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Autore: PrincessintheNorth    01/02/2018    1 recensioni
Prequel di "Family"!
Nel regno del Nord, una principessa e Cavaliere dei Draghi, Katherine, farà conoscenza di Murtagh, il Cavaliere Rosso che si è autoimposto l'esilio ...
In Family abbiamo visto il compimento della loro storia e il loro lieto fine: ma cos'è successo prima?
"-Principessa, per l’amor del cielo … - prese a implorarmi Grasvard. – Spostatevi da lì … non vi rendete conto di chi è?
-È Murtagh figlio di Morzan, ex Cavaliere del Re Nero, erede del ducato di Dras-Leona. – ringhiai. – So benissimo chi è. So anche che è un essere umano come me e come te, a meno che tu non sia un elfo sotto mentite spoglie. È un essere umano ed è vivo per miracolo. Quindi, dato che come me e come te è carne e sangue, gli presteremo le cure che necessita. Sono stata chiara abbastanza?"
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castigo, Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio, Un po' tutti | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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MURTAGH
 
 
Il mattino dopo, come da almeno cinque giorni a questa parte, mi aspettavo che la prima cosa che Katie facesse fosse correre in bagno a vomitare.
Forse portarla lì, in un clima assolutamente diverso da quello in cui era abituata a vivere, non era stata l’idea più brillante che avessi avuto nel corso della mia vita. Prima, ne era rimasta completamente estasiata, rischiando varie ed eventuali morti per avvelenamento perché “andiamo, è così bello, non succederà niente se accarezzo un pesce mortale”. Poi, aveva snobbato le creme protettive, ragion per cui ogni sera mi toccava iniziare una battaglia peggiore di quella delle Pianure Ardenti.
E adesso, continuava a vomitare, il caldo la stava logorando. Non aveva mai voglia di mangiare, se non cose ghiacciate, mandava giù litri e litri di acqua in cui ci spremeva il limone, e dormiva parecchio.
Tuttavia, alzarsi, puntualmente cadere dal letto (perché non è che, appena alzata e nemmeno completamente sveglia, fosse Lady Agilità), raggiungere il bagno e tirare fuori la cena non fu quello che fece quel mattino.
Per la verità, la prima cosa che anch’io percepii non fu il classico caldo a cui mi ero abituato.
Era un leggero frescolino, ma era impossibile che ci fosse freddo. Avevo scelto quel posto proprio perché era impossibile che facesse freddo.
- Murtagh … - la sentii chiamarmi.
- Cosa c’è?
- Hai già aperto gli occhi?
- No. E non ho intenzione di farlo per le prossime ore.
- Anch’io. Non voglio la conferma dei miei sospetti, in relazione a questo suono. – si lamentò.
A quel punto, lo sentii.
Lo scrosciare dell’acqua sulla cupola di vetro che costituiva il tetto della nostra camera. Fino alla notte prima, lei ne era rimasta ammaliata, perché le permetteva di vedere il cielo di notte e di scoprire tutte le stelle e costellazioni che al Nord non vedeva.
​- Katie. Prima o poi dovremo farlo. – la avvisai.
- Non m’importa. Finché non lo vedo, non è vero.
Decisi di fare la persona adulta.
Aprii gli occhi.
E mi venne da insultare qualcuno.
Per quel giorno, avevamo deciso di fare una gita sulla barca. Lei si era messa pure a cercare un incantesimo per evitare che vomitassi sulla sua splendida (dato che sembrava amare più quel pezzo di legno che me) imbarcazione.
Da una parte, era meglio così: niente barca, niente vomito. Ma dall’altra … povera Katie. Per giorni, da quando ci eravamo messi a costruire quella barca, era stata supereccitata dall’idea di usarla per esplorare.
E ora vedeva la sua speranza sfumare all’orizzonte.
-  Allora? – tentò lei.
-Prima li apri, prima ti incazzi e prima ti calmi.
Finalmente, si decise ad aprirli.
La sua reazione non fu quella che mi aspettavo.
Credevo si sarebbe messa a piangere, urlare e avrebbe, magari, rotto qualcosa.
Invece no.
Sgranò gli occhi, mettendosi le mani nei capelli disordinati, sconvolta.
- LA BARCA! – strillò. – La barca è fuori!
A quel punto, ci precipitammo giù.
Anche se non amavo particolarmente quella barca, ci avevo lavorato anche io.
E col cavolo che avrei permesso che uno stupido temporale rovinasse il mio lavoro.
Ci mettemmo pochissimo a prendere la barca e trascinarla nella rimessa che le avevamo fatto.
Ma fu abbastanza perché finissimo bagnati fradici.
Il passaggio da dentro a fuori casa era stato tremendo. Dal fresco che c’era in casa, eravamo passati al gelo, al vento fortissimo e alla pioggia mista a grandine.
Una volta rientrati in casa, al sicuro dalle intemperie, ci fu un momento estremamente imbarazzante in cui ci guardammo.
Io di sicuro non ero al top della mia forma, ma nemmeno lei era poi così bella, con i capelli appiccicati alla faccia e tutta fradicia.
L’attimo dopo, scoppiammo entrambi a ridere a crepapelle.
 
 
 
 
 
Il pomeriggio fu ben diverso.
Se Katherine non vomitò puntualmente alle sette e mezzo del mattino, lo fece dopo la colazione, sebbene si fosse mantenuta leggera, mangiando solo qualche cubetto di un frutto locale di cui si era innamorata, l’avocado.
Dopo quella nausea, non riuscì a riprendersi. A pranzo, per paura di star male di nuovo e anche perché non aveva fame, non mangiò niente, e dormì per buona parte del pomeriggio, svegliandosi solo per andare a vomitare.
- Non è il caso di tornare a casa? – commentai, a cena.
- Perché?
- Stai male da quasi una settimana, Katie. Si tratterebbe solamente di anticipare il rientro di qualche giorno, e di farti stare meglio.
Scosse la testa. – Non sto poi così male.
- Non stai poi così male? – replicai, scettico. – Hai vomitato per tutto il pomeriggio, non riesci a mangiare … senti, siamo qui per stare bene entrambi, se tu non stai bene, e non stai bene, che senso ha stare qui?
- Non ho voglia di tornare a casa … - mormorò. – Qui sto bene, è solo … beh, non lo so cos’è. Dovrò abituarmi al caldo, suppongo.
- Katie, siamo qui da tre settimane. Sei abituata al caldo, ormai. Se il tuo malessere fosse dovuto al clima, si sarebbe presentato i primi giorni, non certo quindici giorni dopo.
- Dammi tempo. – sospirò. – In questi giorni dovrebbe arrivarmi il ciclo, probabilmente è per questo. Al massimo andiamo da un medico non appena il tempo si mette al bello, ma non vedo perché dovremmo finire prima le vacanze se questo problema si può risolvere …
- Perché stai male.
- E se poi stessi bene? – fece.
- Katherine. Possiamo anche andare dal medico, se vuoi, ma non toglie che tra cinque giorni dovremo partire per tornare a casa, perché ci sono cose da fare. Non cambierebbe niente, perché le cure mediche prendono qualche giorno per iniziare a fare effetto. Staresti male per i prossimi giorni, amore. Possiamo tornare qui quando ci pare, non c’è nessun contratto che ci obblighi a restare qui.
Annuì fra sé e sé. – è che … mi dispiacerebbe farla finire prima solo per questo … - sospirò.
- A parte che non finirebbe qui, c’è tutto il viaggio di ritorno, con tutte le varie tappe. – le ricordai, con una voluta malizia che la fece prima diventare un pomodoro, e poi le fece scuotere la testa. – Ma è meglio cercare di star meglio o passare il viaggio di nozze a vomitare?
Annuì di nuovo, con suo dispiacere capendo che facevo anche dei ragionamenti sensati.
- Andremo a casa prima solo se la cura del medico non produrrà gli effetti sperati prima della fine della vacanza. – contrattò. – In caso contrario, voglio godermi ogni singolo giorno.
Avevo già ottenuto parecchio. Meglio accettare.
- Andata.
 
Andammo dal medico due giorni dopo.
Lei era entusiasta, sicura del fatto che l’avrebbe aiutata a stare meglio. E io non ero da meno, dato che la sua guarigione era nella mia lista di priorità. Non ce la facevo più a vederla così sbattuta.
Ci dirigemmo subito verso il palazzo dei duchi. Katherine aveva cercato di farmi desistere, dicendo che non aveva bisogno di tutti quegli agi, ma su quel punto non mi ero lasciato convincere. Era mia moglie, oltre che una principessa e una duchessa. Era il mio tutto, e aveva un problema.
Doveva essere curata dal migliore, e se quel medico era finito a lavorare per i duchi Swindon, dei meriti doveva pur averli.
Tuttavia, riuscii a convincere Lady Delia, la duchessa, a non organizzare pranzi di ricevimento o entrate in pompa magna. Già Katie non voleva andare a palazzo, figurarsi essere ricevuta con tutti gli onori.
Sarebbe stata una cosa veloce. Una visita, un “perfetto, lei è la salute fatta persona, Altezza Reale”, e la mia Katherine sarebbe tornata la ragazza raggiante che da qualche giorno non vedevo.
A condurci nello studio del medico fu la sua assistente, e la prima impressione che ebbi di quell’ambiente fu piuttosto positiva.
Non che Jasper fosse un medico da strapazzo, anzi, era il migliore del Nord, ma quello studio ispirava … non lo so, forse trasparenza. Le pareti erano intonacate di bianco, un letto per i pazienti era addossato al muro e gli altri arredi erano pochi ed essenziali.
Bravura, ecco. Ecco cosa mi ispirava quell’ambiente. L’idea che quel medico non avesse bisogno di particolari alchimie o strumenti per far stare meglio le persone.
Avevo fatto bene a portare Katie lì.
- Buongiorno!
Un tizio di circa cinquant’anni, piuttosto alto e magro, ci venne incontro.
Nel vederlo, l’idea che fosse un medico bravo si rafforzò.
- Buongiorno.
- Signori …
- Kirk. – risposi.
- E il paziente sarebbe …
Katherine alzò la mano, un’espressione leggermente colpevole in volto.
- Ah, buongiorno, signorina … il suo nome, prego?
- Katherine Shepherd.
Nel sentire il suo cognome, il medico impallidì.
- Shepherd come … quegli Shepherd? La famiglia reale del Nord?
- Sì … mi dispiace se la visita è inattesa, ma …
- Non provi a scusarsi. – le fece. – Non ci provi nemmeno. Semmai sono io a doverlo fare, Altezza, non esiste che una principessa vada dal dottore. Semmai il contrario.
- Katherine è sufficiente … - mormorò sedendosi sul letto.
- Dottor Smith, signorina Katherine, per servirla. Allora. Mi dica che succede.
Lei deglutì, preoccupata. – è da qualche giorno che … non mi sento bene. Continuo a vomitare al mattino, e ogni tanto ho mal di testa. Non mi viene neanche molta voglia di mangiare, e le garantisco che non è normale che io non voglia mangiare …
Il medico annuì lentamente. – Sarà il caso di fare un controllo completo, allora. Ma prima mi servirebbe che mi dicesse se per caso ha già delle malattie.
- No, non particolarmente.
- Il suo fisico ha subito eventi traumatici gravi nell’ultimo anno?
-  Non li definirei traumatici …
- Aspetta. – la interruppi. – Costole e ossa rotte, perforazione di un polmone, quella ferita alla gamba …
Lei annuì tra sé e sé. – Sì, potrebbero essere traumi gravi. – considerò.
- Direi di sì, signorina. – ridacchiò il medico.
- Inoltre, non è che abbia la costituzione migliore del mondo. – disse. – Mi capita di prendere la febbre, o di non sentirmi sempre in forma.
- Capisco …
Iniziò a visitarla, controllando le cicatrici delle ferite, ascoltandole il cuore e il respiro e facendole fare cose strane, come toccarsi il naso con le dita, ad occhi chiusi.
Ci volle mezz’ora, ma alla fine il verdetto fu positivo. O così credevo.
- Signorina, lei sta bene. L’unica spiegazione che potrei dare al suo malessere è una gravidanza, ma non è possibile.
In un attimo, la sua espressione felice crollò.
Così come le mie speranze.
Durante la visita, mi era venuto quel tarlo.
Lei vomitava così quando avevamo scoperto di George … poteva aspettare un altro bambino …
- Cosa? – sussurrò, quasi senza voce.
- Durante l’esame … ho trovato le tracce inequivocabili di un aborto spontaneo. Purtroppo, signorina … questo evento ha danneggiato in modo serio l’utero e le ovaie, pregiudicando in modo irreversibile le possibilità di una gravidanza.
Non avremmo mai avuto un bambino.
Ecco cosa stava dicendo.
- Ma … ma ho avuto le mestruazioni … - sussurrò.
Potevo leggere, chiaro come il sole, sul suo viso, lo smarrimento che provava.
Doveva aver sperato anche lei.
- Questo mese le ha avute?
- No …
- In alcuni casi, la perdita di un bambino può avere effetti che si palesano solo in futuro, come la perdita di fertilità …
Per un po’, nella stanza scese un silenzio di tomba.
Katie era distrutta, io non ero da meno, il medico a metà tra il dispiaciuto e l’imbarazzato.
- Ne è sicuro? – fu tutto ciò che riuscii a dire.
Lui mandò giù, poi annuì. – Purtroppo, sì. La Principessa Katherine non sarà mai in grado di darvi un erede …
 Un erede? Aveva appena detto che io e Katie non avremmo potuto avere dei bambini e mi parlava di eredità?!
Di fronte al mio silenzio, che preferivo mantenere perché, se l’avessi rotto, avrei potuto passare ben più di una notte in cella, si sentì persino autorizzato a proseguire, come se Katherine non fosse lì, come se lei non contasse niente e non sentisse.
- Tuttavia potrete sempre averne da amanti fertili, sicuramente il re legittimerà i bambini …
Questo no.
Stavolta un pugno, che lo mandò a terra, non glielo tolse nessuno.
Non ebbi nemmeno voglia di rispondere ad un soggetto simile.
Aiutai Katie, che nel frattempo era rimasta immobile, incapace di proferire una sola parola, ad alzarsi, e la portai via di lì.
Per tutto il viaggio di ritorno, non parlò nemmeno una volta.
Nonostante nemmeno io fossi esattamente felice di quella notizia, sapevo che a risentirne di più era stata lei.
Da quando aveva superato la morte di George, non aveva smesso un giorno di fantasticare sui futuri bambini che avremmo avuto.
E quello stronzo le aveva appena detto “no, guarda, non ne avrai”.
Probabilmente sarebbe stato diverso se lei fosse stata più avanti con l’età.
Ma aveva diciotto anni, e a causa dell’immortalità e dell’invecchiamento estremamente rallentato di cui godeva, era intrappolata in quel corpo, in un corpo che doveva essere nella sua fase perfetta per permetterle di avere dei bambini.
Per poi sentirsi dare, indirettamente, dell’incubatrice umana, buona solo a far figli. Non può farne? Tranquillo, va a puttane che ci pensano loro. Poi ci pensa suo padre a legittimarli.
Inutili furono i miei tentativi di tirarla su, di farle almeno dire una parola. Non ci fu verso di rassicurarla, di farle capire che non m’importava particolarmente se i figli che avremmo avuto fossero stati partoriti da lei o no, che potevamo anche adottarne.
Una volta arrivati a casa, nel tardo pomeriggio, sempre senza dire una parola, si chiuse in camera.
Pianse solo quando fu certa che non la vedessi.
   
 
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