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Autore: hyperktesis    30/01/2018    8 recensioni
Non esiste un Black immune al fascino della distruzione, fin anche fosse nei riguardi di sé stessi: Sirius non costituisce un’eccezione – James, dal canto suo, si offre come la tempesta perfetta.
[prima classificata al contest La frequenza dell'anima indetto da kosmos_ sul forum di efp]
[prima classificata al contest keep calm e... fatemi amare la vostra otp II edizione, indetto da eleCorti sul forum di efp]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Sirius Black | Coppie: James Potter/Sirius Black, James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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*nome sul forum/efp: aware_ / hyperktesis
*titolo: l’oleandro o dell’oblio
*introduzione: Non esiste un Black immune al fascino della distruzione, fin anche fosse nei riguardi di sé stessi: Sirius non costituisce un’eccezione – James, dal canto suo, si offre come la tempesta perfetta.
*generi: introspettivo, malinconico, sentimentale
*avvertimenti: //
*note: l’oleandro è una pianta velenosa il cui fiore viene tipicamente associato alla morte, all’oblio, alla disgrazia – non esattamente un significato piacevole, dunque mia scelta ineluttabile. spero questa storia non risulti altrettanto nociva :P



 


 


 


 

i hope that you see me
cause i'm staring at you
then you lean and kiss her on the head
and
i never felt so alive
and so dead


 


 


 


 

l’oleandro            
o dell’oblio


 



 

È l’eterno gioco delle parti, Sirius, si nasce per l’infelicità: ci si crogiola in essa, assuefatti alla remota speranza che un giorno l’estasi ci cada nel petto, da sola, per caso. Ma niente accade per caso, non il piacere, né tantomeno il dolore – d’ogni stilla di male che infetta la pelle non s’è che perversi complici.
Tu, per altro, sei sempre stato il migliore in quest’arte.


 

*


 

Aveva il sole negli occhi, James, lì su quel vecchio letto rosso oro che doveva aver visto giorni migliori: non ti guardava direttamente, teneva le iridi leggermente inclinate di lato, come tutto il viso – la scusa era la luce, la verità aveva una fragranza nascosta.
Se briglie di ferro non ti avessero stretto i polmoni e lo stomaco, l’avresti colpito con un pugno; e, delle tante volte in cui avevate giocato a fare la lotta, per una sola, questa, l’avresti fatto con la sola e pura intenzione di fargli del male.
Gli avresti fatto del male perché permetteva a quella quiete putrida e dolciastra di ammorbare l’aria, perché aveva tutto, si era preso tutto quel che poteva prenderti e ti aveva lasciato una stretta di mano e la sua sempiterna occhiata tagliente – a volte avresti voluto chiedergli chi l'avesse mutuata da chi, ma in fondo non aveva importanza e tacevi.
Ancora, come in questo momento.
Eccolo, il vostro rapporto, fatto della confidenza di chi condivide ogni segreto – quasi? –, al punto da considerare il parlare superfluo, e d’un solo silenzio scomodo.
Ma poi quell’essenza segreta era esplosa nel tuo sguardo ghiacciato, nel suo nero d'abisso; rimpiazzava quel viscido tacere con un nuovo aroma. Piacevole?

Troppo presto perché potessi assaporarlo, un colpo al petto ti aveva costretto ad assistere alla rivelazione del nuovo giorno.
«Finalmente sei sveglio, Padfoot. Forza, muoviti, sto morendo di fame!»


 

*


 

Le seguivi con gli occhi, quelle minuscole creature di pece che macchiavano il cielo con le loro danze senza scopo o ragione; ipnotiche, ti raccontavano storie infarcite di male e sogni occulti. Parlavano, loro, e tu parlavi con te stesso, seguendo quelle sagome farsi meri puntini fino a fondersi con l'orizzonte.
« Sirius », ti aveva detto lei nel momento in cui il nero di quegli uccelli maligni s'era trascolorato definitivamente nel rosso cupo del tramonto. T’eri girato piano a guardarla, soltanto perché il tono della sua voce limpida lo imponeva. Era sempre un dolore sordo incontrare quegli smeraldi tranquilli, sentirli sulla pelle del viso - ogni sguardo era il pugnale che inchiodava la tua menzogna e ti strappava il fiato.
« Ti sei mai innamorato? »
Aveva smesso di guardarti ma non avevi ripreso a respirare, i polmoni ineludibilmente contratti - non che fosse qualcosa di necessario, parlare o prender aria: conoscevi Lily ormai abbastanza da sapere che aveva solo bisogno di raccontarsi, piuttosto che discutere.
« È possibile stare così bene, stare così male allo stesso tempo? »
Lily fissava ora le radici nodose sulle quali aveva poggiato il libro di Incantesimi, le dita strette sulle caviglie e gli occhi assottigliati. « Certe volte mi tormenta la necessità di farlo soffrire perché mi fa sentire così. »
Tu sentivi ogni sporgenza della corteccia sulla quale eri sgraziatamente appoggiato, e in ogni bitorzolo riconoscevi un nuovo pensiero con il quale trafiggerti.
Sì, amavi, e con ogni fibra del tuo essere e del tuo amore avresti voluto soffocare piano o urlare ogni mattina quando aprivi gli occhi.
« Che intendi? » dicesti, ma sapevi perfettamente a cosa lei si riferisse. Lo assaporavi tutti i giorni, quando ti scostavi i capelli dagli occhi, quando la sua voce ti penetrava le orecchie.
Gli avresti volentieri punto le dita con spine velenose ogni volta che ti stringeva la mano, accecato le pupille con spilli roventi ogni volta che lanciava uno sguardo confidente. Perché eri il suo migliore amico e suo fratello; e niente di quel che tu volevi ma anche tutto ciò a cui ti era concesso aspirare.
« Penso che tu sia un po' malata, Evans », ridacchiasti, poi, a palpebre chiuse, mentre sentivi il petto spaccarsi, le coste trafiggerti il cuore « ma è per questo che sei riuscita a far piombare James nella tua trappola malefica. »
Continuasti a ridere anche mentre lei ti dava un sonoro pugno sul braccio per scherzosa ripicca. Ridevi ancora mentre iniziava a sbracciarsi per farsi notare da James che arrivava, ridevi mentre insieme ti salutavano per avere la loro giusta intimità.
Ridevi, ridevi forte perché ogni cosa aveva il sapore di una tragica ironia, perché conoscevi la verità, al di là di ogni visibile concretezza.
Sapevi che, di lei, James amava quel che di te riusciva a trovare, ma voleva soprattutto il suo possederlo in maniera meno tragica, meno contorta, più pura. Pura come i suoi occhi puliti, come la sua pelle senza cicatrici. Ma in quel suo sorriso un po' obliquo, nelle battute pungenti e i sentimenti orientati sempre verso il limite del baratro: su ognuno di quelli spiccava come inciso il tuo tocco, ignorato dagli unici occhi che desideravi lo notassero.
Tu di lei, per contro, possedevi la parte che a James non poteva bastare.


 

*


 

Sirius Black.
Quel nome osceno che ti portavi cucito addosso e dentro ed ogni giorno si stringeva di un punto attorno al tuo cuore, soffocante. Da solo eri riuscito ad accettarlo, quell’appellativo che era il sigillo sulla tua fronte; con James avevi imparato ad indossarlo come un’ingiuria alla tua stirpe corrotta – più i tuoi gesti avrebbero avuto il gusto dello scandalo più vi ponevi la tua firma.
Black tra Grifondoro.
Black tra Sanguesporco.
Black tra Traditori del sangue.
Black, l’avevi sputato un’ultima volta davanti al volto urlante di tua madre che ti scacciava, mentre alle tue spalle chiudevi una porta che eri intenzionato a non aprire mai più, convinto di avervi lasciato dietro, costretto, ogni significato perverso che quel vocabolo portava con sé – Sirius Black, orfano, senza alcun passato a gravargli sul capo, davanti soltanto la promessa del futuro, la lusinga d’un piacere sotterraneo.
Al centro di ogni cosa, v’era sempre James che ti stringeva saldamente una spalla – un passo accanto a te, la chiave di volta. Non se n’era accorto, poi, James, e tu avevi lasciato fare perché era giusto così, perché avevi affogato l’egoismo e buona parte della tua coscienza: ma la mano di lui s’era staccata per avvolgere la vita di un’altra e danzare fino alla fine dei giorni. Pochi, aveva sentenziato una voce sgorgata dal baratro più profondo della tua anima.
C’era voluto poco, allora, perché ti rendessi conto che Black non era soltanto un nome che ti trascinavi dietro: era il gene malato che t’infettava il sangue, senza speranza, privo di cura.
Avevi dato fuoco ad un albero della Foresta Proibita per ogni pomeriggio passato a non fare progetti, organizzare intrighi, avventure. L’odore acre della corteccia carbonizzata placava la solitudine come una carezza, la cenere volteggiava nell’aria dolcemente. Lo spettacolo della distruzione era la più deliziosa fra le tue doti.
Nel giugno 1978, Hagrid avrebbe rinvenuto una radura nera d’arsura.

 

*

 

Aveva sempre il sole negli occhi, James, in quella cucina ancora lucida per i mobili nuovissimi: ti teneva testa nonostante tutto, le pupille strette bagnate di luce ma il volto rilassato. Sentivi il tuo stesso disagio ferire l’aria, l’attesa a trafiggerti i muscoli. La verità era una ferita da infliggere.
Ti eri morso la lingua fino a sentire il dolore pungerti i recessi più reconditi del cranio. Le labbra rosse di baci e di sorrisi sul volto di James avevano il sapore del tradimento - lo sapevi senza averle assaggiate: avevi da tempo imparato ad indovinarne il gusto senza sfiorarle, l'arte della necessità.
Il sangue nell'esofago, invece, aveva la tragica sensazione di ruggine liquida e dell’ineluttabile: di quell’ipotesi di futuro che ti ostinavi a premerti addosso, tra le dita la stretta si faceva sempre più incerta.
« Mi sposo. »
Le lusinghe crollavano, i polmoni in pezzi, un ronzio sordo a scuoterti i nervi.
Spezzagli le ossa, sbrana la sua carne e, se non fosse abbastanza, estirpa sin anche il midollo.
« Sii il mio testimone. »
Il calore di un abbraccio, il freddo dentro di un inverno calato di maggio.
Perdevi la presa.
« Sì. »
La lingua ancora dolente aveva sancito, ultimo apostata, il suo sigillo impietoso. Sotto i piedi, a ferirti la pelle i cocci di quel che non sarebbe mai stato. Dalla realtà non potevi svegliarti.
Intorpidito, avevi scoperto che la fragranza nascosta era dolce d’oleandro.

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

Note conclusive
(ovvero “questa storia potrebbe avere anche un senso, nonostante tutto”)

Mi rendo conto che la mia fanfiction possa risultare stupidamente complessa, come mi è stato fatto notare, lol, ma a tutto c’è un perché (fino ad un certo punto, ovviamente: in verità a me piacciono le cose stupidamente complesse).
Tutta la vicenza ruota attorno ad un semplice concetto, che secondo me è quello più visceralmente intrinseco alla personalità di Sirius: la violenza. È quello il “gene Black”, la tendenza naturale nella quale ogni membro di quella famiglia, chi più chi meno, è imbrigliato.
È una violenza a volte totalizzante oppure non sempre manifesta – mi riferisco alle figure, per esempio, di Bellatrix, sulla quale non penso ci sia molto da aggiungere, o di Narcissa, violenta contro sé stessa, nel reprimere il suo pensiero pur di rientrare nell’ottica di superbia del suo ambiente.
Il caso di Sirius, che è quello che ho voluto affrontare, è diverso. La sua brutalità ha un tratto più eclettico, più politropo, per così dire. Il suo atteggiamento nei confronti della sua famiglia non nasce come una rinnegazione per ragione di ideali: la comprensione che un bambino di dieci anni può avere di principi morali, alla fine, non potrà mai essere tanto profonda da porlo sin da subito in tale situazione di screzio con i suoi genitori, con quello che sono le sue radici. Nella mia interpretazione, Sirius si distacca da loro per estrinsecare la sua naturale violenza – li rigetta perché loro sono l’oggetto di quello che sente: tutto il resto è contorno, importante, sì, ma non primario. 
James, poi. Nell’introduzione l’ho indicato come tempesta perfetta (e vi rimando al link che vi ho lasciato, nel caso possa essere utile), e c’è un perché. Il legame che si stringe tra lui e Sirius costituisce un nuovo ente sul quale Sirius può proiettare i propri sentimenti negativi. La boria di James e la sua scaltra malizia sono un innesco per una miccia sin troppo sensibile, ma allo stesso tempo la sua forte volontà è incoercibile per Sirius e così s'innesta tra le pieghe più vulnerabili e deboli di quest’ultimo, parte integrante ed attiva dell’evoluzione del sentimento di violenza. Sirius non si rivolge mai a James con pensieri scevri da violenza, ogni gesto, pensiero ne è, invece, impregnato. Sirius ama James, ma il suo amore è intriso di una furia inespressa – perché James non lo ricambia, perché non può farlo. E alla fine Sirius lo vuole anche, e soprattutto, per questa ragione.
Ho inserito, dopo averci un po’ riflettuto, anche la figura di Lily. Lily e Sirius sono amici, hanno un legame indissolubile: d’altronde sono uniti da una similitudine esistenziale di base – questo impeto feroce, che in Lily è più stemperato, ingentilito. Sirius, dinanzi a questa analogia, prova sollievo e prova invidia: sollievo perché non è solo, perché non è una malattia unica in lui; invidia perché James in lei riesce ad apprezzarla, o se non altro a non rifiutarla, mentre con lui no. Sirius e Lily sono fatti della stessa materia, ma per James Sirius non è abbastanza.
Infine, Sirius. L’ultima vittima della sua stessa violenza. Quando si rende conto che non può sfogare concretamente quell’impeto su James, su Lily, e al fine nemmeno più sugli oggetti inanimati della Foresta Proibita, si rivolge a sé stesso. Il motivo del suo sentimento è l’autolesionismo – quello di cui parlo nel primo paragrafo e ritorna nell’ultimo. Inconsciamente, tutto quello che fa, che prova, è frutto di un istinto indomabile interno. Rinuncia a James, al suo egoismo per bontà d’animo, per un tentativo di essere migliore, ma lo fa anche per incanalare la sua veemenza, finalmente, verso un oggetto concreto, sé.
Rinnovo, in ogni caso, il fatto che si tratta di una mia interpretazione del personaggio e che come tale vada presa – nel caso, spero a qualcuno possa piacere. :)
Grazie per aver letto fino alla fine, per chi ne ha avuto la forza (e lo stomaco), vi offro virtualmente tanti biscotti. ❤   


 

   
 
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