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Autore: TheSlavicShadow    01/02/2018    3 recensioni
Sei mesi dopo essere deiventata Iron Woman, qualcosa inizia a non andare come dovrebbe.
{Earth-3490; sequel di Wherever You Will Go}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Maggio/Giugno 2006

 

Quello doveva essere l’inferno.

Quando aveva aperto gli occhi aveva visto il soffitto bianco di quella che doveva essere una camera d’ospedale. Lo era sicuramente. Le conosceva molto bene. Era capitato diverse volte che si svegliasse in una di esse, dopo aver lasciato qualche festa in stati non propriamente ottimali. Le sembrava di sentire nell’aria l’odore del disinfettante e quell’odore caratteristico che uno poteva sentire negli ospedali. Come qualcosa di sterile. Qualcosa che non piaceva a nessuno. Un odore di pulito troppo pulito. Un odore come quello non sarebbe mai piaciuto neppure a Jarvis che era il re delle pulizie casalinghe.

Sentiva delle voci e lentamente aveva voltato la testa.

Nick Fury.

Quello doveva essere davvero l’inferno se la prima cosa che vedeva una volta aperti gli occhi era il direttore dello S.H.I.E.L.D. Parlava con una donna in una tutina aderente. Ma parlavano così piano che non riusciva a sentire quello che stavano dicendo. Forse neppure le interessava davvero. Era sicura di essere lei l’argomento di discussione. Lo era sempre in questo tipo di circostanze. Ormai non se ne stupiva affatto e neppure se ne preoccupava. Potevano parlare di quello che gli pareva.

Lei era solo stupita di aver riaperto gli occhi.

Ricordava la festa. Ricordava di essersi allontanata per prendere da bere e poi il nulla. Era arrivata in cucina, questo lo ricordava. Ma non ricordava di esserne mai uscita.

“Non faceva per te fare l’attrice? Complimenti.” Aveva fatto una smorfia disgustata quando la donna che parlava con Fury si era voltata un po’. L’aveva riconosciuta subito e si sentiva tradita.

“Natasha.” Fury si era subito avvicinato a lei, mettendole una mano sulla spalla quando aveva cercato di alzarsi dopo essersi tolta la mascherina per l’ossigeno. Voleva togliersi anche l’ago che aveva nel braccio e che era collegato ad una flebo. Non voleva neppure sapere cosa contenesse. Si sentiva meglio, forse avrebbe dovuto informarsi su cosa le avevano iniettato, ma voleva solo andarsene. “Resta sdraiata, hai bisogno di riposare e recuperare le forze.”

“Devo solo tornare a casa, spostati.”

L’uomo l’aveva guardata, ma non aveva spostato la mano dalla sua spalla. Sapeva che Fury non l’avrebbe lasciata andare.

“Stark, ti presento l’agente Romanoff.” Fury aveva parlato dopo qualche istante, voltando la testa verso la donna che stava ancora vicino alla porta.

“Sei fottutamente licenziata.” Si era lentamente messa seduta quando Fury aveva spostato la mano. Sapeva che non sarebbe potuta fuggire. Non sapeva neppure dove si trovasse esattamente e non era mai stata nell’ala medica della sede dello S.H.I.E.L.D.. Conosceva bene gli uffici, il reparto di ricerca e sviluppo, ma non l’ala medica. Se anche fosse riuscita ad uscire da quella stanza, non si sarebbe allontanata molto. Fury le avrebbe sguinzagliato contro mezzo S.H.I.E.L.D., ne era certa. E non aveva alcuna possibilità di batterli senza armatura.

“Questo purtroppo non è lei a deciderlo, signorina Stark.” Natalie, se questo era il suo nome, aveva sorriso un po’ e si era avvicinata anche lei al letto. “Dovevo tenerla d’occhio e intervenire quando fosse stato necessario, ma non ho ancora finito e con Vanko a piede libero non ci fidiamo a lasciarla da sola.”

“Sono Iron Woman, non ho bisogno di una pseudo Catwoman che mi salvi il culo.”

“Vedova Nera. Questo è il mio nome in codice, diciamo.”

Aveva inarca un sopracciglio e non aveva tolto gli occhi dalla donna. Ne aveva sentito parlare. Aveva letto qualcosa su di lei. I file dello S.H.I.E.L.D. parlavano di una super spia russa che aveva disertato e si era unita a loro. E Steve l’aveva nominata un paio di volte. Avevano avuto delle missioni assieme.

“Dov’è Rogers?”

“L’abbiamo mandato a prendere un caffè. E’ rimasto tutta la notte qui con lei.” Natalie si era seduta sul bordo del letto e non aveva smesso di guardarla a sua volta. “Il direttore Fury ha notato certi comportamenti atipici anche per lei e il Capitano Rogers li ha confermati. Io sono stata mandata solo per osservare le sue azioni, e poi il Capitano ci ha parlato del palladio. Prima che si arrabbi, mi ascolti. Era solo preoccupato per lei.”

“Steve è sempre preoccupato per me. Ma sapeva che non volevo avere nulla a che fare con voi, quindi non parlarmi di calma. Lo prendo a calci nel culo non appena rientra qui dentro.” Aveva guardato la donna e la stava un po’ odiando. Le sorrideva, ma non era un sorriso accondiscendente oppure di pietà. Le sorrideva quasi divertita.

“Per essere una persona che è quasi morta, devo dire che ha ancora molta grinta.”

“Quando in meno di un anno ti capita di morire quasi quattro volte, direi che ci fai l’abitudine a svegliarti pieno di grinta. A proposito, cosa c’è in quella sacca? Decisamente non si tratta di soluzione salina.”

“Una soluzione di biossido di litio.”

Aveva guardato Fury e l’uomo aveva solo sospirato. Sembrava davvero stanco e preoccupato, ma non voleva credere che fosse davvero lei la causa. Sicuramente aveva altri pensieri per la testa. Doveva essere lavoro. Fury pensava sempre e solo al lavoro.

“Dammene qualche litro e vedrai che sarò come nuova.”

“E’ solo un palliativo, Tasha. Riduce i sintomi, ma non li elimina. Ti può aiutare per qualche giorno, ma devi trovare una soluzione il prima possibile.”

“Ho già cercato ogni soluzione possibile!” Questa volta aveva alzato la voce. Era frustrata. Sapeva che non doveva reagire così. Sapeva che questo la faceva sembrare solo una ragazzina che batteva i piedi perché non riusciva ad ottenere ciò che voleva. In questo caso specifico vivere. “Ho combinato tutti gli elementi possibili. Ho provato a cambiare la struttura del reattore. Senza il palladio il reattore non funziona, e senza reattore il mio cuore è spacciato.”

Fury le aveva di nuovo appoggiato una mano sulla spalla, restando in silenzio per qualche istante. “Riposati ancora un po’, e poi puoi tornare a casa. Ti accompagneremo noi.”

“Voglio Coulson. Almeno con lui ormai sono abituata a come trattare per ottenere qualcosa. Non come con qualcuno che fa il doppiogioco in modo così formidabile.”

“Non mi farà sentire in colpa, signorina Stark. Ho solo fatto il mio lavoro.” La Vedova Nera si era alzata dal letto e le aveva sorriso. “Le farò portare il suo StarkPad così avrà qualcosa con cui passare il tempo mentre riposa. E mi creda, il riposo ora è quello che le serve.”

“Concordo, ma su un’isola tropicale a cuocermi sotto il sole.” Con un sospiro si era appoggiata contro i cuscini. Non voleva restare lì. Non voleva parlare ulteriormente con loro. Voleva solo chiudersi in officina e rimanere lì con i suoi robot. Avrebbe potuto lavorare. Avrebbe potuto guardare un film. O anche dormire sul divano.

E avrebbe potuto sentirsi al sicuro.

La Romanoff era uscita seguita da Fury. L’uomo le aveva rivolto ancora un’occhiata prima di chiudere la porta alle proprie spalle. Non l’avevano chiusa a chiave, aveva notato. Con molta probabilità era il modo che aveva Fury di dirle che si fidava di lei e del suo buon senso. Lei non credeva affatto di avere del buon senso. Avere del buon senso avrebbe significato chiedere aiuto subito. Avrebbe significato avere una speranza in più. Non accettare vagamente l’aiuto quando veniva imposto.

Aveva chiuso gli occhi cercando di pensare a qualcosa di bello. Ma le uniche cose che le venivano in mente erano il fatto che Steve l’avesse tradita e che era nuovamente punto e a capo per cercare di trovare una soluzione.

Non voleva coinvolgere lo S.H.I.E.L.D. e non voleva avere aiuto da loro, ma era sempre stata sicura che Fury non le avesse mai tolto gli occhi di dosso. Era sempre sotto il loro radar, monitorata come una potenziale minaccia. Ancora prima di essere Iron Woman. Questo lo sapeva. Lo S.H.I.E.L.D. controllava tutti quelli che potevano essergli utili o che potevano essere un pericolo. Lei non sapeva più in quale delle due categorie potesse appartenere.

Quando aveva aperto gli occhi di nuovo era perché qualcuno le stava tenendo la mano. Non si era accorta né di essersi addormentata, né che qualcuno fosse entrato nella stanza.

“Che ore sono?” Aveva mormorato non togliendo gli occhi da quelli di Steve Rogers. L’uomo era seduto su una sedia, molto vicino al suo letto, e le teneva una mano.

“Sono quasi le 21. Hai dormito per buona parte della giornata. Chiamo qualcuno affinché ti porti la cena.” Steve aveva lasciato la sua mano e si era alzato dalla sedia. Aveva seguito la sua figura che si avvicinava alla porta e usciva per parlare con qualcuno, probabilmente. Sapeva che era infuriata. Se la conosceva bene come diceva, allora sapeva benissimo come si doveva sentire in quel momento. Solo a lui aveva ripetuto così tante volte di tenere lo S.H.I.E.L.D. fuori dalle loro vite.

Era tornato poco dopo con un vassoio e sperava ci fosse del caffè. Ora ne aveva bisogno. Avrebbe avuto anche bisogno di un bicchiere di whisky per cercare di affogare la frustrazione in qualcosa, ma si sarebbe fatta bastare il caffè.

“Cheeseburger?” Aveva inarcato un sopracciglio mentre si metteva seduta, con i cuscini comodamente disposti dietro la schiena, e Steve aveva sorriso. Lo odiava, perché con quel sorriso era quasi impossibile odiarlo.

“E’ il meglio che sono riuscito a farti avere. Il caffè non è dei migliori, ma è pur sempre caffè.”

Natasha aveva soltanto annuito. Non sapeva esattamente cosa dirgli. Aveva mangiato in silenzio e le sembrava che ingoiare quel cibo fosse un’impresa troppo impegnativa. Le aveva fatto ricordare il primo pasto durante la prigionia, quando si era svegliata e Yinsen le aveva preparato una brodaglia di acqua sporca che aveva avuto la presunzione di chiamare zuppa. Sentiva tutte le interiora sottosopra, dall’ansia e dalla precaria condizione della sua salute. E ora le sembrava di essere di nuovo chiusa in quella caverna senza una via d’uscita.

Aveva mangiato in silenzio. Steve si era seduto nuovamente sulla sedia e non la guardava. Del resto non se ne stupiva. Sapeva che se avesse aperto bocca lei lo avrebbe attaccato senza alcuna pietà o comprensione.

Aveva spostato il vassoio con il piatto vuoto sul comodino in parte al letto e aveva finito anche il caffè. Era acqua sporca, ma le serviva in quel momento un po’ di caffeina. Non le importava sotto quale forma. Anche solo per avere qualcosa da fare mentre Steve continuava a stare seduto in assoluto silenzio, con la testa bassa e i gomiti appoggiati sulle ginocchia.

“Sai che se stai zitto mi fai incazzare di più?” Aveva appoggiato anche la tazza ormai vuota sul comodino e aveva guardato Steve. Solo allora il biondo aveva alzato la testa e l’aveva guardata. “Fammi vedere i giornali di oggi.”

“Non ti piaceranno i titoli.” Le aveva porto il suo StarkPad, quello che Natalie le aveva promesso e lei non aveva aspettato oltre per accenderlo e controllare le notizie.

Aveva ragione Steve. Non le piacevano i titoli. “Tasha Stark fuori controllo alla propria festa di compleanno”. “Stark: ritorno all’alcolismo”. “Tasha Stark portata via in ambulanza”. “Nuovo ricovero per Tasha Stark: droga o alcool?”.

“Stavo morendo, coglioni.” Aveva mormorato leggendo qualche notizia qua e la. Nessuno sapeva nulla. Lo S.H.I.E.L.D. non aveva lasciato trapellare il vero motivo del suo ricovero. E non sapeva se essergliene grata oppure no. “Cos’è successo ieri sera?”

“Sei andata in cucina come ci avevi annunciato, e l’attimo dopo J.A.R.V.I.S. ci allertava perché eri svenuta. Natalie, o meglio, Natasha ha subito chiamato Fury e ti abbiamo portata qui.”

“Natasha? Vuoi farmi ridere, Rogers? Quella arpia rossa si chiama come me?” Non era riuscita a trattenere una smorfia. Odiava anche il fatto che quella donna fosse la partner quasi fissa di Steve durante le missioni. “Dovevo immaginare si trattasse di una bella donna. Una che si fa chiamare Vedova Nera deve per forza essere una femme fatale. Te la sei portata a letto?”

“Cosa?” L’aveva guardata come se le fossero spuntate due teste. E sì, era patetica. Pateticamente gelosa e arrabbiata. “No, siamo solo amici e colleghi. Quando ho contattato Fury, non sapevo che avrebbe mandato lei, ma è effettivamente la migliore quando deve lavorare sotto copertura.”

“Dovevi dirmelo. Mi sento una cretina adesso, lo sai? Mi sono aperta con una fottutissima spia del fottutissimo S.H.I.E.L.D.. E ti ritengo responsabile, perché quella dovrà scrivere un rapporto su di me, no? Cazzo, Steve…” Si era portata le mani sul viso e aveva soffocato un gemito di frustrazione e rabbia. Solo allora aveva notato che qualcuno le aveva tolto l’ago della flebo dal braccio. Doveva essere veramente in coma per non essersi accorta di nulla. Iniziava a chiedersi se non le avessero anche dato del sonnifero o qualcosa del genere.

“Dovrà scrivere un rapporto, sì.” Steve si era seduto sul letto e le aveva spostato le mani dal viso. “Ma non avevo altra scelta. Tu stavi morendo e non volevi chiedere aiuto, nemmeno nell’ultimo momento.”

“Forse sarebbe stato meglio, non credi?”

“Non dirlo neanche per scherzo.” Era serio. Era così serio che le faceva quasi paura. “Non potevo permettere che tu morissi.”

“Hai messo i tuoi interessi personali prima della sicurezza del Paese? Mi stupisco di te, Steven.”

“Mi fai incazzare quando fai così, lo sai?”

“Lo so.” Lo aveva guardato e aveva sospirato. “Sono solo arrabbiata e ferita. Posso capire le tue intenzioni, ma non era quello che volevo io.”

“Non potevo lasciarti morire senza fare qualcosa per cercare di aiutarti e sei ancora qui ad annoiarmi con la tua presenza.”

“Non si direbbero le parole di un uomo innamorato e felice queste.”

“E chi ha detto che sono queste cose?”

“Io.” Aveva allungato le mani e lo attirato a sé. Lo aveva stretto a sé e Steve aveva nascosto il viso contro il suo collo. Sentiva il suo respiro caldo sulla pelle.

Erano rimasti abbracciati così fino a quando Steve non si era lamentato di non riuscire più a respirare, e si era semplicemente sdraiato accanto a lei senza dire una parola. Non sapeva come fosse possibile, ma riuscivano a stare quasi comodi su quel letto d’ospedale. Steve raggomitolato contro di lei, con la testa appoggiata sul suo petto, e lei che passava le dita tra i suoi capelli corti.

“Dovevamo essere a Las Vegas adesso. E passare insieme la nostra prima notte da sposati. Chissà se il sesso da sposati è diverso.” Aveva parlato a voce bassa, quasi più rivolta a sé stessa che a Steve. Non avevano parlato per diverso tempo. Erano solo rimasti abbracciati. E questo le aveva dato molta calma. Era capitato qualche volta che restassero così, con l’enorme figura di Steve tutta raggomitolata contro di lei. Di solito era nelle giornate no. Quelle che entrambi avevano e che cercavano di evitare. Quelle giornate in cui all’improvviso qualcosa non andava e non sapevano più come funzionare correttamente.

“Solo alla missionaria e solo per procreare. Hai fornicato troppo in questi anni. Effettivamente non so neppure se tu sia una candidata ideale per una brava moglie.” Steve aveva alzato un po’ la testa per guardarla. La guardava in modo serio e adorava la sua poker face quando era sarcastico.

“Oh, quindi niente più sveltine in giro per casa? E in macchina? Devi ammettere che è stato divertente quella volta in macchina.”

“Happy non riusciva a guardarci in faccia quando siamo scesi. E per fortuna che avevamo alzato il divisorio.”

“Oh, ti ho rovinato, Steven. Eri così dolce e puro quando ti ho conosciuto.”

Steve aveva fatto una smorfia e aveva appoggiato nuovamente la testa sul suo seno. Era rimasto in silenzio per qualche istante.

“Non sono stato dolce e puro nemmeno allora. Mi sei piaciuta dal primo momento in cui ti ho vista.”

“Oh no, siamo a questo tipo di confessioni? Quindi ora io devo ribattere dicendo che ho avuto una cotta per te probabilmente dal momento in cui sono uscita dall’utero di mia madre?”

“Puoi essere meno pittoresca?”

Natasha aveva ridacchiato al tono stressato del compagno e per un istante aveva dimenticato tutto il nervosismo che aveva avuto in corpo fino a quel momento.

“Steve, perché nonostante questo non possiamo funzionare?”

“Mancanza di comunicazione. Finiamo per non parlare delle cose importanti fino a quando le cose non ci sfuggono di mano. E questo non va bene.”

“Ammetto la mia parte di colpa, ma lo S.H.I.E.L.D.?” Aveva sbuffato, passando di nuovo le dita tra i capelli di Steve. “Non dirmi che c’è una telecamera di sicurezza anche in questa stanza?”

“Ce ne sono due in realtà. E’ così in tutte le stanze dell’ala medica.”

“Quindi ora avranno un video in cui Steve “Captain America” Rogers se ne sta tutto raggomitatolo contro la donna più chiacchierata degli Stati Uniti? Non so se questo faccia bene alla tua immagine.”

“Non mi importa di quello che possono dire gli altri, sono solo felice che tu sia ancora viva.”

Questa volta era lei quella senza parole e questo le capitava raramente. Era famosa per parlare in continuazione e a vanvera solo per riempire i silenzi. Li odiava. Erano oppressivi e non le piacevano. E ora non sapeva cosa dire.

Non si era mai messa ad osservare la situazione dal punto di vista di Steve. Steve che aveva perso sua madre e Bucky, che non aveva mai potuto vivere completamente la sua relazione con Peggy, che aveva perso troppe persone quando aveva deciso di sacrificarsi per salvarli tutti. Lo stesso Steve che aveva rischiato di perdere lei così tante volte in così poco tempo.

Era stata egoista. Lo era stata davvero e se ne rendeva conto. Forse questa era la cosa peggiore. Aveva pensato soltanto a sé stessa. A come stesse e si sentisse lei. Non aveva pensato a Steve. Non aveva pensato neppure a Pepper, Rhodey o Happy. Non seriamente almeno.

“Non ho mai voluto morire, solo che mi ero arresa.”

“Questo mi ha spaventato. Tu non ti arrendi mai.”

Aveva sospirato e aveva guardato il soffitto. Non c’erano soluzioni. Non ne trovava. Non ne vedeva neanche una. In quel momento stava bene, ma quanto sarebbe durato?

“Potevano essere a Las Vegas…”

“Non è colpa mia.”

“Avremmo potuto smettere col sesso prematrimoniale…”

“Neanche questo è colpa mia e non sono nemmeno sicuro che tu volessi davvero sposarti.”

“Sarebbe potuta iniziare la nostra nuova vita fatta di sesso schifoso e noioso da sposati.”

“Non credo sarebbe molto diverso da quello che facciamo di solito.”

“Facciamo sesso noioso?”

“Tasha, ti prego.”

“La prossima volta ci saranno anche gli anelli. E accetto anche la chiesa e il ricevimento. Però voglio uno vestito da Elvis che canta “Love me tender”.”

Steve aveva riso contro il suo petto e anche lei aveva sorriso, sentendosi momentaneamente più tranquilla.

 

✭✮✭

 

Aveva guardato male l’uomo che la stava aspettando in terrazzo. L’aveva accompagnata a casa e le aveva permesso di farsi una doccia, ordinandoglielo come se fosse uno dei suoi soldatini.

E stranamente lei aveva obbedito.

Quella mattina si era svegliata di nuovo nel letto d’ospedale, nell’ala medica dello S.H.I.E.L.D.. Si era svegliata con Steve Rogers ancora aggrappato a lei come se potesse scomparire tra le sue dita da un momento all’altro. Ed era solo riuscita a stringerlo di più a sé. Steve le era sembrato così fragile in quel momento, e questo le aveva fatto male. Solo di fronte a lei Steve si permetteva di lasciar cadere la maschera del soldato forgiato dalla guerra e diventava un comune essere umano, con tutti i pregi e difetti.

Un agente che non aveva mai visto prima gli aveva portato la colazione. Avevano mangiato quasi completamente in silenzio mentre guardavano il telegiornale. Parlavano ancora ovviamente di lei, ma non ne era affatto stupita. E subito dopo colazione, Steve era sparito.

Nick Fury era entrato nella stanza, le aveva detto di prepararsi velocemente e che sarebbero tornati a Malibu. Aveva desiderato spararsi con la pistola che Fury portava alla cintura, ma in modo reclutante aveva obbedito. Come aveva fatto quando erano tornati a casa. In sua assenza la casa era stata pulita e non sembrava affatto ci fosse stata una festa solo due giorni prima.

“Siediti.”

“Perché dovrei obbedirti? Siamo a casa mia ora, e tu non sei il mio capo. Obbedisco solo a Steve e solo in determinati momenti.”

“Non mi interessa cosa fai con Rogers. Siediti.” L’aveva guardata e poi aveva sospirato. “Mi spieghi che cazzo ti è preso in questi ultimi mesi? Hai nominato Virginia Potts come amministratore delegato. Hai costruito un’armatura per il colonnello Rhodes. Hai reso Steve Rogers il tuo erede per qualsiasi cosa e lui nemmeno lo sa. Mi spieghi a che cazzo di gioco stai giocando?”

“Che cosa vuoi da me, Nick? Stavo morendo, prendilo come una scusa.” Si era seduta e aveva sospirato. Doveva ammettere che dopo una notte di sonno e una bella doccia si sentiva come rinata, come se domenica sera non fosse mai successa.

“Che cosa voglio da te? Voglio che metti la testa a posto e inizi a ragionare un attimo come si deve. Sei diventata un problema bello grosso per me e per quanto ci sia abituato non sei il centro del mio mondo, Natasha. Ho guai ben più grossi nel sud-ovest adesso e non ho tempo di pensare a te e alle tue idee cretine.”

“Oddio, parli come papà adesso.” Si era messa comoda sulla sedia prendendo in mano la tazza di caffè che Fury aveva messo sul tavolo. Era stupita dalla libertà che Fury si prendeva sempre con lei.

“Ti conosco da quando sei nata, praticamente. Potrei avere qualche punto debole nei tuoi confronti, quindi non voglio che tu muoia.”

“Nick, ti prego. Ho passato il giorno del mio compleanno in un lettino d’ospedale alzandomi solo una volta per andare in bagno. Risparmiami la predica almeno su questo.” Aveva bevuto un sorso di caffè e aveva guardato l’oceano. Si sentiva in modo molto simile a come si era sentita quando era tornata a casa dall’Afghanistan. Anche quella volta aveva guardato l’oceano non appena era tornata a casa. “Ho davvero provato ogni elemento conosciuto, ogni combinazione e permutazione di esso. Puoi chiedere a Steve o a J.A.R.V.I.S.. J ha in memoria ogni esperimento che abbiamo fatto fino a questo momento. Credo che anche la tua bella spia possa confermare. Non riesco a trovare qualcosa che funzioni.”

“Forse non hai provato tutto. Quella cosa che in mezzo al torace è basata su una tecnologia incompleta.”

“E’ completa.” Lo aveva interrotto subito non permettendogli di aggiungere altro. “Non era molto efficace prima che decidessi di miniaturizzarlo, ma era completa. Se ben ricordi riusciva a fornire energia per tutto lo stabilimento di Los Angeles.”

“No, Howard disse che il reattore arc era un trampolino per qualcosa di più grande. Disse che se il reattore arc fosse stato sviluppato a dovere, la sua potenza avrebbe potuto superare un reattore nucleare, che a confronto sarebbe potuto essere paragonabile ad una batteria ricaricabile.”

“Howard da solo o con Vanko?” Questa volta lo aveva guardato. Se tirava in mezzo Howard voleva dire che Fury sapeva qualcosa che a lei era ancora sconosciuto.

“Vanko in questo caso rappresenta l’altra faccia della medaglia. Per lui il reattore serviva solo per arricchirsi e quando tuo padre lo scoprì lo fece arrestare e deportare. Il resto te l’ho raccontato.”

Lo aveva guardato male e Fury sembrava calmo e perfettamente a suo agio. In quel preciso istante voleva solo buttarlo fuori da casa propria e ranicchiarsi addosso a Steve. Ma non poteva fare nessuna delle due cose e Steve era stato bloccato al lavoro. Era sicura che Fury lo avesse fatto apposta, perché non avrebbe mai accettato un passaggio a casa da lui e poi di parlargli. Si sarebbe sicuramente nascosta da qualche parte e avrebbe lasciato a Steve il compito di occuparsi di Fury.

“Hai detto che non le ho provate tutte. Spiegati e non parlarmi a indovinelli.”

“Tuo padre disse che tu eri l’unica persona in grado di risolvere il problema del reattore. Lui era limitato dalla tecnologia del suo tempo, ma quando tu hai costruito quel tuo robot, Howard disse che tu potevi farcela a portare il reattore dove voleva lui. Eri l’unica persona con le conoscenze adatte per concludere il suo progetto.”

“Davvero Howard avrebbe detto una cosa simile?” Aveva parlato dopo un attimo di silenzio in cui aveva permesso alle parole di Fury di sedimentarsi bene.

“Sì, per quanto a te possa sembrare strano, lo ha detto.” L’uomo l’aveva guardata e poi aveva sorseggiato un po’ di caffè a sua volta. Sembrava il modo in cui Jarvis l’aveva guardata un migliaio di volte quando discutevano di Howard. Come se loro tutti sapessero qualcosa che a lei era ignoto sull’uomo che le aveva dato metà del suo dna.

“Non so come ti procuri le informazioni, ma lui non era un mio grande fan.” Si era alzata dalla poltrona e si era avvicinata alla ringhiera. Non voleva parlare di Howard. Era sempre stata brava ad evitare quel tipo di conversazioni, soprattutto quando si facevano troppo personali. Era abituata alle persone che parlavano di suo padre, e anche a quelli che cercavano di fare paragoni tra di loro. Howard era comunque stato una specie di eroe. Aveva aiutato con il progetto Rebirth. Aveva progettato e migliorato gli armamenti durante varie guerre in cui gli Stati Uniti erano stati impegnati.

“Tasha, che ricordo hai di tuo padre?” La voce di Fury le era sembrata così distante, ma nonostante questo sembrava fin troppo amichevole. Non era abituata a queste conversazioni con uomini potenti. Si parlava solo di affari di solito.

“Era freddo e calcolatore. Non so neanche se mi abbia mai detto che mi volesse bene. Non so neanche se effettivamente me ne volesse. Era sempre impegnato, sempre via per affari. Non gli interessava mai quello che facevo. Quindi capisci che mi risulta un po’ difficile crederti che lui abbia davvero detto ad altri che il futuro dipende da me. Stai parlando di Howard! Il giorno più bello della sua vita è stato quando mi ha spedita in collegio a 6 anni!” Si era voltata e appoggiata alla ringhiera. Fury era ancora tranquillo e imperturbabile. Ma lei non lo era. Parlare di Howard la metteva sempre in agitazione, come se fosse ancora una ragazzina che aveva paura del giudizio di quell’uomo. E il giudizio di Howard non era mai positivo.

“Questo non è vero.”

“Oh, non è vero? Vedo che lo conosci meglio di quanto lo conoscessi io!”

“In effetti credo di sì, se questa è la tua opinione di lui. Howard era un genio, e questo è indiscutibile. Ma poi sei nata tu.” Fury l’aveva guardata negli occhi e aveva sospirato appoggiando la tazza sul tavolino. “Hai dimostrato la tua intelligenza subito. A un anno parlavi due lingue senza problemi e Ana Jarvis ti insegnava l’ungherese. A 3 anni conoscevi già fin troppo bene la matematica. E a 4 cosa hai fatto? Hai costruito un circuito elettrico.”

“C’era Howard con me. Non ho fatto tutto da sola.”

“Sì, c’era Howard con te. Non sono uno psicologo, ma non credi che per lui fosse in qualche modo difficile rapportarsi con te? La gente ancora oggi ha difficoltà a rapportarsi con te perché il tuo cervello funziona in modo differente dal nostro, credo. Non so, sono quasi tentato di farti studiare perché a volte credo che tu non sia umana.”

Sapeva che lo aveva detto per alleggerire la situazione, ma non era riuscita a trattenere una smorfia.

“Per Howard contava solo la sua reputazione, Nick!”

“Perché tu non facevi altri che cercare di contrastarlo. Ora, io so che era solo il tuo modo di attirare la sua attenzione, ma posso assicurarti che tu avevi sempre l’attenzione di Howard. Solo non sapeva come dimostrarlo. Dimmi un po’, quante volte ti hanno ripetuto che quello che facevi non era un lavoro per una ragazzina? Eppure lui ti faceva correggere tutti i progetti quando eri ancora alle medie.”

“Me lo ripetono anche ora. Prova a venire ad una riunione dei soci. Mi trattano come se avessi ancora 13 anni e stessi presentando il mio primo progetto per le Stark Industries. E papà era sempre impegnato, sempre distante. Più crescevo e meno lui mi sopportava. Era facile portarsi in giro una bambina che lo guardava come se lui fosse un eroe! Cavolo, era intelligente, potente, e conosceva Capitan America di persona! Portarsi dietro una adolescente che sapeva il fatto suo non era più divertente, vero? I suoi amici, i suoi soci, mi hanno sempre trattata tutti come se per me fosse facile. Avevo Howard per padre. Molti dei miei successi erano suoi, no?” Aveva morso il labbro prima di parlare ancora. Stava dicendo troppo. Tutto quello che non aveva mai detto a nessuno lo stava spifferando allo S.H.I.E.L.D. ed la cosa più stupida che potesse fare. “Se per lui non era facile avere me per figlia, per me non è stato facile avere lui per padre. Ancora adesso non è facile liberarsi della sua presenza ed è morto da 6 anni. Tutti fanno paragoni e Howard ispirava più fiducia di me.”

“Non ho intenzione di dirti che non è così. Sai meglio di me quanto la tua posizione non sia presa seriamente per l’età e il sesso.” Si era alzato anche Fury e le si era avvicinato. “Il fatto che tu abbia deciso di essere una vigilante poi rende la situazione ancora più problematica sia per me che per te. E non so per quanto ancora riuscirò a tenere Stern lontano da te. Lui vuole vederti distrutta e farà tutto ciò che è in suo potere per farlo. Non sono d’accordo che tu abbia costruito un’armatura per Rhodes, ma per una volta hai usato il cervello in modo giusto. Anche se Hammer ci ha messo le mani sopra.”

“Cosa?”

“Sono venuti a prendere l’armatura ieri. Dovresti rivedere i tuoi protocolli di sicurezza. Rhodes è entrato e l’ha portata alla sua base e a quest’ora probabilmente stanno incontrando Hammer per gli armamenti da aggiungere. Potrebbero addirittura usare War Machine alla presentazione che Hammer dovrà fare alla Stark Expo.”

“Ci sarà mai una sola volta in cui mi darai una buona notizia quando ci incontriamo?”

“No. Crediamo che Vanko sia arrivato negli Stati Uniti. Per questo motivo la Romanoff continuerà a lavorare per le Stark Industries che tu lo voglia o no. Tu non uscire di casa, considerati in punizione fino a quando non avrai trovato una soluzione per il tuo cuore.”

“Wow, come sei simpatico.” Lo aveva guardato male e poi lo aveva guardato anche peggio quando aveva visto due gorilla vestiti di nero entrare in casa portando con loro una cassa di metallo. “Ehi, perché Agente è qui?”

“Mi ha mandato il Capitano, signorina Stark.” Phil Coulson era entrato subito dopo i due uomini, assieme a Natasha Romanoff. La spia era in borghese, vestita come si era presentata ogni giorno al lavoro. “Resterò con lei fino a quando lui non sarà di ritorno.”

“Dove lo hai spedito?” Si era voltata subito verso Fury.

“New York. L’ho mandato a controllare la situazione alla Expo.” L’uomo aveva guardato invece l’orologio, allontanandosi di qualche passo. “Tra poco ho una riunione e devo andare, ma ricordati che ti tengo sempre d’occhio.”

“Giusto, ho 5 anni e ho bisogno che Coulson mi faccia da babysitter.” Gli aveva dato le spalle e voleva solo buttarli tutti fuori di casa. Sì, aveva sbagliato e si era messa da sola in quella situazione. Avrebbe dovuto chiedere aiuto. Sapeva di avere sempre le spalle coperte se proprio ne avesse avuto bisogno, ma era troppo orgogliosa per farlo. Aveva imparato a fare sempre tutto contando solo su sé stessa.

“Natasha.” Fury aveva aspettato che lei si voltasse verso di lui e aveva parlato solo allora. “Tuo padre era molto orgoglioso della donna che stavi diventando. E lo sono anch’io.”

 
   
 
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