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Autore: Echocide    31/01/2018    3 recensioni
Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un castello splendente, benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era viziato, egoista e cattivo. Accadde però che una notte di inverno una vecchia mendicante arrivò al castello e offrì al principe una rosa in cambio del riparo dal freddo pungente.
Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise del dono e la cacciò, ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la vera bellezza si trova nel cuore.
Il principe la respinse di nuovo e in quel momento la bruttezza della mendicante si dissolse ed apparve una bellissima fata.
Il principe si scusò, ma era troppo tardi, perché lei ormai aveva visto che non c'era amore nel suo cuore e per punirlo lo tramutò in una orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti.
Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l'ultimo petalo, l'incantesimo si sarebbe spezzato.
Con il passare degli anni il principe cadde in preda allo sconforto...
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.372 (Fidipù)
Note: Ecco qua un nuovo capitolo de La bella e la bestia e, ormai, ci avviciniamo al finale: ancora due capitoli e anche questa storia ci saluta! E non dico più di tanto, perché...beh, se volete vi posso parlare dei mille modi di usare un elastico. Scherzi a parte, non ho molto da dire su questo capitolo, quindi non vi disturbo più di tanto.
Ma prima di lasciarvi, come sempre, vi ricordo la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri, trovare i link delle playlist delle storie e tanto altro ancora. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92, mentre per gli altri miei social vi rimando alla descrizione nel mio profilo (altrimenti qui faccio la lista infinita!).
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Il rumore del martello si ripercuoteva per tutta la casa: un rumore forte alternato a una breve pausa di silenzio, in una sequenza quasi infinita. Non era la prima volta, da quando era tornato, che Tom ascoltava la figlia al lavoro e si era subito reso conto che c'era qualcosa che non andava nella ragazza.
Marinette si era intrattenuta poco con lui e con sua madre, preferendo la solitudine della sua soffitta e la compagnia del suo lavoro.
Inspirò, chiudendo il giornale, che stava provando invano a leggere, e si scostò le coperte di dosso, scendendo dal letto: fece qualche passo, avvertendo i muscoli delle gambe dolere a ogni minimo movimento, e storse la bocca, cominciando ad avanzare lentamente, un passo dopo l'altro, e arrivando alla porta della camera.
Poggiò la mano sulla maniglia, rimanendo fermo e aspettando che il respiro tornasse regolare, ora fin troppo accelerato, prima di aprire la porta e uscire dalla stanza.
Osservò il corridoio e avvertì quasi un peso crollargli sulle spalle, mentre osservava la distanza che lo separava dalle scale che portavano al piano superiore: sarebbe dovuto arrivare fino in fondo al corridoio, una lunghezza che di norma avrebbe compiuto velocemente, ma non dopo tutto quel periodo di fermo che aveva alle spalle e di cui non ricordava assolutamente niente.
La sua memoria arrivava fino al giorno in cui era scappato da quello strano castello e aveva incontrato una donna misteriosa nella foresta, il resto era semplicemente affondato nell'oblio e rendendogli impossibile dare una spiegazione alla moglie dei perché e per come non era tornato subito a casa.
Posò la mano sul muro, arrancando lungo il corridoio e fermandosi ogni tanto a riprendere fiato, prima di continuare verso le scale, arrivando e sentendo il corpo dolergli, mentre alzava una gamba e poggiava il piede sul primo scalino, ripetendo l'operazione fino alla fine della scala.
Il rumore del martello era più forte lì e, se chiudeva gli occhi, poteva quasi immaginare la scena che gli si sarebbe parata davanti, una volta aperta la porta; allungò una mano e strinse la maniglia, non sapendo cosa avrebbe detto e fatto una volta entrato nella stanza: sua figlia non stava bene ed era suo dovere di genitore fare qualcosa.
Aprì la porta e rimase un attimo fermo sulla soglia, osservando la testa scura e china sul tavolo di lavoro, la mano destra teneva saldamente il martello e lo stava abbattendo sul pezzo di metallo, colpendolo in un punto in cui era leggermente piegato. Sua figlia alzò di nuovo il braccio e, nell'operazione, sembrò notare la sua presenza: «Papà!» esclamò, posando immediatamente lo strumento e guardandolo con lo sguardo chiaro, che aveva ereditato dalla madre: «Puoi alzarti?»
«Mi era venuto a noia stare a letto» bofonchiò Tom, scrollando le spalle e sorridendole appena, mentre faceva vagare lo sguardo nel laboratorio della ragazza: «Ogni volta che entro in questo posto, trovo sempre più roba» commentò, chinando la testa per entrare nella piccola stanza e facendo vagare lo sguardo sulle scaffalature che adornavano i muri della mansarda: «Beh, devo dire che il merito è anche mio.»
«Come stai, papà?»
«Sto bene» dichiarò l'uomo, avvicinandosi al tavolo e poggiando le mani su questo, allargando le dita: «E tu come stai?»
«Sto bene.»
Tom rimase in silenzio, scuotendo la testa e lasciando andare un sospiro mentre lentamente circumnavigava il tavolo e raggiungeva la figlia: «Pensi davvero che ci creda, tesoro mio?» le domandò, fermandosi davanti a Marinette e fissandola: «Non m'inganni, signorina.»
«Sto bene. Davvero. Io…»
«Tu non sei felice qui, bambina mia» mormorò Tom, allungando una mano e scostando una ciocca scura, carezzando la guancia della figlia: «Lo vedo nei tuoi occhi e lo sento nei tuoi colpi di martello. Dove vorresti essere, tesoro?»
«Io…»
«Non avere mai paura di quello che provi, Marinette.»
«Anche se questo mi porterebbe fra le fauci di un mostro?» domandò la ragazza, osservando il padre e cercando nel suo sguardo la risposta alla sua domanda: «O se questo mi facesse donare il cuore a una bestia?»
«L'importante è che tu sia felice, tutto il resto non conta. Mi puoi portare a casa una scimmia ammaestrata e sono certo che mi piacerà come genero.»
«Papà…»
Tom ridacchiò, portandosi una mano al volto e lisciandosi i baffi, mentre posava lo sguardo sulla finestra e osservava i tetti di Parigi: «Non ho mai avuto il piacere di incontrare il nostro ospite, durante il mio soggiorno al castello» commentò, lasciando andare un sospiro: «Tutto ciò che ho incontrato sono stati un candelabro e un orologio da tavolo, prima di fuggire urlante da tutto quello…»
«Plagg e Wayzz» mormorò Marinette, sorridendo al ricordo dei due servitori e alzandosi dallo sgabello, avvicinandosi alla finestra e poggiando le mani sul davanzale: «Loro sono…» si fermò, scuotendo il capo e lasciando vagare la mente fra i ricordi: «Wayzz è serio, sempre ligio al dovere, mentre Plagg è una personalità effervescente, dalla lingua lunga e sempre pronto a prendere in giro Adrien.»
«Adrien?»
«Il padrone del castello.»
Tom annuì, voltandosi verso la figlia e posando le mani sulle ginocchia: «Parlami di lui, Marinette» bisbigliò, sorridendo alla ragazza quando le sue guance si arrossarono leggermente: «E' bello?»
«E'…» Marinette si fermò, chinando la testa e stringendo una mano nell'altra, tormentandosi le dita: «Sì, lo è. Lui pensa di essere un mostro perché il suo aspetto è…è…» si bloccò, scuotendo la testa e inclinandola, mentre le labbra si piegavano in un sorriso: «Ma non è vero: non è un mostro, per niente. Lui è gentile, forte e dolce, nonostante Plagg lo faccia ammattire, nonostante lo minacci ogni tre per due di fonderlo, non l'ha mai fatto. Era sempre al mio fianco e mi ha salvato in diverse occasione dalla mia stessa imbranataggine e…»
«E?»
«E' solo, molto solo e non si perdona ciò che ha fatto in passato, ciò che l'ha portato a essere maledetto…»
«Mi sembra un bravo ragazzo» commentò Tom, alzandosi e avvicinandosi alla figlia, posandole una mano sulla spalla e chinandosi fino ad avere il volto alla stessa altezza di quello di Marinette: «Ma la cosa più importante: lo ami?»
Marinette aprì la bocca, rimanendo immobile per alcuni secondi e poi richiudendo le labbra, portandosi una mano al petto e socchiudendo le palpebre: «Io…» mormorò, mordendosi il labbro inferiore e storcendo così appena la bocca.
Amava Adrien?
Il suo cuore galoppò, cominciando a battere forte mentre ricordava ogni momento in cui era stata con lui: il loro incontro nella foresta, il momento in cui l'aveva accompagnata alla fucina con l'idea che potesse piacerle, la prima volta che si era occupata del suo braccio meccanico, le confidenze, la festa indetta dalla servitù…
Ogni momento si mischiava agli altri, facendola sorridere mentre il suo cuore si calmava appena: «Adrien è il mio migliore amico, è il mio compagno» bisbigliò, aprendo le palpebre e fissando quelle del genitore: «E' il mio amore.»
«Lo ami, quindi?»
«Lo amo.»
Tom annuì, sorridendo e posando le mani sulle spalle della figlia, indirizzandola verso la porta: «Ho già preparato uno dei cavalli» dichiarò, conducendola fuori dalla mansarda: «Parlerò con tua madre appena torna dal mercato, quindi non preoccuparti di noi e…»
«Papà…»
«Preferisco saperti con quest'Adrien ma felice, piuttosto che qui con noi ma triste» dichiarò l'uomo, sorridendole: «Quindi ora vai in quel castello e ti chiarisci con lui, qualsiasi cosa sia successa fra di voi.»
«Ma…»
«Vai!» dichiarò Tom, dandole una lieve spinta e chiudendo la porta della mansarda dietro di sé: «E torna solo con quel ragazzo al tuo fianco. Sono stato chiaro?»
 
 
Sophie poggiò la mano sul muro, sentendo la pietra umida e scivolosa contro la sua pelle, voltandosi e addossandosi contro la parete: dunque finiva tutto così e lei non poteva fare assolutamente nulla? Rimaneva a guarda come una spettatrice, sebbene fosse stata l'autrice di tutto ciò?
Si lasciò cadere per terra, tirando le ginocchia su e poggiando la fronte contro di esse, ignorando i rumori che la circondavano: «Vorrei che fosse finita in maniera differente, sai?» mormorò, ben conscia che nessuno le avrebbe risposto: «Vorrei avere avuto più coraggio e incontrarlo, magari così…» si fermò, tirando appena su il viso e lasciando andare un sospiro: «No, anche in quel caso sono certa che avrebbe fatto come gli pare. In fondo è tuo figlio, no? Ed è anche mio figlio. Ha preso il peggio di entrambi…»
 
 
Il cavallo correva, portandola lungo la strada che non molto tempo addietro aveva fatto sul carro del padre e in compagnia di un candelabro che, poco dopo, avrebbe scoperto essere fin troppo vitale: non sapeva dove andare, ricordava a stento la strada che aveva fatto, troppa la preoccupazione verso il padre e poca l'attenzione che aveva rivolto alla strada; figurarsi poi la parte successiva, quando era svenuta ed era stata portata da Adrien al castello.
Marinette tirò le redini, fermandosi e osservandosi attorno, cercando di capire dove fosse: era quello il punto dove si era fermata e Plagg le aveva parlato per la prima volta? Le sembrava. Era simile, eppure non ne era sicura con certezza.
Il cavallo nitrì e lei si chinò in avanti, posando una mano sul collo robusto, carezzando il manto e cercando di calmarlo così: dove era finita? Era vicina al castello?
Inspirò, stringendo le labbra e portandosi una mano al petto, sentendo il dolore che si acutizzava: voleva incontrarlo, voleva chiedergli scusa per come si era comportata, incontrare di nuovo il suo sguardo verde e dire finalmente quelle due parole che aveva custodito gelosamente e inconsciamente: «Ti prego» bisbigliò, senza essere certa di sapere a chi si stava rivolgendo: «Voglio solo incontrarlo.»
«Chi vuoi incontrare?»
La voce femminile la fece sobbalzare, mentre stringeva le redini e osservava la figura ammantata che fuoriusciva dalla vegetazione: «Ehm…io…» mormorò Marinette, tirando appena le briglie e fissando la persona a lei sconosciuta. La corporatura minuta e la voce le aveva fatto subito cancellare la possibilità di aver incontrato lui.
Non, non era stata così fortunata.
«Sto cercando un castello» mormorò, portandosi una mano alla gola e stringendo i lembi della giacca, maledicendosi con sé stessa per non essersi portata dietro qualche cosa con cui difendersi: «Io…»
«Non c'è nessun castello qui» commentò la figura, facendo qualche passo e avvicinandosi a lei: «Solo rovine.»
«Rovine?»
La sconosciuta annuì appena con la testa, un movimento difficile da captare per via del mantello che la copriva interamente, e allungò una mano, indicando un piccolo sentiero che si andava a snodare lungo il colle: «Da quella parte» dichiarò, abbassando il braccio e portandosi la mano al petto: «Ma troverai solo incuria e desolazione.»
Non poteva essere.
Non poteva…
Marinette scosse il capo, dando un colpo di redini e lanciando il cavallo a galoppo lungo la strada che le era stata indicata, chinandosi e diventando incurante di tutto: non le interessavano i rami che potevano graffiarla, il vento che le sferzava il viso, e la possibilità di cadere dalla sella se avesse continuato quella corsa selvaggia.
Le interessava solo arrivare al castello.
Tornare al luogo a cui, aveva finalmente compreso, lei apparteneva.
Alzò la testa, sentendo il suo battito aumentare nel petto quando vide la sagoma del castello in lontananza: era lì. Era finalmente arrivata.
Dette un nuovo colpo con le redini, facendo aumentare l'andatura al cavallo e raggiungendo velocemente il muro che delineava il giardino, lo stesso dove lei e Adrien erano soliti passeggiare durante il giorno, superandolo con lo sguardo completamente rivolto verso il maniero poco distante da lei.
Tirò le briglie, facendo fermare il cavallo davanti il grande portone di legno scuro e si gettò giù da cavallo, osservandosi attorno e trovando il tutto fin troppo silenzioso e tranquillo: dov'erano Plagg, Tikki, Wayzz e Flaffy che chiacchieravano allegramente? Perché Nooroo non suonava qualcosa?
Si voltò verso il punto dove sapeva esserci l'officina e non trovò la voluta di fumo scuro di Vooxi.
Non c'era niente.
Respirò, sentendo l'aria sulle labbra e avanzò verso la porta d'ingresso, salendo velocemente la gradinata e sbirciando fra le due ante, leggermente socchiuse: «C'è nessuno?» mormorò, osservando l'oscurità che regnava all'interno e aspettando una risposta.
Niente.
Mosse un passo dentro l'abitazione, guardandosi attorno e stringendosi nelle braccia, quasi avvertendo sulla pelle la desolazione del posto: non sembrava per niente che qualcuno ci avesse vissuto nell'ultimo periodo, e la vegetazione regnava ora sovrana, irrompendo dalle finestre e da ogni possibile apertura: «Adrien?» mormorò, continuando ad avanzare e poi svoltare verso il corridoio che portava alla sala da pranzo: «C'è qualcuno?»
Era come se tutto fosse stato abbandonato.
Era come se non ci fosse stato nessuno per tanto tempo.
Inspirò, osservando la porta poco distante da lei e corse, ricordando i momenti che aveva trascorso lì dentro: la cena che avevano improvvisato Plagg e gli altri, i pranzi che aveva consumato assieme ad Adrien. Sì, sicuramente lì sarebbe stato tutto in ordine e avrebbe trovato gli altri, che le avrebbero spiegato la situazione.
Girò il pomello, aprendo il battente della porta e rimanendo immobile sulla soglia, osservando il lungo tavolo completamente in balia dei rampicanti e di parte del tetto, che era crollato sopra di lui.
Si lasciò cadere, una mano aggrappata allo stipite della porta, l'altra che saliva fino al volto e si posava sulla bocca, sopprimendo il singulto che le era salito mentre le lacrime scivolavano lungo le guance: non c'era più nessuno.
Erano tutti svaniti, scomparsi, come se non fossero mai vissuti lì e lei…
Chinò la testa, stringendosi fra le braccia e dondolando, mentre le lacrime uscivano copiose e il corpo veniva scosso dai singhiozzi: lei era stata una stupida, si era aggrappata a qualcosa di futile e aveva perso tutto quanto. Non c'era più nessuno per lei, non c'era più niente.
Adrien era andato via, scomparso dalla sua vita, senza che lei avesse potuto dirgli cosa provava, senza che avesse potuto rivelargli il suo amore: le era stato strappato via ancor prima di tutto, tutto per colpa sua.
Tutto per colpa della sua stupidità.
Singhiozzò, chinandosi in avanti e posando le mani sul pavimento impolverato, urlando quasi ciò che sentiva dentro di sé: il dolore l'attanagliava, la mangiava da dentro e lei non poteva fare niente, se non abbandonarsi.
Non c'era più niente da fare, era arrivata tardi e aveva perso tutto.

 

   
 
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