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Autore: Kiji    31/01/2018    3 recensioni
Cosa fareste se la persona che avete sempre amato e che vi fa più soffrire, è proprio la più vicina a voi? Sono un ragazzo come tutti gli altri, eppure mi sono innamorato del mio migliore amico. Ed è proprio questo il problema. A complicare tutto arriverà un giovano sconosciuto che, spudoratamente è pronto a stravolgermi la vita... Un bacio è come un fiore, nasce dal nulla e può diventare la cosa più bella che hai mai visto in vita tua!
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Fin da piccolo ho sempre saputo di essere speciale.
Non lo ero semplicemente perché mio “padre” aveva un’altra famiglia, né perché lui fosse uno dei maggiori capi finanziari internazionali del paese.
No!
Io ero diverso perché stavo male.
-Piccolo mio, non puoi giocare come gli altri. Il dottore dice che devi riposare altrimenti potresti avere altri crisi.- Era questo che mi ripeteva sempre mia mamma. Sono cresciuto nella paura costante di capitolare al suolo. Non tanto per me, io ci ero abituato, ma le mie reazioni spaventavano chi mi stava attorno.
Fu così che mi allontanai da tutto e tutti.
Avevo 4 anni quando, giocando al pallone, caddi a terra ansimando e tremando. Fui portato in ospedale e da quel giorno mi ripromisi di non farlo più. L’orrore negli occhi di quei ragazzi che non conoscevano la mia malattia, fu una spada che trafiggeva il cuore.
Non potevo rischiare più! Non dovevo!
Crebbi da solo, con mia madre e mio padre che una volta ogni sei mesi veniva a trovarmi. Lui era un tipo molto elegante, freddo e distaccato. Non avevo idea di ciò che pensasse perché mai mi aveva detto parole dolci o provato ad ascoltarmi. Fu quando mia madre si ammalò che decise di mandarmi a vivere con mia nonna. A quel tempo credetti che fosse colpa mia ed anche lui perseguì la mia convinzione. Col tempo però, capii che ciò che portava dentro mia madre, non era una stanchezza fisica.
Lei, semplicemente, non mi voleva.
-Tua madre è esausta. Non può occuparsi di te. Ho deciso, quindi, di mandarti a stare da tua nonna, almeno fino a quando non troverò una sistemazione adatto a te. Cerca di non essere un peso per lei né per tuo fratello Leonardo, anche lui soffre di cuore.- Non avevo mai visto mio fratello, sebbene avessimo lo stesso padre. Avevo sempre sentito parlare bene di lui.
Leonardo è un genio!
Questo era il dipinto idilliaco di mio padre nei suoi confronti e conoscendolo, capii che aveva ragione. Aveva una rara intelligenza che io, nel mio piccolo, non potevo neanche comprendere. La prima volta che ci incontrammo, ero molto emozionato. Era il primo membro ufficiale dell’altra famiglia, che mi fosse in qualche modo vicino, e capii che dovevo cercare di avvicinarmi a lui, in un modo o nell’altro.
-Levati dai piedi. Non credere che siccome mio padre mi ha spedito qui, noi diventeremo veramente fratelli. Tu sei solo un suo errore!- Mi odiava!
Non ci eravamo mai visti eppure mi odiava.
Una cosa, però, era vera: io ero nato per sbaglio.
La mia esistenza non doveva esistere, eppure mi trovavo in quella terra. Leonardo era ciò che io sognavo di essere. Lui poteva uscire all’aria aperta, poteva farsi degli amici, poteva persino criticare gli altri perché il suo coraggio era mille volte il mio.
Perché non potevo assomigliargli? Da quella grande casa vedevo il parco dove andava tutti i giorni a giocare, osservavo i suoi amici e lo invidiavo con tutto me stesso. Non sarei mai arrivato ad essere come lui, mai!
-Nonna ti prego, manda anche me al parco.- Che dire di mia nonna! Lei era molto socievole e mi guardava sempre con tenerezza, ma sentivo che anche per lei ero solo un profondo sbaglio. Non che mi avesse mai detto nulla, ma queste cose si percepiscono. Se non fossi mai nato, forse la vita delle persone che amavo sarebbe stata migliore.
Ci pensavo continuamente. Mia madre non si sarebbe ammalata, mia nonna non avrebbe dovuto sopportare quel nipote illegittimo, mio padre sarebbe stato libero di vivere quel matrimonio infelice e mio fratello non mi avrebbe disprezzato. In qui giorni piangevo tutte le notti augurandomi la morte, che puntualmente saltava il mio letto.
-Lo sai che non puoi giocare con gli altri bambini, non farei i capricci.- Volevo morire, avevo davvero intenzione di farla finita con quel mondo, ma non potevo farlo se prima non avessi passato una giornata con quel mio idolo bambino che mi teneva in disparte. Anche  disprezzandomi di più, avevo bisogno di ricordi positivi, altrimenti niente avrebbe avuto senso.
-Starò in disparte. Non mi noteranno nemmeno perché non giocherò. Te lo giuro.- Stare buono a guardare era facile, il difficile sarebbe stato porre fine alla mia vita.
Come dovevo farlo? Una corda?! Ma io non ne avevo perché non potevo saltare. Avrei forse risolto tutto se solo mi fossi buttato, ma la mia casa era troppo bassa per quello scopo. Dovevo trovare un luogo perfetto per terminare la mia vita.
-Va bene Samuele, convincerò Leo a portarti domani con lui, ma se lo infastidirai o se avrai qualche crisi non ti farò più uscire.- Io ridevo perché sapevo che quella sarebbe davvero stata l’ultima volta. Se la nonna lo avesse capito subito, le sarebbe dispiaciuto? Forse si inizialmente, ma col tempo avrebbe certamente convenuto che era l’unica soluzione possibile.
Non fu facile far accettare la cosa a Leonardo che, senza mezzi termini, non faceva altro che insultarmi. Mi odiava al punto che ignorava anche che fossi in quella stanza, figuriamoci ammettere davanti ad altri che eravamo fratelli. Cosa significava poi quel termine?! Non avevamo vissuto insieme, eravamo dei perfetti estranei, ma un minimo di sangue ci rendeva uniti per sempre.
-Ti ho detto che Samuele verrà con te domani signorino, o dirò a tuo padre come lo tratti. Sai bene che vuole che andiate d’accordo, quindi smettila con quell’atteggiamento.- Disse la nonna e lui rimase in silenzio. Lo sguardo truce, ma ormai totalmente convinto e rassegnato.
Quella notte non riuscii a dormire dall’emozione. Era così bello il pensiero che potevo passare un’intera giornata con lui che mi sentii pieno di felicità e buoni propositi. Immaginavo di non essere malato, di poter giocare con lui e con tutti gli altri, ma quello era solo nella mia mente.
La realtà era un veleno crudele e corrosivo.
Quando arrivò il mattino mi alzai presto, mi lavai e mi sistemai. Avevo i pantaloni blu che mi aveva comprato la mamma e la maglietta bianca che piaceva tanto alla nonna, così aspettai paziente che Leonardo si alzasse. Lui, quando mi vide, fece una smorfia.
-Non pensare che dal momento che sono obbligato a portarti, tu conti qualcosa per me, vero? Verrai, ti siederai lontano e non proverai nemmeno a parlare con i miei amici. Non dire a nessuno chi sei né chi sono io, hai capito? Finalmente ho trovato dei bambini che non sanno chi sia mio padre, non ho intenzione di perdere il loro affetto per colpa tua.- Lorenzo era molto adirato, sembrava non sopportare proprio la mia vicinanza ma io, che aspiravo a qualsiasi sua forma di attenzione da parte sua, ero al settimo cielo. Mi andava bene anche che mi rimproverasse, basta che accettasse la mi vicinanza.
Passammo la strada mentre la nonna ci urlava dietro di fare attenzione. Provai a prendere la sua mano, ma mi allontanò con facilità con un piccolo suono gutturale della gola per farmi capire il suo sdegno.
Quando arrivammo al parco, una piccola zona di terreno incolto con qualche giochino e delle panchine, mi sentii il cuore scoppiare. Avrei visto mio fratello sorridere, non con il broncio e non da un vetro lontano. Ero lì con lui e quella felicità, forse, l’avrebbe condivisa con me.
Non appena entrammo, due bambini si avvicinarono a lui. Avevano circa la mia età, o almeno questo mi sembrò a primo impatto. Uno dei due aveva i capelli nerissimi ed il volto pallido, l’altro un po’ più scuretto in volto, aveva gli occhi di un blu pallido e sfocato. Un po’ più alti di me e decisamente più “in forma” di quanto potessi mai essere io che, senza mezzi termini, mi era proibito qualsiasi sport. Il mio corpo, gracile per natura, era quasi scheletrico al loro confronto. – Leo, finalmente sei qui. Chi è lui? – Fu il bambino più pallido a parlare, quello che sembrava più tenero e dolce.
– Non è nessuno, non fateci caso. Non giocherà con noi, è qui solo perché mi hanno costretto. Vai a sederti da qualche parte e non dare fastidio. – Quel bambino pallido mi guardò, sembrava confuso ed io, senza aspettare oltre, mi allontanai. C’era un posto comodo in cui mi trovai a mio agio, in un angolino alla destra dell’altalena. Lì potevo guardare in ogni direzione ed essere sicuro di non perdermi nulla. Era avvincente, ma anche triste restare a guardare. Sentii mio fratello urlare comandi, stavano giocando a rincorrersi, credo.
– Coco, corri o ti prenderanno. – Il bambino pallido iniziò a correre più che poteva per rifugiarsi dietro un tronco.
“Coco.” Quel nome mi sarebbe entrato nella mente per non uscirne più.
Leo era felice! Lui rideva così tanto che iniziai anche io a farlo, come se fossi ispirato. Non passò molto. Sentii gli occhi di quel bambino su di me, caldi e calorosi. Lui mi fissava come se fosse stregato o forse aveva solo tanta pena. Fu un piccolo istante, lo persi di vista ma non durò molto.
– Sono stanco di giocare, posso restare qui con te? – Quel bambino si presentò accanto a me e, senza aspettare che rispondessi, si sedette al mio fianco. Eravamo così vicini che potevo sentire il calore del suo corpo invadermi.
– Non ti piace giocare? – Disse all’improvviso. Non sapevo cosa rispondere. Per la prima volta, qualcuno smise di ignorarmi.
– Mi piacerebbe giocare ma non posso. – Non riuscii a dire altro e lui sorrise. – Io sono Colin, ma ormai tutti mi chiamano Coco. – Sorrideva lui ed improvvisamente il mio cuore iniziò a battere così forte che sembrava una delle mie crisi. Ebbi paura, ma non successe nulla. Non capitolai a terra, era solo una forte e tenera emozione che mi lasciò senza fiato.
– Coco! – Urlò l’altro bambino, quello con gli occhi quasi bianchi. – Perché non giochi più? – Lui si avvicinò a noi, un po’ seccato ma curioso.
– Non mi va. Continuate voi io resto con… Aspetta come ti chiami? – Si voltò verso di me ed io, timidamente, sussurrai il mio nome.
– Mi chiamo Sam. – Loro non sapevano nulla di me, non avevano idea di quanto potessi fare paura, ma ugualmente mi vennero vicino.
– Al, io resto con Sam. Tu torna a giocare. – Leo mi guardava da lontano e nei suoi occhi lessi disprezzo. Non volevo che mi odiasse di più. Non ero andato cercando di rubargli gli amici, ma per poterlo osservare felice.
– Voi andate pure. Io sono contento di vedervi divertire. – Al allora, senza che lo prevedessi, cambiò espressione e, un po’ seccato, prese posto accanto a noi.
– Non è divertente se non giochiamo tutti. Leo sbrigati, vieni anche tu. – Avevo rovinato la giornata a mio fratello, al mio idolo che tanto  volevo raggiungere, ma ero anche tanto felice. Leo si accomodò con noi e, a mia sorpresa, abbiamo giocato. Non era uno di quei giochi dove si corre o si suda, ma uno più tranquillo.
Anche io potevo avere degli amici?! Era troppo tardi però!
Avevo deciso di morire proprio prima di scoprire quella sconvolgente verità. Coco rimase accanto a me, sorrideva come un piccolo angelo e fu lì che capii. Quel ragazzo sarebbe stata la mia rovina. Se anche non fossi morto, per tutta la mia esistenza, avrei fatto di tutto per vederlo sempre ridere in quel modo, con quella piccola fossetta sulla guancia destra. Volevo che la sua vita, non la mia, fosse
meravigliosa. Il buio arrivò presto e noi tornammo a casa.
– Vieni ancora a trovarci. Dobbiamo giocare ancora insieme. – Disse Coco e mi abbracciò. Lui non sapeva ancora che quel suo piccolo gesto, fatto senza condizioni, aveva scaturito in me sensazioni ancora più dolci. Il brutto arrivò una volta dentro casa.
Leo non mi perdonò facilmente. Lui, che tanto si vergognava di me, non poteva accettare che gli avessi portato via i suoi amici.
– Tu non verrai più con me! – Urlò prima di chiudersi alle spalle la porta.
Era finita! Avevo definitivamente perso mio fratello.
Andava ugualmente bene. I ricordi che mi portavo dietro ponendo fine alla mia vita, erano iniziati ad essere dolci e teneri. Passai qualche altro giorno osservando Coco da lontano. Lui non poteva vedermi, ma io si. Studiai con cura i suoi lineamenti per portarli con me quando tutto sarebbe finito. Poi scelsi il giorno!
Sarei andato nell’edificio più alto e mi sarei lanciato più. Uscii di casa senza dire nulla alla nonna, ma lasciai un unico biglietto con su scritto: “salutate per me la mamma e perdonatemi per tutte le difficoltà che vi ho causato.”
Poi uscii. Dalla casa della nonna il posto più sicuro per morire indisturbato era di certo la scuola. La vedevo bene dalla finestra del salotto, così mi incamminai. Quando raggiunsi quell’edificio, mi sentii più sereno. Non avevo per nulla timore di lasciarmi tutto alle spalle.
Sapevo che chiunque nella mia vita ne avrebbe avuto un beneficio, quindi mi fu facile decidere di non mollare. Trovai la scuola aperta, così mi intrufolai, in fin dei conti non c’era nulla di male in me.
Salii lentamente le scale prima di avvertire un leggero tepore alla mano che mi costrinse a fermarmi.
– Sam?! – Quella voce la conoscevo. Mi voltai e vidi quel volto che tanto mi ossessionava.
– Coco? – Lui sorrise di cuore e una piccola fitta mi trafisse dentro.
– Che ci fai qui? Non ti ho mai visto nei corridoi. – Avevamo la stessa età, era normale che si chiedesse il perché non mi aveva mai visto.
– Volevo vedere la scuola. Io studio a casa, con un insegnante privato. – Dissi amareggiato. Mio padre credeva non fosse idoneo per me, che soffrivo di attacchi di iperventilazione, andare in un edificio che non fosse casa. Mi aveva privato anche di socializzare.
– Figo! Quindi tu non devi alzarti ogni giorno così presto, che fortuna! – Coco non aveva idea, non poteva sospettare. Non c’era nulla di così bello nello stare sempre solo, senza poter vedere altri che adulti.
– Sam, perché non sei più venuto al parco? Dovevamo giocare ancora, invece sei sparito. – Leonardo si sarebbe arrabbiato. Non potevo dire parole fuori luogo, né fare cenno al fatto che fossimo legati.
– Ho avuto degli impegni, mi dispiace. – I miei occhi pesavano. Avevo voglia di piangere, di urlare come un bambino piccolo e supplicarlo di donarmi un po’ di affetto, ma mi trattenni.
– Capisco, però io mi sono molto divertito con te. Spero di vederti presto e poter giocare ancora con te. Giusto! Sto andando adesso a casa di Al, perché non ti unisci a noi? Ci vedremo un film dell’orrore di nascosto perché sua mamma non vuole. Dice che siamo troppo piccoli per mostri e zombie, ma non è vero. Io non ho paura di niente. – Se fossi andato con lui forse adesso le cose sarebbero diverse.
Forse Coco si sarebbe ricordato di me al nostro incontro successivo, ma così non fu. Dovevo sparire per sempre dalla vita di tutti, cosicché nessuno avrebbe più sofferto.
– Mi dispiace, non posso. – Lui apparve triste, mi abbracciò di nuovo e mi salutò.
“Addio Coco.”
Nella mia mente quello era davvero un saluto finale. Salii sulla terrazza pronto a buttarmi giù. Potevo anche vedere la strada, ma non riconoscevo ciò che c’era sotto. Scorsi facilmente le macchine ed alcuni bambini nel cortile.
Mi chiesi all’istante come avrebbero reagito nel vedermi lì, morto sull’asfalto. Pregavo Dio che Coco non mi vedesse, che si ricordasse di me anche in futuro.
“Ti prego, non farlo dimenticare.” Proprio quando stavo per lanciarmi, una voce mi bloccò.
– Sam, no! – Non c’era bisogno di voltarmi per sapere chi fosse. La voce di Leonardo era inconfondibile.
– Stupido idiota! Che ti dice il cervello! – Corse da me e mi trascinò via per un braccio.
– Se adesso me ne vado per sempre, sarete tutti più felici. – Sussurrai. Quando lo guardai negli occhi me ne accorsi. Vidi le sue lacrime e non potei fare a meno di restarne scosso. Io, che credevo di non avere nessuno, scorsi un barlume di speranza.
– Sei uno stupido! Sei mio fratello, non ti permetto di morire!- Non so cosa fù.
Forse aveva finalmente accettato la mia presenza, o magari era solo senso di colpa, ma da allora noi diventammo fratelli! 
  
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