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Autore: gattina04    28/01/2018    1 recensioni
Kathleen non è una ragazza come tante: sottoposta alla pressione di una famiglia che le chiede sempre troppo, ha un passato che non riesce a lasciare andare. Lei sa cosa vuole, sa qual è il suo sogno, ma ci ha rinunciato già da tempo per l'unica persona a cui sente di essere ancora legata.
Trevor invece è schietto, deciso, con un passato fin troppo burrascoso, che vorrebbe solo dimenticare. Trevor vuole voltare pagina e per questo si ritrova in un mondo, in una scuola, dove è completamente fuori posto.
Come potrà una ragazza legata al passato trovare un punto di contatto con un ragazzo invece che farebbe di tutto pur di recidere quel legame?
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Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 11
 
Portare Trevor a conoscere James era un grosso passo avanti. Poteva sembrare stupido, ma per me era qualcosa di fondamentale. Di certo mio fratello nelle sue condizioni non poteva esprimere pareri o dare giudizi, ma il modo in cui Trevor si sarebbe comportato avrebbe influito molto su quello che già provavo per lui.
Tante persone mi definivano pazza a continuare ad insistere, ad illudermi, ma non potevo farci niente. Era troppo difficile per me lasciarlo andare; nella mia vita non avevo mai amato nessuno quanto Jamie e capivo che questa mia difficoltà ad accettare ciò che gli era capitato era principalmente dovuta al fatto che nella mia vita non ci fosse nessun altro che potesse prendere il suo posto. Almeno fino a che non avevo conosciuto Trevor.
Quello che stava nascendo con lui, stava riaccendendo una parte di me che si era spenta con mio fratello. Ridere, scherzare, essere spontanea, erano cose che non mi riuscivano più completamente senza James. Non che con Evan e Lea fingessi o non mi divertissi, ma non mi sentivo mai completamente coinvolta; c’era sempre una parte di me – seppur ben nascosta – triste  e taciturna. Invece con Trevor scoppiavo a ridere senza accorgermene, il cuore mi esplodeva e mi sentivo viva come non lo ero da anni.
Per questo quell’incontro era di vitale importanza. Vedendolo con Jamie avrei capito se era l’uomo che mi ero immaginata, avrei potuto vedere il vero lui, come in nessun altra occasione. Molte persone vedendo James assumevano comportamenti di circostanza, ma io riuscivo a capire quando fingevano o quando erano sinceri. Lea ed Evan erano stati gli unici che avevano trattato mio fratello normalmente, non solo per un semplice desiderio di assecondarmi, ma considerandolo lui al cento per cento. Sean non aveva fatto altrettanto, era stato freddo anche se cordiale; inutile dire che, quando glielo avevo fatto notare, Queen si era arrabbiata. Anche per gli amici di James era stato lo stesso: magari all’inizio ci credevano, ma poi si erano semplicemente arresi, come tutti. Anche Margot, la sua ex fidanzata del liceo, non era riuscita a resistere: alla fine tutti perdevano la speranza e cominciavano a trattarlo come un caso pietoso. Tutti tranne me e mia madre; per quanto detestassi ammetterlo lei soffriva quanto me.
Durante tutto il tragitto verso l’ospedale rimasi in silenzio, sentendo lo stomaco in subbuglio per quell’imminente incontro. Trevor doveva aver capito la serietà dell’evento perché, a parte chiedermi delle semplici indicazioni stradali, si limitò a guidare in silenzio. La sua espressione era tesa e seria mentre fissava la strada, quasi riuscisse a percepire tutta la mia tensione.
Se Trevor si fosse in qualche modo rivelato falso, avesse trattato mio fratello con pietà, con la compassione tipica del volto di tutti, cosa avrei fatto? Quel semplice dato avrebbe influenzato quello che provavo per lui? Potevo amarlo comunque se… Scossi la testa scacciando via quei pensieri e sperando di non dovermi porre davvero quelle domande.
«Puoi parcheggiare qui», dissi una volta arrivati, indicando un posto vuoto. Scesi dalla macchina rabbrividendo e stringendomi di più nel cappotto che Susan mi aveva prestato. Non sapevo se i brividi erano dovuti più al freddo o all’ansia che mi stava completamente travolgendo. Dall’altra parte neanche Trevor sembrava del tutto rilassato: stava studiando l’edificio e, dalle spalle rigide e la mascella tesa, si intuiva che anche lui era sulle spine almeno quanto me. Era strano vederlo così nervoso, ma ero grata per il fatto che capisse quanto importante fosse per me.
Ci incamminammo mano nella mano verso l’ingresso e, senza dire una parola, lo guidai verso il reparto che ormai conoscevo a menadito. Come sempre mi fermai a chiacchierare con le infermiere, presentando Trevor come il mio ragazzo; tuttavia non era il solito gioviale scambio di battute. Ero frettolosa e nervosa e forse questo traspariva anche dalla mia conversazione.
«Ecco». Mi fermai di fronte alla porta della sua stanza e mi voltai per poterlo guardare negli occhi e prendergli entrambe le mani. «Jamie è qua dentro».
«Okay». Trevor rispose al mio sguardo, anche se la sua espressione rimase indecifrabile.
«So che ti ho parlato di lui», cominciai, «ma non vorrei che ti impressionassi. Certi giorni capita che abbia gli occhi aperti, e ci sono i macchinari. E poi è magro, molto magro, è solo l’ombra del bellissimo ragazzo che era».
«D’accordo», acconsentì facendosi ancora più serio.
«E poi io gli parlo, cioè voglio dire io credo che lui mi possa sentire anche se non può rispondere. Quindi è importante rivolgersi a lui, coinvolgerlo; niente commenti, e anche l’espressioni…».
«Katy». Mi fermò accorgendosi che stavo andando in iperventilazione.
«Voglio solo che vada bene», mi giustificai. Era per questo che avevo iniziato a spiattellare per filo e per segno come si sarebbe dovuto comportare. Una facilitazione non da poco.
«Lo so», ammise in un sospiro. «Posso farcela». Perché sembrava voler convincere più sé stesso che me?
«D’accordo». Prendendo un profondo respiro aprii la porta e lasciai che mi seguisse nella stanza. James aveva gli occhi chiusi, forse per un semplice caso o per pura fortuna; riconoscevo io stessa che era più inquietante e difficile comportarsi con naturalezza osservando le sue iridi verdi, senza un’ombra di vita dentro. Non c’era molto altro da dire su di lui: era sempre uguale, giorno dopo giorno. Lo stesso corpo smunto attaccato alle macchine, che non poteva muoversi né parlare, né dare nessun cenno di vita.
«Jamie oggi ho una sorpresa per te», iniziai avvicinandomi al letto. «Ti ho portato una persona». Mi voltai per osservare Trevor che era rimasto fermo sulla soglia. Gli feci cenno di venire avanti e continuai a parlare.
«So che ti ho fatto impazzire a forza di raccontarti di lui, però finalmente te l’ho portato a far conoscere. E so cosa stai per dire: “era l’ora, pensavo che ti stessi inventando tutto”. Proprio per questo, ecco qua: Trevor questo è James. James lui è Trevor, il mio ragazzo». Visto che era rimasto fermo alla porta andai da lui e, prendendolo per mano, lo trascinai vicino al letto.
«Ciao…», balbettò, mentre io mi voltavo per studiarne ogni espressione. Trevor osservò attentamente il corpo di James disteso davanti a lui e lo vidi impallidire ogni secondo di più. Notai il suo pomo d’Adamo scendere su e giù mentre deglutiva a fatica e mentre cercava di mantenere un’espressione impassibile. Tuttavia per quanto avesse assunto la caratteristica faccia da giocatore di poker, i suoi occhi erano tutta un’altra storia. Era evidente che fosse impressionato e, anche se non erano colmi di compassione, sembrava che ci fosse del rimorso in quel profondo oceano. Non era esattamente l’espressione che avevo sperato, ma avrei dovuto accontentarmi.
«Su avanti non fare il timido», lo incitai. «Digli qualcosa, non vorrai fare una cattiva impressione a mio fratello». Sebbene avessi usato un tono scherzoso speravo che la mia supplica fosse evidente. Se Trevor si fosse ripreso e avesse rotto il ghiaccio sarebbe andato tutto bene, avrei avuto l’ennesima conferma di quanto fosse meraviglioso.
«Io… io…», iniziò facendo dei respiri profondi per incamerare aria. «Io… io non ce la faccio Kathleen». In meno di un secondo sfilò la mano dalla mia e corse via dalla stanza in tempo record. Io restai ad osservare la porta aperta con un espressione di stupore disegnata sul viso ed un dolore sempre più lancinante al petto.
Non c’erano spiegazioni per il suo comportamento, né c’erano giustificazioni. Potevo aspettarmi compassione, pietà, scarsa collaborazione, ma non quello. Non scappare come un aracnofobico di fronte ad un ragno! Non c’era nessun motivo che potesse spingerlo a correre via in quel modo alla vista di mio fratello. Era vero che James non aveva un bell’aspetto, ma Trevor non era un tipo facilmente impressionabile; e poi dove erano finiti i suoi sentimenti per me? Se davvero provava qualcosa per me perché non cercare almeno di fingere?
Il suo comportamento era stato peggio di una coltellata in pieno petto. Mi sentivo tradita e delusa, e forse mi sentivo così solo perché avevo riposto in lui una fiducia che ovviamente non meritava.
Tornai a guardare James e cercai di riprendere almeno in parte un giusto contegno. «Beh fratellone ho sempre temuto che avresti fatto scappare i miei ragazzi a gambe levate». Cercai di ridere ma invece dalla mia bocca uscì un singhiozzo.
Siccome non volevo piangere di fronte a lui – era una delle stupide regole che mi ero imposta – mi affrettai a passarmi una mano sugli occhi. «Vado un attimo in bagno, d’accordo? Tu resta lì». Eh certo dove diavolo poteva andare?!
Mi affrettai ad uscire dalla stanza chiudendo la porta e mi diressi velocemente verso il bagno delle donne. Una volta dentro mi chiusi a chiave e mi sedetti sul water prendendomi le ginocchia tra le braccia. Tutte le lacrime che ero riuscita a trattenere si riversarono fuori in un solo colpo.
Era andata peggio di quanto avessi potuto immaginare. Potevo gestire la compassione, il disgusto, il fatto che non capisse il mio comportamento, ma non quello. Non sapevo neanche come definirla: paura? Ma di cosa? Cosa era successo di così terribile da farlo scappare a gambe levate? Forse non mi ero spiegata abbastanza bene, ero stata poco specifica?
Scossi subito la testa per scacciare quella idea. Di sicuro non era colpa mia, io non avevo mai detto che sarebbe stato facile e avevo messo ben in chiaro in che condizioni si trovasse mio fratello. Il gesto di Trevor era stato una vera e propria mancanza di rispetto nei miei confronti. Soltanto la sera prima ci eravamo quasi confessati di essere innamorati ed in quel momento era bastato la vista di James per fargli ferire i miei sentimenti. Cosa diavolo gli era passato per la testa? Probabilmente niente, perché nessuna persona sana di mente, seppur impressionabile, sarebbe scappata in quel modo sapendo quanto quell’incontro fosse importante per me.
Mi passai una mano sugli occhi cercando di asciugare le lacrime che purtroppo continuavano a cadere. Non riuscivo neanche ad immaginare cosa avrebbe detto per giustificarsi e soprattutto cosa gli avrei risposto io. Potevo accettare il suo comportamento anche se mi aveva ferita e umiliata? Avrei tanto voluto rispondere di no, ma sapevo che quando Trevor sarebbe venuto a cercarmi, con o senza delle scuse fasulle o forse anche sincere, io l’avrei perdonato senza battere ciglio. Chi volevo prendere in giro? Era ovvio che io non mi stessi soltanto innamorando, io l’amavo già e da morire. E forse, visti in quest’ottica, i discorsi dei miei genitori non sembravano poi del tutto insensati. Trevor mi stava davvero cambiando, o meglio io stavo cambiando per potermi adattare a lui? Io mi sentivo sempre me stessa, ma forse il fatto che potessi tralasciare su una cosa del genere diceva molto di più di quanto credevo. Se un’altra persona fosse scappata in quel modo da James non gli avrei più rivolto la parola, ma la sola idea di escludere Trevor dalla mia vita mi terrorizzava come non mai. Ero patetica.
Proprio mentre stavo tirando su con il naso, sentii la porta dell’antibagno aprirsi e, per evitare di svelare la mia presenza, mi zittii all’istante. In fondo c’erano tre bagni, chiunque fosse poteva sfruttare uno degli altri due lasciandomi in santa pace.
«Linny, tesoro, sei qua dentro?». Era proprio l’ultima voce che mi sarei aspettata di sentire, anche se dovevo immaginare che sarebbe venuta anche lei a trovare James quella mattina.
«Kathleen lo so che sei qui. Me l’ha detto Trevor». Il fatto che avesse parlato con lui avrebbe dovuto preoccuparmi, ma in quel momento nella mia mente passò in secondo piano. Mia madre era proprio l’ultima persona che avevo intenzione di vedere. Trovandomi così avrebbe esultato ed esclamato che in fondo aveva sempre avuto ragione lei.
«Va bene, fai come vuoi, ma dovresti uscire da qua», continuò.
«Vattene via mamma», sbuffai, sapendo che era inutile rimanere in silenzio. «Lasciami in pace».
«A fare cosa? Ad autocommiserarti? A piangerti addosso?».
«Cosa vuoi che ti dica mamma?», sbottai. «Che avevi ragione? Beh probabilmente avevi ragione».
«No invece». Sbattei le palpebre stentando a credere alle mie orecchie. Mi ero immaginata quelle due parole?
«Non avevo ragione Kathleen», ripeté quasi riuscisse a percepire la mia incredulità. «E dovresti uscire fuori per vedere tu stessa».
Ero talmente allibita dalle sue parole che inconsciamente feci come mi aveva chiesto ed aprii la porta del mio momentaneo rifugio. Là davanti a me si ergeva Caroline Jefferson in tutta la sua statuaria bellezza, avvolta in uno dei suoi tanti completi firmati, con un trucco perfetto, senza neanche un capello fuori posto. Notai una scintilla di disapprovazione nel suo sguardo nello scorgermi con gli occhi rossi, senza un filo di trucco, con i ricci talmente crespi da sembrare una matassa inestricabile. Tuttavia non disse una parola sul mio aspetto e quella scintilla si estinse subito, sostituita da un’espressione che non ero abituata a ricevere: della comprensione.
«Adesso dovresti sciacquarti il viso e venire con me da tuo fratello». Aveva usato il condizionale, ma il suo tono era stato perentorio. Non mi lasciava molte alternative e per questo obbedii silenziosamente al suo ordine, non sapendo bene cosa dire.
Fu lei a parlare mentre mi asciugavo il viso. «Ho trovato Trevor di fronte alla stanza di tuo fratello», buttò lì. «All’inizio ho stentato a riconoscerlo, devo essere sincera». Ovvio, non era preparata per tutti quei piercing e sicuramente era molto diverso da come gli era apparso la sera prima.
«Mi ha spiegato cosa è successo». Anche se ero curiosa di sapere cosa le avesse detto continuai a restare zitta. Quale era la versione dei fatti di Trevor? Cosa si era inventato per giustificare il suo comportamento? E soprattutto era tornato lì a cercarmi? Per parlarmi?
«Sapevo di trovarti qua», continuò sicura di sè.
«Come facevi a saperlo?». Era la prima volta che azzeccava qualcosa che mi riguardasse.
«Credi che io non ti consideri Linny, ma ti sbagli, non sai quanto». La guardai sbattendo le palpebre, sapendo bene che quella era sicuramente la più grossa dichiarazione di affetto che mi avesse fatto da quando ero bambina.
«Vieni a vedere Linny», tagliò corto uscendo dal bagno e aspettando che io la seguissi. Mi riportò da James e quando entrai nella stanza quello che vidi mi lasciò letteralmente a bocca aperta. Trevor era lì, seduto sulla sedia accanto al letto di Jamie e sembrava intento a parlare con lui. Un bel cambiamento dalla sua fuga di prima! Una vera e propria inversione di marcia.
Quando entrammo nella stanza, il rumore dei tacchi di mia madre attirarono la sua attenzione, facendolo voltare. Mi trafisse con i suoi penetranti occhi celesti, fissandomi con l’espressione più colpevole e dispiaciuta che potesse assumere.
«Ciao…», mormorò scrutandomi attentamente. Io rimasi in silenzio, guardandolo senza sapere cosa dire o cosa pensare. Non sapevo bene neanche cosa provavo: ero arrabbiata con lui o ero sollevata che fosse tornato? Forse un po’ tutte e due.
«Mi stavo scusando con tuo fratello», continuò, studiandomi attentamente. «Il modo in cui mi sono comportato è stato inaccettabile. Sono stato imperdonabile… un vero cafone. Non ci sono scuse che possano giustificare il mio gesto». Era sincero, glielo leggevo negli occhi e sentii il mio cuore alleggerirsi un pochino.
«Comunque per quel che vale, scusami Katy». E poi fece qualcosa che mi lasciò letteralmente senza fiato. Si voltò verso il letto e si rivolse direttamente a mio fratello. «Scusa James».
Mi si mozzò il respiro in gola e una serie di emozioni mi si cominciarono ad agitare dentro, non riuscendo bene a distinguerle le une dalle altre. E fatto ancora più eclatante, sentii la mano di mia madre appoggiarsi sulla mia schiena, come se capisse quanto quel gesto fosse importante e fosse lì per sostenermi e capirmi come non aveva mai fatto.
«Stavo inoltre dicendo», continuò Trevor tornando a guardarmi, «e James ne è testimone, che io ci tengo davvero tanto a te Kathleen, anche se certe volte mi comporto da stupido».
Il mio cuore partì in quarta e le farfalle iniziarono a danzarmi nello stomaco. Sapevo già che l’avrei perdonato, ma come non farlo dopo ciò che aveva detto o fatto? Era scappato e mi aveva ferito, ma era anche tornato sui suoi passi e stava facendo di tutto pur di fare ammenda. Mi stava dimostrando che non mi ero sbagliata del tutto su di lui, che era davvero il ragazzo dolce e profondo che amavo; mi stava provando che una semplice azione sbagliata non doveva offuscare tutto quello che di bello e giusto c’era stato.
«Beh certe volte anch’io mi comporto da stupida», ammisi sentendo gli angoli delle labbra tendersi all’insù. Il sorriso che comparve sul volto di Trevor non era minimamente paragonabile: era abbagliante.
«Molto spesso direi, non solo a volte», intervenne mia madre, andando a sedersi sulla poltrona dall’altra parte del letto. «Giusto Jamie?». Gli prese la mano e gli rivolse il suo sorriso più sincero.
«Non è vero», borbottai avvicinandomi al letto e sedendomi a mia volta.
«Oh invece sì», continuò lei. «Sei una ragazza molto intelligente Linny ma a volte ti lasci un po’ offuscare dalle piccole cose». Stavo per ribattere ma mi resi conto che alla fine dei conti era vero. Da quando mia madre mi capiva così? Ero stata davvero così cieca e piena di pregiudizi nei suoi confronti da non accorgermi che alla fine non era quel mostro che credevo?
E proprio quando pensavo di riabilitarla un poco, tirò fuori uno degli argomenti di conversazione più spinosi che ci fosse. «Allora Trevor, parlaci un po’ di te. Io e James siamo curiosi di sapere un po’ di più, dobbiamo capire chi frequenta la nostra piccola Linny».
Trevor tuttavia non si scompose, ma rimase impassibile, quasi si aspettasse una domanda del genere. «In realtà non c’è molto da dire, oltre a quello che è già emerso ieri sera». Guardò per un attimo mio fratello per poi tornare a posare lo sguardo su mia madre. «Ma visto che James non c’era, farò un breve sunto: vengo da Boston, dove vivevo con mia madre. Mio padre, il signor Simons, ci ha lasciati quando io avevo quattro anni; mia madre non ha mai voluto nulla da lui, ce la siamo cavata sempre io e lei. Negli ultimi anni ho avuto dei problemi di salute, di cui non parlo molto volentieri, e che mi hanno costretto, diciamo così, a rintracciare mio padre. Mi sono trasferito qua per poter finire la scuola e diplomarmi, ero stanco di Boston e dovevo assolutamente cambiare ambiente». Mi chiesi quante altre volte avesse recitato quella parte: i problemi di salute, cambiare aria; era il suo copione, ma io sapevo la verità. Senza farmene accorgere allungai la mano e strinsi la sua, facendogli capire che io ero al suo fianco sempre e comunque.
«Immagino che non sia stato facile crescere senza un padre», commentò mia madre.
«Non sono in grado di fare un confronto perché, nonostante che io sia qua e che viva a casa sua, non riesco a considerarlo mio padre, non si merita questo titolo». Era stato sincero e mi sorprese che avesse scoperto così le sue carte, ma mia madre, al contrario, non sembrò affatto turbata.
«È comprensibile», ammise. «Anche io non ho mai conosciuto mio padre». La fissai sbigottita da quell’affermazione: di solito lei non parlava mai della sua famiglia prima di essere diventata una Jefferson. Eravamo abituati a vedere la nonna materna solo una volta all’anno, se andava bene, e lei evitava scaltramente ogni minimo contatto.
«Cosa?», balbettai. «Pensavo che il nonno fosse morto quando eri piccola».
«Beh è quello che alla nonna piace raccontare, non vuole ammettere che semplicemente se ne andato lasciandola incinta e sola».
«Io… io non lo sapevo», ammisi e mi sentii terribilmente in colpa per quello.
«Lo so», ammise ridacchiando. «Tuo padre è sempre stato l’unico a saperlo».
«E perché ce l’hai detto adesso?». Perché scoprirsi in questo modo, soprattutto con me?
«Perché capisco ciò che Trevor ha detto e so cosa vuol dire». Perché nonostante la nostra conversazione telefonica della sera prima sembrava comportarsi in maniera più che amichevole con Trevor? Perché era così gentile e comprensiva, come non lo era mai stata, con chi avrebbe dovuto disapprovare?
«Grazie signora Jefferson lo apprezzo molto», rispose l’altro rivolgendole uno sguardo sincero.
«Chiamami pure Caroline, Trevor». Sbattei le palpebre ancora incredula, non riuscendo a riconoscere la persona che avevo davanti. Perché tutto ad un tratto mi sembrava di aver sempre giudicato in maniera sbagliata mia madre? Da quando non era più la persona superficiale e pignola che conoscevo così bene? Ero stata io cieca o era lei ad essere diversa?
 
Trascorremmo con James ancora un po’ di tempo, parlando di argomenti meno pesanti, come del fatto che sia mio fratello che Trevor amassero le macchine da corsa, o che detestassero il tennis – non che mia madre non avesse provato a farlo piacere a Jamie. Io, riguardo a quel punto, ero stata purtroppo destinata a delle lezioni private con Queen che erano terminate con una corsa al pronto soccorso e un braccio rotto.
Sapendo che mia madre mi avrebbe direttamente riaccompagnato a casa, lasciai che lei salutasse Jamie da sola e accompagnai Trevor fuori dalla stanza per poter parlare da sola con lui.
«Oh Katy», iniziò una volta che fummo lontani da orecchie indiscrete. «Mi dispiace tanto, io non avrei dovuto… non so neanche cosa mi è preso. Non so neanche spiegartelo, è solo complicato. Mi sono comportato da sciocco e lo so che ti ho ferita».
«Non fa niente Trevor». Aveva in parte rimediato al suo sbaglio iniziale.
«Non è vero. Io ti ho fatto piangere e mi odio per questo. Sono proprio uno stupido, è stato più forte di me e anche se sapevo che era profondamente sbagliato non sono riuscito a fermarmi. È incredibile come riesca a mandare tutto a puttane e a rovinare tutto».
«Non hai rovinato niente», lo fermai, prendendogli una mano. «Sei tornato, è questo l’importante».
«Non sarei dovuto nemmeno scappare».
«Ma sei tornato, hai fatto la cosa giusta e dopo sei stato fantastico». Mi alzai sulle punte e lo baciai sulla guancia per fargli capire che era tutto a posto.
«Non sono fantastico e, per quanto tu ti ostini a vedermi in quel modo, non sono perfetto e meraviglioso come credi. Sono solo un concentrato di problemi non indifferente». Si stava sottovalutando, anche se immaginavo che in parte avesse ragione.
«Beh allora è una vera fortuna che anch’io sia un concentrato non indifferente di problemi». Gli sorrisi e lo guardai in modo rassicurante. Proprio in quell’istante vidi mia madre uscire dalla stanza di James e individuarci con lo sguardo.
«Allora è tutto a posto tra di noi?», continuò. Essendo di spalle non poteva vedere che mia madre ci stava guardando e perciò mi passò una mano dietro la schiena attirandomi di più a sé.
«Sì, è tutto a posto», confermai cingendogli il collo con le braccia e guardando sopra la sua spalla.
«Tua madre ci sta osservando?». Assunse un’espressione divertita, notando il mio sguardo perso altrove.
«Sì». Emisi un lungo sospiro, non tanto perché lei era lì a guardarci quanto perché non sapevo più cosa diavolo pensare sul suo conto.
«Vuoi che ti baci?». Dal suo tono e dai suoi occhi capii che non si riferiva solo ad un semplice bacio a stampo. Era troppo malizioso per accontentarsi solo di quello.
«Oh sì», ridacchiai, non resistendo alla tentazione di far uscire una bella espressione di disapprovazione sul volto di mia madre.
In meno di un secondo mi ritrovai in punta di piedi con le labbra di Trevor premute sulla mie e la sua lingua come ospite ben voluto nella mia bocca. Affondai le dita nei suoi capelli mentre lui mi dava uno dei suoi baci mozzafiato. C’era un motivo se il mio cervello smetteva di ragionare in momenti come quello ed il fatto era che Trevor era dannatamente bravo.
Quando ci staccammo per riprendere fiato appoggiò la fronte sulla mia, facendo strusciare insieme i nostri nasi.
«Devo andare», sospirai.
«Ti chiamo più tardi. Va bene?».
«Ci conto». Lo baciai dolcemente sulla guancia e lasciai che si avviasse lungo il corridoio, verso le scale, mentre io tornai da mia madre.
«Linny stai mettendo a dura prova la mia pazienza, lo sai?».
La guardai assumendo un’espressione innocente, anche se sapevo benissimo a cosa si riferiva.
«Non avresti dovuto baciarlo in quel modo, soprattutto in un luogo pubblico».
«Probabilmente è vero», ammisi. «Ma non mi importa». Mi resi conto che solo poco tempo prima non avrei avuto il coraggio di risponderle in quel modo. Forse Trevor mi stava facendo davvero cambiare, ma non era una cosa negativa. Ero più sicura di me, più intraprendente, più coraggiosa.
Ne ebbi la prova quando mi ritrovai da sola con lei nello stretto abitacolo della sua auto. Volevo sapere cosa era successo per farla comportare in quel modo, cosa diavolo aveva in mente e come mai aveva cominciato ad essere una persona completamente diversa da quella che conoscevo. Preferivo al cento per cento quella versione, intendiamoci, ma non era la madre che ero abituata a vedere. Volevo delle risposte e non avrei atteso oltre.
«Perché lo hai fatto?», domandai interrompendo il silenzio.
«Fatto cosa?».
«Perché ti sei comportata così oggi con Trevor? Pensavo che dopo ieri sera avessi messo in chiaro che lui non fosse adatto a me, che papà e Queen avevano ragione su tutto».
«Lo pensavo», ammise. «Dopo che hai dato di matto, facendo quella scenata ridicola e scappando di casa senza giacca né telefono, lo pensavo davvero».
«E allora cosa è cambiato?».
«Sono andata in camera tua», buttò lì. La mia mente fu catapultata nella mia stanza dove il mio diario (o meglio quello destinato a Jamie) faceva bella mostra di sé sopra il mio letto.
«Non avrai letto il mio diario!», urlai avvampando per la rabbia. Se l’avesse fatto…
«No, certo che no», mi zittì con tono risoluto.
«Ah». Mi rilassai di nuovo contro lo schienale e aspettai che continuasse.
«Ho trovato il tuo cellulare», confessò.
«Hai ficcato il naso nel mio cellulare?». Tornai a voltarmi sconvolta verso di lei alzando la voce.
«Mio Dio Linny, no. Non ce n’è stato bisogno, sei un po’ troppo possessiva nei confronti delle tue cose. E anche se l’avessi fatto, in fin dei conti, ne avrei avuto tutto il diritto, visto che non sapevo dove fossi o come rintracciarti».
Sospirai, riconoscendo che in parte aveva ragione. Non era stata una grande idea quella di andarmene senza voltarmi indietro neanche per prendere il cappotto. «Continua».
«Non ho ficcato il naso nel tuo telefono perché non sapevo come sbloccarlo. Comunque non mi è servito perché mi è bastato vedere questa». Tenendo il volante con una sola mano, frugò nella sua borsa ed estrasse il mio cellulare. Le bastò premere il tasto laterale affinché lo schermo si illuminasse e apparisse una foto di me e Trevor. Era una che mi aveva mandato Evan: non sapevo minimamente quando l’avesse scattata, ma Trevor mi abbracciava, sussurrandomi qualcosa all’orecchio, ed io sorridevo non rivolta all’obbiettivo ma da un’altra parte. Era una foto spontanea e mi era piaciuta a tal punto che l’avevo messa come sfondo per la schermata di blocco.
Afferrai il cellulare per permetterle di riprendere il volante e la guardai non riuscendo ad afferrare ciò che mi stava suggerendo. «Non capisco, cosa c’entra questa foto?».
Sospirò e, prima di continuare a parlare, mise la freccia e accostò sul ciglio della strada. Si slacciò la cintura e si voltò leggermente verso di me. «Linny lo so che io e te siamo diverse. Abbiamo due caratteri che difficilmente riescono ad andare d’accordo. So che sono severa con te certe volte e che tu mi consideri solo una persona superficiale».
Stavo per negare, ma mi fermai riconoscendo che avrei detto una bugia. Era così e mi sorprendeva che la cosa fosse chiara ad entrambe.
«Appunto lo sappiamo. È vero penso molto all’aspetto fisico, ai vestiti, all’apparenze, a quello che la gente pensa di noi e a fare bella figura. Queen è perfetta in questo, è capo cheerleader, reginetta del ballo, è la ragazza più popolare della scuola, è quello che avrei voluto essere io. E poi ci sei tu che sei diametralmente opposta a me e a lei e tu pensi che per questo io non ti veda; è ovvio che vorrei che su alcune cose assomigliassi di più a tua sorella, nel modo di vestire o anche solo come carattere, ma solo per riuscire ad avere un punto di contatto. Io non so come relazionarmi con te se non cercando di farti avvicinare a quello che è il mio mondo». Era una spiegazione che non mi sarei mai aspettata, però le sue parole avevano un senso. Adesso capivo in parte il suo comportamento nei miei confronti e ne ero davvero sollevata.
«Tuttavia», continuò, «tu credi di scomparire in confronto a Queen, di non avere più importanza per me».
«Non è così? Secondo te Queen è perfetta ed io non sarò mai alla sua altezza». Non ero mai stata così sincera con lei, ma d’altronde era stata lei la prima ad essere onesta.
«No, tu non scompari Kathleen. Non so da dove ti sia uscita questa idea che preferisca lei a te. Siete mie figlie tutte e due e il fatto che io e te non andiamo d’accordo non vuol dire che ti consideri di meno. Non sono un tipo affettuoso Linny, non sono quel genere di persona capace di amare senza limiti, come invece sai fare tu, ma non vuol dire che non ti voglia bene».
Ero rimasta senza parole, mentre una strana emozione mi stringeva il petto. Se mi avessero raccontato che avrei assistito ad una dichiarazione del genere da parte di mia madre, probabilmente sarei scoppiata a ridere e non ci avrei creduto. Eppure era la verità.
«E questo cosa c’entra con Trevor e la foto?», mi sforzai di parlare.
«C’entra perché tu pensi che io non ti noti nemmeno, ma non è così. Linny da quando James è in quell’ospedale, fermo in quel letto, la nostra vita è cambiata radicalmente. E mentre tuo padre e Queen cercando di superare la cosa, io e te non abbiamo nessuna intenzione di arrenderci. Lottare per James è forse l’unica cosa in comune che abbiamo. Comunque arrivo al punto: da quando James ha avuto l’incidente tutti noi abbiamo perso qualcosa e per te quel qualcosa è il tuo sorriso. Tu non sorridi più; forse non te ne accorgi neanche, ma io sì. Se ridi o sorridi, non lo fai mai con tutta te stessa, con quella spontaneità con cui lo facevi con tuo fratello.
E poi ieri sera, dopo che mi hai chiamato, ho preso il tuo telefono e ho visto questa foto. Linny sei così felice là tra le sue braccia, del tutto spontanea, con un sorriso sincero che credevo che non avrei più rivisto. Io non so se sia lui oppure altro a renderti felice in questo periodo, ma non voglio prendere posizione a riguardo».
Sbattei le palpebre cogliendo il senso di tutto il suo discorso. «Non sei d’accordo con papà? Non credi che Trevor sia una cattiva influenza solo perché ha commesso degli errori e non ha le stesse ambizioni della nostra famiglia?».  
«Beh ammetto che il suo aspetto non è rassicurante, anche se devo riconoscere che il suo sforzo per piacerci ieri sera è stato enorme. Tutti quei piercing e quei tatuaggi sono qualcosa che mi fa un po’ rabbrividire e spero bene che tu non voglia rovinare il tuo corpo come ha fatto lui».
«Oh no, tranquilla», la rassicurai sorridendo.
«Bene, detto questo, posso dirti che se per merito suo tu sei felice, finché continuerai a comportarti come si deve, ad avere una media eccellente per poter entrare in uno dei migliori college, io non avrò niente contro di lui».
«Vuoi dire che non mi stai vietando di vederlo? Che approvi?». Era qualcosa di talmente inaspettato che ero rimasta a corto di parole, del tutto sbalordita.
«Tuo padre mi ucciderà per questo, ma io non mi schiererò contro di te o contro il tuo ragazzo».
Ero così commossa da quell’improvvisa e inaspettata connessione che l’abbracciai di slancio, travolgendola con un gesto a cui entrambe non eravamo abituate. «Grazie».
«Di sicuro non lo inviterò alle feste di famiglia», ironizzò lasciandomi andare.
«Non credo che sarà un problema, penso che gli farai un favore», scherzai.
«Immagino già cosa direbbero le mie amiche vedendolo. Sono così pettegole, non smetterebbero di parlarci dietro».
«Come se già non lo facessero». Doveva saperlo bene anche lei.
«Lo so che lo fanno, ma conosco segreti che potrebbero compromettere tutte quante». Non conoscevo quell’aspetto di mia madre, ma iniziavo a capire che forse avevo visto solo una parte di lei e che il suo carattere così diverso dal mio mi aveva fatto erigere una barriera che mi aveva impedito di comprendere veramente chi fosse.
«Mamma», iniziai volendo essere sincera almeno quanto lei, «Trevor non è una cotta passeggera. Non sto con lui per ribellarmi, o per una qualche fisima adolescenziale».
«Lo so. Non ho mai pensato che fosse una semplice ribellione nei nostri confronti».
«Quindi è appurato che non è per spirito di contraddizione che sto con lui. Se tu approvi, io non smetterò automaticamente di provare interesse per lui».
«Certo che no».
«Io ne sono innamorata e non so se pensi che lui mi stia cambiando o che io stia cambiando per piacere a lui. Io non so se è così, ma mi sento me stessa quando sto con Trevor ed era tanto tempo che non mi sentivo così con nessuno».
«Lo capisco e penso che per lui sia lo stesso».
«Lo è». Non ne ero certa, ma lui non aveva mai detto il contrario.
«Allora mi sa che dovremo iniziare a discutere di argomenti importanti. Come per esempio il fatto che dovremo fissare un appuntamento dalla ginecologa».
Arrossii di colpo, non aspettandomi quella piega improvvisa del discorso. Tuttavia ripensando alla notte precedente non potevo negare che avesse ragione. Prima o poi – forse più prima che poi – io e Trevor saremo diventati più intimi ed era bene che io ci arrivassi preparata. «Penso di sì», sussurrai talmente piano che lei riuscì a stento a sentirmi.
«Ti farò la stessa domanda che feci a Queen dopo che si era messa con Sean: è già successo?».
«No», balbettai, aggiungendo poi la cosa più importante, «non ancora».
«Bene, allora fisserò un appuntamento. E adesso possiamo dimenticare la parte imbarazzante e tornare a casa prima che tuo padre cominci ad andare su tutte le furie». Così dicendo riaccese la macchina e si immise di nuovo nella carreggiata. Quello che era appena successo aveva dell’incredibile: avevamo appena avuto un momento madre/figlia, uno di quei momenti che mai avrei pensato di condividere con lei. Non sapevo come gestire questo improvviso cambiamento, ma non potevo che esserne felice. Felice di essermi sbagliata e di averla giudicata male.
Mi tornarono alla mente le parole che Jamie mi diceva sempre quando litigavo con lei. “So che può essere difficile Kitty ed insopportabile, ma ti ostini a vedere solo una parte della mamma, quella che non ti piace”. Io gli rispondevo sempre che era facile parlare per lui visto che era il primogenito nonché il suo preferito. Tuttavia solo in quel momento mi accorsi che con molta probabilità James aveva sempre avuto ragione.
 
Più tardi quella sera, come promesso, ricevetti la chiamata di Trevor.
«Ehi piccola che stai facendo?», mi domandò mentre io lasciavo perdere i libri e mi distendevo sul letto, per poter chiacchierare liberamente con lui.
«I compiti». Era scontato, ma anche la verità.
«Dovevo immaginarlo», ridacchiò.
«E tu? Non dovresti studiare anche tu?».
«Sì, beh un po’ ho studiato», mentì spudoratamente.
«Bugiardo».
«Non puoi saperlo», ribatté. «La mia media è molto migliorata da quando ti conosco».
«Tecnicamente mi conosci da quando hai ricominciato la scuola, quindi è ovvio che la tua media sia migliorata visto che prima non ci andavi. E comunque da ciò che mi hai detto non credo che i tuoi voti fossero la tua principale priorità neanche prima».
«E va bene. Hai vinto tu Katy. Studierò». Ero pronta a scommettere che avesse alzato gli occhi al cielo anche se non potevo vederlo.
«Bravo. Ma comunque che stavi facendo se non studiavi?».
«Lavoravo alla mustang, non manca molto, lo sai?». L’eccitazione nella sua voce era palpabile.
«Mi porterai a fare il giro di inaugurazione?». Conoscevo già la risposta, ma sapevo che sarebbe stato felice della mia domanda.
«Ovvio Katy. L’onore spetta solo a te, e a me naturalmente. Comunque come è andata con tua madre? Tutto bene?».
«Sì», risposi con sincerità. «Sì tutto bene. È strano, ma alla fine penso di aver trovato un punto di contatto con lei».
«Buon per te Kathleen».
«Lei ci approva Trevor», gli rivelai.
«Cosa?».
«Noi due, Trev. Per lei va bene, non ci ostacolerà. Credo che alla fine tu le piaccia».
«Sul serio?». Sembrava incredulo almeno quanto lo ero stata io.
«Già. Non avrei mai pensato che tra tutti, fosse proprio mia madre a vederti per quello che sei realmente e non solo per il tuo aspetto o per i pettegolezzi».
«Mi piace tua madre», disse. «Nel senso buono del termine intendiamoci, visto che ha messo al mondo la mia bellissima e dolcissima ragazza».
Scoppiai a ridere, sentendomi molto più leggera e rilassata. «Non starai esagerando?».
«Per niente. Tuo padre invece?». La sua voce era tornata di nuovo seria, sapendo che il verdetto doveva per forza essere negativo.
«Beh con mio padre è un’altra storia», affermai. «Quando sono tornata a casa ho ritenuto opportuno, per il quieto vivere, scusarmi per essere scappata in quel modo. Tuttavia gli ho detto che non mi scusavo per ciò che avevo detto e che non avrei obbedito al suo divieto. Ho messo in chiaro che non smetterò di vederti a prescindere da ciò che dice lui e che, finché il mio rendimento a scuola rimarrà invariato, lui non potrà mettere bocca sulle mie relazioni».
«E lui?».
«Non gli è piaciuto, ma d’altra parte cosa potrebbe fare? Ha borbottato qualcosa e si è chiuso nello studio».
«Beh credo che dovrei essere lieto di aver avuto l’approvazione di due quinti della famiglia, non considerando tuo nonno ovviamente».
«Hai l’approvazione di tre quinti», lo corressi.
«Come?».
«Jamie. Nonostante l’inizio davvero tragico, ti sei riscattato bene alla fine».
«Katy io…». Sapevo che stava per scusarsi di nuovo, ma davvero non ce n’era bisogno.
«Trevor», lo fermai. «Lo so, non scusarti più. Qualsiasi cosa sia successa adesso è passata».
«D’accordo. Allora perché non parliamo del fatto che mi manchi già e che vorrei tanto baciarti e passare di nuovo la notte con te».
«La tua frase suona un po’ ambigua, dato che abbiamo solo dormito».
«Solo per merito mio piccola, solo per merito mio». Arrossii riconoscendo che aveva ragione.
«Beh forse sì», ammisi in un sussurro.
«Non vedo l’ora di arrivarci Kathleen», mi confessò mandando in fibrillazione il mio cuore. «Voglio tutto di te». Ed era proprio quello che volevo anch’io.
  
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