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Autore: Kiji    01/02/2018    1 recensioni
Cosa fareste se la persona che avete sempre amato e che vi fa più soffrire, è proprio la più vicina a voi? Sono un ragazzo come tutti gli altri, eppure mi sono innamorato del mio migliore amico. Ed è proprio questo il problema. A complicare tutto arriverà un giovano sconosciuto che, spudoratamente è pronto a stravolgermi la vita... Un bacio è come un fiore, nasce dal nulla e può diventare la cosa più bella che hai mai visto in vita tua!
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-Quindi, fammi capire. Tu abiti in questa casa tutto solo?! – Sam era diverso dalla prima impressione che ebbi di lui. In apparenza mi era sembrato molto arrogante e sicuro di sé, ma piano piano quella patina di sale, stava iniziando a sgretolarsi.
– Mia madre torna a trovarmi per il mio compleanno, per il resto sono tutto solo. Questa casa è un dono di mio padre, anche se con lui è molto più difficile vederci. Credo di averlo incontrato abitualmente solo fino ai miei 10 anni, poi è stato un susseguirsi di telefonate e bigliettini imbarazzanti in cui si scusava di non essere presente alle occasioni più importanti della mia vita. Ogni tanto organizziamo un incontro, ma quasi sempre di breve durata e con pochi scambi di saluti reciproci. In realtà ho perso la sua stima quando gli ho confessato di non nutrire alcuna ambizione nel rilevare parte della sua azienda. Non ho interesse ad un lavoro facile. – La mia famiglia era un disastro, ma la sua era anche peggio. Mi avvicinai a lui, ma si spostò di colpo. Non voleva farsi avvicinare, come un cucciolo impaurito.
– Non farlo! Non darmi quel calore se poi me lo negherai. – Lui appariva turbato, ma più di questo, ero io ad esserlo.
– Coco, sai dall’inizio cosa provo per te, perché sei qui adesso? Voglio averti nella mia vita, ma devo sapere che ruolo posso avere, altrimenti rischio di impazzire. – Aveva totalmente ragione. Ero sempre stato io ad allontanarlo.
Quanto deve aver sofferto porgendomi la mano? Quando mi aspettava ogni giorno tornare dal lavoro, quando si imponeva nella mia vita, forse avrei dovuto ascoltarlo.
– Sam, voglio che diventiamo amici. Il sentimento che provo per Al è forte e persistente. Io lo amo davvero, non ho il minimo dubbio, ma so anche che c’è qualcosa che mi spinge a cercarti. Forse penserai che sono egoista e mi sta anche bene, hai tutte le ragioni di crederlo, ma dammi la possibilità di conoscerti. – Lui sbuffò. Esausto dal mio accanimento e sorrise nuovamente.
– Va bene. E’ da quando ho capito di amarti che so di non poter conquistare il tuo cuore. Vada per “solo amici”. – Mi porse la sua mano con sicurezza e decisione. Il ragazzo timido ed impacciato che inizialmente mi aveva accolto in casa, era diventato un uomo. Quella parte infantile che tendeva ad allontanarmi, adesso aveva messo pace dentro di lui.
– Vieni, ci sono delle stanze vuote al piano di sopra, puoi sistemarti lì. – Presi quella piccola borsa che portavo con me e lo seguii. Da dietro, il suo contorno era nitido e puro. Aveva l’aria matura, più di me, ma dentro era mille volte più fragile.
Non avevo idea di cosa portasse nel cuore, ma presto lo avrei scoperto, mi ripetevo. Con Al era semplice, ci conoscevamo da tempo. Non c’era bisogno di parole tra noi, perché tutto era stato già detto, con Sam no. Ci eravamo incontrati una volta ed anche dopo, il nostro stare insieme era stato quasi un inganno. Di noi due c’era troppo da raccontare, forse ancora più di quello che credevo.
– Questa stanza è la più luminosa, credo che ti troverai bene. – Quando entrai, fui accecato dalla luce. Una meravigliosa finestra si affacciava sulla strada, con il sole che, per nulla intimidito, illuminava ogni cosa. Il senso di colpa che avevo per essermi insinuato così forzatamente in quella casa, era del tutto sparito di fronte a quella vita.
– Ti piace? – Disse Sam dopo il mio stupore iniziale.
– Certo che mi piace, ma sei sicuro che posso restare? – Lui entrò senza indugi e posò una chiave nel comodino.
– Non dire sciocchezze. Sono sempre solo ed averti in giro sarà divertente. Questa è una chiave di casa, tienila. – La sua totale fiducia in me mi lasciava di stucco.
– Ora ti lascio ambientare, fai come se fossi a casa tua. – Uscì dalla porta ma non prima che dicessi quell’unica risposta che potevo dargli: -grazie.- Ero davvero sincero. La stanza era molto semplice, senza fronzoli o artifici.
Il letto a baldacchino, una piccola scrivania in legno con qualche decoro floreale ed un grande armadio antico. Le pareti bianche erano adornate con pochi ma coloratissimi quadri astratti che rendeva la luce ancora più scintillante. Presi il telefono e composi l’unico numero che ricordavo perfettamente a memoria. Non avevo idea se lui volesse parlarmi o no, ma credevo che sentire la sua voce, fosse l’unico modo per non dimenticarlo.
– Pensavo non mi chiamassi più. – Al aveva una voce cupa e bassa.
– Ho aspettato anche troppo. – Risposi. Il silenzio divampò tra noi. Possibile che le cose fossero così diverse?
– Come va a Milano? – Al si prese un po’ di tempo per rispondere. Il che mi fece un po’ riflettere.
– Meravigliosamente. E’ pieno di belle persone. – C’era qualcosa di strano. Quella voce che sussurrava al telefono era diversa dal solito. Non indagai, né mi chiedi ulteriormente il perché.
– Tu invece? Come va con Sam? – Quella freccia infilzò il mio cuore.
– Tori mi odia, sai? Non so cosa gli sia preso, ma è scappato via di casa intimandomi di stare lontano da Leonardo. Ero solo Al ed ho avuto paura. Ho chiesto a Sam se posso stare un po’ da lui, ho bisogno di un conforto e tu mi manchi. Perché non torni? – Al non disse nulla per un po’. Seduto sul letto aspettavo un minimo segno che mi facesse intuire le sue intenzioni. Avrei tanto voluto vederlo, capire cosa pensasse, ma i suoi occhi erano troppo lontani dai miei.
– Se lo facessi cosa cambierebbe? Tu saresti ancora in bilico tra me ed il resto del mondo. Coco io so che tu mi ami, ma non so fino a che punto. Questo spetta a te stabilirlo. Tornerò, te lo giuro, ma prima cerca di capire cosa vuole davvero il tuo cuore. – Ci salutammo con l’amaro in bocca. Non era una novità, né mi stupii di ciò che aveva appena detto, ma la promessa di sentirci ogni giorni mi dava una speranza in più.
Volevo tutto e forse anche troppo, ma non riuscivo a rinunciare. Sistemai velocemente i miei vestiti in camera e mi preparai ad uscire. Per arrivare al lavoro dovevo prendere la metropolitana, avevo bisogno di tempo. Quando scesi giù trovai Sam in cucina, con due tazze di cioccolato fumante sul tavolo ad aspettarmi.
– Non sapevo se avessi già fatto colazione, così ti preparato una cioccolata. Bhè in effetti non so neanche se ti piace o no, ma…. Dai a chi non piace la cioccolata? – Io scoppiai a ridere. Era così buffo con quell’espressione, così tremendamente infantile.
– Hai ragione. – Convenni con lui e mi sedetti al suo fianco.
– Ambra mi ha detto che stai continuando a lavorare in azienda. Non voglio che mi ripaghi il debito Coco. Tu non lo sai ma in passato hai fatto molto per me, quei soldi non sono nulla a confronto. – Sam beveva la cioccolata mentre parlava. Si sporcò le labbra e mi sorrise senza rendersene conto. I suoi lineamenti semplici mi riportarono alla mente quel bambino seduto al parco.
Come avevo fatto a dimenticarlo per tanto tempo?! O forse non era così, semplicemente non ero riuscito ad associarlo al suo viso indurito dal tempo. Il fatto di averlo incontrato nuovamente al parco, sdraiato dietro un albero al nostro primo incontro, non sembrava più una coincidenza.
– Sai, mi piace lavorare lì. Mi sento più a mio agio del primo stage ed inoltre Kyle è molto efficiente nel lavoro. Mi trovo bene. – Il volto di Sam divenne per un breve momento più scuro e cupo.
- Scusa. Mi sono comportato come uno stupido all’inizio. E’ che volevo piacerti e nei libri l’uomo forte e un po’ stronzo, conquista sempre le donne. Quando ho capito che ti stavo allontanando ho provato a rimediare, ma era tardi. – Non riuscii a trattenermi, scoppiai in una fragorosa risata.
– Io non sono una donna Sam. Non hai bisogno di essere stronzo per fare colpo su di me. In ogni caso ora vado altrimenti non arriverò più. – Feci per alzarmi ed anche lui mi imitò.
– Ho la macchina stupido, ti accompagno io a lavoro. Inoltre devo passare in ospedale per una visita, quindi mi viene di passaggio. – Quella complicità, quel calore, iniziava a diventare parte di me. Insieme uscimmo di casa, salimmo in macchina e partimmo verso il centro di Roma.
Mi sentii bene, a mio agio. Anche senza parlare molto, anche se in altre occasioni o con altre persone forse ci sarebbe stato dei sentimenti contrastanti, con lui era diverso. Mi lasciò proprio dove, qualche settimana prima Ambra aveva già fatto ed io lo salutai con un sorriso.
Mi voltai e intrapresi quella strada come tutti i giorni, ma con più serenità. L’aver chiarito con Sam, mi aveva dato una pace interiore molto forte. Quel giorno non ricordo cosa ci occupammo a lavoro, ma fui più brillante del solito. Kyle mi chiese cosa avessi, ma non risposi. Mi sentivo bene con me stesso e questo si rifletteva probabilmente anche sulla concentrazione e sul mio modus operandi. Uscimmo che era già buio, non c’era foschia né troppo freddo.
Era una bella serata  e per la prima volta iniziai a pensare che vivere a Roma mi stava davvero piacendo. Trovai un messaggio vocale di Sam, lasciato distrattamente mentre lavoravo.
“ So che è la prima sera, ma purtroppo tornerò tardi. Non preoccuparti cercherò di arrivare per le 21.:00. La cena è pronta, aspettami se puoi.” Sorrisi nel pensare che finalmente, dopo tanto tempo, avrei di nuovo cenato con qualcuno.
Nel dormitorio era difficile essere tutti insieme. Ognuno di noi aveva la propria vita e non ci occupavamo degli altri. Vivevamo gli impegni con leggerezza e spesso non parlavamo per giorni,
troppo occupati. Cenare insieme, sorridere e completare l’uno il vuoto dell’altro.
Forse non era proprio amicizia la nostra, ma allora cos’era? Presi la metro e esci alla solita fermata. La strada era breve per arrivare a casa, così mi godei la passeggiata. Era rilassante e terapeutica. Quando giunsi di fronte il portone presi la chiave che mi aveva dato ed entrai. Era tutto buio dentro, ma c’era ugualmente un buon profumo.
Posai il giaccone ed iniziai ad esplorare la casa. L’abitazione era molto semplice, con pochi mobili ma arredata con gusto. Non sapevo se fosse stato Sam a sceglierli o se si fosse solo ritrovato dentro, ma mi piaceva.
L’ingresso non era molto ampio, con un piccolo scaffale per posare le scarpe ed un grande specchio stile vittoriano. Da lì ci si spostava nel salone un po’ retrò, con un divano a tre posti color caffè e tavolino in legno massiccio a cui era abbinata una piccola libreria sempre dello stesso stile. Mi accorsi subito che non c’era la TV, ma in fin dei conti neanche io seguivo molto i programmi, quindi non importava un granché. La cucina, sempre a pian terreno, era costituita da poche ante ed un angolo cottura adibito ad una persona. Tutta l’intera cosa trasudava solitudine. Era come se suo padre, quasi per punizione, lo avesse confinato lì, ricordandogli ogni singolo momento, che lui non aveva nessuno.
Il sotto non aveva altro, così, in preda alla curiosità, salii al piano di sopra. Le scale erano in cotto, rifinite con marmo rosso, molto d’effetto. Quando arrivai all’ultimo gradino vidi il piccolo corridoio in cui ero passato già prima con quattro distinte porte. La più vicina alle scale portava alla mia stanza, quella che Sam mi aveva concesso.
Le altre tre erano ancora un’incognita per me. Posai la mano sulla prima maniglia, quella successiva alla mia camera e aprii la porta scorgendo una seconda camera degli ospiti, più cupa e seria della mia. Molto semplice e modesta, sembrava più adatta ad un lavoratore che occasionalmente passa di lì. Intuii che fosse stata adibita a suo padre e ciò mi incuriosì.
Dall’aspetto e dalla perfezione nei mobili, sembrava quasi che nessuno ci fosse mai entrato e forse era proprio in quel modo. Di fronte c’era un’altra porta così mi spostai in quella direzione ed entrai. La stanza che mi si presentò di fronte, era sicuramente quella di Sam. Lo intuii perché, oltre il letto e l’armadio, vi erano alcuni apparecchi medici che sicuramente servivano in caso di bisogno. Era sterile, poco personale e distaccata.
Intuii che lui, sebbene ci vivesse, non vi aveva mai messo nulla di suo dentro. Che genere di persona era davvero Sam? La mia attenzione, però, si concentrò su una piccola busta all’ingresso della stanza. Non era tanto curiosità la mia, ma quella scrittura che aveva tanto di noto ai miei occhi.
C’era scritto: Destinatario Samuele Berga.
Una piccola scritta anonima che però diceva tanto. Io sapevo di chi fosse, ma dentro speravo di sbagliarmi. Non dovevo, ma la presi. Fu in quel momento che sentii aprirsi la porta.
– Coco, sei a casa? – La voce di Sam era squillante ed allegra, così infilai la busta nella mia stanza e scesi correndo sotto, trascurando quel piccolo particolare. Sebbene volessi sapere, non era il momento adatto.  
– Bentornato. – Gli dissi ed insieme entrammo in cucina. – Scusa il ritardo, ho incontrato una persona e si è fatto più tardi del previsto. – Sembrava impacciato, ma evitai di chiedere oltre.
– Com’è andata la visita? – Chiesi sperando di alleggerire l’atmosfera.
– Sempre malato, ma stabile. – Lui riscaldò le pietanze mentre io apparecchiai la tavola. Sembravamo una famiglia, ma non avevo ancora capito di che genere. Durante la cena parlammo del più e del meno, senza soffermarci troppo in un argomento preciso. Lui mi disse qualcosa in più sulla sua vita, su sua madre che si era risposata quando aveva 15 anni e che da allora la vedeva sempre più raramente, su suo padre invisibile e su Leonardo, l’unico membro effettivo della famiglia che gli dava appoggio.
Io dalla mia parte raccontai di mia madre, del suo riuscire a capirmi sempre, anche quando non me lo meritavo e di Al.
Quanto parlai di Al! In fin dei conti era lui il mio passato. Le mie insicurezze ed il mio intento di non causargli alcun male. Sam sembrava a suo agio. Anche se stavo parlando di un altro uomo che amavo dal profondo, a lui non faceva alcun effetto.
Perché?
Non ci eravamo neanche accorti che, dalla semplice cena, si era già fatta ora di dormire. Erano quasi mezzanotte e noi stavamo ancora coi piatti di fronte a raccontarci della nostra vita.
– Si sta facendo tardi. – Disse e così iniziammo a preparare per la notte. Salimmo ed io, col cuore in gola, mi chiusi immediatamente in camera con un semplice “buonanotte” incartato a fatica.
Il pensiero che lui dormisse così vicino a me, mi faceva uno strano effetto. Non era stato così per Al, non avevo provato quelle sensazioni quando avevamo fatto sesso. Non c’era stato quel tepore alle guance, quel sentimento crescente che sembrava volermi esplodere dentro.
– Buonanotte Coco, ci vediamo domani. – Il suo viso mentre diceva quelle parole, benché amichevole, mi apparì decisamente fin troppo sensuale. Quando richiusi la porta mi strinsi il petto con il pugno, dovevo calmarmi. Entrai in bagno che comunicava con la mia stanza, e mi sciacquai il viso.
“Respira” mi ripetevo. Quando i battiti del cuore tornarono stabili mi avvicinai al letto e vidi nuovamente quella busta. Un tarlo iniziò a divorarmi la mente. Dovevo leggerla, eppure mi sembrava fuori luogo.
“Devo fidarmi di lui.” Commentava una parte di me, mentre l’altra anelava unicamente di scoprire perché le mie mani fremevano. Presi la lettera e la aprii leggermente ma mi fermai di colpo.
No! Non dovevo.
Così, armato di buone intenzioni, aprii la porta e, a passi falcati, giunsi di fronte la sua stanza e bussai con vigore. Lui mi aveva accolto in casa, mi stava donando tutto per rendermi felice, non potevo dubitare. Quando Sam aprì la porta era a petto nudo. La sua pelle era rosea e delicata, il suo petto fresco ed impostato. Iniziai a sentire caldo e distolsi lo sguardo per concentrarmi maggiormente su di lui.
– Che succede? Hai bisogno di qualcosa? – Disse prima di accorgersi di quella busta. Il suo sguardo cambiò ed io capii. Non avevo immaginato nulla, né potevo più ignorarlo.
Quella scrittura era di mio padre.
– L’hai trovata! Non che sia un segreto, ma volevo dirti tutto un po’ più lentamente. Entra. – Mi fece passare ed io mi accomodai sul suo letto. L’odore penetrante del suo corpo era intenso e inebriante.
– Tu conosci mio padre? – Le mie parole furono fulminee e tristi. Pensavo di non avere più nulla a che fare con lui, ma il ricordo delle sue attenzioni, mi destabilizzarono. Ci aveva lasciati e soprattutto aveva omesso un grosso debito con persone poco raccomandabili. Non sapevo se volevo davvero riaverlo nella mia vita, ma decisamente avrei desiderato una sua spiegazione.
– E’ successo qualche anno fa. Lo incontrai casualmente mentre mi recavo nell’ufficio di mio padre, a Londra. Non so il perché si trovasse lì, ma lo riconobbi subito. Lo avevo visto spesso con te da bambino, così non mi fu difficile capire di chi si trattasse. Lui entrò nello studio di mio padre e restò dentro molto tempo. Non mi fu permesso di assistere, ma sentii la sua voce supplicare aiuto. Quel giorno non andai all’incontro, ma fermai tuo padre affermando di essere un tuo amico. Lui mi raccontò che aveva chiesto un aiuto finanziario a causa del debito che aveva contratto, ma che non gli fu concesso. Era disperato ed aveva paura che voi foste coinvolti. A quel tempo non avevo la possibilità, ma lo rassicurai. Avrei trovato un modo per non esporti al pericolo. Stavo prendendo accordi con quegli schifosi per ripagare tutto ratealmente con alcune quote che ho in società, ma non hanno accettato. Volevano recuperare i loro soldi più velocemente e…. sai cos’è successo. Per questo ho usato il fondo che avevo per metterti al sicuro. Ho preso una cattiva decisione, se avessi saldato prima non ti avrebbero mai rapito. In ogni caso ho scritto a tuo padre per informarlo che era tutto finito e lui è tornato qui Coco. Vuole incontrarti e chiederti perdono, è questo che c’è scritto e quello che mi ha confermato oggi. – Mio padre.
Come dovevo comportarmi?
Volevo davvero rivederlo?! C’era una sola risposta a quella domanda.
– Ti prego fammelo incontrare. – L’espressione dipinta sul suo viso divenne dolce ed io mi sentii mancare.
– Lo farò. – Le mie dita formicolavano.
Avevo la sensazione che se non mi fossi allontanato, qualcosa di irreparabile sarebbe successo così, in preda al panico, uscii lasciandomi solo dietro una scia di imbarazzo ed un breve saluto. Rintanato in camera presi quel piccolo foglietto, lo aprii e lessi la lettera, finalmente tranquillo di farlo.
Caro Samuele,
ti ringrazio di cuore di aver badato a mio figlio e di aver donato così tanto per risanare i miei errori. Se quel giorno non ti avessi incontrato, forse mio figlio non avrebbe un futuro adesso e te ne sono grato. Anche se ho fin troppo usufruito della tua gentilezza, ti chiedo di aiutarmi ancora una volta. Vorrei che mio figlio capisse il perché delle mie azioni, anche se ci vorrà del tempo. Sarò a Roma tra qualche giorno, spero di poterti incontrare e che tu possa recapitare per me questo messaggio a Colin.
Non riuscii a continuare, le lacrime iniziarono ad offuscarmi la vista.
Papà!
Con il cuore a pezzi, chiusi gli occhi per non vedere, annegando nel sonno la mia sofferenza.


Nota: Ciao a tutti, volevo scusarmi se per il prossimo capitolo ci vorrà qualche giorno in più ma nel fine settimana non sarò a casa. Proprio per questo ho lavorato tutto il tempo per perfezionare il prossimo capitolo e per poterlo aggiungere più velocemente. Vi ringrazio per i vostro supporto. Sto anche lavorando a qualche nuova storia, appena avrò qualcosa di concreto vi terrò aggiornate.  
  
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