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Autore: 5everwbuloser    31/01/2018    0 recensioni
[Olocausto]
[Olocausto]Dimenticare li farà tornare.
Nella metà del 1900, per via delle leggi razziali, le SS spazzarono via milioni di vite ingiustamente nei campi di concentramento.
Una di queste vite era di Frenkl...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Iniziò tutto nel dicembre del 1938, era un venerdì sera, ero appena uscita dalla banca dove lavorava da diversi anni. La mia famiglia era una delle più benestanti nel quartiere, non mi mancava esattamente niente per raggiungere la felicità. Anche se spesso mi trovavo a pensare se morirò senza qualcuno al mio fianco oppure un giorno incontrerò la persona della mia vita.
Accesi la mia sigaretta e continuai a camminare sul marciapiede, mentre pensavo a cosa mangiare per cena. Appena svoltai  l’angolo sentì dei passi svelti, era una ragazza di rincasava dopo una lunga giornata. Appena varcai la soglia di casa, il viso di quella ragazza si fece notizi nella mia mente; i suoi occhi grandi e il suo viso pallido… Cosa mi stava succedendo?  Non mi ero mai innamorato, tantomeno non avevo mai avuto una relazione seria. Quella ragazza aveva scatenato qualcosa in me che non riusciva ancora capire. Il giorno seguente mi stavo riparando per andare ad una festa mondo appena arrivai decisi di fare un giro per vedere chi c’era. Trovai i miei colleghi di lavoro, andai alla ricerca di qualcuno con cui stare la sera. In mezzo alla folla trovai lei. Stava da sola, nessuno era con lei. Volevo parlarle, ma non sapevo come fare poi mi avvicinai e le parole uscirono fuori come niente. Parlammo tutta la sera di letteratura e filosofia, poi la riaccompagnai io a casa. Non la vidi più per una settimana. Volevo parlarle di nuovo, quindi mi recai sotto casa sua. La vidi dalla finestra, lei vide me. Sembrava come se non mi conoscesse, non mi salutò e proseguì fare quello che stava facendo. Bussai alla finestra. Mi fece di cenno di andarmene. Ma non me ne andai e rimasi lì. Qualche minuto dopo scese e mi fece segno di allontanarmi da casa sua. La seguii e mi raccontò della storia passata con il suo vecchio compagno. Lui la picchiava e la costringeva a stare in casa. Si mise a piangere. Era stanca. Lo leggevo nei suoi occhi e nel suo sguardo. La presi per mano e la portai con me. Passai tutto il pomeriggio con lei cercando di non farla pensare  in quel momento non sapevo cosa fare, . Passai tutto il pomeriggio con lei cercando di non farla pensare al periodo passato. La sera la accompagnai sotto casa, come di mio solito. Non me ne andai subito ma rimasi lì qualche minuto. Ad un certo punto sentii delle urla provenienti dal suo appartamento. Non conoscevo quella voce, però quelle parole mi ferirono “è ebreo!?”
Era la voce di un uomo, non avevo capito subito cosa stava succedendo. La voce continuò “È ebreo! Non puoi stare con lui!” . Ero turbato da quella situazione, non sapevo che c’era così tanto odio nei confronti di un ebreo. Mi allontanai da quel quartiere e tornai a casa mia pensieroso. Il giorno seguente Ellèn mi racconto di suo padre, un militare nazista convinto, mi parlò delle leggi razziali e dell’odio che provavano verso gli ebrei. Ero perplesso e non riuscivo a capire il perché, ero anche stanco, ma non ci volevo pensare. Tutto d’un tratto poi le sue labbra si trovarono a contatto con le mie. In quel momento la mia tristezza scomparve e lasciò spazio alla felicità. Stavo pensando a quello che sarebbe potuto succedere in futuro, ma neanche mi interessava, in quel momento volevo solo essere felice. Qualche giorno dopo le feci la mia proposta, ci mettemmo insieme e le promisi di trattarla bene ogni singolo giorno come una donna deve essere trattata. La presentai i miei amici, anche loro erano perplessi. Mi ricordarono ogni singolo giorno che lei era tedesca e suo padre era un militare nazista, mentre io ero un ebreo. Un giorno cominciai a pensare che forse la cosa era pericolosa sia per me che per lei, poi pensai a quando in quel momento ero felice e quindi non mi interessava. Passarono i mesi tutto procedeva per il meglio. Ellèn si trasferì a casa mia. Eravamo molto felici. Soprattutto io, non ero mai stato così felice.
Poi arrivo il mio periodo nero, le cose non si misero bene. Persi lavoro e anche la casa. Ci trasferimmo da lei, non era una grande casa però a noi andava bene comunque. Qualche giorno dopo prelevarono anche i miei soldi e i miei beni. Non potevo neanche replicare.. Ellèn non aveva lavoro e suo padre di certo non avrebbe accettato di aiutarci. Andava tutto male, ma Ellèn era lì con me quindi una piccola scintilla di speranza era ancora viva.
Era un caldo luglio del 1942, quando la polizia varco la soglia nella casa in cui stavo, e mi trascinò via. Lei era uscita per delle compere infatti mi hanno colto di sorpresa. Non le ho lasciato neanche un biglietto, non mi hanno dato il tempo. In quel momento era tutto confuso, mentre mi tracinavano via pensavo ad Ellèn. Non riuscivo a togliermela dalla testa. Mi mancava. Avevo bisogno di lei. Ora ero solo. Svenni. Quando mi risvegliai ero dentro un binario ferroviario. C’erano dei bambini e delle donne. Gli anziani stavano pregando. Trovai i miei amici, erano preoccupati e nessuno sapeva cosa fare. Sì ci fecero scendere da quel vagone e ci trovammo davanti ad un grosso gambo con il filo spinato dei soldati stavano avanzando verso di noi. Cominciarono a dividere le persone lì presenti. Le donne da una parte, i bambini da un’altra e gli uomini da un’altra ancora. Gli anziani vennero presi subito e portati via. Non li vedemmo mai più. Arrivarono da tutti, non ebbero pietà di nessuno. Nella folla cercai miei familiari, ma non li trovai.  Ero solo di nuovo. Arrivarono da noi, ci fecero entrare in un capanno, e ci fecero da spogliare, lasciammo lì tutti i nostri indumenti e ci vestimmo solo di camici con le righe, non avevamo ancora capito cosa ci stava accadendo, quando qualcuno si ribellava e veniva portato via subito. La cosa mi terrorizzava, dovevo stare calmo non dovevo dire niente e forse sarei stato libero. Se rimanevo calmo poi devo anche tornare da Ellen prima del previsto...  Mi ripetevo sempre che dovevo rimanere calmo. Passò un giorno,  poi ne passarono due, poi tre, poi quattro... Persi il conto dei giorni che passavo in quella dannata gabbia, lavoravo tutto il giorno e non ricevo niente in cambio, il cibo era poco e ce la dividevamo in modo da farlo bastare per tutti. Stava arrivando l’inverno e quei camici non avrebbero coperto più di tanto. Arrivavano spesso nuove persone, come minimo 10 nuove al giorno. Ma altrettante ne scomparivano, non si sapeva dove andavano, forse lo liberavano o peggio... lo uccidevano . Ellèn era solo un ricordo ormai tutto quello che ho è questo vecchio diario. Spero che un giorno qualcuno lo trovi in riveli al mondo cosa ero costretto a passare. Sono stanco.
 
APRILE 1943
 
Sono mesi dall’ultima volta che non scrivo niente su questo diario, ma sono stato costretto a nasconderlo per non farmelo prendere dei tedeschi. È quasi un anno che sto qui dentro. Ogni giorno lavoro e vedo la gente essere portata via senza una causa. C’erano delle ciminiere che buttavano fuori molto fumo. Stavo male, lo sapevo. Volevo che il mio diario arrivassi seriamente a qualcuno. Mi ero ammalato seriamente. E prima di morire scriverò sicuramente il mio nome sulla prima pagina del diario e non nasconderò sicuramente sotto terra. Mi ero arreso all’idea di uscire da lì. I giorni passano e stavo sempre peggio.
 
28 APRILE 1943
 
Non riesco neanche a muovere la matita sul foglio, ho la febbre alta e tutti sono in pena per me e le altre persone che hanno la mia stessa malattia. Volevo volevo solamente dare un ultimo bacio ad Ellèn, ma non credo ci riuscirò. Non la dimenticherò mai. Voglio solamente consegnare questo diario e far sapere che è stata l’unica per me. L’unica fine che non mi sarei mai aspettato è stata questa. Nella mia vita ho sempre lavorato e svolto i miei incarichi, non capisco come mai tutta questa crudeltà su di me. Mi lascerò morire né dignitosamente né poveramente. Chiuderò gli occhi e quello che sarà sarà. Non manca molto. Sono nel braccio della morte ora, la saggezza può solo aggiungere un po’ d’aiuto. Le cose del mio passato oramai mi sono diventate piccole e fuggevoli. Mi è rimasto l’affetto per quella ragazza, la tenerezza che mi donava quando mi toccava e l’amore che ci metteva nel baciarmi. Sono felice di averti incontrato nel tempo, anche se ora è tutto così fugace e limitato.           





 
Era un Gennaio del 1945, quando si sparse la notizia di quello che i nazisti avevano fatto. Non avevo più avuto notizie di Frenkl fino ha quando giunse nel posto dove miliardi di ebrei erano stati sterminati. C’era una calca di gente all’entrata, i giornalisti facevano domande a tutti, mi feci spazio tra la folla fino a quando non giunsi all’interno del campo. C’era uno strano odore di morte. Era deserto, solo dei strani camici e dei soldati nazisti che cacciavano indietro tutti. Ero riuscita a liberarmi dalla presa dei militari ed entrai all’interno di una torre di comando, oltre a quello che già si sapeva era deserta quindi ne approfittai. C’era un grande archivio, cercai subito la cartella di Frankl.  Finalmente trovai riuscire a trovare il suo nome. C’era scritto “data di morte: 28 aprile 1943-malattia (tifo)“. Il mio cuore sembrò cedere, mi uscì una lacrima che rigò il mio viso. Era morto lo scorso anno, ha resistito un anno e mezzo qua dentro, ma alla fine non ce l’ha fatta.  Solamente sette mesi e saremmo potuti stare insieme di nuovo. Presi la sua cartella esci fuori, la speranza di ritrovar lo era sparita. Feci un giro nel campo poi mi accovacciai sotto un porticato. era solo terra lì. Non ci riesco a credere che avrebbero potuto far dormire nelle persone al freddo e al gelo qui. Mi sedetti per qualche minuto fin quando la mia migliore amica Nina si sedette vicino a me e mi abbracciò. Per tutto questo tempo lei era stata l’unica che mi ha dato speranza nel ritrovarlo.. Mi era stata vicino e mi ha supportato. Ma ora non serviva più.
Scorsi con la coda dell’occhio un  oggetto quadrangolare che fare usciva dal terreno. Mi chiesi cos’è era mentre abbracciavo la mia migliore amica. Mi staccai dal suo braccio e cominciai a scavare. Trovai un vecchio diario con la copertina di cuoio. Iniziai a sfogliarlo tralasciando alcune pagine. Era sicuramente di qualcuno che era stato ucciso. Nina lo osservò con più attenzione e notò che sulla prima pagina c’era scritto Frenk. Scoppiai a piangere di nuovo.  È stato il suo ultimo oggetto. Lo nascosi nella mia borsa e tornai subito a casa mia. Mi misi a leggerlo dalla prima pagina all’ultima poi deciso di aggiungere anch’io qualcosa, come sto facendo ora.  all’inizio le parole non le trovavi. Lessi tutto. Tutto quanto. Tutti sentimenti che lui provava per me erano racchiusi in questo diario che conserverò per sempre. vorrei solo aggiungere questo ultima cosa.
Vorrei solo dire che ma alla fine una cosa l’ho capita in tutto questo. La verità è che ci vuole tempo, troppo tempo per lasciar andare una persona che, anche se non cammina più al io fianco, tu, ce l’hai ancora dentro. poi, quando credi di essertene finalmente liberato, eccola che ti si ripresenta, che sia una canzone, una parola o uno sguardo fuori posto, e di colpo quella sensazione ti pervade e ti logora dentro. Cominci a sentirla ovunque. ti arriva perfino alle mani. Quelle mani che darebbero tutto per toccare quel viso ancora una volta, un’ultima volta. gli occhi, anche se non ci fai caso, sono spenti da molto tempo. Succede tutto all’improvviso, poi ti rendi conto di non essertene ancora liberato. L’avevi solo nascosta. Con tutta la tua forza; ci sono volute lacrime,  voglia di ricominciare e di andare avanti. ogni giorno le stesse drammatiche bugie che continuavo a raccontarmi. Poi un giorno dici basta, ma ti ritrovi a urlare quanto ti manca. volete sapere la verità? Lui è sempre stato lì. in silenzio. Sotto traccia. Pronto ad esplodere nella forma più aggressiva.
Ma lo so.
Perché se lasci camminare una persona sul tuo cuore, non puoi aspettarti che quest’ultima venga spazzata via subito come le orme sulla sabbia che vengono portate via dalle onde del mare.
Sarebbe troppo semplice.
Ora come ora, sono sempre più convinta che a volte per liberarti di un’emozione possono volerci giorni, mesi o anni... altre volte invece, non basta neanche una vita intera.
 
   
 
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