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Autore: echois    28/01/2018    0 recensioni
Negli ultimi mesi Bill aveva pensato che non poteva più rimanere solo e aveva deciso di buttarsi a capofitto in una serie di primi appuntamenti, la maggior parte dei quali si era rivelata fallimentare.
Ma se la persona giusta non dovesse conoscerla? Se la persona giusta fosse stata vicino a lui per tutto quel tempo?
[TomxBill]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
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First Dates.
 
 
 
 
 
“Tom, sto arrivando! Lo so, sono in ritardo, scusami—”
 
“Fai con calma, Bill”
 
“Il fatto è che è stato tremendamente difficile alzarmi dal letto questa mattina! Cazzo, non so come ho fatto a non alzarmi, dato che c’era un casino infernale nella mia stanza e nella mia fottuta testa—”
 
“Non è un problema”
 
“La sveglia continuava a suonare, i bambini dei miei vicini hanno iniziato ad urlare come ogni fottuta mattina, come se fosse normale iniziare ad utilizzare al meglio le corde vocali alle sette di mattina, un tizio fuori dalla finestra si è messo a usare il trapano – alle sette e mezza!”
 
“Bill, non c’è nessun problema”
 
“Ti vedo!” disse Bill e allontanò dall’orecchio il telefono come questo se gli permettesse di vedere meglio il suo migliore amico. Tom era seduto fuori il bar che si trovava davanti la loro università: aveva poggiato il suo zaino sul tavolo e stava mordicchiando la cannuccia del suo caffè freddo, aveva anche lui il telefono vicino l’orecchio. “Tu mi vedi?” chiese mentre si avvicinava di più a lui.
 
“Uhm, sì” disse e finalmente posizionò lo sguardo su Bill che si faceva sempre più vicino a lui.
 
“Sono bello?” disse Bill ormai arrivato, sorrise a Tom come per dargli il buongiorno.
 
“Come sempre” disse Tom e chiuse la chiamata, ripose il telefono nella tasca dei jeans troppo larghi per il suo esile fisico.
 
“Sarà meglio che ci sbrighiamo, sono già le nove” disse il ragazzo dai capelli lunghi e neri lanciando un’occhiata al suo orologio, Tom guardò il suo viso pallido in contrasto con il trucco nero con il quale aveva cerchiato i suoi occhi.
 
“Sono solo le nove, vorrai dire: siediti” gli impose Tom e Bill corrugò la fronte, lo guardò. Il suo comportamento, comunque, non lo stupì: Tom era sempre così calmo e impassibile, tanto che sembrava che nulla potesse scalfirlo. Al contrario, Bill era sempre super nervoso e reattivo che saltava per la minima cosa. In questo senso erano gli opposti, ma non era l’unica qualità sulla quale divergevano: Bill era un chiacchierone, Tom amava tacere; Bill era così estroverso, amico di tutti, Tom preferiva molto spesso rimanere da solo; Bill era attivo, energico e dinamico, Tom era freddo e impassibile, come se fosse compito di Bill provare le emozioni al posto di Tom.
 
“Tom, la lezione è alle nove”
 
“Sì, ma la professoressa arriva sempre alle nove e un quarto: siediti” gli ripeté e Bill sospirò pesantemente, ma comunque fece come ordinato.
 
“Tu sei la ragione per cui io arrivo sempre in ritardo a lezione! La ragione per cui non prendo mai un buon voto! La ragione per cui siamo in crisi economica, Tom!” si lamentò e poggiò la testa contro il tavolo in acciaio, sospirò. “Mi rovinerai l’esistenza. Ma questa è colpa mia, perché te lo lascio fare da ben sette anni!” Tom, ora che Bill non lo poteva vedere, sorrise. I due si erano conosciuti al liceo e d’allora non si erano mai più separati. Delle volte il moro si chiedeva come avesse fatto ad avvicinarsi così tanto a Tom se anche ora che lo conosceva così bene non spiaccicava una parola. In effetti, nelle loro conversazioni era sempre Bill che parlava e straparlava, Tom si limitava ad annuire o a fare qualche battuta ironica, perché se c’era una cosa di Bill che lo divertiva estremamente era che fosse la persona più vanitosa, vanesia e mitomane del mondo. Bill non pensava, ma credeva fermamente di essere migliore di tutte le persone che lo circondavano, Tom incluso, e delle volte ostentava un’umiltà che non aveva che divertiva il rasta, delle altre volte non faceva nulla per celare la sua presuntuosità e anche questo era divertente per Tom.
 
“Com’è andato l’appuntamento di ieri?” chiese Tom prendendo in mano il suo caffè ghiacciato per portarlo alle labbra, dei cubetti di ghiaccio si scontrarono tra loro.
 
“Male, Tom!” rispose Bill e alzò lo sguardo solo per puntarlo sul viso dell’amico, poi si tirò su e si sistemò i capelli corvini. “Io pensavo che uscire con un ingegnere fosse divertente!”
 
Tom alzò lo sguardo al cielo, ma c’era un sorriso divertito sulle sue labbra. “E non lo è?” chiese. Negli ultimi mesi Bill aveva pensato che non poteva più rimanere solo e aveva deciso di buttarsi a capofitto in una serie di primi appuntamenti, la maggior parte dei quali si erano rivelati fallimentari. Eppure Bill non stava cercando molto: voleva un ragazzo simpatico che lo facesse ridere, qualcuno che gli sapesse tenere testa e che quando aveva quei momenti di vanità lo riportasse bruscamente sulla terra con una battuta sarcastica, non doveva essere un adone, ma nemmeno doveva dirsi brutto. Doveva essere gentile, rispettoso, premuroso, attento e dedicargli tutte le attenzioni possibili, perché Bill era sempre desideroso di coccole, come un cucciolo di cane.
 
“No, non lo è! Non uscire mai con un ingegnere”
 
“Non credo mi potrei mai porre il problema” Tom ridacchiò. “Cos’ha fatto il nostro ingegnere per essere escluso dalla lista dei possibili pretendenti?”
 
“Vorrai dire cosa non ha fatto, Tom” Bill inarcò le sopracciglia. “Okay, ora ti racconto tutto” Si schiarì la voce. Un’altra cosa che differenziava i due giovani e che se era difficilissimo estorcere qualsiasi tipo di informazione dalla bocca di Tom, Bill non poteva e non riusciva ad avere segreti con lui. “Arrivo con dieci minuti di ritardo, perché le donne devono farsi attendere almeno un po’, no?”
 
“Esatto” Tom ridacchiò.
 
“E lui invece di dirmi che non era vero che stava aspettando lì da dieci minuti e che ero bellissimo e che ne era valsa la pena aspettare quei dieci minuti, sai cosa mi dice, Tom?!”
 
“Cosa ti dice, Bill?!”
 
“Forse avresti dovuto modificare la tua tabella di marcia” Tom scoppiò a ridere gettando la testa all’indietro e Bill lo osservò ridere con gli occhi da fuori. “Allora io gli chiedo in che senso, e lui mi risponde che dato che sapevo che avremmo dovuto vederci ad una data ora, avrei dovuto rifare la tabella di marcia in modo da essere puntuale, in questo modo non avrei fatto delle cose che mi avrebbero fatto fare ritardo e sarei stato preciso”
 
“Beh, Bill, non ha tutti i torti” disse Tom e si asciugò gli occhi.
 
“Però, lì, sul momento, non ho pensato che fosse completamente psicopatico ad avere una tabella di marcia. Mi ha completamente scioccato ciò che mi ha detto dopo!”
 
“Non credo di volerlo sapere”
 
“Mi ha detto che lui calcola tutto. Pensa, ha calcolato il tempo in cui i semafori sono verdi e il tempo che impiegano a diventare rossi, così quando esce di casa trova tutti i semafori verdi e c’impiega solo dieci minuti per arrivare in università invece che quindici”
 
Tom sbatté le palpebre e poi corrugò la fronte. “Eh? Cosa cambiano cinque minuti?”
 
“È quello che mi sono chiesto anche io!” esclamò Bill e fece spallucce. “Poi mi ha detto che ha fatto un altro calcolo interessante, vuoi saperlo?”
 
“No”
 
“Ha calcolato che se vai in bici in università o se aspetti il pullman e lo prendi per andarci, impieghi lo stesso tempo”
 
“Cavolo, non volevo saperlo” Tom si coprì il viso con le mani, poi sbuffò una risata. “È colpa tua!”
 
“Certo, poteva essere colpa di qualcun altro?” Bill incrociò le braccia e sbuffò. Eppure aveva insistito così tanto perché Tom lo accompagnasse nella biblioteca dove solitamente si riunivano gli studenti di ingegneria per fare conquiste. Era iniziato tutto con un: “Non sono affascinanti gli ingegneri, Tom?” ed era finito con Tom che studiava mentre Bill flirtava di fronte la macchinetta del caffè con un ingegnere. “Non uscirò mai più con un ingegnere. Per fortuna che non mi ha baciato”
 
“Già, chissà quale malattia mortale avrebbe potuto mischiarti. L’intelligenza, forse” disse Tom con un sorriso, prese il suo zaino e si alzò, se lo mise sulle spalle.
 
“Scemo! Oh, ti sei deciso ad andare a lezione?” disse Bill guardandolo, il ragazzo fece spallucce.
 
“Dato che mi sono alzato presto per venire a lezione, è giusto che io ci vada”
 
Tom e Bill camminarono fianco a fianco per raggiungere la loro università, abbastanza in fretta rintracciarono l’aula in cui si sarebbe tenuta la lezione e si sedettero tra le ultime file. Da lì la professoressa, che non era ancora arrivata, non si vedeva chiaramente, ma almeno si sentiva bene; Bill, quindi, aveva la possibilità di prendere appunti mentre Tom accanto a lui dormiva indisturbato. Tanto il moro sapeva che alla fine gli avrebbe ceduto gli appunti perché mosso dalla pietà.
 
“E io che avevo previsto una grande scopata” disse Bill guardando di fronte a sé, il viso appoggiato sulla mano mentre si torturava le labbra con la matita. Tom gettò un’occhiata all’amico e subito il suo sguardo corse alle sue labbra carnose e rosee. “Per fortuna che ci sei tu che scopi per entrambi”
 
Tom ghignò e prese dal suo zaino il quaderno, lo posizionò sul banco. “Già”
 
“Ciao Bill! Ciao, Tom” disse un ragazzo dai capelli neri e un accenno di barba dello stesso colore. Indossava un maglione grigio e dei jeans così stretti che Tom provò dolore alle palle alla sola vista di quei pantaloni. Il rasta comunque ignorò il ragazzo nonostante l’avesse salutato, perché tanto sapeva a chi era realmente rivolto il saluto.
 
“Ciao, David! Come stai?” disse Bill e gli rivolse un sorriso, David ricambiò il sorriso.
 
“Molto bene! Tu, invece?”
 
“Potrebbe andare meglio” rispose il moro e fece spallucce, Tom incrociò le braccia sul banco e vi poggiò la testa sopra, chiuse gli occhi. 
 
“Stasera c’è un’offerta in quel nuovo ristorante spagnolo che hanno aperto: tutti i piatti del menù costano un euro. Ti va di andarci?” gli chiese e gli occhi del moro s’illuminarono. Non tanto perché amava il cibo, ma anche perché David gli stava forse proponendo un nuovo appuntamento e David non sembrava una persona tanto strana come quell’ingegnere che aveva incontrato ieri.
 
“Mi farebbe molto piacere!” rispose con entusiasmo.
 
“Perfetto” disse il ragazzo e sorrise, posò lo sguardo su un Tom pacificamente addormentato. “Tu vieni, Tom?”
 
“Andate, andate” disse il ragazzo e David sorrise. Bill posizionò i gomiti sul banco e incrociò le dita, le poggiò sotto il mento guardando il ragazzo.
 
“È un appuntamento?”
 
“Sì! Facciamo per le otto e mezza?”
 
 
*
 
 
L’appuntamento era iniziato da circa un’ora e non stava andando completamente male. Il locale in cui si erano rintanati per sconfiggere il freddo di novembre era piccolo e accogliente, ma non troppo affollato. Il loro tavolo, seppur piccolo perché riservato per due persone, era ricoperto da un’infinità di piatti che i due ragazzi avevano ordinato, incitati dal fatto che costassero solamente un euro.
 
David era un ragazzo che frequentava la sua stessa università e quindi anche gli stessi corsi. Si erano conosciuti quando Bill gli aveva fatto delle domande riguardo un esame che doveva affrontare e d’allora David era solito andare ogni volta vicino il suo banco e iniziare a chiacchierare con lui del più e del meno. Questa, però, era la prima volta che aveva avuto abbastanza coraggio da invitarlo fuori, e a Bill non era dispiaciuto affatto: si era rivelato essere più simpatico del previsto. Bill, che non aveva peli sulla lingua, gli aveva detto che aveva una faccia simpatica e il ragazzo l’aveva guardato con uno sguardo stranito, ma alla fine lo aveva ringraziato.
 
“Facciamo una gara di barzellette” disse il ragazzo e Bill gemette.
 
“No! Faccio schifo a raccontare barzellette” disse Bill e il ragazzo sorrise.
 
“Ognuno ha disposizione dieci secondi per dire una barzelletta, anche se non è la più simpatica del mondo, e se entro dieci secondi non ne ha detta una dovrà pagare un pegno”
 
“Che tipo di pegno?”
 
“Un bacio”
 
“Dove?”
 
“Sulla guancia!”
 
“Oh” disse Bill guardando il ragazzo in modo un po’ perplesso, gli sembrava strano che fosse il loro primo appuntamento e lui stesse cercando così disperatamente di ottenere un bacio. Non che Bill non avesse mai baciato qualcuno al primo appuntamento, anzi, ma era qualcosa di naturale, non imposto, dettato solamente dal reciproco interesse. Richiederlo non era assolutamente qualcosa da fare. E sì, Bill sapeva che un bacio sulla guancia non era un bacio sulle labbra, ma non era completamente stupido e sapeva cosa comportava un innocente bacio sulla guancia: l’ultima volta che un ragazzo gli aveva detto “solo un bacio sulla guancia” si era ritrovato con la sua lingua in gola. “Mmh, d’accordo”
 
“Bene, inizio io” disse il ragazzo e si sistemò sulla sedia, come se stesse per raccontare la barzelletta più bella del mondo, e poi disse: “Perché un gobbo non può studiare giurisprudenza?”
 
“Uhm—Non lo so?”
 
“Perché non può studiare diritto!” Bill sbatté le palpebre più volte e poi corrugò la fronte. “Non l’hai capita?”
 
“Sì che l’ho capita! Ma è—”
 
“Divertente?”
 
“No! Non si può nemmeno definire battuta!”
 
“Tocca a te”


“Oh, Cristo” Bill scosse il capo mentre il ragazzo iniziava a contare i secondi che passavano con le dita. “Non me ne ricordo nemmeno una”
 
“Bene: il primo bacio sulla guancia per te. Ora tocca a me!” Bill guardò il ragazzo e poi pensò che le sue labbra non si sarebbero mai e poi mai avvicinate a quella guancia.
 
 
*
 
 
“Tra pochi minuti dovrebbe arrivare l’autobus che mi riporterà a casa” disse Bill controllando gli orari del pullman, il ragazzo si fece più vicino a lui con la scusa di vedere meglio, ma il moro rabbrividì quando sentì il suo corpo contro il proprio. “Aspetti con me?”
 
“Certo. Sei sicuro di non voler venire a casa mia? È un po’ tardi perché tu torni a casa da solo” disse David e Bill indietreggiò lentamente, ma lo fece passare come un gesto casuale.
 
“Non preoccuparti” lo rassicurò Bill e sorrise.
 
“Potrei prestarti un pigiama. Inoltre, casa mia è molto vicina l’università, impiegheresti solamente dieci minuti a piedi per arrivarci” cercò di convincerlo ulteriormente, ma Bill non era ingenuo e sapeva cosa comportava un invito a dormire.
 
“Preferisco avere il mio pigiama e il mio letto” disse Bill in modo scherzoso. Iniziarono a chiacchierare del più e del meno e il moro non poté non avere un moto di schifo ogni volta che notava che il ragazzo si avvicinava sempre di più a lui. Capiva che stava cercando di baciarlo ma che non sapeva come farlo. Bill, comunque, non voleva che lo facesse. Fortunatamente non ci volle molto prima che il suo pullman arrivasse, Bill tirò un sospiro di sollievo.
 
“Grazie per la bella serata, David! Ci vediamo domani” disse e stava per andarsene, quando il ragazzo gli afferrò la mano e lo avvicinò a lui. Il cuore di Bill batteva all’impazzata e sapeva che non era né la voglia né il desiderio di baciarlo. Quando le labbra di David erano a pochi millimetri da quelle di Bill, questo voltò il viso in modo che urtassero contro la sua guancia. Dopo pochi secondi scappò sul pullman e si sedette, ma quando guardò fuori dalla finestra il ragazzo non c’era più. Sospirò e poggiò il capo contro il sedile, chiuse gli occhi per un momento. “Devo chiamare Tom” sussurrò e iniziò a cercare il suo telefono nella borsa.
 
 
*
 
 
La camera di Tom era completamente immersa nel buio, l’unica luce proveniva dai lampioni fuori e veniva filtrata dalle tapparelle non chiuse perfettamente bene. Era una luce giallastra che illuminava la pelle  facendola sembrare d’oro. Emise un gemito spezzato, quasi sospirato, e chiuse gli occhi, passò una mano tra quei capelli lunghi e corvini della ragazza. Aprì gli occhi solamente per vedere la sua mano districare quei capelli, quei capelli tra le sue dita, pelle oro e capelli neri.
 
La ragazza era inginocchiata mentre Tom era seduto sul suo letto, lei non indossava nulla se non le mutandine, tutta la sua roba era sparsa un po’ dappertutto. Tom, completamente nudo, delle volte gemeva e accarezzava con il pollice la fronte della ragazza, e guardava dappertutto tranne che il suo viso, era ostile a toccarla. La ragazza si tirò indietro e provocò uno schiocco che fu musica più per le orecchie di Tom che per il suo membro, lei non perse tempo e ritornò a fare ciò che stava facendo.
 
L’atmosfera così immersa nel silenzio venne bruscamente interrotta dalla suoneria del cellulare del ragazzo. Questo gemette e approfittò del fatto che la ragazza si era scostata per afferrarlo, notò il nome di Bill e rispose. “Pronto?” chiese e abbassò lo sguardo, soppresse un gemito: la ragazza aveva ripreso a succhiare.
 
“Tom, non puoi capire cosa mi è successo!” disse Bill parlando a bassa voce solo perché era in un pullman, ma in realtà voleva urlare. “Sono uscito con David!”
 
“Ah, già—” Tom si lasciò scappare un gemito. “Com’è andata?”
 
“Male, come al solito! Lui—aspetta, hai appena gemuto?” chiese, ma Tom, dall’altro lato, non rispose. “Stai scopando?!”
 
“Quasi” disse il ragazzo, si morse il labbro.
 
“Cazzo, mi ero dimenticato che avresti passato la serata con Bella! Scusami, Tom! Ti racconto domani. Buona scopata!” E attaccò.
 
 
*
 
 
“Non uscirò mai più con lui! Nemmeno se scendesse Dio in persona sulla terra e s’inginocchiasse di fronte a me pregandomi di dargli un’altra chance” protestò Bill, incrociò le braccia. Lui e Tom erano nella sua stanza e si stava lamentando da circa mezz’ora su come fosse stato avventato nelle cose quel benedetto ragazzo. “È stato inquietante, Tom! Pensavo mi sarebbe saltato addosso!” Girò la sua sedia con le rotelle e guardò Tom, steso completamente sul suo letto che non spiaccicava parola da quando era entrato. “Io capisco che sono bellissimo e che la gente a malapena riesce a contenere i suoi impulsi bestiali e animaleschi quando mi guarda, ma cavolo! Aspetta almeno di essere in una camera da letto!”
 
“Già, Bill, ma non puoi fartene una colpa: non è mica colpa tua se sei nato così bello” gli disse Tom scuotendo il capo, Bill sospirò.
 
“È questo il problema!” Si alzò velocemente dalla sua sedia e si avvicinò a Tom, si sedette ai suoi piedi.  “Sono così affascinante che la gente delle volte dimentica che sono una persona e ho dei sentimenti. Ma non possono vedermi solo come un giocattolo erotico! Dovrò pur trovare qualcuno che non pensi subito a scoparmi appena mi vede!”
 
“Oh, Bill, solo io capisco il tuo cuore” disse in modo patetico Tom, Bill lo guardò e improvvisamente si ricordò dell’incontro erotico dell’amico.
 
“A proposito, com’è andata con Bella?”
 
Tom fece spallucce. “È venuta a vedere un film a casa mia”
 
“E basta?”
 
“Basta”
 
“Ma se quando ti ho chiamato mi hai gemuto in un orecchio” Bill sorrise malizioso e incrociò le braccia, Tom sospirò e si mise a sedere, incrociò le gambe e poggiò le mani sulle sue cosce.
 
“È andata male” rivelò infine, molto più vicino a Bill, ora.
 
“Perché?” chiese il ragazzo inarcando un sopracciglio e Tom evitò il suo sguardo guardando in terra.
 
“Forse non posso dirtelo”
 
“Oh, avanti! Io ti racconto anche in quale posizione scopo” disse Bill con un sorriso sulle labbra, Tom lo guardò e sorrise, poi decise di aprirsi.
 
“Non riuscivo ad avere un’erezione”
 
“Cosa?!” esclamò Bill strabuzzando gli occhi e spalancando la bocca, guardò Tom da capo a piedi.
 
“Non mi si alzava il ca—”
 
“Ho capito! So cos’è un’erezione, ce l’ho anche io!”
 
“Ora?” chiese Tom e gli guardò il pacco, istintivamente Bill se lo coprì con le mani.
 
“No!” disse e per un attimo rimase in silenzio. “Ma—Perché?! Non hai mica cinquant’anni”
 
“Non lo so, non gli ho dato molto peso” disse facendo spallucce, Bill corrugò la fronte. Quel ragazzo alla sola età di ventun anni non riusciva ad avere un’erezione con una delle ragazze più belle dell’ateneo e non gli dava molto peso. Bill, se al posto del ragazzo ci fosse stato un altro, avrebbe detto normalmente che stava mentendo, ma Tom non mentiva mai quando parlava con lui e comunque il moro aveva imparato a riconoscere quando lo faceva. Il rasta guardò Bill che ancora non sapeva cosa dire, batteva le palpebre e non riusciva a pronunciare.
 
“Ma—Perché?!”
 
“Oh, sai, passano tante cose nella mente di un uomo quando deve avere un’erezione” disse Tom con tranquillità, come se fosse annoiato dalla conversazione, ma non lo era, voleva solamente cambiare argomento. Spostò il suo sguardo da Bill alla camera del moro in cui si trovavano.
 
“E cosa ti passava nella mente, Tom? Dio—Mi sarei scopato anche io Bella, se non fossi così dannatamente gay!” s’interessò il moro, Tom corrugò la fronte e lo guardò.
 
Tacque a lungo per poi dire: “Ho un esame imminente”
 
“Oh, certo” Bill alzò lo sguardo al cielo perché quella era una scusa, ma aveva un sorriso sulle labbra. A Tom non interessava dell’università, degli esami e dello studio e sembrava paradossale che ora invece si preoccupasse così tanto del suo prossimo esame da non riuscire ad avere un’erezione. “Beh, però alla fine ci sei riuscito, no?”
 
“Sì, se t’interessa” disse Tom e ricambiò il sorriso, improvvisamente il moro si arpionò al suo braccio.
 
“Tom, sono tanto contento che siamo così amici da raccontarmi queste cose relativamente imbarazzanti!” esclamò il ragazzo poggiando la testa sulla spalla di Tom e chiuse gli occhi, sospirò.
 
“Relativamente imbarazzanti” ripeté sussurrando Tom prima di ghignare e poi gli lanciò un’occhiata. “Già” mormorò.
 
 
*
 
 
“Dove hai lasciato Tom?” gli chiese la ragazza di fronte a lui. Aveva dei bei capelli biondo cenere racchiusi in due trecce che le ricadevano, disordinati, sulle spalle. I suoi occhi erano castani con delle sfumature di verde e aveva un piccolo naso tutto ricoperto di lentiggini. Bill, intento a osservare la gente presente nel bar moderatamente affollato, puntò lo sguardo su di lei. Aveva accavallato le gambe e stava mordicchiando una matita. La sua mano sinistra era sul libro aperto che si trovava sul tavolo, lo stesso libro che da alcuni giorni si rifiutava completamente di studiare.
 
“Tom?” ripeté il nome del suo migliore amico e allontanò la matita dalla sua bocca, la posò nel mezzo del libro. “Non viviamo mica in simbiosi”
 
“Avete litigato?” chiese la ragazza corrugando la fronte, prese il cappuccino aromatizzato al caramello che aveva ordinato per berne.
 
“No” disse Bill, scosse il capo e si sistemò sulla sedia.
 
“Strano, sembra che sia impossibile vedervi separati. Quando mi hai chiamato e hai detto che stavi venendo da solo quasi non ci credevo” disse la ragazza e Bill ghignò, prese anche lui il suo cappuccino e puntò lo sguardo su un ragazzo, probabilmente colui che serviva i tavoli, che aveva puntato da un po’. Era alto e aveva un fisico asciutto, indossava dei semplici jeans neri e una maglia bianca. I suoi capelli erano biondi e ricci e gli ricadevano in modo disordinato sul viso e di fronte gli occhi, di un bel colore azzurro.
 
“Oh, ha detto che doveva studiare qualcosa” borbottò il ragazzo velocemente e puntò nuovamente lo sguardo sulla sua amica, questa gli sorrise come se sapesse qualcosa che non avrebbe dovuto sapere. Ma in questo caso poteva chiamarla visionaria, perché non c’era nulla da sapere se non che loro erano semplici e buoni amici. “Sai,” iniziò Bill, rigirando la cannuccia nel cappuccino. “Al liceo ero innamorato di Tom”
 
“Davvero?” chiese Helena sorridendo, si sporse in avanti per ascoltare meglio a causa del chiacchiericcio costante delle altre persone. “Perché?”
 
“Perché?” ripeté Bill, alzò lo sguardo al cielo alla ricerca di qualche risposta. “Perché no?”
 
“Giusto, Tom sembra senza difetti. Sarebbe perfetto se parlasse di più”
 
Il moro rise e abbassò di nuovo lo sguardo. “Con me parla eccome! Non è mai logorroico, ma parla” disse e scosse il capo, Helene abbozzò un sorriso.
 
“Gliel’hai mai detto?”
 
“Oh, Dio, no! Sarebbe la fine”

“Fine di cosa?”
 
“Della nostra amicizia! Voglio dire, sette anni sono tanti, forse troppi. Non potevo rovinarla solamente perché avevo voglia di saltargli addosso” ammise e la ragazza ghignò, Bill sorrise, ma era la verità.
 
“Sei ancora innamorato?”
 
“No” disse velocemente, scosse il capo. “È stato un lungo e duro percorso, ma mi sono disintossicato”
 
“Sono felice per te” La ragazza stava per aggiungere qualcos’altro quando il cameriere che Bill stava osservando assiduamente si presentò al loro tavolo. Poggiò casualmente le mani sul loro tavolo e Bill le osservò, inarcò le sopracciglia guardando quelle dita affusolate, pelle nivea, unghie corte. Il suo sguardo proseguì sul braccio, l’avambraccio e presto incontrò i suoi occhi.
 
“Posso portarvi qualcos’altro, ragazzi?” chiese ad entrambi, ma guardò solamente il moro. Bill sorrise e con la faccia più angelica e pura che potesse assumere gli chiese il numero.
 
 
*
 
 
“Quale film vuoi vedere?” disse il ragazzo, Bill si avvicinò alle sue spalle e guardò l’ordinata raccolta di DVD che possedeva. Erano nell’appartamento del ragazzo che Bill aveva scoperto chiamarsi Frank. Non era molto grande, ma supponeva andasse bene dato che viveva da solo. Nel salotto in cui si trovavano le luci erano soffuse e illuminavano a malapena l’arredamento non ricco: solo un divano rosso, un tavolino bianco posto di fronte, un grande televisore e sotto di questo una piccola libreria.
 
“Che ne dici di questo?” Bill prese un DVD e lo fece vedere a Frank, questo sorrise e annuì. Tolse il DVD dalla sua mano e nel farlo sfiorò le dita del moro, quest’ultimo si girò per guardarlo avvicinarsi al televisore, inserire il CD e poi andarsi a sedere sul divano.
 
“Vuoi vedere il film in piedi?” chiese Frank e accarezzò il posto vicino a sé, Bill lo guardò un po’ prima di accomodarsi accanto a lui. Era così vicino che riusciva a sentire il suo profumo, non lo vedeva ma poteva odorarlo e questo era sufficiente per non farlo sentire assolutamente a suo agio.
 
Per una buona mezz’ora guardarono il film in silenzio: Bill era rigido seppur non ne avesse motivo, dato che Frank non aveva nemmeno ancora accennato a voler circondare le sue spalle con un braccio, né tantomeno a toccarlo. Poi, così assorto nella sua ansia com’era, saltò quando il ragazzo poggiò una mano sulla sua gamba destra, la fece scivolare nell’interno coscia e strinse la sua carne. Bill lo guardò e trovò Frank già intento ad osservarlo.
 
Non seppe perché, ma fu lui il primo a saltargli addosso. Si andò a sedere sulle sue gambe e iniziò a bacialo con voluttà, circondò il suo viso con le mani mentre quello era ancora restio a toccarlo. Quando poi decise di circondare la sua vita con le mani, era solo per sfilargli la maglietta. Allora Bill si rese conto che era la prima volta dopo tanto che lo faceva, che forse non era ancora pronto per quel tipo di cose.
 
Alzò lo sguardo al cielo mentre il ragazzo iniziò a divorargli il collo, accarezzò i suoi capelli mentre cercava di non piangere. Ce la stava mettendo davvero tutta, ma una lacrima non poté non sgorgare dai suoi occhi, facendolo vergognare come un ladro. Si staccò bruscamente e gli diede le spalle per non permettergli di notare che era in lacrime. Prese la sua maglia a terra e Frank, alle sue spalle, seguì i suoi movimenti con uno sguardo piuttosto confuso.
 
“Ho fatto—”
 
“No” lo interruppe Bill, s’infilò velocemente la maglia e si avvicinò velocemente alla porta, uscì.
 
 
*
 
 
“No, stavo—stavo studiando” disse Tom con un tono di voce parzialmente addormentato. In effetti, addormentarsi sui libri era proprio quello che aveva fatto: aveva poggiato la testa sul libro ancora aperto e, seppur quella posizione fosse scomoda come il caldo dell’inferno, non gli ci era voluto molto prima di cadere in un sonno profondo. “Okay, tanto la chiave ce l’hai, no?” chiese e si stiracchiò. “No, non voglio alzarmi” Sospirò e il suo capo cadde di nuovo sui libri.
 
Dopo un po’, Tom sentì rigirare la chiave e aprire la porta. Bill guardò la casa di Tom e la vide immersa nell’oscurità, sembrava che non solo lui, ma anche i suoi coinquilini stessero dormendo. Si sentiva un po’ un ladro, ma non era colpa sua se Tom gli aveva dato una copia delle sue chiavi non appena aveva trovato casa. Dare la chiave di casa sua a Bill era stata la cosa migliore che Tom potesse fare. Era vero, delle volte potevano accadere degli inconvenienti – del tipo, momenti in cui Tom voleva rimanere da solo e Bill si presentava all’improvviso – ma non succedevano poi così tanto spesso.
 
Il corridoio buio lo accolse quasi in malo modo e Bill sarebbe sicuramente andato a sbattere contro qualcosa – come ad esempio la libreria o la scarpiera – se non conoscesse quella casa ormai come le sue tasche. La camera di Tom era proprio alla fine di quel breve corridoio, aprì la porta chiusa e trovò la stanza immersa anch’essa nel buio. L’unica luce proveniva dalla lampada sulla scrivania di Tom e illuminava il ragazzo mezzo addormentato sui libri.
 
“Tom!” lo chiamò sussurrando e si avvicinò a lui, il ragazzo si tirò su e si stropicciò gli occhi, guardò Bill. “Ma non stavi studiando?” gli chiese e si aprì in un sorriso, felice di vedere una faccia amica dopo quella breve crisi che aveva vissuto.
 
“Io—Sì, stavo studiando” disse, ma non poté evitare di sbadigliare. Bill andò ad accedere la luce e Tom gemette coprendosi gli occhi. “Che ore sono?”
 
“Mezzanotte e qualcosa” disse Bill e si tolse il cappotto, lo poggiò sul letto. Vi si sedette e iniziò a togliersi le scarpe. “Ti dispiace se dormo qui?”
 
Tom si girò e guardò Bill togliersi la scarpa destra, fece spallucce. “Tanto ti stai già accomodando” disse e si alzò, si avvicinò all’armadio per prendere il pigiama. S’interruppe e guardò Bill, corrugando la fronte. “C’è qualcosa che non va?”
 
Il moro smise di fare quello che stava facendo per guardare il rasta. “Qualcosa che non va?”
 
“Sì. Insomma, solitamente ti ritrovo all’improvviso in casa mia, è vero, ma non a mezzanotte e qualcosa” disse e si sfilò la maglietta, Bill abbassò lo sguardo.
 
“Uhm, ho passato la serata con uno” confessò con un tono di voce quasi basso che per poco Tom non lo sentì, ma c’era il silenzio assoluto in quella casa e gli permise di comprendere. Il rasta s’infilò la maglia del pigiama e si sbottonò i jeans.
 
“È andata bene?” chiese scalciando i pantaloni enormi.
 
“Bene, fottutamente bene” Il ragazzo si alzò dal letto e si avvicinò anche lui all’armadio, cercò un pigiama di Tom che gli andasse bene.
 
“Cos’ha fatto di male?”


“Lui niente!” esclamò Bill e si fermò quando ebbe finalmente trovato il pigiama adatto, guardò Tom e lo trovò intento a guardarlo. “Sono scoppiato a piangere”
 
“Oh” disse il ragazzo biondo, corrugò la fronte. “Perché?”
 
“Perché ho iniziato a pensare che stavo ricominciando tutto da capo e questo implicava una rottura definitiva con quello che c’era stato prima. Implica imparare a conoscere un’altra persona, imparare il suo carattere, i suoi pregi, i suoi difetti, aprirsi con lei per permetterle di poter fare lo stesso. Non voglio farlo. Non perché voglia rimanere chiuso nella mia piccola bolla di sapone, al contrario. Ma è una strada così lunga e così complicata, una strada che ho già percorso e non voglio farla di nuovo” Bill prese un respiro spezzato e i suoi occhi bruciarono. Ora che si sentiva al sicuro accanto a Tom si permetteva finalmente di piangere. “Riuscirò mai a dimenticarlo?”
 
“Certo che ci riuscirai, era un idiota!” si lamentò Tom e Bill abbassò lo sguardo, le lacrime finalmente sgorgarono dai suoi occhi.
 
“Lui se n’è andato, cazzo, e io dovrei stare bene. Il fatto è che non ha portato con sé questi fottuti ricordi che ora ho e che continuo a rivivere, ricordi che mi fanno comparare tutte le mie azioni del presente con le nostre azioni del passato” disse e si asciugò le lacrime con la manica della felpa, il suo trucco inevitabilmente si sbavò, eppure anche così, con gli occhi cerchiati dal nero sbavato dalle lacrime e il viso parzialmente illuminato dalla luce della lampada sulla scrivania, agli occhi di Tom parve bellissimo. “Lui sarà andato avanti, molto avanti, mentre io non riesco a muovermi dal posto in cui mi ha lasciato”
 
“Bill—” Tom aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse. Il moro rivolse il suo sguardo lacrimevole su di lui e il biondo scosse il capo sospirando profondamente. “Il problema è che tu sei troppo stupido per vedere. Potresti ricominciare da capo senza dover far tutto ciò che hai appena detto, se per un solo momento aprissi quei tuoi dannatissimi occhi per vedere”
 
“Vedere cosa?”
 
Tom alzò lo sguardo. “Che sono fottutamente innamorato di te”
 
Bill inizialmente comprese le singole parole, ma gli ci volle un po’ per collegarle l’una con l’altra e improvvisamente, in un secondo, l’immagine di Tom che in quegli anni si era costruito si spezzò, cadendo pezzo dopo pezzo. Perché per lui Tom era stato una sorta di idolo, qualcosa di intoccabile e di irraggiungibile; perché per lui Tom non riusciva a provare sentimenti umani, Tom non riusciva a provare nulla se non il desiderio e la lussuria e di questi si accontentava, come se avesse paura di andare oltre. Ora, invece, Tom si era aperto con lui molto più di quanto avesse fatto in quei sette anni e per la prima volta lo vedeva fragile, lo vedeva debole, lo vedeva umano. Non sapeva cosa dire in quanto le parole non fuoriuscivano più dalla bocca di Tom, ma i suoi pensieri andavano avanti e avanti e non si fermavano. Come per recuperare un pezzo di quella sicurezza che si era andata ad infrangere e schiantare contro il pavimento, disse: “Non è possibile! Innanzitutto, tu sei etero”
 
Tom sospirò pesantemente e si coprì gli occhi con una mano. “Bill, non ho un’erezione quando sto con le donne”
 
Bill strabuzzò gli occhi e il suo viso si colorò immediatamente di rosso. “Cosa? Ma con Bella—”
 
“Cristo, Bill, l’unico metodo per farmelo alzare è stato pensare che aveva i tuoi stessi fottuti capelli! E che magari massaggiandoglieli e toccandoli, chiudendo gli occhi, avrei potuto avere l’illusione che fossi tu”
 
“Oh, porco mondo” sussurrò Bill e si coprì la bocca. Tom pensava a lui quando andava con le altre persone. Non era consolatorio, né tantomeno romantico, ma in qualche modo diede un effetto benefico alla sua salute psicologica.
 
“Ma comunque dimentica tutto” disse e si infilò i pantaloni del pigiama, Bill lo guardò fare quelle cose in maniera meccanica.
 
“Perché mai dovrei dimenticare tutto?”
 
“Perché tu stai girando tutto il mondo alla ricerca del vero amore, questo mi porta a pensare che quello che hai vicino di sicuro non lo sia” disse e fece spallucce, si avvicinò al letto e lo disfò. “Quando vieni a letto spegni la luce, per favore”
 
Bill guardò il ragazzo infilarsi sotto le coperte e appiccicarsi contro il muro per fargli un po’ di spazio, ma se pensava che la conversazione fosse finita così allora non lo conosceva bene. Il moro abbassò lo sguardo come se da quella posizione e con quella poca luce Tom potesse guardarlo e oltrepassare il suo corpo di carne e arrivare alla sua anima. “Quello che ho vicino—” s’interruppe ancora prima d’iniziare, sentì Tom muoversi tra le lenzuola e poi sentì il suo sguardo su di lui. “Sto girando tutto il mondo perché penso che quello che ho vicino non potrò mai ottenerlo”
 
Tom si mise a sedere e poggiò la schiena contro la testiera del letto, vide Bill così nervoso di fronte a sé, come non lo era mai stato: evitava il suo sguardo, si torturava le mani e le labbra. “Che stronzata” disse e Bill alzò lo sguardo, strabuzzò gli occhi e il suo cuore iniziò a battere più forte. La paura che Tom non gli credesse prese possesso di lui, perché lui aveva la lingua come congelata e non riusciva a pronunciare altre parole. Ma se Tom avesse messo le mani sul suo viso, in fiamme, sul suo cuore, impazzito come un tamburo, e sulle sue mani, tremanti, non avrebbe avuto bisogno di parole. “Era evidente” disse poi, sciogliendo tutta l’ansia di Bill.
 
“Evidente?! Tom, sei una fottuta muraglia!” esclamò Bill e Tom abbassò lo sguardo, il moro si rilassò. “Comunque, potremmo provarci”
 
“A stare insieme?” Il rasta alzò lo sguardo su di lui, Bill abbozzò un sorriso.
 
“Sì, ma prima dovremmo avere un primo appuntamento, altrimenti come faccio a capire che sei quello giusto?”
 
Tom ridacchiò e ritornò a stendersi, diede le spalle a Bill. “Idiota” commentò, Bill sorrise. “Spegni la luce” Il moro spense la luce e raggiunse l’amico. S’infilò sotto le coperte già calde e guardò le spalle di Tom, era silenzioso da un po’ e pensava si fosse addormentato. “Domani a cena va bene?”
 
Bill si aprì in un sorriso luminoso e annuì, prima di ricordarsi che Tom non poteva vederlo. “Sì che va bene!” disse e anche Tom sorrise. “Anche se non siamo nemmeno al nostro primo appuntamento che già dormiamo insieme”
 
Tom si girò per fronteggiarlo. “Allora vai a dormire fuori! Sei tu che hai invaso il mio spazio vitale”
 
“Ma che vuoi? Mi hai invitato tu”
 
“Come, scusa? Ma chi ti credi di essere?” Bill rise e pensò che Tom era divertente, come immaginava essere il suo uomo ideale, e sapeva tenergli testa. Forse era l’unico che sapeva farlo così bene. “Vuoi accoccolarti?” chiese all’improvviso e Bill arrossì, come mai aveva fatto in presenza di Tom.
 
“No, no! Partiamo proprio male” disse Bill ma si avvicinò al petto di Tom. Poggiò la testa sotto la sua testa e lo sentì ridere mentre circondava con le sue braccia possenti il suo esile corpo. Chiuse gli occhi e sospirò, cadde in un sonno profondo.
 
 
*
 
 
“Dio, scusami il ritardo! È da tanto che aspetti?” chiese ad alta voce, dalla sua bocca uscirono delle nuvolette di fumo. Il ragazzo di fronte a lui, appoggiato con la schiena contro il muro, alzò lo sguardo su di lui e inarcò le sopracciglia, si girò verso di lui.

“Ora secondo il tuo copione da strapazzi dovrei risponderti che sono appena arrivato?” gli chiese Tom e gettò la sigaretta a terra, appena toccò il pavimento congelato si spense subito, emettendo un po’ di fumo.
 
“Ah, non lo so! Ma poi, hai imparato un copione per l’occasione?” disse Bill sorridendo, portò le mani dietro la schiena e iniziò a dondolare leggermente avanti e indietro.
 
“Sono quindici minuti che aspetto!” disse Tom e alzò la manica della sua giacca per far vedere a Bill il suo orologio.
 
“Come sei maleducato! Hai perso qualche punto. Eppure quando faccio ritardo normalmente non mi riprendi” disse e il rasta alzò lo sguardo al cielo, ma c’era un sorriso sulle sue labbra.
 
“Non ti riprendo solo perché so che non l’hai fatto apposta” chiarì e s’incamminò, si girò a guardare Bill. “Hai intenzione di rimanere lì tutta la serata?” gli chiese e Bill corse per raggiungerlo.
 
“Dove hai intenzione di portarmi?” gli chiese il ragazzo mentre s’incamminavano verso il centro della città. Le temperature in quei giorni erano scese di molto ed erano anche caduti dei fiocchi di neve; la città era solo parzialmente imbiancata, ma il freddo era tagliente. Tom, senza guanti, mise le mani nelle tasche e Bill guardò le sue mani, desiderando di poterle stringere mentre camminavano, ma erano coperte completamente dal tessuto dei larghi jeans che indossava il ragazzo.
 
“Ho pensato che nella tua mente malata per essere un perfetto appuntamento avrei dovuto portarti in qualche ristorante lussuoso, ma, ahimè, avrei dovuto pagare io e sinceramente non ho intenzione di spendere una fortuna per quanto mangi” disse il ragazzo e sorrise, Bill gli diede una gomitata nel fianco.
 
“Stai perdendo sempre più punti! Potresti tacere certi pensieri, per favore? Non vorrei che a fine serata arrivassi a zero punti e a quel punto dovremmo interrompere tutti i rapporti” disse Bill e Tom sghignazzò, il moro sorrise.
 
“Con quanti punti sono partito?”
 
“Con cento, come gli altri, ma siamo arrivati già a sessanta”
 
“Oh, sono sul filo di un rasoio” commentò Tom e i due ragazzi risero.
 
Tom conosceva Bill come le sue tasche. Sapeva che l’amico adorava essere portato in ristoranti di lusso ai primi appuntamenti, ma solamente per dare all’altro l’illusione di essere una persona estremamente sofisticata e che se ne intendeva qualcosa. Bill, però, non sentiva la necessità di fingere di fronte a Tom, anche perché non poteva, dato che il ragazzo conosceva ogni centimetro della sua personalità, quindi il rasta aveva pensato che sarebbe stato inutile portare in un luogo sofisticato Bill dove le uniche cose che avrebbero fatto sarebbero state ubriacarsi con il vino e mangiare troppo poco cibo.
 
“Mi stai portando al nostro ristorante cinese preferito?” chiese Bill dopo essersi reso conto della strada che i due stavano percorrendo.
 
“Sei perspicace” gli disse Tom e si avvicinò al locale, Bill inarcò le sopracciglia.
 
“Grazie per il complimento, anche se devo dire che ho percepito una nota d’ironia. Sbaglio?”

“Sbagli”
 
“Okay, un’altra nota di ironia”
 
“Prima le donne” disse Tom ghignando, sembrava che quella sera non riuscisse proprio a perdere il sorriso, un po’ perché stare con Bill era sempre divertente e un po’ perché finalmente stava con Bill nel senso in cui avrebbe sempre voluto. Il moro lo guardò tenergli aperta la porta sbattendo le ciglia, ma poi entrò comunque dentro.
 
“Meno venti punti” disse Bill quando il suo viso non fu più visibile a Tom, questo gemette dispiaciuto.
 
Dopo dieci minuti si erano seduti al loro tavolo e stavano entrambi aspettando che i loro piatti preferiti fossero pronti. Solitamente durante i primi appuntamenti si creava un po’ d’imbarazzo, perché la conversazione voleva essere portata avanti ma nessuno dei due sapeva cosa dire, ma i due ragazzi conversavano con scioltezza e dimestichezza e tutto veniva da sé, come se fosse una normale conversazione tra i due giovani, come se non fossero al loro primo e reale appuntamento. Passavano da un argomento all’altro a velocità sostenuta e questi sembravano non esaurirsi mai, Bill fu lieto e in parte sollevato del fatto che, nonostante l’occasione un po’ particolare, il piacere di chiacchierare con Tom c’era sempre.
 
“Solitamente,” iniziò Bill quando la conversazione precedente terminò con una risata di entrambi. “Questo è il momento in cui l’uno porge delle domande all’altro per conoscerlo meglio”
 
“Oh” disse Tom e si grattò una guancia. “Beh, puoi iniziare tu”
 
“Eh, e cosa dovrei chiedere? Conosco ogni tuo fottuto particolare, ogni tua abitudine e so anche tutto il tuo passato” Il moro fece spallucce e Tom sorrise.
 
“Già, conosci il mio passato perché c’eri mentre lo vivevo” disse il rasta e si guardò in giro prima di chiedere: “Ti dispiace che non potrai porgermi delle domande perché conosci tutti i miei particolari, tutte le mie abitudini e tutto il mio passato?”
 
“Vuoi la verità?” chiese il ragazzo di fronte a sé, Tom annuì. “No. Mi hai risparmiato un sacco di tempo” Il rasta si aprì in un sorriso.
 
 
*
 
 
“Sono rimasto molto deluso” disse Bill una volta usciti dal locale. Tom si abbottonò in fretta e furia il suo giubbino e poi prese a camminare, il moro lo seguì seppur non avesse idea di dove lo stesse portando.
 
“Non ti è piaciuto il cibo?” gli chiese mentre ritornavano al centro, l’orologio vicino al palazzo comunale segnava le undici in punto, Tom non immaginava fosse così tardi.
 
“No! No, i noodles che ho ordinato erano fantastici. Tom, davvero non te ne sei accorto?”
 
“Uhm, suppongo di no”
 
“Ma è ovvio che non te ne sei accorto, altrimenti ti staresti lamentando anche tu ora”
 
“Potresti dirmi di cosa dovrei lamentarmi, così inizierei a farlo” disse ed entrò nel porticato di un palazzo che si trovava poco distante dal centro. Quel palazzo pubblico era stato il primo edificio che Tom e Bill avevano visitato durante la loro prima uscita notturna in quella città. La particolarità di quel palazzo, costruito in mattone durante l’epoca medievale, era che agli angoli presentava delle grandi colonne, ognuna decorata da una nicchia in cui vi era una statua di un gargouille.  Se una persona si avvicinava ad una della colonna e vi sussurrava qualcosa contro, le persone vicino alle altri colonne riuscivano a sentire perfettamente ciò che aveva detto. I due ragazzi, la loro prima sera, avevano provato, Tom aveva bisbigliato qualcosa di volgare e Bill si era messo a ridere e gli aveva sussurrato a sua volta di aver capito e lo aveva accusato di essere piuttosto maleducato. Un’altra peculiarità di quel palazzo tanto apprezzato dai due era che aveva delle scale che portavano al tetto, sul quale si riusciva a vedere tutta la città, con i suoi edifici e con la sua popolazione perennemente indaffarata. Era come se il tempo si fosse fermato, come se fossero i padroni del mondo, ed era qui che si stava dirigendo Tom.
 
“L’ultima volta che ci siamo andati ci hanno regalato i biscotti della fortuna quando siamo andati a pagare, invece ora no! Hanno permesso che ce ne andassimo a mani vuote” si lamentò Bill iniziando a salire le scale, seguendo Tom. Era così impegnato a lamentarsi dei mancati biscotti della fortuna che non si era nemmeno reso conto di dove fossero o di dove stessero andando.
 
“Che disgrazia che ci ha investito. Pensi di poterli mai perdonare?” chiese Tom con un sorriso sulle labbra, prendere in giro Bill era una delle attività che preferiva fare.
 
“No, non posso Tom e tu lo sai. Non puoi chiedermi di perdonarli, il mio cuore non è forte abbastanza per questo. Ma comunque, dove stiamo andando?” chiese il ragazzo e si guardò intorno, ma tutto ciò che vide furono scale e pareti.
 
“In cima” Bill alzò gli occhi al cielo.
 
“Questo l’avevo immaginato. Non si sale mica le scale per arrivare in fondo, sai, Tom?”
 
“È una nota d’ironia quella che percepisco?” chiese Tom e si girò a guardare il ragazzo con un sorriso sulle labbra, Bill perse un battito per quanto fosse bello il suo migliore amico.
 
“Esatto”
 
“Meno venti punti”
 
“Ehi! Sono io quello che sta contando i punti, qui!” esclamò Bill e finalmente posero il piede sull’ultimo gradino. Erano abbastanza in alto perché ci fosse un po’ di vento, ma non disturbava. “Mi ricordo!” esclamò il moro e corse  vicino la ringhiera, vi posò le mani sopra e guardò in basso. La grande città era immersa nel buio, dei lampioni – che sembravano piccoli visti dall’alto – illuminavano le strade di un orrendo e triste arancione. La piazza principale era essenzialmente vuota a quell’ora, facendo sembrare la città nient’altro che dormiente, ma Bill pensò di essere uno dei pochi privilegiati che poteva vederla e viverla in quelle condizioni. Solitamente era così impegnato durante il giorno che non faceva altro che correre, quasi senza guardarsi intorno, ma ora la città, silenziosa e beata, si porgeva a lui affinché la vivesse, affinché la comandasse. “Siamo venuti qui la prima volta che siamo usciti, quando non eravamo altro che due matricole” disse Bill quando sentì Tom avvicinarsi a piccoli passi alle sue spalle. “Quanto tempo che è passato”
 
“Solo un anno” rispose razionalmente Tom, Bill scosse il capo.
 
“Che bella” sussurrò e continuò a guardare la città che lo aveva visto piangere, soffrire, trovare l’amore e poi perderlo, farsi nuovi amici e convalidare amicizie già fatte. Oh, era stata così buona con lui. L’aveva trattata come se fosse una mamma, facendolo crescere.
 
“Mi dici a quanti punti sono arrivato?” chiese Tom affiancandolo invece che stargli alle spalle.
 
“Mmh, vediamo” Bill alzò lo sguardo al cielo illuminato solo dalla luna, privo delle stelle. “Direi che, per forza di cose, ti sono rimasti solo venti punti”
 
“Oh, cavolo. Mi sa che perderò anche questi venti punti” disse il rasta e guardò Bill, quest’ultimo spostò lo sguardo dalla luna al viso del suo migliore amico.
 
“In che modo?” chiese e poi Tom si avvicinò velocemente alle sue labbra, le assaporò. Finalmente il suo sogno più puro che riguardava Bill si era avverato. C’erano giorni in cui era talmente frustato che non sapeva che fare se non camminare nervosamente avanti e indietro, perché la frustrazione sessuale sapeva domarla e poteva scomparire, ma quando l’oggetto del suo desiderio era qualcosa di così specifico come un bacio di Bill, le coccole di Bill, gli abbracci di Bill, lui, cavolo, non poteva fare nulla se non sedersi in terra e sperare che il migliore amico si accorgesse di volerlo. Delle volte, quando dormivano insieme, aspettava che Bill si addormentasse e lo guardava ronfare dolcemente e con gli occhi tracciava il contorno delle sue labbra rosee, carnose e fottutamente invitanti, perché era il più vicino che potesse sperare di essere. Ma ora le labbra di Bill erano sulle sue e la realtà superò di gran lunga la sua immaginazione. Aveva sognato di baciare Bill in tutti i modi e dappertutto, i suoi sogni andavano da baci piccoli innocenti, come sulla fronte o sulle guance, a baci decisamente erotici, come la scia di baci che desiderava lasciare mentre raggiungeva le sue parti più intime.
 
Bill circondò il viso di Tom con le mani e sentì il ragazzo farsi più vicino a lui finché non cinse la sua vita con le braccia. Erano letteralmente spalmati l’uno contro l’altro. Tom inclinò il capo e prese a succhiare il labbro inferiore di Bill, lo morse e poi si staccò. Gli occhi castani dei ragazzi s’incontrarono.
 
Tom interruppe il silenzio. “Mi dici sempre che non si dovrebbe mai baciare una persona al primo appuntamento”. Bill rimaneva in silenzio, tanto che il rasta pensava che davvero lo avrebbe scacciato via, ma ora le sue mani si erano spostate dal suo viso e dal suo petto e sembrava non avere intenzione di fuggire via dalle sue braccia.
 
“Hai perso gli ultimi venti punti che ti erano rimasti” disse poi e Tom sorrise.
 
“Cazzo! Sono a zero punti?”
 
“Sì, Tom. Hai perso completamente lo status di mio migliore amico. Vergognati”
 
“Cavolo” sussurrò Tom mentre si avvicinava nuovamente al viso di Bill, ma stavolta le sue labbra non mirarono a quelle del moro, ma al collo che aveva sognato di lambire mille e più volte. “Posso guadagnare lo status di fidanzato, allora?”
 
Bill portò una mano tra i rasta di Tom e sorrise mentre questo gli lasciava piccoli e bagnati baci sul collo, prese un respiro spezzato e chiuse gli occhi. “Hai ottenuto il permesso” disse e i ragazzi risero.
 
“Ora che ci penso” disse Tom e si staccò dal suo collo, Bill lo guardò dritto negli occhi mentre gli circondava il collo con le braccia. Il cuore di Tom, in quel preciso momento, si riempiva per le cose più piccole: si riempiva per la vicinanza dei loro petti, si riempiva per gli occhi luminosi di Bill puntati su di lui, si riempiva per le mani del moro che, distrattamente, lasciavano mille carezze. “C’è qualcosa che non sai di me”
 
“No, Tom. Mi hai raccontato già delle denunce di stupro a tuo carico, ricordi?” scherzò il moro e Tom sorrise. “Okay, se ti conosco abbastanza starai per dire una grande stronzata”
 
“Non sai nulla delle mie performance sessuali” disse e il moro strabuzzò gli occhi e arrossì leggermente, non si aspettava che la conversazione andasse a finire lì.
 
“Immagino che tu sia bravo” Il rasta inarcò le sopracciglia. “Anzi, spero” Tom rise.
 
“Vuoi accertartene?”
 
Bill lo guardò e gli sorrise. “Sesso al primo appuntamento: meno settanta punti. Ma sarò contento di farti perdere questi settanta punti”
 
 

Chapter End Notes:

Salve!

Questa one shot non è altro che il risultato della messa su carta di tutti i miei primi appuntamenti perché, sì, tutti gli appuntamenti di Bill sono stati vissuti in prima persona dalla sottoscritta. Purtroppo, però, io non ho ancora trovato il mio Tom, ma spero di farlo presto! Vi terrò aggiornate! ahahhaha

echois♥

   
 
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