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Autore: Laix    28/01/2018    3 recensioni
Shiho non ricorda quasi nulla dei momenti passati con la sua famiglia.
Non ricorda che suo padre era un uomo freddo e silenzioso, ma così legato a lei da non parlare più per giorni quando la sapeva sequestrata dall'Organizzazione. Non ricorda che sua sorella Akemi, malgrado le prese in giro e le dimostrazioni di superiorità, piangeva disperata nel suo letto quando non la vedeva a fianco a lei in cameretta. E non ricorda che sua madre si era guadagnata il suo diabolico soprannome perché, quando ciò che più amava veniva minacciato, sapeva commettere atti orribili.
Non ricorda quasi niente. Ma c'è stato. E Rei Furuya, che ha ritrovato qualcosa che può riportare tutto questo alla memoria, è pronto a starle accanto in questa tremenda, difficilissima scoperta.
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Come sono scomparsi i coniugi Miyano? Quali erano le loro personalità e come si relazionavano con le figlie? In quali vicende l'Organizzazione ha coinvolto tutti loro nella sua spirale nera?
Della famiglia Miyano non si sa molto, perciò questa FF verrà trattata come una storia quasi del tutto inventata.
[Pairing: ElenaAtsushi, ShihoRei]
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Akemi Miyano, Elena Miyano, Tooru Amuro, Vermouth
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Black Page






«Mamma... mi fa male...» sussurrò Akemi una notte verso le 3 del mattino, mentre Elena era seduta sul suo letto per starle accanto. Si era svegliata di soprassalto a causa di un incubo, ma la madre era ancora sveglia e l'aveva sentita.
«Quando smette?» chiese Akemi implorante e con la voce impastata dal sonno, mentre il fazzoletto che teneva sul naso si impregnava di sangue.
La piccola soffriva da sempre di capillari fragili e la notte il naso rischiava di sanguinarle al minimo tocco sbagliato. In quei giorni, a causa della preoccupazione per Shiho, la pressione le era salita un po' causando più frequentemente quel disagio.
«Smette subito, Akemi-chan. Fai come sempre, tieni bene tamponate le narici col fazzoletto» le sussurrò Elena amorevolmente, aiutandola a tenere il fazzoletto ben aderito al naso e avvolgendole le piccole spalle con un braccio.
Akemi mugugnò a labbra serrate, intimorita da quel continuo flusso sanguigno che, nella sua concezione di bambina, le pareva interminabile e corposo. Faticava a respirare e il naso era bollente. Elena le carezzò la testa stampandole un lieve bacio sulla fronte, anch'essa calda. La poca luce che entrava nella stanza buia era quella della luna, che rischiarava le pareti, i mobili e i quadri di un lieve e debole argento. La ragazzina provò a tirare su col naso, ma tossì subito dopo; era già il terzo fazzoletto che andava impregnandosi.
«Quando torna la rompiscatole di Shiho...?» biascicò lei con voce rotta. Infatti, appena nominato il nome della sorella minore, Akemi sussultò con violenza. Poi iniziò a piangere, aumentando la velocità con cui il fazzoletto si colorava di rosso.
«No, no, Akemi-chan... non fare così» mormorò Elena apprensiva, togliendole il fazzoletto ormai pregno dal naso e trovandosi, nel giro di pochi secondi, vischiose strisce di sangue tra le dita delle mani. Elena esitò un istante, prima di prendere un altro fazzoletto: era solo sangue dal naso, ma non era mai una cosa piacevole.
Quando lo afferrò e lo accostò al naso imbrattato di Akemi, la madre provò a cantarle una canzone americana pop di quelle che piacevano a lei, in una versione più tranquilla e da ninnananna. Akemi parve calmarsi subito, sebbene qualche singhiozzo resistesse ancora e le lacrime le inondassero il viso, brillando al riflesso della luce lunare.
«Tua sorella tornerà presto. E in questo momento, se ti vedesse così, sai cosa farebbe? Ti sgriderebbe» bisbigliò Elena, al che la figlia annuì debolmente.
«E direbbe che sembro più piccola di lei...» ribatté Akemi chiudendo gli occhi stancamente, mentre le ultime lacrime si sedimentavano sulle sue guance e l'ultimo sangue nel fazzoletto. «Mamma... mi sento svenire...»
«Sei solo molto stanca. E' normale tu ti senta così.» rispose Elena con dolcezza e carezzandola ancora, la piccola testa che ciondolava avanti e indietro sul cuscino. Poi Elena la avvolse in un tenero abbraccio e la tenne stretta per quasi un minuto intero. Non troppo, perché temeva di influenzare in peggio il flusso dal naso, ma quel necessario per dare conforto alla piccola e soprattutto a se stessa. Sentiva il suo piccolo cuore ancora in piena accelerata. Percepire il calore del gracile corpo di Akemi trasferirsi nel suo era tutto ciò a cui aspirava quella notte, una potenza in grado di rinfrescarle cuore e mente e vene di una nuova energia più dolce e genuina, distante dall'angoscia che in quei giorni la stava logorando.
Akemi, dal canto suo e avvolta da quel caldo abbraccio, si addormentò quasi all'istante. Elena le asciugò le lacrime rimaste a imperlare il suo viso e anche le gocce di sangue che ancora sfuggivano alle narici, poi le accostò la testa sul cuscino facendo attenzione a mantenerle la testa sollevata. Con un sospiro si alzò e si diresse verso il salotto di casa, lievemente illuminato dalla lampada: visto che Atsushi non si trovava a letto accanto a lei, quando si era alzata, doveva trovarsi per forza lì. Era la terza notte consecutiva che il marito faticava a dormire.
«Hey... cool man» sussurrò Elena, una volta che lo vide seduto sul sofà. Si accostò vicino a lui, sistemandosi la camicia da notte e sollevando le gambe nude sul divano, appoggiò un gomito sul morbido schienale e con la mano si resse il capo, pronta a fissare intensamente Atsushi.
«Ciao.» bisbigliò lui, secco. Non si era neanche voltato. Guardava di fronte a sé, il viso alzato verso il soffitto, il braccio destro appoggiato sulla fronte come se si riparasse gli occhi dal sole, come se avesse un mal di testa perenne. Gli occhi, dietro gli occhiali, erano spenti. E lui era pallido come forse mai l'aveva visto prima, un pallore che alla luce della lampada sembrava ramato quasi come la sua chioma, solo più giallognolo.
Elena allungò una mano e gliela mise tra i capelli, carezzandolo delicatamente. Lui non reagì.
«Va tutto bene.» gli mormorò con la tonalità più dolce che potesse concepire.
Nessuna risposta. Solo vuoto, da parte di lui. Continuava a fissare il soffitto e respirava appena. Probabilmente si era ibernato anche lui.
Solo dopo diversi minuti lui riuscì a proferire parola con voce rauca.
«Non riesco a capire. Con Akemi non era successo. Nessuno era venuto qui per portarla via, nei loro laboratori di analisi per farle... dei test? Dei test mentali? Ma per cosa?»
«Per capire se è un maledetto genio. Come noi due.»
«Lo so, Elena, ma perché adesso? Perché lei? Ero ormai sicuro che questo pericolo non avrebbe mai intaccato le bambine, visto il loro disinteresse per Akemi. Ed ero felice a pensare che...»
«Non prendiamoci in giro, Atsushi. L'hai visto anche tu com'è Shiho. Ci vivi a pieno contatto. L'hai visto anche tu.» ripeté lei, sottovoce e fissandolo dritto negli occhi. Fu a quel punto che lui si voltò, incrociandole lo sguardo e rimanendone incatenato.
Lui emise un sospiro tremulo, continuando a guardarla.
«È colpa mia?» sussurrò lui.
«Che? Cioè... cosa?»
«Sono io che le sto insegnando molte cose. Che la faccio leggere tanto, spesso mi scappa di spiegarle cose complicate per una mente infantile come la sua. Ma lei le capisce, Elena. Non benissimo, ma lo vedo che quanto meno le schematizza. E ogni volta che si mette a scrivere cose strane sui fogli, io le do man forte e...»
«Lei è così, Atsushi. Che tu l'aiuti o no, prima o poi lo farà lei da sola. Anche con Akemi ci provasti, io me lo ricordo, ma lei è più estroversa e votata alla vita vera, quella fuori all'aria aperta, grazie al cielo. E piuttosto che ascoltarti andava fuori a farsi un giro. Shiho, invece...»
Elena si bloccò, abbassando lo sguardo abbattuto e portandosi una mano alla bocca. Essere forte per suo marito aveva un prezzo. Quello di comprendere sempre più, man mano che parlava, il tipo di pericolo a cui l'intelligenza di Shiho si stava legando in un rapporto fatale e terribile.
Atsushi allungò un braccio e le sfiorò una spalla. Quando si mosse parve quasi fare rumore, come una statua di pietra che finalmente riacquista movimento e coscienza.
«Facciamo una cosa. Domani scopro dove tengono la nostra bambina, ma lo scopro sul serio» sussurrò lui, deciso.
«Hai già cercato per tutti gli edifici dell'Organizzazione... e nessuno vuole rivelartelo, tutti temono di finire nei guai se te lo dicono...»
«Non tutti gli edifici, sono troppi. Semplicemente non andrò più alla cieca ma caverò fuori informazioni da qualcuno, ho già un'idea a riguardo. Dopodiché me la porto via. È nostra figlia, non qualcosa di loro proprietà.»
«Non te lo lasceranno fare, Atsushi.»
«A me non interessa cosa loro mi lasceranno fare. Mi interessa quello che di fatto farò.» e a quel punto si alzò, rinnovato di nuova energia. Si diresse verso la camera da letto.
«Vado a dormire, che domani mi serve il mio lato più meschino.» dichiarò lui voltandosi verso di lei con un sorriso, prima di sparire su per le scale.
Ripiombato il silenzio nella sala, Elena si rannicchiò sul divano abbracciandosi le ginocchia e sprofondando la testa nel morbido schienale. Si sentiva sfibrata. Chiuse gli occhi e cercò di resettare la mente.
Io adesso non sono lì con te. Ma sbaglia tutti i test, bambina mia... sbagliali tutti.

***


«Avanti, dimmi dov'è. So che lo sai. E che l'hai vista.» gli sussurrò Atsushi, senza mollargli lo sguardo e a distanza ravvicinata dal suo viso. «Avrai una lauta ricompensa, se me lo dirai.»
Il ragazzotto giunto da poco nell'Organizzazione, visibilmente disturbato e segnato dai traumi più svariati di natura sconosciuta, sentiva incollati su di sé gli occhi di Atsushi ma non se ne curava. Guardava dritto di fronte a sé, la bocca serrata, gli occhi piccoli e verdi vigili e glaciali.
«Allora? Quanti pesciolini dell'Organizzazione smanierebbero per una fortuna come la tua? Quanti vorrebbero, dopo essere appena arrivati, salire già ai piani alti? Beh, tu puoi» continuò lo scienziato a mezza voce, standogli vicino, «perché se mi dirai tutto... io, che sono già importante qui dentro... metterò una buona, buonissima parola su di te con chi di dovere. Fidati.»
A quel punto il ragazzotto dai lunghi capelli biondi voltò lo sguardo di scatto verso di lui, spalancando gli occhi come farebbe una murena. Atsushi sussultò intimamente, e forse un pochino si notò: aveva capito da una primissima occhiata che quel tipetto non aveva nulla di rassicurante e che trasudava odio per l'umanità intera, ma guardarlo negli occhi a quella distanza e reggere quello sguardo malato sarebbe stata un'altra sfida.
«Non mi fido neanche della mia ombra. E non mi fido di te.» disse semplicemente Gin, con tono monocorde e profondo. Ad Atsushi parve di percepire una lieve scossa alla base del capo, da quanto era rabbrividito.
Tuttavia doveva insistere: sapeva che quel ragazzo era stato preso in carico da Pisco, colui che personalmente aveva diretto l'operazione di sequestro della sua Shiho, ed era ancora giovane e inesperto. Era la sua unica speranza di estorcere le informazioni che gli servivano: dove tenevano la piccola, in quell'enormità di posto ispezionato già in lungo e in largo senza successo, e cosa le stavano facendo. Perché nessuno, nessuno glielo diceva.
«Male, ragazzo, male. Non va bene non fidarsi neanche della propria ombra.» deglutì. «Ho già fatto questo favore ad altri, sai? Puoi chiedere a loro. Tu sai cosa comporta salire ai piani alti?»
«Non ne so molto. Mi va bene stare qui.»
«Quelli come te li chiamiamo “LSB”.»
«LSB?»
«Little Shark Baits. Piccole e insulse esche per squali grandi e grossi. Non mi sembri proprio il tipo che amerebbe essere denotato così, o sbaglio? Se mi sbaglio correggimi.»
Gin fece silenzio, guardò in basso. Atsushi lo controllò.
Il dottor Miyano era sempre stato piuttosto astuto nei confronti verbali: sapeva capire al volo le tendenze e le necessità dei suoi interlocutori, si metteva nei loro panni e, con abili giri di parole e uso massiccio di pulci nelle orecchie, offriva loro indirettamente una soluzione pratica e comoda, nonché oggetto del loro vero desiderio.
«Ho capito. Sei uno a cui piace fare l'esca e sacrificarsi per quelli importanti. Beh, Gin, è ammirevole che ne esistano ancora, ce ne fossero. E poi sei così giovane, e già così altruista. Bravo davvero.»
«Ti sbagli.»
«Mh?»
«Cosa fanno quelli più in alto?»
«Mah, varie cose. Hanno in mano un bel po' di potere. Sono gli Squali, ecco tutto, perciò... scovano, mangiano prede, terrorizzano. Niente che ti riguardi, comunque, Esca.»
«Non chiamarmi così.»
«D'accordo, smetto. Ma sappi che gli altri lo fanno alle tue spalle: il giovane Gin, la giovane esca. Usiamolo ancora un po', che ci fa comodo.»
«Cosa fa chi sta in alto?» ripeté Gin, cercando di non sembrare troppo indagatore e desideroso di informazioni. Atsushi sorrise tra sé e sé, attento a non farsi vedere da quel piccolo rapace assassino.
«Muovono le fila, Gin. Decidono ed eseguono le vere missioni che qui dentro contano. Hanno contatti importanti, soldi a palate, permessi speciali, armi potenti. Praticamente ogni cosa... è consentita. Compresa, specialmente, la crudeltà.»
Gin mosse impercettibilmente le labbra. Spostò gli occhi verso l'alto, pensieroso, attento.
«Io ci sono dentro, Gin. Sono nella sezione scientifica e muovo uno dei motori principali di questo posto, tutti ascoltano bene ciò che ho da dire. Ed è proprio un altro livello, sai, un altro stile. Qualcosa che le esche non vedranno mai, perché creperanno prima. Creperanno per noi.»
«Edificio 4, sala K.»
«Come dici?»
«E' dove tengono tua figlia. Ci vado con Pisco quasi ogni sera.»
Edificio 4.
Sala K.
Edificio lontanissimo da lì, che neanche aveva preso in considerazione nella sua ricerca disperata. Ma era lì che si trovava la sua Shiho.
Atsushi si tenne per sé il respiro accelerato, il tuffo al cuore e la testa in capogiro, mantenendo uno sguardo di pietra e proseguendo come se niente fosse.
«Molto bene. Perché ti porta lì?»
«Non lo so. Non sono uno scienziato. Ma vuole che io veda le nuove leve.»
«Le nuove... cosa?»
«Le persone che saranno il futuro dell'organizzazione. Credo stia pensando a tua figlia come ad un prossimo membro.»
Atsushi percepì lo stomaco accartocciarsi, attraversato da fitte, ma lo ignorò. «Beh, si sbaglia.»
«Tanto a me non frega un cazzo.»
«Questa è un'ottima notizia.»
Gin voltò di nuovo lo sguardo verso di lui, lento come un rettile nascosto tra le foglie secche di una buia foresta, fissandolo intensamente. Gli brillavano gli occhi di un cieco sadismo. «E adesso... come procederai, Miyano?»
«Ho dato la mia parola. Chiederò per te un trasferimento immediato in piani un po' più elevati di questo in cui ti trovi, a dir poco basilare. Per il resto, Gin, per scalare ancora, confido nelle tue personali capacità.»
Dare un contentino, sì, ma senza compiacere troppo. Gin annuì, più a se stesso che a lui, e poi aggiunse qualcosa per chiudere il discorso. Qualcosa che Atsushi, in tutta la sua vita, non avrebbe mai voluto sentir uscire dalla bocca di un soggetto come quello.
«E comunque spero se la tengano ancora un po'. Perché mi piace.»
«Ma di che stai parlando?»
«Mi piace vederla ogni sera fare quelle cose.»
«Che cosa, Gin, cosa
«Tua figlia.»
Per la percezione sensoriale di Atsushi, il mondo si bloccò. Una bolla d'aria incolore e priva di suoni si impadronì del suo cervello, si sentì intrappolato per alcuni secondi senza alcuna capacità di reagire. Non di reagire alle parole di Gin, ma anche al flusso dell'aria, alla lucentezza dei colori, alle vibrazioni dei suoni: Atsushi si era spento per un attimo e faticava a riaccendersi.
Poi si riebbe, come un fiume in piena e un vulcano in eruzione.
«Quelle cose, cosa?» gli uscì una voce piena d'odio che avrebbe voluto dosare meglio.
«Le attaccano elettrodi addosso. Fanno esperimenti mentali e fisici su di lei, ma soprattutto mentali. Ogni tanto fanno partire qualche scossa elettrica. Sai, per stimolarla» Gin sorrise, subdolo e maligno, ricordando con una certa goduria ciò che solo lui aveva in testa.
Atsushi non sapeva se strangolarlo o correre fuori da lì. Nel dubbio, rimase fermo dov'era a rimuginare sull'orrore che stava ascoltando e sentendo il petto in implosione.
«E lei reagisce. E' piccola ma reagisce, fa balzare i valori dei computer e nessuno capisce come contenerla. E' forte. Mi piace tua figlia.» Gin continuò con quel tono viscido, meschino, schifoso e nauseante. Sapeva di dargli fastidio. Con quegli occhi da vipera a cui ancora gocciola il veleno dai canini. «E sarà ancora più forte quando crescerà, non credi? Non vedo l'ora.»
Senza rendersi bene conto dei propri movimenti, la fronte imperlata di sudore, Atsushi si inarcò in avanti verso di lui e spalancò gli occhi, inchiodandolo con lo sguardo. Gin stesso ne rimase impercettibilmente atterrito, ma non distolse il viso.
«Tu, mia figlia, non la devi guardare nemmeno con la coda dell'occhio. Nemmeno in fotografia. Nemmeno ad un chilometro di distanza.» Uno come quello doveva starle solo molto, molto lontano. Atsushi alzò la voce bruscamente, fino a sgranarsi la gola, picchiando forte il pugno sul tavolo. «Mi hai capito?!»
Gin sorrise ancora e annuì, abbassando gli occhi. Atsushi fissò le proprie mani in preda al tremore, e prontamente se le portò dietro la schiena.
Si costrinse a direzionare i propri pensieri altrove, ad esempio all'edificio 4 che quella notte stessa avrebbe raggiunto. Per andare a riprendere Shiho, contro tutto e tutti.

***




«E questa cosa diavolo è?»
Shiho, a mezza voce e con la gola che pareva occlusa, espresse quell'opinione fissando la pagina che ora aveva davanti. Una pagina completamente nera. L'inchiostro nero doveva essere stato in quantità tali da ricoprirla tutta, bordi compresi.
«Non lo so...» rispose Rei a bassa voce, dicendo la verità. «Ma se vuoi una mia opinione, credo che su questa pagina fossero riportati dettagli più approfonditi su ciò che ti è successo lì dentro. Dettagli che tua madre ha appreso in qualche modo...»
«E perché sono stati cancellati?»
«Potrebbe averli cancellati lei.»
«E perché mai?!»
«Per non rivederli mai più.»
«Ormai li aveva scritti. Maledizione!» le tremavano le mani e si stava innervosendo.
«Shiho, perché ci tieni così tanto a leggere le cose orribili che devono esserti accadute e che grazie al cielo la tua memoria ha rimosso?»
«Tanto per cominciare» iniziò lei riacquistando pieno volume vocale, «saranno affari miei ciò che intendo o non intendo leggere, no? Non credo di averti mai fatto supporre di potermi dare lezioncine ogni volta che ti passano per la testa»
«Intendevi dire “consigli”?»
«Chiamali come ti pare, non mi interessano! Io e soltanto io decido cosa voglio o non voglio sapere! E avevo deciso di sapere tutto, ormai...»
Vedere quella pagina completamente nera la creava un vuoto inspiegabile, una profonda inquietudine.
Così improvvisa, tetra, assurda.
Immaginava sua madre mentre scriveva tutte le cose brutte che erano accadute in quel laboratorio, come per espiarle e sentirsi meno in colpa nei confronti della figlia. Dopodiché, non funzionando questo metodo, la vedeva mentre cancellava tutto ossessivamente con dosi e dosi di inchiostro.
«Mettiamo il caso che Elena sapesse che, un giorno, tu avresti preso in mano questo diario. Penso non volesse in alcun modo trasmetterti quel genere di cose, arrivando perciò a prendere questa decisione. Può essere?»
«Rei, proprio non riesci a capire.» Shiho richiuse il diario e si alzò, dirigendosi verso il parco giochi buio.
«Shiho, aspetta. Dove vai?»
Lui si alzò con l'intenzione di seguirla, ma lei lo bloccò.
«Non mi seguire.»
«E' notte fonda, dove diamine vuoi andare?» Rei strinse le labbra e sospirò fortemente. Perché cavolo lo faceva preoccupare così tanto? Si divertiva?
«Resto qua vicino. Vado sull'altalena, non so. Mi potrai vedere. Ma non voglio vicino nessuno.» sospirò e abbassò lo sguardo, vide due foglioline secche che si rincorrevano sull'erba in un piccolo vortice d'aria. Una delle due foglie, la più secca e marrone, tendeva a scappare dall'altra.
«Posso sapere almeno che ti succede?»
«Non ci arrivi da solo?»
«No. Sono un uomo.»
«Pf, quante scuse...» lei scosse la testa, accennando un sorriso per la battuta. Poi prese un respiro, decidendo di aprirsi un minimo. «Ho paura che... che in quella pagina ci sia qualcosa... con...»
«Con Gin?»
Shiho annuì, guardandolo con tristezza. Rei ne rimase folgorato, facendo fatica a rimanere sul posto senza avvicinarsi a lei per rassicurarla. Ma aveva deciso di rispettare le sue esigenze passeggere sulle distanze – aveva capito che ogni tanto ne aveva.
«Non è successo niente con Gin, tranquilla...»
«Come puoi saperlo?»
«Intuizione.»
«Non mi basta, Rei. Lo capisci adesso perché mi sento così?» Shiho si mise le mani sui fianchi, guardando in basso. «E' disgustoso. Lui faceva certi pensieri già a quell'epoca. E' disgustoso.» la sua voce si affievolì.
«Lo so. Ma ti va bene che, con la pagina nera, non hai la certezza che lui ti abbia fatto qualcosa...»
«Con la pagina nera non ho nemmeno la certezza che lui non abbia fatto qualcosa.»
Rei la fissò, capendo le sue motivazioni. Lei avrebbe potuto anche sopportare la peggiore delle ipotesi, ma quello che non digeriva era il non sapere nulla. Specialmente ora che era entrata in un loop continuo di informazioni nuove, visioni, coinvolgimenti, bruscamente bloccati dalla stessa Elena.
«In ogni caso non lo saprò mai. Mia madre non vuole farmelo sapere.» Shiho si strinse nelle spalle e, rassegnata, si avviò verso l'altalena.
Rei la guardò mentre si allontanava dandogli le spalle. Sorrise tra sé amaramente: non sapeva perché, ma la sensazione che non vi fosse alcun riferimento a Gin era forte. Rei credeva fermamente che, in quella pagina, vi fosse riportato qualcosa del tutto opposto, sensazioni personali e logoranti di Elena riguardo quella vicenda, o dettagli tecnici e scientifici sul trattamento che la piccola Shiho aveva dovuto subire nei laboratori. Optava per queste ipotesi, ma riusciva a comprendere il comportamento di Shiho rispetto a quelle che dovevano essere le sue paure primarie.
Eliminare ogni problema alla radice, evitando a vecchi traumi di insorgere di nuovo: era d'accordo col metodo di Elena. Shiho ormai stava bene. Sarebbe stato controproducente indurla a ricordare qualcosa che l'avrebbe fatta ripiombare nel baratro.
Pazienza se ora ce l'aveva con lui, con sua madre e col mondo intero, le sarebbe passata. Ma la capiva.
Un quarto d'ora dopo la vedeva ancora ondeggiare delicata sull'altalena. Il profumo di fiori nell'aria si era intensificato, col proseguire della notte, la brezza era divenuta più fresca e il rumore dell'aria un fruscio continuo, le chiome che ballavano in movimenti ipnotici. Però, ciò che davvero era ipnotico agli occhi di Rei, era l'ondeggiare di quell'altalena.
Se le si fosse avvicinato da dietro quatto quatto, lei l'avrebbe segato in due?
Decise di mettere tutto alla prova. Chiuse il diario e lo appoggiò sugli scalini su cui era seduto. Si alzò silenzioso, avvicinandosi con passo felpato all'altalena, arrivando in pochi secondi dietro di lei – che non si era accorta di nulla. Afferrò con le mani le corde che sorreggevano l'altalena, diminuendone l'andatura già molto lenta, e appoggiò il ginocchio destro sulla tavola di legno, accanto al fianco di Shiho: una tavola molto larga, dove avrebbero potuto starci due persone strette.
Shiho, stupita, alzò la testa completamente verso l'alto. Rei aveva piegato la schiena e abbassato il viso, e se lo trovò proprio di fronte al naso. Stettero così alcuni secondi, guardandosi, immobili e silenziosi. Shiho sentiva sulla propria schiena il calore del corpo di lui, aderito a lei dopo che si era appoggiato col ginocchio sulla tavola dell'altalena. Deglutì, poiché era il momento di distogliere lo sguardo da quello pericolosamente vicino di lui.
Non ce la fece.
«Beh? Non c'è bisogno che mi fai da cuscino, guarda che non cado.» riuscì a dire lei dopo un po', trovando come unica scappatoia l'ironia.
«Non si sa mai.» rispose lui con la stessa arma.
Tra l'altro Shiho cercò di non considerare a oltranza quanto il calore di quel corpo a contatto col suo, dopo che l'aria si era alzata e raffreddata, fosse confortevole. Inconsciamente si distese lievemente e si appoggiò al petto di lui, continuando il suo ondeggiare secondo un ritmo così lieve che, per Rei, fu facile da agganciare.
Lui salì sull'altalena anche col ginocchio sinistro, bloccandola del tutto dai fianchi, e oscillarono lenti avanti e indietro. Il cigolio della giostrina ricopriva i naturali suoni della notte.
«Ti avevo chiesto di starmi lontano.»
«Ho obbedito.»
«Per un quarto d'ora.»
«Direi che è molto tempo.»
«A me invece sembra poco.»
«Mi fa piacere che tu ti sia annotata mentalmente il tempo in cui ti sono stato lontano.»
Shiho aprì la bocca per rispondergli ma, dannazione, non le uscì nessuna risposta a tono che fosse adeguata.
Touchet.
«B-beh, quindi... si riprende col diario?» tentennò lei.
«Hai voglia subito?»
«Io...» e mentre ci pensava, il suo piede strisciò a terra impiantandosi contro una pietra per uno slancio inaspettato che Rei aveva impresso all'altalena: vacillò di colpo in avanti, ma coi dovuti riflessi Rei lasciò la corda destra per posarle la mano sull'addome, per trattenerla a sé. Shiho quindi non cadde, rimase seduta a percepire il calore che quella mano irrorava suo suo stomaco, sotto il seno. Si sentì davvero piccola sotto quel tocco, senza darsi una spiegazione.
Nonostante si fosse capito che ormai lei non sarebbe caduta, il ragazzo tratteneva la mano su quel punto. E ondeggiava, ondeggiava.
Lei si schiarì la gola.
«Sì. Meglio... meglio subito.»
«Subito cosa?» chiese Rei a mezza voce, abbassando nuovamente la testa per parlarle all'orecchio. Lei si sentì solleticata e, arrossendo un po', quasi volle dargli una testata.
«Il diario, Rei.» rispose secca. «E togli la mano da lì.»
Lo sentì ridacchiare ed eseguire, anche se con astuta lentezza. Shiho strinse le labbra, guardando in basso.
Era strana, tutta quella situazione. Era strano lui, strana lei. La presenza di Rei rendeva meno difficile e più piacevole la lettura di quel diario, il quale poteva rivelarsi spesso un'arma a suo danno, ma non era solo questo. C'era qualcosa in più, tra loro due, che non riusciva a identificare. Una tensione, forse, che però rapidamente diveniva distensione. Le sue spalle si erano rilassate quando lui si era avvicinato.
Aumentò la presa attorno alle ruvide corde dell'altalena.









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Eccoci qui col capitolo in cui il diario prosegue, interrompendosi anche. In cui viene dedicata una parte a Gin, nel pieno delle sue forze di giovane adepto folle (XD) e in cui Atsushi decide di prendere in mano la situazione, aggirando il nostro ben conosciuto MIB e partendo in quarta. E in cui a Shiho girano i cinque minuti per la decisione di Elena, dove quindi si può dire abbia avuto con lei quasi un “litigio indiretto” – decisione da parte mia presa solo dopo, ammetto di aver scelto di concludere così il capitolo dopo non poche ipotesi. Non ho molto da aggiungere, attendo considerazioni esterne che mi aiutino in questa impresa! ^.^ grazie a voi tutti <3 

  
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