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Autore: TotalEclipseOfTheHeart    29/01/2018    2 recensioni
Helena Montgomery non ricorda nulla del suo passato.
Semplicemente, un giorno di mezza estate, si risvegliò, sola e abbandonata, in un campo di grano presso la città di Los Angeles.
A quel tempo, lei non sapeva, non poteva sapere.
Non ricordava nulla, né della sua identità, come l'amata figlia di Regina della Foresta Incantata, né di come fosse giunta in quel mondo, messa in salvo per sfuggire alle ire di Lui.
Costretta a vivere in un mondo che non le appartiene, capisce in fretta di essere, in qualche modo, "diversa".
Abbandonata la sua famiglia adottiva, inizia a viaggiare, alla ricerca di sé stessa.
E' solo quando, anni e anni dopo, Emma Swan giunge a Storybrooke che, finalmente, i suoi ricordi tornano.
Ora, non deve far altro che ricongiungersi alla madre.
Ma gli anni sono passati, riuscirà a ricondurre la donna sulla via della luce?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Baelfire, Emma Swan, Nuovo personaggio, Regina Mills, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1
Helena Montgomery
 

“Helena … Helena!”
La donna sobbalzò, riscuotendosi improvvisamente dal torpore che l’aveva colpita, per l’ennesima volta in quella dannatissima settimana, proprio nel momento della giornata in cui il locale era più affollato.
Alzò lo sguardo, incrociando, con un brivido di freddo, quello gelido del suo capo, Josh, che la fissava irritato dall’altro lato del bancone.
Uomo di semplici costumi, il proprietario del Fast Break di Nothing Hill, a New York, USA. Severo e impassibile, l’unico motivo per cui aveva accettato di prenderla al suo servizio (privandosi dei suoi preziosismi dollari, sprecati per dei dipendenti che, comunque, non avrebbero mai soddisfatto i suoi altissimi standard) era stata Hana. Le due si conoscevano dai tempi dell’Università e, essendo sua cognata, aveva insistito perché la prendesse, offrendole un posto di lavoro decente e una paga relativamente buona.
Peccato che, per Helena, lavorare in quel posto non fosse proprio il massimo delle prospettive.
Checché ne dicesse infatti Josh, il Fast Break era, e sarebbe sempre stato, un locale tutt’altro che “di classe”. Incuneato nel buco più in culo all’orso di tutta la zona, non era nulla di più che un ammasso di tavoli sparsi alla bell’e meglio, con un bancone fin troppo vasto e una collezione di vini e dir poco pacchiana, le bottiglie ricoperte da un fitto strato di polvere. Alle pareti, memorie di un passato di gloria ben lontano, pendeva un caotico ammasso di quadri, trofei di caccia, vecchie armi, poster, magliette e chi più ne ha più ne metta … il tutto senza dar segno di seguire un qualche genere di ordine precostruito.
I clienti, per lo più vecchi ormai in pensione, se ne stavano sempre chini sui propri giornali, o a giocherellare alle slot machine, buttando via denaro su denaro per nulla e ubriacandosi dalla mattina alla sera.
Insomma, tanti pretesti per un nulla di fatto.
E ogni giorno la solita, irritante, inutile solfa.
Sveglia alle sei, colazione e arrivo al locale. Josh, altrimenti conosciuto (almeno dagli altri dipendenti) come “Lo Stronzo” che la spediva in magazzino a sistemare la merce, per poi metterle in mano quel pezzo di rudere che era la scopa del locale per farle pulire il posto.
Prima delle otto, tutto doveva essere a posto.
Le brioche, un ammasso gommoso di pasta buttato a caso, dovevano sfilare come modelline perfette nell’espositore. Le macchine del caffè dovevano essere pronte a entrare in azione, e i freezer delle bibite pieni fino all’orlo di bevande che, alla fine, sarebbero state acquistate da si e no un paio di persone in croce.
Eppure, se voleva mettere da parte i soldi per la partenza, non aveva molte altre scelte. Ed Helena lo sapeva molto bene.
“Allora?”, fece l’uomo, un tizio tarchiato, dalla capozza completamente rasa e lucida, con una ridicola barbetta grigia a punta che lo faceva sembrare un mulo peloso. Il tutto coronato da una molto discutibile Acqua di Colonia, dall’odore così forte da risultare quasi nauseante.
Sospirò, Helena, chiedendosi per l’ennesima volta perché diamine fosse ancora in quel buco di fogna, invece che a cercare la sua famiglia.
Si stampò in faccia il sorriso più convincente e cordiale che avesse nel suo repertorio, coprendolo mentalmente di ogni insulto possibile e immaginabile, prima di dire: “Mi scusi. Un colpo di sonno … in questo periodo non riesco a dormire bene.”
Effettivamente, erano settimane che, ormai, chiudere gli occhi le sembrava quasi impossibile.
Ovviamente non era la prima volta che faceva degli incubi: nel primo periodo passato all’orfanotrofio quei sogni orribili, rimembranze di una vita che ancora le pare sconosciuta, quasi estranea, erano praticamente all’ordine del giorno.
Ombre cupe e scure, pronte ad afferrarla nel silenzio della notte, proiettandola in un mondo onirico così vivido da sembrare quasi un ricordo. Eppure … ogni mattina quegli stessi sogni le scivolavano via, offuscati, impedendole di capire con chiarezza quale ne fosse l’origine, o cosa raccontassero.
Nonostante ciò, erano anni che quegli incubi non ritornavano con una vividezza simile.
Ormai riusciva a riposare solo per pochissime ore a notte, passando invece il resto del tempo a fissare ostinatamente il soffitto, al punto che, ormai, avrebbe potuto essere in grado di riconoscerne a memoria ogni singolo atomo.
Non ci avrebbe fatto poi molto caso se, purtroppo, i risultati non avessero intaccato anche il suo profitto diurno.
“Si, si … questo lo avevo capito. È la terza volta in questa settimana che ti becco a dormicchiare sulla cassa.”, rispose, con fare scocciato, l’uomo, “E non me ne frega un fottuto accidente se non riesci a dormire. Vuoi un lavoro? Bene, fatti prescrivere delle pastiglie e vedi di risolvere questa faccenda … non ti pago per girarti i pollici.”, concluse, lanciandole sul grembo quello che avrebbe dovuto essere uno straccio per pulizie (ma sembrava, invece, più simile a una vecchia tovaglia ingiallita), “E ora datti una mossa. Devi pulire il bancone.”
Lascia perdere, Helena. Non ne vale la pena.
Si disse la giovane donna, osservandolo inespressiva per un istante, prima di avviarsi con un sospiro verso il bancone.
Iniziò a strofinare la superficie liscia del legno, mettendoci tutta la forza e la frustrazione di cui era capace, fino a quando una voce famigliare non la sorprese, facendola sobbalzare.
“Sai … non è che se ringhi e strofini in quel modo ottieni qualcosa.”, osservò Matt, sorridendo sornione dall’altro capo del bancone.
“Oh … sei tu. Scusa … Josh …”
“Si, lo so. È uno stronzo. Ma questo ormai dovresti averlo capito, no, novellina?”, fece il dipendente più anziano, poggiando il gomito sul bancone e osservandola divertito. E si che, a dire il vero, era già da quattro mesi buoni che lavorava al Fast Break … eppure, quello scemo continuava a darle della novellina.
Sbuffò, alzando gli occhi al cielo con aria falsamente esasperata: “Ancora con questa storia? Guarda che sono più vecchia di te, sai?”
Quello sorrise, facendo spallucce.
Matt era un uomo giovane e avvenente, il tipo sbarazzino e un pelo ribelle che fa colpo al primo sguardo, con quel je ne sais pas di noncuranza che gli permetteva di andare avanti sempre e comunque senza curarsi troppo dei pareri altrui.
Robusto al punto giusto, con quei furbi occhi azzurri e la barba appena visibile era stato uno dei pochi a riservarle un’accoglienza degna di tal nome.
Lì, al Fast Break, erano in quattro in tutto, contando lei e Josh. Solitamente, Helena si occupava della casa, stanziando solo occasionalmente ai tavoli, che invece erano gestiti prevalentemente da Matt. Oltre a loro due, vi era anche Dayanne, la nipote di Josh la quale, tuttavia, ben di rado si presentava al locale.
“Ehi …”, fece lui, nuovamente, facendole cenno di avvicinarsi, “Che ne dici di fuggire, questa sera?”
Helena alzò un sopracciglio, osservando con la coda dell’occhio Josh che, poco distante, stava chiacchierando con alcuni clienti abituali.
“Certo … lo sai che quella vecchia iena non ci lascerà uscire prima della fine del turno.”, osservò, cinica.
Era praticamente impossibile giocare il loro capo.
Non sapeva esattamente come facesse, ma quel dannatissimo stronzo sembrava essere in grado di fiutare una balla a miglia di distanza, e lo stesso fiuto aveva per il denaro. Era il tipo di persona che, purtroppo, non si poteva raggirare facilmente.
“Tranquilla … stasera ci sarà anche Dayanne. Ci farà uscire … e poi è indietro con lo stipendio, non farà storie.”, rispose Matt, per poi proseguire, “Io devo passare a casa. Ti aspetto di fronte alla biblioteca, va bene?”
Helena ci pensò su.
Sin dal suo arrivo a New York, aveva subito cercato di mettere bene in chiaro le sue regole.
Nessuna relazione, nessun impegno.
Non poteva permettersi di creare dei legami, non se, alla fine, avrebbe abbandonato la città dopo solo pochi mesi, come sempre accadeva.
Ormai, quello di viaggiare era diventato uno stile di vita, più che un hobby.
Aveva iniziato quasi per scherzo, perché voleva rintracciare i suoi genitori biologici, poi, però, si era resa conto di non poter tornare indietro. Alle sue spalle non si era lasciata che le ceneri di una vita che non le era mai realmente appartenuta … non aveva un reale posto in cui tornare e, quindi, volente o nolente la sola opzione rimasta era continuare ad andare avanti.
Ovviamente, le era capitato di avere delle relazioni.
Tutte però, nessuna esclusa, erano finite abbastanza male e quindi aveva preso la decisione di lasciar perdere la vita sentimentale, concentrandosi solo su sé stessa. Forse, poteva sembrare abbastanza egoista, ma a lei andava bene così.
Tuttavia, erano giorni che non usciva e Matt sembrava davvero un tipo a posto.
Non le aveva fatto pressioni al suo arrivo, rispettando la sua riservatezza e i suoi silenzi e lasciando che fosse lei ad aprirsi lentamente, senza forzarla troppo.
Non le era parso interessato ad avere una relazione.
Quindi uscire non le avrebbe certo potuto fare male, no?
Sorrise, abbassando lo sguardo: “E va bene. Di fronte alla biblioteca alle otto?”, propose, di rimando.
Quello annuì: “Alle otto.”
 
“E ricordati di venire prima domani, dobbiamo finire l’inventario. Chiaro?”, le rammentò, per la milionesima volta mentre si apprestava a uscire dal locale, Josh, appoggiato contro lo stipite dell’ingresso.
“Si, si … ho mai fatto tardi?”, rispose, questa volta con un velo d’irritazione, Helena, “Ora … posso andare?”
Quello sbuffò, rientrando nel locale con aria scocciata.
Idiota. Almeno avesse un locale decente lo capirei … ma questa bettola? È già tanto che stia ancora in piedi.
Pensò, inforcando il casco e montando sulla sua Bimota Tesi 3D nera e arancio acceso, per poi dare gas. Sorrise … ora si che si ragionava. Osservò per un’ultima volta il Fast Break. Poi ingranò la marcia, dirigendosi con un rombo sordo verso la sua destinazione.
 
A miglia e miglia di distanza, intanto, un’Emma Swan decisamente scocciata superava un cartello stradale color verde acceso.
Sopra, scritto a lettere cubitali: Welcome to Storybrooke.



Note dell'Autrice:

Ebbene, rieccomi col primo vero e proprio capitolo di questa Fanfiction sul magnifico universo di OUaT!
Finalmente, abbiamo potuto incontrare la nostra protagonista nella sua versione da adulta e già da queste prime righe potrete facilmente intuire che tipo di personaggio sia Helena. Diciamo che, come potrete vedere anche col proseguo del racconto, non è che sia proprio il tipo di persona a cui si mette facilmente i piedi in testa (ma d'altra canto visto com'è la madre chi si sorprenderebbe?).
Spero quindi che come introduzione possa entusiasmarvi, e ne approfitto subito per fare un ringraziamento speciale a Ghillyam ed EragonForever per le magnifiche recensioni. Ringrazio anche tutti i miei lettori (confesso che arrivare a 100 così in fretta solo per il prologo mi ha sorpresa non poco) e coloro che hanno aggiunto la storia alla lista delle seguite.
Detto questo, vi anticipo che, in linea di massima, aggiornerò ogni cinque/sette giorni circa.
Grazie ancora a tutti e alla prossima!

Teoth
   
 
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