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Autore: misstaken    01/02/2018    1 recensioni
ATTENZIONE: AGGIUNTO PROLOGO, NOTE, MODIFICATO PRIMO CAPITOLO
Attraversando le barriere spazio temporali che delimitano la nostra realtà, si giunge in un altro universo, parallelo e contrario al nostro: l’uno si fonda sulla vita e sull’ordine, l’altro sull’anti-vita e sul caos. Le due dimensioni non dovrebbero mai entrare in contatto, e per questo esistono dei guardiani, gli Inbetweeners, che stanno a metà tra i due mondi, preservandone l'equilibrio.
Alice è una solare aspirante ballerina, mentre Max è schiva, taciturna, ma soprattutto dotata di poteri paranormali. Le due sono una il contrario dell’altra, e allo stesso tempo sono complementari. Quando a Newberry cominceranno a verificarsi strani eventi, si renderanno presto conto che l’unione delle loro forze è l’unica speranza di salvezza per il loro mondo. Tra creature malvagie assetate di sangue, portali che si affacciano su altre dimensioni, eroi e traditori, Max ed Alice si renderanno conto che bene e male, luce e buio, ordine e caos non sono poi così distinti.
Questa è la prima storia che rendo pubblica. Mi farebbe piacere avere qualche feedback, anche suggerimenti e critiche, siccome sto scrivendo tutto molto di getto! Grazie a chi spenderà qualche minuto per leggermi!
Genere: Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO IV

Segreti e sangue

 

Alice

 

 
Alice parcheggiò al solito posto, recuperò la borsa dal sedile posteriore, fece un respiro profondo e scese. Non importava dove, non importava quando: quel giorno, avrebbe parlato con Max Caulfield.
Stava facendo delle prove mentali di un’ipotetica conversazione, quando un fischio la costrinse a voltarsi: vicino all’ingresso, Ben, Jocelyn e un gruppetto di altri ragazzi, tra cui alcune sue compagne di squadra, stavano chiacchierando, appoggiati al muro. Ben si voltò minaccioso verso il ragazzo che aveva fischiato, un tipo alto, con biondi capelli quasi rasati a zero. “Lascia in pace mia sorella, Brett”.
“Questa è tua sorella?”. Brett squadrò Alice dalla testa ai piedi. “Complimenti a tua madre, Dawson”. Julie, la ragazza bionda vicino alla porta, le posò una mano sulla spalla, e disse: “Questa è la compagnia di squadra di cui ti avevo parlato, Brett”. Gli scoccò un’occhiata densa di significato, e Brett si staccò dal muro, sistemandosi il colletto dalla giacca. “Okay, okay. Beh, splendore, io sono Brett. Non so se già lo sai, ma sabato si terrà il ballo di inizio semestre: è tradizione che gli anziani accompagnino una matricola. Quindi, direi che possiamo andare insieme”. Brett le rivolse uno sguardo che, forse, riteneva seducente. Alice si guardò intorno, a disagio: all’improvviso, scorse Max, appoggiata ad un palo della tettoia, che la fissava in modo torvo. Alice guardò Brett, e realizzò che, per una serie di motivi, sarebbe stato sconsigliabile rifiutare: per cui gli disse che sì, ovviamente sarebbe stata onorata di andare alla festa con lui. “Ottimo. Ti passo a prendere alle otto”. Con un ghigno, Brett tornò ad appoggiarsi al muro.
Alice fece per voltarsi, quando Ben la afferrò per un braccio, traendola in disparte. “Che cosa pensi di fare, eh?” sibilò. “Dimmelo tu”, ribatté lei. “Ascolta: non puoi uscire con Brett. Se ti becco a fare la troietta, io giuro che…”. Qualcuno si schiarì la voce.
Alice e Ben si voltarono, trovandosi davanti Max, che li guardava a braccia conserte. “Spero di non interrompere nulla, ma devo parlare con Alice”.
Ben si raddrizzò. “Ah sì? Beh, fallo in un altro momento. Siamo un po’ occupati.”. “E’ urgente” tagliò corto lei. Con un sorriso sornione, Ben le si avvicinò. “Te lo dico io, che cosa è urgente…”. Max posò le mani sul suo petto e gli diede una spinta, talmente forte da farlo cadere. Alice la guardò, sconvolta. “Non ti avvicinare” ringhiò Max, lo sguardo fisso sul metro e novanta di ragazzo che aveva appena scaraventato a terra. L’espressione sorpresa di Ben si distorse in una smorfia furiosa, mentre si rialzava. Ma, prima che potesse fare qualunque cosa, Jocelyn si mise in mezzo. “Che cosa pensi di fare, idiota? Mettere le mani addosso al mio ragazzo?”. “Non se lui non lo fa per primo” rispose Max. Jocelyn la spinse, e Max barcollò all’indietro. “Tu hai sempre voluto farti del male, Maxxie” sibilò, e la spinse di nuovo. Ma, questa volta, Max non si mosse di un millimetro. Sorpresa, Joss la fissò per un secondo, poi fece per sferrarle un pugno: la mancò, incespicando e finendo a terra, come se qualcuno l’avesse tirata per un braccio. “Se avete tutti finito di rendervi ridicoli, dovrei parlare con Alice”. Max guardò Joss rialzarsi, con disprezzo. “Che cosa mi hai fatto, strega?” urlò lei. “Non è colpa mia se hai qualche problema, Joss”, sorrise Max. “Cazzate. Qualunque cosa sia, Caulfield, sei morta. Ti conviene non lasciare il perimetro di questa scuola”. “Uh-uh”. Max prese Alice per un gomito, e attraversò la porta di ingresso. In lontananza, Alice sentì Brett gridare: “Non andare con quella sfigata, Dawson! Resta qui con noi!”.
Max si fermò davanti all’aula di informatica, voltandosi a guardarla a braccia conserte. Alice si schiarì la voce, a disagio. “Quindi… di cosa volevi parlarmi?”, disse, esitante, con un nodo alla gola per l’emozione. Max scrollò le spalle. “Di nulla. Mi sembrava che avessi bisogno di una mano. E, visto che mi hai evitato di diventare una frittella, direi che te lo dovevo”. Alice sentì l’agitazione diminuire. “Oh”, disse. “Grazie, ma me la sarei cavata…”.
“Non credo proprio” disse Max, secca. “Hai davvero intenzione di andare al ballo con Brett Jhonson?”. Alice la guardò, sorpresa. Sulla sua faccia lesse un misto di rabbia, e qualcos’altro… poteva forse essere gelosia? “Beh…” esordì, ponderando le parole “credo che sia stata una cosa organizzata dalle mie compagne. Non è che potessi dire di no… E poi, al ballo si deve andare in coppia”. “Stai scherzando, vero?” Max sembrava furiosa. “Ci sono centinaia di persone in questa scuola che ti avrebbero invitata volentieri”. “Beh, ma… che c’è di male, se ci vado con Brett?” chiese Alice. “E’ una cattiva idea” disse semplicemente Max. “Ricordatelo, Biancaneve”. Fece per voltarsi e andarsene, quando Alice la bloccò. “Aspetta”, disse. “Devo dirti una cosa…”. Max si liberò. “Io non ci vengo al ballo con te, Dawson”, la schernì, e si voltò. “Beh, allora perché non vai a farti fottere, Caulfield?” le urlò dietro Alice, rossa in viso. Max non si voltò, ma le mostrò il medio, allontanandosi. Era impossibile tentare di avere una conversazione normale con lei, pensò Alice, furiosa.

Più tardi, nella pausa pranzo, Alice sedeva con le altre cheerleader a un tavolo nel parco della scuola, quando vide Alex arrivare di corsa, paonazzo in volto, e crollare nel posto accanto al suo, nascondendosi il viso tra le mani. “Hey!” disse lei, presa alla sprovvista. “Che ti succede?”. Alex abbassò le mani, e la guardò: sembrava sull’orlo delle lacrime. “Ho invitato al ballo Sophie Goldberg” disse, in un filo di voce. Alice lo guardò a bocca spalancata. “Oddio! E ti ha detto di no?” esclamò. Alex scosse debolmente la testa, e Alice si portò una mano alla bocca. “Non ci credo… ti ha detto di sì?”. Lui scosse di nuovo la testa, sconsolato.
“Lei era lì… bellissima… con le sue amiche… e io… io le ho urlato. Le ho urlato se volesse venire al ballo con me. Non so cosa mi sia preso, volevo solo chiederle di parlarle, prenderla in disparte… Lei mi ha guardato, mi ha riso in faccia e si è voltata di nuovo”. Alex crollò, sbattendo la fronte sul tavolo. Le cheerleader ridacchiarono, e Alice stessa non riuscì a trattenere una risata. “Che cazzo ridi?” scattò Alex, furioso. “Cos’è, pensi che nessuno vorrebbe venire al ballo con me?”. “No, Alex, calmati…”. Alex balzò in piedi “Beh, sai che ti dico? Inviterò la prima ragazza che passerà di fianco al tavolo”. Le cheerleader sgomitarono, indicando qualcosa alle spalle di Alex. Alice seguì il loro sguardo: indubbiamente, sul viale si stava avvicinando Max Caulfield, assorta nella lettura di un tascabile. Vide il fratello sbiancare. “Oh, sarà uno spettacolo senza prezzo…” gongolò Julie.
Alice cercò di afferrare il gemello per il braccio. “Alex… Alex, non devi farlo per forza…”. Ma Alex assunse uno sguardo risoluto, e in due passi si mise di fronte a Max, mentre passava di fianco al tavolo. Lei alzò gli occhi dal libro, fissandolo con le sopracciglia inarcate, senza emettere suono, come suo solito. Alice poteva quasi percepire la sudorazione di Alex aumentare. “Max…” esordì, con voce incerta. Max rimase in attesa, immobile. Alex prese fiato più volte, ma nessun suono uscì dalle sue labbra. Era una spanna più basso di Max: Alice si sentiva in imbarazzo per lui. Alla fine, aprì la bocca e… “Vu vnire abball cmmé?” sbottò tutto d’un fiato. Max sgranò gli occhi, sconvolta. Si raddrizzò, guardando Alice e le cheerleader, come se pensasse che fosse tutto uno scherzo. “Ehm… cosa?” chiese, circospetta. Alex parve rimpicciolire ancora, arrossendo. “Io… m-mi chiedevo s-se… anche se è tradizione che le matricole vadano con un anziano… insomma… s-se ti andasse, beh, di venire al ballo di inizio semestre con me”. Alex parlò fissando l’erba, certo del rifiuto, le spalle ricurve. Alice si preparò al peggio, mentre le altre ridevano. Max le guardò, poi guardò lei, e, alzando un sopracciglio, senza distogliere gli occhi dai suoi, scandì, con calma: “Ne sarei onorata”.
Ad Alice cascò la mascella, e, finalmente, i risolini alle sue spalle cessarono. Alex alzò lo sguardo, incredulo. Max gli passò il cellulare. “Scrivimi il tuo numero, così poi ci mettiamo d’accordo per l’ora e tutto il resto.” E gli rivolse un sorriso angelico, mozzafiato. Alice non credeva di averla mai vista sorridere. Guardando il fratello inserire le cifre con dita tremanti, sentì montarsi dentro una rabbia ingiustificabile. “Grazie”. Max si riprese il telefono, si chinò appena, e gli diede un leggero bacio sulla guancia, prima di allontanarsi. Alex si voltò verso la sorella, ad occhi sgranati, sfiorandosi sognante dove lei l’aveva baciato. Sentendo, per qualche motivo, di non poter sopportare la vista del fratello un secondo di più, Alice si allontanò stizzita, nella direzione opposta rispetto a Max.

Guidando verso casa, Alice pestava su acceleratore e freno come se le avessero fatto un torto personale. Alex guardava fuori, assorto. “Non ci credo- non ho mai nemmeno avuto una ragazza, e ora andrò al ballo con Max Caulfield…”. Cambiò marcia come se la sua vita ne dipendesse. “Alice… Al? Al!”. Alice scoccò un’occhiata torva al fratello. “Che c’è?”, disse, astiosa. “Hai… hai mancato lo svincolo”. “Lo so”.
Alex la guardò, intimorito. “C’è qualcosa che non va?”. “No. Va tutto alla grande. Congratulazioni, hai ottenuto un appuntamento con una delle ragazze più belle della scuola”, rispose lei, amareggiata. “Non… mi sembri molto felice a riguardo”. “Perché non dovrei essere felice? E’ un gran traguardo! Sei riuscito a convincere ad uscire con te una persona che, in genere, si ritiene troppo preziosa per parlare con noi comuni mortali”. “Alice… io non credo che Max sia così…”. Alice rise, sarcastica. “Ma guardati: basta un bacio sulla guancia per ridurti ad uno zerbino”. Frenò bruscamente ad un semaforo, scrutandolo torva. “Per tua informazione, è da giorni che provo a parlare a Caulfield, di una cosa importante, anche, e lei non fa altro che comportarsi da stronza con me, per quanto bene io la tratti”. “Di cosa le devi parlare?”, chiese Alex.
“Non capiresti”, tagliò corto lei.
“Beh… magari… se è una cosa delicata, è possibile che, per qualche ragione, Max voglia evitare di parlarne…”. Alice non gli rispose. Lui deglutì, poi riprese: “Si può sapere dove stiamo andando?”. “Stiamo andando alla caffetteria della zia di Max. Andiamo a prendere il mostro nella tana”.

Alice parcheggiò di fronte al locale, ordinando al fratello di aspettarla in macchina. “Ne ho avuto abbastanza di voi due, per oggi”, spiegò. Poi entrò, facendo tintinnare il campanello alla porta. Ad un tavolo, un ragazzino sedeva con un libro aperto. Alice attese, tamburellando le dita sul bancone, ma non comparve nessuno. Quindi, si rivolse al ragazzino. “Sto cercando Max Caulfield. L’hai vista, per caso?”. Lui alzò gli occhi e, vedendola, sembrò andare nel panico.
“Perché… perché dovrei sapere dove è Max? Voglio dire, lavora qui, nei pomeriggi, ma non è che io debba sapere tutto quello che fa. Perché la cerchi? Sei un’amica di Jocelyn? Non che mi interessi. Come ti dico, non so dove sia. Non… non è che io abbia una cotta per lei, o che!”. Alice lo guardò con tanto d’occhi. “Sì, va… va bene. Senti ragazzino, sono una sua compagna di scuola. Ho solo bisogno di parlarle di un progetto. Quindi: è qui o no?”. “È qui”. La voce di Max risuonò da dietro il bancone.
“Hey, stalker. Non preoccuparti di Richie, si innervosisce di fronte alle ragazze più grandi di lui”. “Max…!”. Richie scattò in piedi, rosso in volto. “Cosa? È vero. Senti, Rich, di’ a mia zia che torno subito, okay?”. Max fece cenno ad Alice di seguirla. Salirono due rampe di scale, in silenzio. Poi, Max aprì una porta: si ritrovarono in una specie di monolocale, con una piccola cucina, un tavolo da pranzo, e, in fondo, sotto ad una finestra, un grosso letto singolo. C’erano scaffali ricolmi di libri ovunque, una chitarra, una tv con una console, e una porta scorrevole, che probabilmente celava il bagno. Alle pareti erano appesi poster, disegni e fotografie. “Tu vivi qui?”, disse Alice, affascinata suo malgrado.
“Sì. Mia zia sta al piano di sotto, ma non c’era una camera per me, quindi sto qui da sola”. Max si mise a trafficare con un bollitore. “Forza, siediti”, le disse, guardandola da sopra la spalla. Alice obbedì, appoggiando i gomiti sul tavolo. Pochi secondi dopo, Max le mise davanti una tazza di tè fumante. “Quindi, cosa hai di tanto urgente da dirmi, da rincorrermi fino a casa?”, chiese, ironica.
“Lo sai benissimo di cosa voglio parlare”, disse Alice, torva. “E, se non continuassi a scappare da me e a fare l’idiota, forse non avrei bisogno di darti la caccia”. “Mi sembra giusto”. Max si sedette, accavallando le gambe. “Se devo tirare a indovinare, direi che vuoi parlare della tua visione”, continuò. Alice annuì. “Ma, se posso chiedertelo, cosa pensi che possa spiegarti, io? Neanche ti conosco…”.
“Lo so”, disse Alice, soppesando le parole. “Ma, quando mi hai presa da parte, sembrava che sapessi esattamente di cosa stessi parlando. Hai dato per scontato che io avessi visto nel futuro”. “Beh, mi avevi appena salvata da un riflettore che è caduto almeno un minuto dopo che mi spingessi via. Che altro avrei dovuto pensare, scusa?”, ribatté Max.
 “D’accordo, ma non tutti sarebbero così tranquilli, nel parlare di poteri sovrannaturali, come se fossero una cosa da tutti i giorni. A meno che, per te, non siano una cosa da tutti i giorni”, rispose Alice, calma. Max alzò un sopracciglio. “Forse credo semplicemente nei veggenti. Per quanto ne sai, mi faccio leggere le carte una volta al mese”.
“Quello che so, è che è iniziato tutto quando ti ho stretto la mano”. Alice seguì con il dito il bordo della tazza, pensierosa. “E ancora non capisco cosa sia successo”. Max si accarezzò un lato del collo, assorta. Infine sospirò, e le disse: “Senti, lo so che sono stata una stronza. Lo so che ti ho trattata male, e non ti ho voluto parlare, e tutto il resto. Ma volevo evitare proprio questo genere di domande. E, oltretutto, neanche io so cosa sia successo, il primo giorno: avevo paura che la cosa si ripetesse. Siccome potrebbe essere pericoloso, l’unica opzione era starti lontana. Però, sembra che la cosa non ti vada a genio, e fai di tutto per rendermi la vita difficile, Biancaneve”.
Alice rimase senza parole. Non si aspettava una dichiarazione del genere. “Pericoloso…?” chiese infine. “Perché?”.
“E’ difficile da spiegare”.
 “Provaci”.
“Non posso”.
 “Oh, andiamo, Caulfield!” sbottò Alice. “Siamo qui a discutere del fatto che ho visto il futuro. Qualunque cosa sia, me la puoi dire, non credi?”. Max la guardò, ponderandola. “In realtà, no. Non so se posso fidarmi di te”.
A questo, Alice non seppe cosa rispondere. Poi, con calma, le chiese: “Di cosa hai paura? Che io non ti creda, o di qualcos’altro?”.
Max rise. “Oh, fidati, non potresti non credermi”. Bevve un lungo sorso dalla sua tazza. “Il fatto, Alice, è che è un argomento delicato, e privato. E’ una cosa che non sa nessuno, nemmeno mia zia”.
“Posso capirlo, Max. Ma, qualunque cosa sia, coinvolge tutte e due, e, forse, insieme possiamo capirci qualcosa di più. Non dirmi tutto subito, se non vuoi. Ma, per favore, prova a darmi fiducia. Te l’ho detto il primo giorno, voglio essere tua amica. E forse siamo più simili di quanto tu creda”. Alice concluse guardandola intensamente negli occhi.
Per qualche minuto, Max tacque. ”Il motivo per cui ho dato per scontato che avessi dei poteri, senza ritenerla una cosa assurda”, esordì infine, “E’ che ho dei poteri anche io”. Fece una pausa, lasciandole il tempo di elaborare le sue parole. Lo sapevo, pensò Alice, emozionata. “Solo che”, continuò Max, “Sembravi non avere idea di quello che ti stava succedendo. Forse, ho pensato, avevi iniziato a comprenderlo solo da poco. Ma non era così: tu non sapevi proprio di avere dei poteri. Il che mi ha fatto pensare che, forse, qualcosa non andava. Io ho sempre saputo di avere i miei”.
“Sempre?” chiese Alice. “Anche quando eri molto piccola? Voglio dire, ci sarà stato un momento in cui ti sei resa conto di poter vedere nel futuro, no?”.
“Prima di tutto, io non sono una veggente”, rispose Max. “In secondo luogo, no. E’ una cosa che ho sempre saputo di poter fare, e basta”.
“Se non sei una veggente” disse Alice, confusa, “allora, quali sono i tuoi poteri?”. Max tacque a lungo, fissandola. “Scusami, Alice… Oggi non ti sei domandata come sapessi di Brett?”.
Alice ricambiò lo sguardo, incredula. “Pensavo avessi semplicemente origliato!”. Max sbuffò. “Ero troppo lontana per sentirvi”, ribatté. Lei la guardò a bocca aperta. “Mi hai letto nel pensiero? Stavi leggendo nel pensiero di tutti noi? Lo stai facendo anche adesso?”. Max alzò le mani. “Con calma. No, stavo leggendo la mente di Brett, che era molto più semplice da penetrare. E no, non ti sto leggendo nel pensiero, ora. È un’operazione troppo faticosa, e, a volte, mi fa venire il mal di testa. Si tratta di oltrepassare le barriere mentali di un’altra persona e decifrarne i pensieri, e non è il massimo. Ad ogni modo, se avessi potuto sentire quello che pensava Brett, non avresti mai accettato il suo invito”. Max scolò l’ultima parte del suo tè.
“Quindi… sei telepatica” rispose Alice, guardandola fisso.
“Non proprio: penetrare la mente di una persona è una cosa che si impara a fare. Forse, potresti farlo anche tu. È solo una conseguenza dell’essere dotati di un… dono. Si acquisisce una sensibilità particolare, ecco, che consente di individuare i limiti della propria mente, oltrepassarli, e entrare in quelli altrui. Probabilmente, chiunque abbia poteri mentali sviluppati potrebbe farlo, o almeno credo: non ne ho mai incontrato nessuno, prima”. Alice si prese qualche secondo per metabolizzare le sue parole. Le sarebbe davvero piaciuto imparare a leggere nel pensiero. Aveva un milione di domande, ma decise di procedere con ordine.
“Se non sei telepatica, o almeno, non solo… allora cosa sai fare?”.
“Tante cose” Max sorrise, una luce maliziosa negli occhi. “Fammi vedere”, tentò Alice. “Non oggi”. Si alzò, posando la tazza nel lavandino.
Alice sospirò, delusa. “Se non vuoi parlare di te, parliamo di me, allora. Che cosa sai sui miei poteri?”.
“Nulla, ovviamente”, rispose Max. “Te l’ho detto, so solo quello che so fare io”.
“Ma come hai imparato a padroneggiare i tuoi, allora?” chiese Alice, impaziente.
“Non so. Tu come hai imparato a camminare, o a correre?”.
“Non è la stessa cosa… Non vorrai mica dire che tua madre ti inseguiva, urlandoti di non far levitare le sedie, o non so che altro?”. “Beh… più o meno” Max sorrise dolcemente. “Tutto ciò che so, è che questi poteri sono come un sesto senso. Te l’ho detto, se ti chiedessi come hai imparato a camminare, non me lo sapresti dire. È una cosa che sapevi di poter fare, e l’hai fatta. Qui funziona allo stesso modo. Ci sono delle cose più faticose da imparare, più impegnative, esattamente come correre o fare le capriole. Ma sai comunque che puoi farlo, e lo fai”. Max tacque, e per un po’ restarono entrambe in silenzio. Poi, aggiunse: “Probabilmente, quando siamo vicine i nostri poteri si amplificano. Forse sono stata io a sbloccare i tuoi, o qualcosa di simile. Mi spiace di non poterti dire di più”.
Alice si alzò, la testa che le faceva male a furia di rimuginare su tutti quei pensieri. “Non devi scusarti”, rispose. “Immagino che lo scopriremo andando avanti”. Poi, la guardò negli occhi. “Pensi davvero che Brett sia pericoloso?” le chiese, esitante.
“Penso che non dovresti uscire con lui”, rispose Max, semplicemente.
“Farò attenzione”, disse Alice, pensierosa. “Hai fatto tutta quella scena, oggi, per far arrabbiare me?” sbottò poi, all’improvviso. Max la scrutò, confusa. “Intendi accettare l’invito di tuo fratello? No. È stato molto carino, e sarebbe stato brutto rifiutarlo. Inoltre, bisognava far smettere di ridere quelle oche. Penso che mi divertirò alla festa, con lui”, rispose, calma.
“Quando si tratta di me, non ti preoccupi di cosa possa ferirmi, però, eh?”, ribatté Alice, astiosa. Max rise. “Mi spiace, Biancaneve. Spero che quello che è successo oggi serva a redimermi”.
Alice fece l’atto di voltarsi, poi ci ripensò. “Sai, Max… è bello parlare con te. Quando non ti comporti come una stronza, ecco”, le disse, accennando un sorriso. Lei rise di nuovo, accompagnandola all’uscita.
 

 

Max

 


Guardò Alice partire, dalla porta della caffetteria. Sperava di aver fatto la scelta giusta, parlandole: da un lato, comunque, quella ragazza la incuriosiva. Se voleva capire qualcosa di più sui suoi poteri, doveva lasciarla avvicinare: era un rischio che era necessario correre. Si mise a riordinare i dolci in esposizione, sovrappensiero, mentre Richie continuava a leggere nel suo angolino.
Qualche minuto dopo, il campanello tintinnò, e, prima ancora che Max avesse il tempo di raddrizzarsi del tutto, qualcuno sbatté con forza i pugni sul bancone.
“Hey, sfigati!”.
 “Cazzo, Joss, il saluto è passato di moda?”. Max la scrutò, torva. Jocelyn sembrava stranamente emozionata. “Sì, sì. Senti, strega, mi serve il tuo aiuto”.
“Immagino”, disse Max, sarcastica. “Perché dovrei aiutarti?”, aggiunse poi. Joss le rivolse un ampio sorriso. “Perché ho trovato qualcosa che farà impazzire voi secchioni”.
Qualche minuto dopo, Jocelyn stava aprendo il bagagliaio della sua macchina, mostrandone fieramente il contenuto. C’era una cassa, contenente due oggetti simili a palle da basket, scure e bitorzolute. “Ta-Da! Uova aliene!”. Joss sembrava estremamente soddisfatta. Max la guardò, sconcertata. “Dove hai trovato questa roba?”, chiese.
“Io e Ben le abbiamo trovate nel bosco, qui vicino. C’era anche questo”. Jocelyn sbatté sul petto di Max un pezzo di quella che sembrava pergamena, con su scritto un testo in grafia sottile. “È un procedimento per farle schiudere”, disse Joss, sbrigativa.
Max e Richie si scambiarono uno sguardo vacuo. “Quindi… che cosa vorresti da noi?”. “Una mano per farle schiudere, ovviamente, cretini!” Jocelyn agitò le braccia, sconfortata. “Non capite proprio niente!”.
“Ho delle obiezioni”, disse Max. “Prima di tutto, chi ti dà la garanzia di che cosa siano effettivamente queste cose? Secondo, potrebbe essere pericoloso toccarle, non credi? E terzo, se davvero hai così tanta voglia di aprirle, perché non farti aiutare da Ben?”.
Jocelyn sbuffò. “Tu parli troppo, Caulfield. Ben questa sera è occupato. E io voglio aprirle subito, perché, qualunque cosa siano, potrebbero farmi guadagnare un sacco di soldi. Pensateci: Joss, la prima persona ad aver riportato in vita un alieno!”. Max e Richie si scambiarono un altro sguardo. “E comunque, non avete scelta”, continuò Jocelyn. “Dovete venire con me, o rischiate di lasciarmi nelle mani un mostro letale con il quale darvi la caccia”. Joss rise, gettando la testa all’indietro.
“Va bene”. Max stava leggendo la pergamena. “Qui dice che questa roba contiene degli eroi che, se risvegliati con il giusto rituale, saranno l’unica speranza di addestrare l’umanità e vincere la guerra imminente. Ma dice anche che, se non si segue il procedimento passo passo, l’essere potrebbe ribellarsi”. Max alzò lo sguardo, le sopracciglia aggrottate. “Non credo ad una parola di quello che c’è scritto, ma se serve a dimostrarti quanto sei stupida, Joss, ti farò vedere che da queste ‘uova’ non nascerà un bel nulla”.
Jocelyn saltellò sul posto, emozionata. “Grande! Forse ti ho sottovalutata, Maxxie”, disse. “Ora, il foglio dice che ci serve un posto buio, e io conosco quello perfetto: il vecchio centro commerciale abbandonato! Salite in macchina, e ci andiamo immediatamente”.
Mentre Joss metteva in moto, Richie guardò Max, impaurito. “Lo sai che questo potrebbe essere l’inizio di un film horror?”. Max stava per ribattere che le cose che si vedono nei film non sono certo reali, ma poi si ricordò di saper far levitare i tavoli, e tacque. Ad ogni modo, qualunque cosa fossero quelle sfere, se Joss aveva comunque intenzione di farle schiudere, era meglio tenerla d’occhio, per evitare che creasse qualche grosso casino: solo per questo, Max si era costretta a seguirla.
Giunti presso il vecchio edificio diroccato, i tre oltrepassarono un foro nella recinzione, e Joss forzò una delle porte ormai pericolanti. Facendosi luce con delle torce, scesero fino nel piano interrato. Si trovarono una specie di locale caldaia, una grossa stanza buia e polverosa, dal soffitto alto. Accanto alla porta di ingresso, una scala di ferro permetteva di scendere fino a raggiungere il pavimento. Faceva davvero molto freddo: i loro respiri si condensavano in nuvolette di vapore, mentre si dirigevano giù dalla scala, stringendosi nelle giacche. Joss sistemò a terra una delle sfere: l’altra l’avevano lasciata nel bagagliaio, erano straordinariamente pesanti da portare.
“Okay”, Max si guardò intorno, le mani sui fianchi. “Ora dobbiamo predisporre il posto. Qui dice che bisogna lasciare un bello spazio intorno alla sfera, in modo che…”. “Sì, sì”. Joss le strappò il foglio dalle mani. “Bisogna inumidire la sfera. Dov’è l’acqua?”.
“Jocelyn, sul foglio c’è scritto che è pericoloso non seguire tutto il procedimento…” Richie si guardò intorno, spaventato.
“Sfigato, stai tranquillo. Non succederà proprio niente”. Rovistando nello zaino, Joss estrasse una bottiglia d’acqua. “Ecco fatto”, disse, svuotandola sulla palla.
Sobbalzarono tutti: la sfera aveva iniziato a muoversi, pulsando.
“NON CI CREDO, FUNZIONA!” urlò Joss, battendo le mani. Max sbiancò.
“Non va bene”, disse. “Se per caso tutta questa storia è roba seria, abbiamo mandato a puttane tutto il rituale…”.
“Max, taci, tanto quando usciamo di qui ti uccido io!”.
“Dobbiamo allontanarci”, disse Richie. “Secondo le istruzioni, non deve esserci nessuno nella stanza, quando l’essere si sveglia!”.
“Oddio, volete stare calmi? Ecco, se serve a farvi tacere, saliamo in cima alle scale”.
I tre salirono in cima alla rampa di scale di ferro, fermandosi sul pianerottolo, e sbirciando giù. Max iniziava a sentire lo stomaco contorcersi dalla paura, mentre guardava la sfera muoversi e pulsare. Che cosa diamine avevano fatto? Chi era lei, per non prendere sul serio cose del genere? Proprio lei, che giusto quel pomeriggio aveva parlato di poteri paranormali con una sua compagna di scuola…
“Ragazzi. Penso che sia il caso di scappare…” disse, lentamente. All’improvviso, il suo pensiero corse all’essere che l’aveva inseguita nel vicolo, e la pervase un senso di terrore tale che per poco non vomitò, quando capì che cosa avevano fatto.
“Oddio, quanto ci mette? Ora vado ad aprirlo io”. Joss iniziò a scendere le scale. “Joss, NO!” Max tentò di trattenerla per la giacca, ma era troppo tardi. La seguì, di corsa.
Joss si avvicinò all’uovo, e sferrò un calcio fortissimo, frantumandone la superficie. Una sostanza molle e grigiastra iniziò a colare fuori dalla sfera. All’improvviso, dal suo interno qualcosa si gonfiò come un palloncino, raggiungendo le dimensioni di un essere umano, e superandole. L’essere sibilò, mentre quella sorta di placenta si lacerava, cadendogli ai piedi, e rivelando una figura deforme, grigiastra, con la testa simile a quella di un insetto, e numerose zampe e tentacoli che spuntavano da tutto il suo corpo.  Max afferrò la giacca di Joss e tentò di strattonarla indietro, ma lei sembrava paralizzata dalla paura. Spalancò la bocca ed emise un urlo acuto, terrorizzata. Max urlò a sua volta, “JOSS, MUOVITI!”, ma era troppo tardi.
L’essere sibilò, infuriato, e uno dei suoi tentacoli scattò, attaccandosi alla faccia di Jocelyn, e iniziando a risucchiarla. Inorridita, Max tentò di tirarla e di liberarla, ma invano. Gli urli soffocati di Jocelyn riempirono l’aria, finché, con uno schiocco e un risucchio, il tentacolo non si staccò. Joss cadde a terra, supina, e Max vide che non aveva più un volto: al suo posto, c’era solo una maschera di sangue. Scattò all’indietro, mentre l’essere si avventava sul corpo di Jocelyn, e iniziava a divorarlo.
“RICHIE, CORRI!” strillò Max, precipitandosi su dalle scale.
I due si fiondarono fuori dall’edificio e oltre la recinzione. Mentre si avvicinavano alla macchina, le portiere del passeggero e del guidatore si spalancarono da sole. Senza fare domande, Richie salì, sbattendosi la portiera alle spalle, e non si preoccupò nemmeno quando la macchina si accese da sola, nonostante Max non avesse alcuna chiave. Sgommando, Max fece partire il mezzo, allontanandosi a tutta velocità da quel luogo.
I due rimasero in silenzio per un po’, sconvolti e tremanti, mentre Max guidava ad occhi sbarrati.
“Sei… sei coperta di sangue”, disse infine Richie, con un filo di voce.
“Non è mio”. Max non riusciva a pensare ad altro che alle immagini del corpo martoriato di Jocelyn. Che cosa avevano fatto, che cosa diavolo avevano fatto?
“Jocelyn… Joss è morta?”. Richie sembrava sotto shock, incapace di smettere di tremare. “Io… sì”. Max non riusciva ancora a capacitarsi di quello che era successo. La telecinesi era un conto, ma gli alieni? Doveva essere un sogno. Un sogno di quelli terribilmente realistici, che la lasciavano senza fiato al risveglio, perché Jocelyn non poteva essere morta, così, davanti ai suoi occhi.
“Max… Max, se ti vedono così, penseranno che l’hai uccisa”. “L’ho fatto. È stata colpa mia. È stata tutta colpa mia…”. Max tremava incontrollabilmente, Richie piangeva.
“Se quel mostro ha ucciso Joss, dove pensi che andrà adesso? Max! Come facciamo a fermarlo?”. Per una volta, Max non sapeva cosa rispondere. Gli occhi fissi sulla strada, si limitò a cercare di mettere più distanza possibile tra loro e il centro commerciale in disuso.

   
 
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