesse nuovamente cambiare opinione, si affrettò a obbedirgli. «Certo che sto comoda, tu sei un Champino morbido. Sai cosa? Devo inventare un dolcetto morbido e chiamarlo in quel modo, “Champino”!»
 
«Sarebbe il dolce più buono dell’Universo. Passeremo dalla finestra, tu tieniti forte, d’accordo? Si va!»
 
Per un attimo Anise, nonostante quel che le era stato detto, temette che sarebbero andati a sbattere contro il vetro, ma dovette rapidamente ricredersi.
 
Il caos di infiniti specchi vorticanti che si trovò davanti era tanto confuso che il suo cervello impiegò qualche istante prima di accettarlo. Anche ora che conosceva meglio il proprio pianeta, e che ne visitava di alieni, Anise non aveva mai visto nulla di anche solo vagamente simile.
Quel luogo, che Champa aveva quasi descritto come “vivente” nella sua ostilità verso corpi estranei, sembrava pervaso da un’agitazione costante che spingeva specchi e frammenti di specchi a muoversi di continuo, ad aggregarsi formando strade, labirinti, o bizzarre e pazzesche costruzioni prive di senso alcuno, per poi disgregarsi o liquefarsi subito dopo.
Un ambiente così confusionario poteva fare paura, e Anise si sarebbe sentita un po’meno tranquilla se Champa non fosse stato presente, ma quel caos completo risultava comunque affascinante.
 
«Te l’avevo detto che era un postaccio» borbottò Champa, volando agilmente tra quattro file di specchi che cercarono di investirli «Non rimarremo per molto, la Dimensione non ci vuole qui dentro».
 
Anise si strinse a lui più saldamente. «Ha già iniziato ad attaccarci, o sbaglio?»
 
«Non sbagli!» esclamò il dio, costretto a lasciare una gamba di Anise per allontanare tre sfere che altrimenti li avrebbero colpiti in pieno «Non sbagli affatto!»
 
«CHAMPA! A sinistra!» gridò la ragazza, accorgendosi appena in tempo che da quella direzione stavano arrivando centinaia di sfere grandi come la sua testa.
 
Il dio scagliò contro lo sciame di sfere un raggio energetico che le polverizzò tutte all’istante. «FUORI DALLE SCATOLE! Ecco, così imparate a scherzare con un… Hakaishin…»
 
Era quello il brutto della Dimensione degli Specchi: per quante sue parti potessero venire distrutte si riformavano sempre e comunque, spesso più forti di prima… e non era insensato dire che in un certo senso, trovando resistenza, la Dimensione si “arrabbiava” con coloro che osavano entrarvi senza averne il controllo.
Motivo per cui i due esploratori si trovarono improvvisamente accerchiati da sfere e da prismi che neppure un secondo dopo si scagliarono loro addosso, intenzionati ad abbatterli una volta per tutte.
Se Anise non fosse stata sulla sua schiena non avrebbe avuto problemi a contrastare anche attacchi molto più massicci, ma di fatto lei c’era, e Champa temeva che utilizzando colpi più potenti avrebbe potuto finire per fare del male anche a lei senza volerlo. Aveva diciotto anni -tra qualche mese diciannove, in verità- e per quanto fosse abile a gestire il suo potere distruttivo non poteva ancora dire di avere abbastanza esperienza da sentirsi totalmente sicuro di colpire solo quel che doveva colpire.
 
«Reggiti! Stringi le gambe attorno a me!» intimò Champa ad Anise, per poi allargare le braccia e distruggere la prima ondata di quei “proiettili” semplicemente lasciando fluire verso l’esterno il suo Ki altamente distruttivo «Dobbiamo trovare un’uscita, la prima che capita! Sapevo che non era una buona idea entrare qui dentro!» esclamò, cercando di volare altrove senza essere colpito da altre ondate di sfere «Lo sapevo!»
 
«Forse avrei dovuto darti retta!» ammise la ragazza, guardandosi attorno. Gli attacchi della Dimensione degli Specchi non cessavano, anzi, stavano diventando sempre più martellanti a ogni secondo, e abbassando lo sguardo notò un altro pericolo in arrivo: “tentacoli” che spuntavano da un'apertura rotonda e nera, che ben presto li avrebbero raggiunti per trascinarli giù, o per immobilizzarli. «Vola in alto! IN ALTO!»
 
«Non pos-»
 
«VOLA SU E BASTA!»
 
Capendo che Anise doveva avere buone ragioni, Champa schizzò in alto a una velocità superiore a quella della luce, cercando disperatamente di evitare scariche di proiettili che continuavano senza sosta.
 
«Ma cosa-!»
 
Da un punto imprecisato sopra di loro apparvero altri filamenti che cercarono di catturarli, e lui riuscì a evitarli con una brusca frenata e una altrettanto brusca virata, per poi distruggerli. Si guardò attorno, alla disperata ricerca di un’uscita che non era in grado di vedere, perché adesso le sfere si erano disintegrate in frammenti piccolissimi che vorticavano attorno a lui e ad Anise, togliendo ogni visibilità.
 
«Qui va sempre peggio!» si disperò il dio, distruggendo dei prismi che avevano attraversato lo sciame di frammenti tentando di colpirli.
 
«Distruggi tutto allora! Sei un Hakaishin, distruggi tutto, anche se si riformano questo ci darebbe comunque un attimo di tregua!»
 
«Potrei finire a distruggere anche te, lo capisci o no?!» gridò lui, cercando di farsi strada in mezzo ai frammenti di specchi.
 
«Non succederebbe, ne sono sicura, ti addestri da quando hai quattro anni! Champa! Champ-»
 
L’Hakaishin, troppo impegnato a respingere l’ennesima ondata di “proiettili”, non fece caso che uno di essi -proveniente da tutt’altra direzione- aveva colpito Anise alla testa.
 
La Lusan sentì le sue braccia e le sue gambe diventare molli, perse la presa attorno al collo e al corpo di Champa. Precipitò senza che le sue orecchie udissero altro se non un fischio acuto e penetrante che in realtà neanche c’era.
Era cosciente, ma tutto quanto -eccetto il dolore pulsante alla testa- le sembrava curiosamente ovattato. Vide frammenti di specchi volarle dapprima attorno, poi verso l’alto, evidentemente dopo aver deciso che ormai era inutile perdere ulteriore tempo con lei. Un Dio della Distruzione doveva sembrare loro una vittima più appetibile.
La caduta sembrava interminabile, e in un luogo come quello, che sembrava non avere reali confini, un simile pensiero diventava ancora più valido. Spostò lo sguardo: una massa brulicante di filamenti argentati era pronta ad accoglierla, a inglobarla appena la sua caduta fosse terminata. Il moto di quell’agglomerato simil metallico le riportò alla mente le onde che avevano catturato la sua attenzione diverso tempo prima, il giorno del compleanno di Beerus, quando era andata a casa di Champa.
Se avesse dato retta a quest’ultimo avrebbe potuto evitare una simile fine, ma Anise, fatalista anche dopo aver ricevuto un colpo in testa, pensò che forse era semplicemente destino.
Percepì le cime di quei filamenti sfiorarle il capo, stringersi delicatamente attorno alla sua morbida gola, avviluppare il suo corpo. Non sapeva cosa stesse facendo Champa, probabilmente non si era neppure accorto che lei non era più sulla sua schiena, ma non gliene faceva una colpa, non gli faceva una colpa di nulla: era stata lei a voler entrare nella Dimensione degli Specchi, era stata lei a convincerlo, quindi se c’era una colpevole questa era lei, lei soltanto.
In quel suo mondo ovattato e pieno di sensi di colpa, formulò un solo pensiero veramente lucido: “Spero che anche Beerus capisca che non è colpa sua”.
 
«ANISE!...»
 
Champa, fino a un attimo prima troppo impegnato a dare battaglia contro una dimensione intera, si era accorto da meno di un secondo che Anise non era più aggrappata a lui.
Spostò concitatamente lo sguardo verso il basso, col cuore in gola e pronto a schizzare giù a tutta velocità per recuperarla, ma fece in tempo a vedere soltanto le gambe scoperte della Lusan venire inghiottite dalla massa rabbiosa e luccicante in fondo a quell’inferno.
 
«Anise…»
 
Lui era un Hakaishin ed era sempre stato potente, ma era sempre stato anche un’altra cosa: inetto.
Talmente inetto da non riuscire mai a battere suo fratello in alcuna sfida, talmente inetto da non riuscire neppure a mantenere una forma fisica decente. Inetto, al punto che la sua maestra e assistente non vedeva l’ora di mollarlo ad Anise per non doverlo vedere accanto a sé, al punto che il suo stesso gemello, quando avevano quattro anni e i loro maestri li stavano separando, si era addormentato in braccio a Whis con tutta la tranquillità del mondo, sicuramente dovuta al sollievo di non dover più provvedere a una cosa inutile come lui.
Inetto, al punto di non essere riuscito a proteggere una persona che lo aveva accolto in casa propria né per paura né per tornaconto, che non lo aveva mai preso in giro, che gli stava insegnando a cucinare ricette delle quali in realtà era gelosissima. Anise si era fidata di lui, lo aveva creduto una persona valida, e si era sbagliata: lui non era un Dio della Distruzione, era il Dio dell’Inettitudine.
 
 
“Non potrebbe capitarmi niente di male, ne sono sicura”.
 
 
Portò le mani alla fronte, col volto contorto dalla disperazione e dalla rabbia contro se stesso, mentre il bagliore violaceo di un Ki che stava diventando incontenibile avvolgeva il suo corpo.
 
 
“Mi fido di te e della tua potenza…”
 
 
Scosse la testa, maledicendosi mille volte per non essere stato all’altezza -tanto per cambiare!- e iniziò a chiedersi se era davvero degno del proprio ruolo di Distruttore.
Qualunque colpo tentato dalla Dimensione degli Specchi, che fossero frammenti taglienti, proiettili o tentacoli, ormai non riusciva neppure a raggiungerlo, infrangendosi contro un’aura distruttiva la cui grandezza stava aumentando esponenzialmente.
 
 
“Se ci sei tu, neppure il posto peggiore dell’Universo riuscirebbe a farmi paura”.
 
 
Champa sollevò lo sguardo verso l’alto e allargò le braccia.
Era un Hakaishin. Non era riuscito a proteggere la sua amica, ma avrebbe distrutto quell’inferno nella sua interezza, senza lasciare integro nulla eccetto i resti di Anise. Non gli importava se tutto si sarebbe riformato subito dopo, quella Dimensione degli Specchi maledetta doveva pagare per quel che aveva fatto.
 
«Hakai».
 
Un bagliore viola acceso avvolse ogni singola parte della Dimensione degli Specchi, che iniziò a disgregarsi completamente. Era stato un hakai permeato di disperazione ma alquanto efficace, e pochi secondi dopo Champa vide solo nero puro attorno a sé.
Volse febbrilmente lo sguardo qui e là, in cerca di quel che restava di Anise, e riuscì a trovarla proprio mentre le uscite iniziavano a riformarsi. La raggiunse velocemente, la strinse a sé, e non pensò neppure un attimo all’ira che Beerus avrebbe riversato contro di lui: pensava solo alla sua amica, morta perché lui era un inetto.
 
Fu proprio stringendola a sé che, con suo sommo stupore, riuscì ad accorgersi che Anise respirava ancora. No, non era possibile, doveva essere un’impressione, non poteva essere ancora viva e… e il suo cuore batteva.
Anise era priva di sensi ma respirava, il suo cuore batteva: era viva!
 
Senza perdere ulteriore tempo, e senza smettere di stringerla sé, Champa imboccò l’uscita più vicina. A guardarla sembrava condurre in uno specchio d’acqua, ma non gli interessava proprio bagnarsi, qualunque cosa sarebbe stata meglio che restare in un inferno di specchi che si era già riformato per oltre tre quarti.
 
Sbucarono sotto la superficie dell’acqua, ma anche solo la temperatura di quest’ultima non lasciava molti dubbi su dove si trovassero: quello era il lago di Vynumeer, e Champa trovò conferma della sua supposizione appena volò fuori dall’acqua assieme ad Anise, diretto a quella che un tempo era stata la dimora del capovillaggio.
Giunto sul posto e atterrato, aprì la porta con tanta veemenza da finire quasi per strapparla dai cardini. Si diresse verso il camino, ovviamente spento, e poggiò Anise su un morbido tappeto che era stato messo lì davanti diverso tempo prima.
Ebbe modo di esaminare meglio Anise, e vide immediatamente la ferita alla testa: dubitava che a colpirla fosse stata una sfera, probabilmente era stata colpita di striscio da un proiettile prismatico… ed era una fortuna che questo non l’avesse colpita in pieno, o sarebbe stata spacciata.
 
Le palpebre di Anise tremolarono, per poi aprirsi. «Dove… dove…»
 
«Vynumeer. Siamo al sicuro. Mi dispiace per quel che è…» avviò a dire, per poi interrompersi e passarsi una mano sul volto. Non era il momento per parlarle dei propri sensi di colpa, doveva cercare di capire qual era la gravità dei danni. «Riesci a toccarti la punta del naso?»
 
«Toccarmi la…»
 
«La punta del naso» ripeté Champa.
 
Il dolore alla testa era piuttosto acuto, ma la ragazza obbedì. «Ecco».
 
Leggermente sollevato nel vedere che il colpo alla testa riportato non aveva fatto danni sufficienti ad alterare le sue percezioni, il dio le chiese di seguire con lo sguardo i movimenti del suo dito indice, altro test che per fortuna ebbe esiti positivi. «Credo che il colpo in testa che hai preso non sia troppo grave…»
 
«Non sono svenuta per colpa di quello, sono stata cosciente fino a quando quella specie di tentacoli argentati mi ha inglobata» disse Anise, cercando di mettersi a sedere.
 
«No, resta giù, ora cerco un cuscino o… o qualcosa del genere, non so-»
 
La porta principale si aprì, mostrando una sagoma controluce alta e munita di bastone. «Lord Champa, cos’è successo? Ho percepito l’uso dell’energia di distruzione, ho quasi creduto che avrebbe fatto a pezzi il pianeta».
 
«Vados! Non sono mai stato tanto contento di vederti!» esclamò il dio, correndo dal suo angelo «È successo… Anise è…» fece un respiro profondo «Siamo andati nella Dimensione degli Specchi e-»
 
«Lei da solo in una Dimensione degli Specchi, dopo esserci stato in una sola altra occasione, e insieme a una indifesa Iarim Neiē altrui?» lo interruppe Vados, sollevando un sopracciglio ad altitudini di completa disapprovazione.
 
«Non ho chiesto la tua opinione sull’accaduto!» sbottò Champa, di suo già abbastanza dispiaciuto e per nulla bisognoso di avere qualcuno a rendere i suoi sensi di colpa ancor più gravosi «Se puoi curarla, curala e basta».
 
Vados non replicò, limitandosi ad avvicinarsi ad Anise. Puntò il bastone contro il capo della lince. «Forse sarebbe stato meglio se avesse esplorato la Dimensione degli Specchi col suo compagno, avrebbe corso meno rischi».
 
Champa, non visto dalle due, strinse i pugni e abbassò lo sguardo. Per l’appunto: era il gemello beta, lo sarebbe sempre stato, e dopo quell’esperienza anche Anise doveva essersene convinta. Non si sarebbe più fidata ad andare da alcuna parte assieme a lui, non da soli, perché non era stato in grado di proteggerla.
 
«Piuttosto avrei dovuto ascoltarlo quando mi ha detto “No, non se ne parla”. La colpa è interamente mia» replicò Anise, stringendo le palpebre a causa del dolore «Ma c’è da dire che avremmo potuto fare questa gita in sicurezza, se tu non avessi tanta fretta di allontanarti dal tuo Hakaishin ogni volta che vieni qui».
 
«Credevo preferiste rimanere da soli» disse Vados, dopo un breve attimo di silenzio. Non si aspettava che la ragazza riuscisse a ribattere anche dopo aver ricevuto un colpo in testa «Lo faccio per non essere d’intralcio nelle vostre attività».
 
«Sì, e io sono un khoselov mhuileid».
 
“Non sarai un vero e proprio mulo parlante come hai detto, ma sicuramente hai la testa dura” pensò l’angelo, avvolgendo la Lusan con un bagliore verde azzurro che guarì rapidamente la sua ferita. «Fatto».
 
Anise, ora in forma, si alzò in piedi. «Grazie. Ascoltate, io direi di non parlare a Beerus di quel che è successo, è andata a finire bene, non c’è ragione di farlo agitare inutilmente».
 
«Ecco, sì, non dire niente né a Beerus né a nessun altro, Vados» aggiunse Champa.
 
«Mi spiace dirvelo ma
Lord Beerus, per quanto distante posse essere, ha sicuramente percepito il Ki di Lord Champa, esattamente come l’ho percepito io» li disilluse Vados «Per cui temo che-»
 
Vados non ebbe neppure il tempo di finire la frase, perché la porta principale si aprì con violenza spaventosa, finendo per davvero fuori dai cardini.

«Si può sapere che stai facendo?! EH?! Spiegati!» intimò Beerus -che aveva terminato l’allenamento oltre un’ora prima del previsto- al fratello.

 
«Ehm-»
 
«Ho sentito il tuo Ki da lontano, si può sapere cos- Anise, cos’è successo?!» dimentico di Champa, il dio si avvicinò rapidamente alla sua Iarim Neiē «Il tuo vestito è tutto rotto e bagnato, e anche quello di Champa è bagnato, e…» si voltò verso Champa «Spero per te che questo non sia dovuto a un tuo comportamento inopportuno. Non avrai provato ad abusare di-»
 
«EHI! Hai presente con chi stai parlando? Ormai dovresti sapere che non voglio farle niente di male, come ti viene in mente una cosa del genere?!» sbottò Champa, davvero offeso per quell’insinuazione. Non avrebbe mai fatto del male ad Anise di proposito, le voleva bene, e gli sembrava incredibile che Beerus potesse avere simili idee. Quando c'era di mezzo Anise non ragionava proprio!
 
«Va bene, ma allora come spieghi tutto questo?!» insistette Beerus, rabbioso.
 
«Effettivamente è una bizzarra situazione» commentò Whis, giunto sul posto assieme al suo Hakaishin «Sorella, tu ne sai qualcosa?»
 
«È stato il Coniglio Assassino di Caerbannomeer» affermò Anise, con tono grave.
 
Per fortuna Beerus era troppo impegnato a guardare lei per accorgersi dell’espressione perplessa di Champa e Vados, oltre a quella di Whis. «Il cosa?...»
 
«Tu sai che i conigli che vivono nella foresta e dintorni sono carnivori, e per questo un po’pericolosi da cacciare. Te l’ho detto qualche tempo fa» gli ricordò Anise «Ma non credo di averti mai raccontato la leggenda del Coniglio Assassino. Devi sapere che un tempo, quando la magia non era ancora morta su questo pianeta, un cacciatore della città di Caerbannomeer -che ora non esiste più- venne maledetto da una strega per aver catturato e ucciso il suo coniglio. La strega lo maledisse, trasformandolo in un coniglio immortale, e rese carnivori e dunque più pericolosi i conigli veri e propri. Stando alla leggenda, il Coniglio Assassino di Caerbannomeer si aggira nella foresta e dintorni da allora, in cerca di sangue di fanciulla… o meglio, si aggirava, perché ormai è andato».
 
«Non puoi pensare che io creda a una stupidaggine del genere» disse Beerus, diffidente.
 
Anise gli rivolse uno sguardo triste. Non le piaceva mentire a Beerus, ma pur di evitare a Champa guai che non meritava avrebbe fatto questo e altro. «Sirel ym, guarda come sono ridotta, non vorrai infierire dandomi della bugiarda?»
 
«No, certo che non voglio infierire» disse subito Beerus, prendendole il viso tra le mani «Però… il Coniglio Assassino? Ma dai!»
 
«La leggenda di Rubedo era vera, perché non dovrebbe esserlo questa, scusa?» intervenne Champa «Ne sono testimone: quel dannato coniglio era grosso così!» esclamò, allargando le braccia più che poteva «Ci ha attaccati in riva al lago cogliendoci di sorpresa!»
 
«Ci ha buttati in acqua e poi si è avventato su di me. Solo che gli è andata male, ha avuto solo il tempo di rovinarmi il vestito, perché Champa gli ha fatto assaggiare l’ira di un Hakaishin e mi ha salvato la vita. Poi siamo venuti qui dentro, e dopo ancora è arrivata Vados, la quale ovviamente ha percepito il Ki di Champa. Ecco com’è andata» concluse Anise.
 
«Non potete pretendere che creda a una cosa del genere, dai! Su! Il Coniglio Assassino di Caerbannomeer!» ripeté Beerus, non ancora persuaso.
 
«Ma ti diciamo che c’era! Se avessimo voluto farci un bagno non l’avremmo fatto con tutti i vestiti addosso, ti pare?» insistette Champa. Non aveva idea di come stesse riuscendo a rimanere serio e a ripetere una simile fola con tanta convinzione, ma forse c’entrava il fatto che non aveva voglia di farsi picchiare per aver permesso che Anise si facesse male. «Se non è stato il Coniglio Assassino di Caerbannomeer, come altro lo spieghi?»
 
“Beerus non sarà così ingenuo da credere a un’idiozia del genere, mi auguro” pensò Whis, il quale ovviamente non credeva a una parola. Non aveva idea di cosa potesse essere successo, ma certamente non c’entrava alcun coniglio, assassino o meno che fosse.
 
«Ma cosa ne so io?! So solo che questo è inverosimile!» ribatté Beerus.
 
«Anche l’esistenza di Rubedo era inverosimile ma, come ha detto Champa, c’era un tesoro con tanto di maledizione e- la torta!» esclamò Anise, battendosi una mano sulla fronte «Siamo venuti qui a cercare fiorellini decorativi da mettere sulla torta e l’abbiamo lasciata in forno!»
 
«C’è una torta in forno?!» esclamò l’Hakaishin del settimo Universo, per il quale il Coniglio Assassino di Caerbannomeer era passato improvvisamente in secondo piano.
 
«Credo sia passata meno di un’ora, non penso si sia bruciata, se corriamo a casa possiamo ancora salvarla!» dichiarò Champa «Se si brucia è tutta colpa del dannato Coniglio Assassino!»
 
«Hai detto che l’hai distrutto? Hai fatto bene! Benissimo!» esclamò il gemello, prendendo in braccio Anise e catapultandosi con lei fuori dall’edificio «Salviamo la torta, presto!»
 
Anise trattenne un sospiro di sollievo: aveva tirato fuori l’argomento giusto al momento giusto, e -fortunatamente per Champa- il suo compagno era un dolcissimo beag miamit, un “piccolo ingenuo”. Non nell’accezione veramente negativa del termine, ovviamente: la lince non avrebbe mai pensato a Beerus in termini spregiativi. «È una torta drakht, una di quelle che ti piace di più».
 
«L’ho fatta io!» aggiunse Champa, affiancandoli.
 
«Ah, allora mi attira già meno» disse Beerus, con una smorfia.
 
«Ha seguito le mie indicazioni alla lettera ed è stato molto bravo. Tu quand’è che proverai a cucinare?» lo punzecchiò Anise, con un sorriso.
 
«Te l’ho già spiegato: io non cucino, io mangio!»
 
Whis, rimasto un po’indietro assieme a Vados, scosse la testa con un sospiro. «E invece sì, ci ha creduto sul serio».
 
«O ha smesso di pensarci a causa della torta. Sia come sia, se la sono cavata».
 
«Non c’è alcun Coniglio Assassino di Caerbannomeer, immagino…»
 
Vados sollevò entrambe le mani. «Lord Champa mi ha detto di non parlare della questione con nessuno, e io non lo farò, però nessuno ti impedisce di dare un’occhiata al passato, fratello. In ogni caso se cerchi qualcosa che metta zizzania tra il tuo Hakaishin e la sua compagna, rinuncia».
 
«Scherzi? Non mi permetterei mai».
 
«WHI-IS! Allora, vieni con noi sì o no?!» gridò Beerus, volato in alto.
 
«Arriviamo, Lord Beerus, arriviamo».
 




Stavolta non ho molto da dire se non che il coniglio assassino di cui si parla è una vaga citazione del Coniglio Assassino di Caerbannog, al quale per quanto ne so dovrebbe essere stato fatto un tributo anche su Minecraft.
A voi i commenti, nel caso ne abbiate (:
   
 
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