CAPITOLO
IV
Segreti e sangue
Alice
Alice parcheggiò al solito posto, recuperò la borsa dal sedile
posteriore, fece
un respiro profondo e scese. Non importava dove, non importava quando:
quel
giorno, avrebbe parlato con Max Caulfield.
Stava facendo delle prove mentali di un’ipotetica conversazione, quando
un
fischio la costrinse a voltarsi: vicino all’ingresso, Ben, Jocelyn e un
gruppetto di altri ragazzi, tra cui alcune sue compagne di squadra,
stavano
chiacchierando, appoggiati al muro. Ben si voltò minaccioso verso il
ragazzo
che aveva fischiato, un tipo alto, con biondi capelli quasi rasati a
zero.
“Lascia in pace mia sorella, Brett”.
“Questa è tua sorella?”. Brett squadrò Alice dalla testa ai piedi.
“Complimenti
a tua madre, Dawson”. Julie, la ragazza bionda vicino alla porta, le
posò una
mano sulla spalla, e disse: “Questa è la compagnia di squadra di cui ti
avevo
parlato, Brett”. Gli scoccò un’occhiata densa di significato, e Brett
si staccò
dal muro, sistemandosi il colletto dalla giacca. “Okay, okay. Beh,
splendore,
io sono Brett. Non so se già lo sai, ma sabato si terrà il ballo di
inizio
semestre: è tradizione che gli anziani accompagnino una matricola.
Quindi,
direi che possiamo andare insieme”. Brett le rivolse uno sguardo che,
forse,
riteneva seducente. Alice si guardò intorno, a disagio: all’improvviso,
scorse
Max, appoggiata ad un palo della tettoia, che la fissava in modo torvo.
Alice
guardò Brett, e realizzò che, per una serie di motivi, sarebbe stato
sconsigliabile rifiutare: per cui gli disse che sì, ovviamente sarebbe
stata
onorata di andare alla festa con lui. “Ottimo. Ti passo a prendere alle
otto”.
Con un ghigno, Brett tornò ad appoggiarsi al muro.
Alice fece per voltarsi, quando Ben la afferrò per un braccio,
traendola in
disparte. “Che cosa pensi di fare, eh?” sibilò. “Dimmelo tu”, ribatté
lei.
“Ascolta: non puoi uscire con Brett. Se ti becco a fare la troietta, io
giuro
che…”. Qualcuno si schiarì la voce.
Alice e Ben si voltarono, trovandosi davanti Max, che li guardava a
braccia
conserte. “Spero di non interrompere nulla, ma devo parlare con Alice”.
Ben si raddrizzò. “Ah sì? Beh, fallo in un altro momento. Siamo un po’
occupati.”.
“E’ urgente” tagliò corto lei. Con un sorriso sornione, Ben le si
avvicinò. “Te
lo dico io, che cosa è urgente…”. Max posò le mani sul suo petto e gli
diede
una spinta, talmente forte da farlo cadere. Alice la guardò, sconvolta.
“Non ti
avvicinare” ringhiò Max, lo sguardo fisso sul metro e novanta di
ragazzo che
aveva appena scaraventato a terra. L’espressione sorpresa di Ben si
distorse in
una smorfia furiosa, mentre si rialzava. Ma, prima che potesse fare
qualunque
cosa, Jocelyn si mise in mezzo. “Che cosa pensi di fare, idiota?
Mettere le
mani addosso al mio ragazzo?”. “Non se lui non lo fa per primo” rispose
Max.
Jocelyn la spinse, e Max barcollò all’indietro. “Tu hai sempre voluto
farti del
male, Maxxie” sibilò, e la spinse di nuovo. Ma, questa volta, Max non
si mosse
di un millimetro. Sorpresa, Joss la fissò per un secondo, poi
fece per
sferrarle un pugno: la mancò, incespicando e finendo a terra, come se
qualcuno
l’avesse tirata per un braccio. “Se avete tutti finito di rendervi
ridicoli, dovrei
parlare con Alice”. Max guardò Joss rialzarsi, con disprezzo. “Che cosa
mi hai
fatto, strega?” urlò lei. “Non è colpa mia se hai qualche problema,
Joss”,
sorrise Max. “Cazzate. Qualunque cosa sia, Caulfield, sei morta. Ti
conviene
non lasciare il perimetro di questa scuola”. “Uh-uh”. Max prese Alice
per un
gomito, e attraversò la porta di ingresso. In lontananza, Alice sentì
Brett
gridare: “Non andare con quella sfigata, Dawson! Resta qui con noi!”.
Max si fermò davanti all’aula di informatica, voltandosi a guardarla a
braccia
conserte. Alice si schiarì la voce, a disagio. “Quindi… di cosa volevi
parlarmi?”, disse, esitante, con un nodo alla gola per l’emozione. Max
scrollò
le spalle. “Di nulla. Mi sembrava che avessi bisogno di una mano. E,
visto che mi
hai evitato di diventare una frittella, direi che te lo dovevo”. Alice
sentì
l’agitazione diminuire. “Oh”, disse. “Grazie, ma me la sarei cavata…”.
“Non credo proprio” disse Max, secca. “Hai davvero intenzione di andare
al
ballo con Brett Jhonson?”. Alice la guardò, sorpresa. Sulla sua faccia
lesse un
misto di rabbia, e qualcos’altro… poteva forse essere gelosia? “Beh…”
esordì,
ponderando le parole “credo che sia stata una cosa organizzata dalle
mie
compagne. Non è che potessi dire di no… E poi, al ballo si deve andare
in
coppia”. “Stai scherzando, vero?” Max sembrava furiosa. “Ci sono
centinaia di
persone in questa scuola che ti avrebbero invitata volentieri”. “Beh,
ma… che
c’è di male, se ci vado con Brett?” chiese Alice. “E’ una cattiva idea”
disse semplicemente
Max. “Ricordatelo, Biancaneve”. Fece per voltarsi e andarsene, quando
Alice la
bloccò. “Aspetta”, disse. “Devo dirti una cosa…”. Max si liberò. “Io
non ci
vengo al ballo con te, Dawson”, la schernì, e si voltò. “Beh, allora
perché non
vai a farti fottere, Caulfield?” le urlò dietro Alice, rossa in viso.
Max non
si voltò, ma le mostrò il medio, allontanandosi. Era
impossibile tentare
di avere una conversazione normale con lei, pensò Alice, furiosa.
Più tardi, nella pausa pranzo, Alice sedeva con le altre cheerleader a
un
tavolo nel parco della scuola, quando vide Alex arrivare di corsa,
paonazzo in
volto, e crollare nel posto accanto al suo, nascondendosi il viso tra
le mani.
“Hey!” disse lei, presa alla sprovvista. “Che ti succede?”. Alex
abbassò le
mani, e la guardò: sembrava sull’orlo delle lacrime. “Ho invitato al
ballo Sophie Goldberg” disse, in un filo di
voce. Alice lo guardò a
bocca spalancata. “Oddio! E ti ha detto di no?” esclamò. Alex scosse
debolmente
la testa, e Alice si portò una mano alla bocca. “Non ci credo… ti ha
detto di
sì?”. Lui scosse di nuovo la testa, sconsolato.
“Lei era lì… bellissima… con le sue amiche… e io… io le ho urlato. Le
ho urlato
se volesse venire al ballo con me. Non so cosa mi sia preso, volevo
solo
chiederle di parlarle, prenderla in disparte… Lei mi ha guardato, mi ha
riso in
faccia e si è voltata di nuovo”. Alex crollò, sbattendo la fronte sul
tavolo.
Le cheerleader ridacchiarono, e Alice stessa non riuscì a trattenere
una
risata. “Che cazzo ridi?” scattò Alex, furioso. “Cos’è, pensi che
nessuno
vorrebbe venire al ballo con me?”. “No, Alex, calmati…”. Alex balzò in
piedi
“Beh, sai che ti dico? Inviterò la prima ragazza che passerà di fianco
al
tavolo”. Le cheerleader sgomitarono, indicando qualcosa alle spalle di
Alex.
Alice seguì il loro sguardo: indubbiamente, sul viale si stava
avvicinando Max
Caulfield, assorta nella lettura di un tascabile. Vide il fratello
sbiancare.
“Oh, sarà uno spettacolo senza prezzo…” gongolò Julie.
Alice cercò di afferrare il gemello per il braccio. “Alex… Alex, non
devi farlo
per forza…”. Ma Alex assunse uno sguardo risoluto, e in due passi si
mise di
fronte a Max, mentre passava di fianco al tavolo. Lei alzò gli occhi
dal libro,
fissandolo con le sopracciglia inarcate, senza emettere suono, come suo
solito.
Alice poteva quasi percepire la sudorazione di Alex aumentare. “Max…”
esordì,
con voce incerta. Max rimase in attesa, immobile. Alex prese fiato più
volte,
ma nessun suono uscì dalle sue labbra. Era una spanna più basso di Max:
Alice
si sentiva in imbarazzo per lui. Alla fine, aprì la bocca e… “Vu
vnire
abball cmmé?” sbottò tutto d’un fiato. Max sgranò gli occhi,
sconvolta. Si
raddrizzò, guardando Alice e le cheerleader, come se pensasse che fosse
tutto
uno scherzo. “Ehm… cosa?” chiese, circospetta. Alex parve rimpicciolire
ancora,
arrossendo. “Io… m-mi chiedevo s-se… anche se è tradizione che le
matricole
vadano con un anziano… insomma… s-se ti andasse, beh, di venire al
ballo di
inizio semestre con me”. Alex parlò fissando l’erba, certo del rifiuto,
le
spalle ricurve. Alice si preparò al peggio, mentre le altre ridevano.
Max le
guardò, poi guardò lei, e, alzando un sopracciglio, senza distogliere
gli occhi
dai suoi, scandì, con calma: “Ne sarei onorata”.
Ad Alice cascò la mascella, e, finalmente, i risolini alle sue spalle
cessarono. Alex alzò lo sguardo, incredulo. Max gli passò il cellulare.
“Scrivimi il tuo numero, così poi ci mettiamo d’accordo per l’ora e
tutto il
resto.” E gli rivolse un sorriso angelico, mozzafiato. Alice non
credeva di
averla mai vista sorridere. Guardando il fratello inserire le cifre con
dita
tremanti, sentì montarsi dentro una rabbia ingiustificabile. “Grazie”.
Max si
riprese il telefono, si chinò appena, e gli diede un leggero bacio
sulla
guancia, prima di allontanarsi. Alex si voltò verso la sorella, ad
occhi
sgranati, sfiorandosi sognante dove lei l’aveva baciato. Sentendo, per
qualche
motivo, di non poter sopportare la vista del fratello un secondo di
più, Alice
si allontanò stizzita, nella direzione opposta rispetto a Max.
Guidando verso casa, Alice pestava su acceleratore e freno come se le
avessero
fatto un torto personale. Alex guardava fuori, assorto. “Non ci credo-
non ho
mai nemmeno avuto una ragazza, e
ora andrò al ballo con Max
Caulfield…”. Cambiò marcia come se la sua vita ne dipendesse. “Alice…
Al? Al!”.
Alice scoccò un’occhiata torva al fratello. “Che c’è?”,
disse,
astiosa. “Hai… hai mancato lo svincolo”. “Lo so”.
Alex la guardò, intimorito. “C’è qualcosa che non va?”. “No. Va tutto
alla grande.
Congratulazioni, hai ottenuto un appuntamento con una delle ragazze più
belle
della scuola”, rispose lei, amareggiata. “Non… mi sembri molto felice a
riguardo”. “Perché non dovrei essere felice? E’ un gran traguardo! Sei
riuscito
a convincere ad uscire con te una persona che, in genere, si ritiene
troppo
preziosa per parlare con noi comuni mortali”.
“Alice… io non credo
che Max sia così…”. Alice rise, sarcastica. “Ma guardati: basta un
bacio sulla
guancia per ridurti ad uno zerbino”. Frenò bruscamente ad un semaforo,
scrutandolo torva. “Per tua informazione, è da giorni che provo a
parlare a
Caulfield, di una cosa importante, anche, e lei non fa altro che
comportarsi da
stronza con me, per quanto bene io la tratti”. “Di cosa le devi
parlare?”,
chiese Alex.
“Non capiresti”, tagliò corto lei.
“Beh… magari… se è una cosa delicata, è possibile che, per qualche
ragione, Max
voglia evitare di parlarne…”. Alice non gli rispose. Lui deglutì, poi
riprese:
“Si può sapere dove stiamo andando?”. “Stiamo andando alla caffetteria
della
zia di Max. Andiamo a prendere il mostro nella tana”.
Alice parcheggiò di fronte al locale, ordinando al fratello di
aspettarla in
macchina. “Ne ho avuto abbastanza di voi due, per oggi”, spiegò. Poi
entrò,
facendo tintinnare il campanello alla porta. Ad un tavolo, un ragazzino
sedeva
con un libro aperto. Alice attese, tamburellando le dita sul bancone,
ma non
comparve nessuno. Quindi, si rivolse al ragazzino. “Sto cercando Max
Caulfield.
L’hai vista, per caso?”. Lui alzò gli occhi e, vedendola, sembrò andare
nel
panico.
“Perché… perché dovrei sapere dove è Max? Voglio dire, lavora qui, nei
pomeriggi, ma non è che io debba sapere tutto quello che fa. Perché la
cerchi?
Sei un’amica di Jocelyn? Non che mi interessi. Come ti dico, non so
dove sia.
Non… non è che io abbia una cotta per lei, o che!”. Alice lo guardò con
tanto
d’occhi. “Sì, va… va bene. Senti ragazzino, sono una sua compagna di
scuola. Ho
solo bisogno di parlarle di un progetto. Quindi: è qui o no?”. “È qui”.
La voce
di Max risuonò da dietro il bancone.
“Hey, stalker. Non preoccuparti di Richie, si innervosisce di fronte
alle
ragazze più grandi di lui”. “Max…!”. Richie scattò in piedi, rosso in
volto.
“Cosa? È vero. Senti, Rich, di’ a mia zia che torno subito, okay?”. Max
fece
cenno ad Alice di seguirla. Salirono due rampe di scale, in silenzio.
Poi, Max
aprì una porta: si ritrovarono in una specie di monolocale, con una
piccola
cucina, un tavolo da pranzo, e, in fondo, sotto ad una finestra, un
grosso
letto singolo. C’erano scaffali ricolmi di libri ovunque, una chitarra,
una tv
con una console, e una porta scorrevole, che probabilmente celava il
bagno.
Alle pareti erano appesi poster, disegni e fotografie. “Tu vivi qui?”,
disse
Alice, affascinata suo malgrado.
“Sì. Mia zia sta al piano di sotto, ma non c’era una camera per me,
quindi sto
qui da sola”. Max si mise a trafficare con un bollitore. “Forza,
siediti”, le
disse, guardandola da sopra la spalla. Alice obbedì, appoggiando i
gomiti sul
tavolo. Pochi secondi dopo, Max le mise davanti una tazza di tè
fumante.
“Quindi, cosa hai di tanto urgente da dirmi, da rincorrermi fino a
casa?”,
chiese, ironica.
“Lo sai benissimo di cosa voglio parlare”, disse Alice, torva. “E, se
non
continuassi a scappare da me e a fare l’idiota, forse non avrei bisogno
di
darti la caccia”. “Mi sembra giusto”. Max si sedette, accavallando le
gambe.
“Se devo tirare a indovinare, direi che vuoi parlare della tua
visione”,
continuò. Alice annuì. “Ma, se posso chiedertelo, cosa pensi che possa
spiegarti, io? Neanche ti conosco…”.
“Lo so”, disse Alice, soppesando le parole. “Ma, quando mi hai presa da
parte,
sembrava che sapessi esattamente di cosa stessi parlando. Hai dato per
scontato
che io avessi visto nel futuro”. “Beh, mi avevi appena salvata da un
riflettore
che è caduto almeno un minuto dopo che mi spingessi via. Che altro
avrei dovuto
pensare, scusa?”, ribatté Max.
“D’accordo, ma non tutti sarebbero così tranquilli, nel
parlare di poteri
sovrannaturali, come se fossero una cosa da tutti i giorni. A meno che,
per te,
non siano una cosa da tutti i giorni”, rispose Alice, calma. Max alzò
un
sopracciglio. “Forse credo semplicemente nei veggenti. Per quanto ne
sai, mi
faccio leggere le carte una volta al mese”.
“Quello che so, è che è iniziato tutto quando ti ho stretto la mano”.
Alice
seguì con il dito il bordo della tazza, pensierosa. “E ancora non
capisco cosa
sia successo”. Max si accarezzò un lato del collo, assorta. Infine
sospirò, e
le disse: “Senti, lo so che sono stata una stronza. Lo so che ti ho
trattata
male, e non ti ho voluto parlare, e tutto il resto. Ma volevo evitare
proprio
questo genere di domande. E, oltretutto, neanche io so cosa sia
successo, il
primo giorno: avevo paura che la cosa si ripetesse. Siccome potrebbe
essere
pericoloso, l’unica opzione era starti lontana. Però, sembra che la
cosa non ti
vada a genio, e fai di tutto per rendermi la vita difficile,
Biancaneve”.
Alice rimase senza parole. Non si aspettava una dichiarazione del
genere.
“Pericoloso…?” chiese infine. “Perché?”.
“E’ difficile da spiegare”.
“Provaci”.
“Non posso”.
“Oh, andiamo, Caulfield!” sbottò Alice. “Siamo qui a
discutere del fatto
che ho visto il futuro. Qualunque cosa sia, me la puoi dire, non
credi?”. Max
la guardò, ponderandola. “In realtà, no. Non so se posso fidarmi di te”.
A questo, Alice non seppe cosa rispondere. Poi, con calma, le chiese:
“Di cosa
hai paura? Che io non ti creda, o di qualcos’altro?”.
Max rise. “Oh, fidati, non potresti non credermi”. Bevve un lungo sorso
dalla
sua tazza. “Il fatto, Alice, è che è un argomento delicato, e privato.
E’ una
cosa che non sa nessuno, nemmeno mia zia”.
“Posso capirlo, Max. Ma, qualunque cosa sia, coinvolge tutte e due, e,
forse,
insieme possiamo capirci qualcosa di più. Non dirmi tutto subito, se
non vuoi.
Ma, per favore, prova a darmi fiducia. Te l’ho detto il primo giorno,
voglio
essere tua amica. E forse siamo più simili di quanto tu creda”. Alice
concluse
guardandola intensamente negli occhi.
Per qualche minuto, Max tacque. ”Il motivo per cui ho dato per scontato
che
avessi dei poteri, senza ritenerla una cosa assurda”, esordì infine,
“E’ che ho
dei poteri anche io”. Fece una pausa, lasciandole il tempo di elaborare
le sue
parole. Lo sapevo, pensò Alice, emozionata.
“Solo che”, continuò
Max, “Sembravi non avere idea di quello che ti stava succedendo. Forse,
ho
pensato, avevi iniziato a comprenderlo solo da poco. Ma non era così:
tu non
sapevi proprio di avere dei poteri. Il che mi ha fatto pensare che,
forse,
qualcosa non andava. Io ho sempre saputo di avere i miei”.
“Sempre?” chiese Alice. “Anche quando eri molto piccola? Voglio dire,
ci sarà
stato un momento in cui ti sei resa conto di poter vedere nel futuro,
no?”.
“Prima di tutto, io non sono una veggente”, rispose Max. “In secondo
luogo, no.
E’ una cosa che ho sempre saputo di poter fare, e basta”.
“Se non sei una veggente” disse Alice, confusa, “allora, quali sono i
tuoi
poteri?”. Max tacque a lungo, fissandola. “Scusami, Alice… Oggi non ti
sei
domandata come sapessi di Brett?”.
Alice ricambiò lo sguardo, incredula. “Pensavo avessi semplicemente
origliato!”. Max sbuffò. “Ero troppo lontana per sentirvi”, ribatté.
Lei la
guardò a bocca aperta. “Mi hai letto nel pensiero? Stavi leggendo nel
pensiero
di tutti noi? Lo stai facendo anche adesso?”. Max alzò le mani. “Con
calma. No,
stavo leggendo la mente di Brett, che era molto più semplice da
penetrare. E
no, non ti sto leggendo nel pensiero, ora. È un’operazione troppo
faticosa, e,
a volte, mi fa venire il mal di testa. Si tratta di oltrepassare le
barriere
mentali di un’altra persona e decifrarne i pensieri, e non è il
massimo. Ad
ogni modo, se avessi potuto sentire quello che pensava Brett, non
avresti mai
accettato il suo invito”. Max scolò l’ultima parte del suo tè.
“Quindi… sei telepatica” rispose Alice, guardandola fisso.
“Non proprio: penetrare la mente di una persona è una cosa che si
impara a
fare. Forse, potresti farlo anche tu. È solo una conseguenza
dell’essere dotati
di un… dono. Si acquisisce una sensibilità particolare, ecco, che
consente di
individuare i limiti della propria mente, oltrepassarli, e entrare in
quelli
altrui. Probabilmente, chiunque abbia poteri mentali sviluppati
potrebbe farlo,
o almeno credo: non ne ho mai incontrato nessuno, prima”. Alice si
prese
qualche secondo per metabolizzare le sue parole. Le sarebbe davvero
piaciuto
imparare a leggere nel pensiero. Aveva un milione di domande, ma decise
di
procedere con ordine.
“Se non sei telepatica, o almeno, non solo… allora cosa sai fare?”.
“Tante cose” Max sorrise, una luce maliziosa negli occhi. “Fammi
vedere”, tentò
Alice. “Non oggi”. Si alzò, posando la tazza nel lavandino.
Alice sospirò, delusa. “Se non vuoi parlare di te, parliamo di me,
allora. Che
cosa sai sui miei poteri?”.
“Nulla, ovviamente”, rispose Max. “Te l’ho detto, so solo quello che so
fare
io”.
“Ma come hai imparato a padroneggiare i tuoi, allora?” chiese Alice,
impaziente.
“Non so. Tu come hai imparato a camminare, o a correre?”.
“Non è la stessa cosa… Non vorrai mica dire che tua madre ti inseguiva,
urlandoti di non far levitare le sedie, o non so che altro?”. “Beh… più
o meno”
Max sorrise dolcemente. “Tutto ciò che so, è che questi poteri sono
come un
sesto senso. Te l’ho detto, se ti chiedessi come hai imparato a
camminare, non
me lo sapresti dire. È una cosa che sapevi di poter fare, e l’hai
fatta. Qui
funziona allo stesso modo. Ci sono delle cose più faticose da imparare,
più
impegnative, esattamente come correre o fare le capriole. Ma sai
comunque che
puoi farlo, e lo fai”. Max tacque, e per un po’ restarono entrambe in
silenzio.
Poi, aggiunse: “Probabilmente, quando siamo vicine i nostri poteri si
amplificano. Forse sono stata io a sbloccare i tuoi, o qualcosa di
simile. Mi
spiace di non poterti dire di più”.
Alice si alzò, la testa che le faceva male a furia di rimuginare su
tutti quei
pensieri. “Non devi scusarti”, rispose. “Immagino che lo scopriremo
andando
avanti”. Poi, la guardò negli occhi. “Pensi davvero che Brett sia
pericoloso?”
le chiese, esitante.
“Penso che non dovresti uscire con lui”, rispose Max, semplicemente.
“Farò attenzione”, disse Alice, pensierosa. “Hai fatto tutta quella
scena,
oggi, per far arrabbiare me?” sbottò poi, all’improvviso. Max la
scrutò,
confusa. “Intendi accettare l’invito di tuo fratello? No. È stato molto
carino,
e sarebbe stato brutto rifiutarlo. Inoltre, bisognava far smettere di
ridere
quelle oche. Penso che mi divertirò alla festa, con lui”, rispose,
calma.
“Quando si tratta di me, non ti preoccupi di cosa possa ferirmi, però,
eh?”,
ribatté Alice, astiosa. Max rise. “Mi spiace, Biancaneve. Spero che
quello che
è successo oggi serva a redimermi”.
Alice fece l’atto di voltarsi, poi ci ripensò. “Sai, Max… è bello
parlare con
te. Quando non ti comporti come una stronza, ecco”, le disse,
accennando un
sorriso. Lei rise di nuovo, accompagnandola all’uscita.
Max
Guardò Alice partire, dalla porta della caffetteria. Sperava di aver
fatto la
scelta giusta, parlandole: da un lato, comunque, quella ragazza la
incuriosiva.
Se voleva capire qualcosa di più sui suoi poteri, doveva lasciarla
avvicinare:
era un rischio che era necessario correre. Si mise a riordinare i dolci
in
esposizione, sovrappensiero, mentre Richie continuava a leggere nel suo
angolino.
Qualche minuto dopo, il campanello tintinnò, e, prima ancora che Max
avesse il
tempo di raddrizzarsi del tutto, qualcuno sbatté con forza i pugni sul
bancone.
“Hey, sfigati!”.
“Cazzo, Joss, il saluto è passato di moda?”. Max la scrutò,
torva.
Jocelyn sembrava stranamente emozionata. “Sì, sì. Senti, strega, mi
serve il
tuo aiuto”.
“Immagino”, disse Max, sarcastica. “Perché dovrei aiutarti?”, aggiunse
poi.
Joss le rivolse un ampio sorriso. “Perché ho trovato qualcosa che farà
impazzire voi secchioni”.
Qualche minuto dopo, Jocelyn stava aprendo il bagagliaio della sua
macchina,
mostrandone fieramente il contenuto. C’era una cassa, contenente due
oggetti
simili a palle da basket, scure e bitorzolute. “Ta-Da!
Uova aliene!”.
Joss sembrava estremamente soddisfatta. Max la guardò, sconcertata.
“Dove hai
trovato questa roba?”, chiese.
“Io e Ben le abbiamo trovate nel bosco, qui vicino. C’era anche
questo”.
Jocelyn sbatté sul petto di Max un pezzo di quella che sembrava
pergamena, con
su scritto un testo in grafia sottile. “È un procedimento per farle
schiudere”,
disse Joss, sbrigativa.
Max e Richie si scambiarono uno sguardo vacuo. “Quindi… che cosa
vorresti da
noi?”. “Una mano per farle schiudere, ovviamente, cretini!” Jocelyn
agitò le
braccia, sconfortata. “Non capite proprio niente!”.
“Ho delle obiezioni”, disse Max. “Prima di tutto, chi ti dà la garanzia
di che
cosa siano effettivamente queste cose? Secondo, potrebbe essere
pericoloso
toccarle, non credi? E terzo, se davvero hai così tanta voglia di
aprirle,
perché non farti aiutare da Ben?”.
Jocelyn sbuffò. “Tu parli troppo, Caulfield. Ben questa sera è
occupato. E io
voglio aprirle subito, perché, qualunque cosa siano, potrebbero farmi
guadagnare un sacco di soldi. Pensateci: Joss, la prima persona ad aver
riportato in vita un alieno!”. Max e Richie si scambiarono un altro
sguardo. “E
comunque, non avete scelta”, continuò Jocelyn. “Dovete venire con me, o
rischiate di lasciarmi nelle mani un mostro letale con il quale darvi
la
caccia”. Joss rise, gettando la testa all’indietro.
“Va bene”. Max stava leggendo la pergamena. “Qui dice che questa roba
contiene
degli eroi che, se risvegliati con
il giusto rituale,
saranno l’unica speranza di addestrare l’umanità e
vincere la guerra
imminente. Ma dice anche che, se non si segue il procedimento
passo passo,
l’essere potrebbe ribellarsi”. Max alzò lo sguardo, le sopracciglia
aggrottate.
“Non credo ad una parola di quello che c’è scritto, ma se serve a
dimostrarti
quanto sei stupida, Joss, ti farò vedere che da queste ‘uova’ non
nascerà un
bel nulla”.
Jocelyn saltellò sul posto, emozionata. “Grande! Forse ti ho
sottovalutata,
Maxxie”, disse. “Ora, il foglio dice che ci serve un posto buio, e io
conosco
quello perfetto: il vecchio centro commerciale abbandonato! Salite in
macchina,
e ci andiamo immediatamente”.
Mentre Joss metteva in moto, Richie guardò Max, impaurito. “Lo sai che
questo
potrebbe essere l’inizio di un film horror?”. Max stava per ribattere
che le
cose che si vedono nei film non sono certo reali, ma poi si ricordò di
saper
far levitare i tavoli, e tacque. Ad ogni modo, qualunque cosa fossero
quelle sfere,
se Joss aveva comunque intenzione di farle schiudere, era meglio
tenerla
d’occhio, per evitare che creasse qualche grosso casino: solo per
questo, Max
si era costretta a seguirla.
Giunti presso il vecchio edificio diroccato, i tre
oltrepassarono un foro
nella recinzione, e Joss forzò una delle porte ormai pericolanti.
Facendosi
luce con delle torce, scesero fino nel piano interrato. Si trovarono
una specie
di locale caldaia, una grossa stanza buia e polverosa, dal soffitto
alto.
Accanto alla porta di ingresso, una scala di ferro permetteva di
scendere fino
a raggiungere il pavimento. Faceva davvero molto freddo: i loro respiri
si
condensavano in nuvolette di vapore, mentre si dirigevano giù dalla
scala,
stringendosi nelle giacche. Joss sistemò a terra una delle sfere:
l’altra
l’avevano lasciata nel bagagliaio, erano straordinariamente pesanti da
portare.
“Okay”, Max si guardò intorno, le mani sui fianchi. “Ora dobbiamo
predisporre
il posto. Qui dice che bisogna lasciare un bello spazio intorno alla
sfera, in
modo che…”. “Sì, sì”. Joss le strappò il foglio dalle mani. “Bisogna
inumidire
la sfera. Dov’è l’acqua?”.
“Jocelyn, sul foglio c’è scritto che è pericoloso non seguire tutto il
procedimento…” Richie si guardò intorno, spaventato.
“Sfigato, stai tranquillo. Non succederà proprio niente”. Rovistando
nello
zaino, Joss estrasse una bottiglia d’acqua. “Ecco fatto”, disse,
svuotandola
sulla palla.
Sobbalzarono tutti: la sfera aveva iniziato a muoversi, pulsando.
“NON CI CREDO, FUNZIONA!” urlò Joss, battendo le mani. Max sbiancò.
“Non va bene”, disse. “Se per caso tutta questa storia è roba seria,
abbiamo
mandato a puttane tutto il rituale…”.
“Max, taci, tanto quando usciamo di qui ti uccido io!”.
“Dobbiamo allontanarci”, disse Richie. “Secondo le istruzioni, non deve
esserci
nessuno nella stanza, quando l’essere si sveglia!”.
“Oddio, volete stare calmi? Ecco, se serve a farvi tacere, saliamo in
cima alle
scale”.
I tre salirono in cima alla rampa di scale di ferro, fermandosi sul
pianerottolo, e sbirciando giù. Max iniziava a sentire lo stomaco
contorcersi
dalla paura, mentre guardava la sfera muoversi e pulsare. Che cosa
diamine
avevano fatto? Chi era lei, per non prendere sul serio cose del genere?
Proprio
lei, che giusto quel pomeriggio aveva parlato di poteri paranormali con
una sua
compagna di scuola…
“Ragazzi. Penso che sia il caso di scappare…” disse, lentamente.
All’improvviso, il suo pensiero corse all’essere che l’aveva inseguita
nel
vicolo, e la pervase un senso di terrore tale che per poco non
vomitò,
quando capì che cosa avevano fatto.
“Oddio, quanto ci mette? Ora vado ad aprirlo io”. Joss iniziò a
scendere le
scale. “Joss, NO!” Max tentò di trattenerla per la giacca, ma era
troppo tardi.
La seguì, di corsa.
Joss si avvicinò all’uovo, e sferrò un calcio fortissimo, frantumandone
la
superficie. Una sostanza molle e grigiastra iniziò a colare fuori dalla
sfera.
All’improvviso, dal suo interno qualcosa si gonfiò come un palloncino,
raggiungendo le dimensioni di un essere umano, e superandole. L’essere
sibilò,
mentre quella sorta di placenta si lacerava, cadendogli ai piedi, e
rivelando
una figura deforme, grigiastra, con la testa simile a quella di un
insetto, e
numerose zampe e tentacoli che spuntavano da tutto il suo
corpo. Max
afferrò la giacca di Joss e tentò di strattonarla indietro, ma lei
sembrava
paralizzata dalla paura. Spalancò la bocca ed emise un urlo acuto,
terrorizzata. Max urlò a sua volta, “JOSS, MUOVITI!”, ma era troppo
tardi.
L’essere sibilò, infuriato, e uno dei suoi tentacoli scattò,
attaccandosi alla
faccia di Jocelyn, e iniziando a risucchiarla. Inorridita, Max
tentò di
tirarla e di liberarla, ma invano. Gli urli soffocati di Jocelyn
riempirono
l’aria, finché, con uno schiocco e un risucchio, il tentacolo non si
staccò.
Joss cadde a terra, supina, e Max vide che non aveva più un volto: al
suo
posto, c’era solo una maschera di sangue. Scattò all’indietro, mentre
l’essere
si avventava sul corpo di Jocelyn, e iniziava a divorarlo.
“RICHIE, CORRI!” strillò Max, precipitandosi su dalle scale.
I due si fiondarono fuori dall’edificio e oltre la recinzione. Mentre
si
avvicinavano alla macchina, le portiere del passeggero e del guidatore
si
spalancarono da sole. Senza fare domande, Richie salì, sbattendosi la
portiera
alle spalle, e non si preoccupò nemmeno quando la macchina si accese da
sola,
nonostante Max non avesse alcuna chiave. Sgommando, Max fece partire il
mezzo,
allontanandosi a tutta velocità da quel luogo.
I due rimasero in silenzio per un po’, sconvolti e tremanti, mentre Max
guidava
ad occhi sbarrati.
“Sei… sei coperta di sangue”, disse infine Richie, con un filo di voce.
“Non è mio”. Max non riusciva a pensare ad altro che alle immagini del
corpo
martoriato di Jocelyn. Che cosa avevano fatto, che cosa diavolo avevano
fatto?
“Jocelyn… Joss è morta?”. Richie sembrava sotto shock, incapace di
smettere di
tremare. “Io… sì”. Max non riusciva ancora a capacitarsi di quello che
era
successo. La telecinesi era un conto, ma gli alieni? Doveva essere un
sogno. Un
sogno di quelli terribilmente realistici, che la lasciavano senza fiato
al
risveglio, perché Jocelyn non poteva essere morta, così, davanti ai
suoi occhi.
“Max… Max, se ti vedono così, penseranno che l’hai uccisa”. “L’ho
fatto. È
stata colpa mia. È stata tutta colpa mia…”. Max tremava
incontrollabilmente,
Richie piangeva.
“Se quel mostro ha ucciso Joss, dove pensi che andrà adesso? Max! Come
facciamo
a fermarlo?”. Per una volta, Max non sapeva cosa rispondere. Gli occhi
fissi
sulla strada, si limitò a cercare di mettere più distanza possibile tra
loro e
il centro commerciale in disuso.