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Autore: Ksyl    01/02/2018    9 recensioni
FF che apre un varco temporale AU tra il litigio di Always e il finale di Always per come lo abbiamo sempre conosciuto. Cioè come se non fosse avvenuto.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Richard Castle
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Soooo, bentrovati/e a tutte!

È una ff ambientata in Inghilterra, in posti che amo, perché mi è venuta voglia di immergermi in questo tipo di atmosfere, humor, luoghi, parole, persone, avventure, (piogge), varie ed eventuali. Non è una ff principalmente fluffosa (termine sminuente but still), non per come è stata quella natalizia, quindi I'll be perfectly fine se non vi interesserà l'argomento, ma è la creatura che ho voglia di allevare (scrivere) adesso, toni e modi compresi. Ma ovviamente finirà bene, come tutte le mie altre storie, ché non siamo nati per soffrire. Non io, almeno :D Ah, il titolo non c'è perché verrà con il tempo o anche mai.

Grazie se mi leggerete, commenterete, ignorerete, spedirete teste di cavallo mozzate nel letto. Silvia

Quando Richard Castle uscì dal piccolo aeroporto apparentemente disperso nel nulla, nel buio pomeriggio inglese sommerso dalle brume, venne avvolto da uno spietato vento gelido proveniente da nord.
Non che avesse idee tanto precise su dove fosse dislocato il Nord in questione, mentre se ne stava in piedi, attonito e un po' confuso – decisamente esausto -, appena fuori dalle porte scorrevoli, convinto di essere giunto alla fine del mondo. Mancava giusto un cartello che segnalasse il termine della civiltà per come l'aveva sempre conosciuta e il quadro sarebbe stato completo.
Ma il freddo che penetrava implacabile attraverso diversi strati di vestiti e fin dentro nelle ossa non poteva che provenire dall'Artico, a giudicare dalla sensazione di assoluto disagio che stava sperimentando, come mai gli era successo nei più rigidi inverni di New York.

A un tratto, l'ottimismo che era suo naturale compagno di vita e che l'aveva fin lì sorretto inesorabile e gaudente, parve abbandonarlo del tutto. Forse non era stata una magnifica idea imbarcarsi in quell'avventura. Forse non sarebbe dovuto salire, pieno di belle speranze, su un volo affollato che lo aveva trascinato al di qua dell'Atlantico, con in mano solo un vago accenno a una località che a fatica era riuscito a trovare su una mappa e che ora avrebbe dovuto raggiungere sotto una pioggia che aveva iniziato a scorrere in silenzio, facendosi via via opprimente, mentre se ne stava desolato e reticente davanti all'ingresso dell'autonoleggio.

Non aveva voluto viaggiare in grande stile per non farsi notare, perché si considerava pur sempre una persona famosa. Abbastanza famosa da rendere necessario un minimo di prudenza. Aveva quindi volato in classe economica, schiacciato per tutto il tempo contro il finestrino, impegnato a interrogare divinità scontrose nel cielo plumbeo, per avere un responso incoraggiante, che non era arrivato.
A dire il vero non era arrivato nemmeno un responso che gli consigliasse di tornarsene in fretta e furia a New York, da cui era partito diverse ore prima con un clima ben più confortevole e una luce benevola. Rimpianse solo per un attimo la comodità spaziosa del suo loft e la rigogliosa sicurezza di sé che lo aveva tradito ben prima del controllo passaporti.

Alzò il bavero della giacca e si fece forza, recuperando a fatica a un po' di buonsenso. Non era arrivato fin lì soltanto per perdere coraggio, dopo essersi appellato a ogni canale lecito o illecito, nel tentativo disperato di ritrovarla.
Ammetteva di non essere mai stato sicuro che fosse una buona idea, d'accordo. Sapeva che le probabilità di successo erano tendenti all'infinito negativo. Ma i suoi sforzi, forse avventati, non avrebbero di certo potuto peggiorare quella che, ineluttabile, era la realtà delle cose. E con questa ferrea consapevolezza, mista a incoscienza, era partito.
Kate era stata sospesa dal suo incarico a tempo indeterminato, dopo che lui l'aveva abbandonata a se stessa in preda alla rabbia, messo di fronte all'ennesimo, brutale rifiuto. Così si era sentito. Così ne era stato ferito.

Aveva capito con il tempo che quella era solo una delle possibili letture dell'evento. Una lettura in cui i sentimenti respinti, calpestati – quanto avevano fatto male, lo facevano anche adesso -, avevano offuscato la saggezza imparziale della ragione, subentrata solo dopo e forse mai completamente. In quel momento era stata l'unica chiave di interpretazione di una realtà che lo aveva messo in ginocchio. Lei non lo amava.
E poi tutto era degenerato in conseguenze a catena che lo avevano preso alla sprovvista e sconvolto dentro, in quella parte di sé che gli era sempre stata estranea e che adesso conosceva a menadito.
Kate era letteralmente sparita. Non faceva più parte della polizia, era stata costretta a riconsegnare il distintivo e la pistola, gli avevano raccontato tra un caffè e l'altro, senza farsi notare dal nuovo capitano – riusciva chiaramente a percepire nella profondità del suo stomaco quanto dovesse aver odiato farlo -, e se ne era andata. Nessuno sapeva dove fosse.

Quando aveva trovato finalmente la lucidità necessaria per chiedere di lei, non avevano saputo dirgli dove si fosse trasferita. Era stato certo, allora, che non avessero voluto farglielo sapere, su precise indicazioni di Beckett – era la prima cosa che gli era venuta in mente e anche la più sensata, in fondo. Con il tempo si era ricreduto. Non sapevano dove fosse sul serio. Era stupefatto. Non credeva che potesse essere semplicemente scomparsa e che nessuno sembrasse preoccuparsene, a differenza di lui. O forse stava esagerando?
No, non stava esagerando, si ripeté, più che altro per convincersene, mentre diventava via via meno impacciato con la guida a sinistra, pur riuscendo a vedere solo a qualche metro di distanza, sperando di non finire in un fosso lungo la strada.

Beckett aveva ogni diritto di decidere di dare un calcio a quella che era stata la sua vita e, anche, da un certo punto di vista, quella di lui. Ma su quello non doveva soffermarsi. Lui aveva sbattuto la porta. Lui l'aveva lasciata.
Non che ci fossero tecnicamente state le condizioni perché si trattasse di una rottura in senso classico. Ma lui le aveva detto che l'amava, di nuovo, e lei, di nuovo, non aveva detto l'unica cosa che potesse farlo rimanere. E sì, lo sapeva che avevano vissuto un intero anno girando intorno al reciproco non detto, che si era trasformato in un mostro a più teste che non avevano saputo di sfamare e che era cresciuto incontrollabile. Alla fine li aveva divorati. Aveva la sua responsabilità in questo, sissignori. Ed era pronto ad assumersela e a fare ammenda.

Ma non si trattava di colpe. La verità si fece viva incautamente mentre affrontava la prima di una curva a gomito che rischiò di farlo finire fuori strada. Dannati viottoli di campagna. Se gli fosse successo qualcuno non avrebbe nemmeno saputo dire dove si trovasse, visto che il navigatore segnalava un punto sperduto nel nulla, mentre la pioggia allagava il parabrezza. Forse avrebbe dovuto fermarsi per la notte da qualche parte, sarebbe stato più saggio e prudente.
Non mangiava da ore, si rese conto quando il suo stomaco brontolò. Frugò nella tasca del pesante giaccone intriso di acqua, appoggiato sul sedile, finché non trovò una caramella abbandonata da chissà quanto tempo. La scartò e sperò che bastasse per placare i morsi della fame, o che almeno gli desse abbastanza energie per arrivare a destinazione.

Tornò alle sue riflessioni. Sì, Beckett aveva ogni diritto di rifarsi una vita perfino all'Equatore con una nidiata di bambini che correvano seminudi sulla spiaggia – l'idea gli strappò un involontario sorriso, il primo da diverso tempo.
Ma era stata lei a chiamarlo, dopo il loro litigio, quando un violento acquazzone si era abbattuto sulla città – la pioggia era una costante, rifletté - la sera della cerimonia del diploma di Alexis: quando lui se ne stava nella tana a leccarsi le ferite, lei lo aveva chiamato. E lui non aveva risposto. Era terribile, a ripensarci. Ingiusto, ingrato, infantile, si accusò senza misericordia.

Quell'unica volta aveva voluto mettersi in contatto con lui, che invece aveva pensato bene di continuare un'inutile guerra su chi teneva il broncio più a lungo. Non di certo lei, che aveva fatto il primo passo, ma lui aveva chiuso la comunicazione. Che cosa sperava di ottenere? Che bussasse alla sua porta? Aveva ripulito la sua casa e il computer di tracce di lei, del caso di sua madre, della loro collaborazione. E, solo quando si era sentito soddisfatto del livello di autocommiserazione e meschinità raggiunti, si era concesso un paio di bicchieri colmi di scotch. Nessuno si era fatto vivo alla sua porta e lui aveva perso l'unica occasione di parlarle. Vederla. Arrabbiarsi per la sua cocciutaggine. Farsi respingere di nuovo. Farsi canzonare per le sue teorie irrazionali. Forse per sempre.

Era stato quello l'unico motivo che lo aveva spinto a mettersi sulle sue tracce. Quella telefonata. Perché forse voleva dire qualcosa e lui intendeva scoprirlo. A quel punto l'avrebbe lasciata in pace, ma solo dopo essersi assicurato che stesse bene. E sempre che prima non gli avesse sparato, anche se non sapeva se avesse una pistola. In teoria no, ma non aveva idea di quali fossero le leggi a riguardo. Forse si sarebbe dovuto procurare anche lui un'arma, nel caso non così remoto che lei non prendesse bene il suo improvviso arrivo nel suo esilio. L'immagine gli strappò un'altra risata e d'improvviso un'ondata di benessere alleviò l'umore cupo. L'avrebbe rivista. Dopo mesi in cui si era preoccupato, angosciato, punito, chiesto mille volte che cosa dovesse fare, tornato indietro a rivivere più e più volte quella serata che aveva segnato l'inizio del suo inferno personale, finalmente l'avrebbe rivista. Naturalmente solo nel caso in cui le indicazioni che aveva ricevuto si fossero rivelate esatte, e se non si fosse trattato di un vicolo cieco, come tanti ne aveva imboccati fino ad allora.

Guidò piano attraverso le strette vie del villaggio, che non era la sua destinazione finale per quella sera, ma che era teoricamente il luogo in cui Beckett si era fermata. Nascosta, forse. Era sconcertato all'idea che lei potesse essersi trasferita in un posto del genere. Non la donna colta e desiderosa di stimoli che lui aveva conosciuto. Che cosa leggeva? Il gazzettino degli agricoltori? Partecipava ai concorsi locali su chi avesse il giardino più bello? Il latte di mucca più pregiato? Diede un'occhiata ai vari edifici, silenziosi e apparentemente ostili nella notte più fredda e solitaria che avesse mai vissuto. Non aveva smesso un istante di piovere. Provò l'irrazionale speranza di vederla rincasare, tornando da chissà dove - meglio non porsi domande che potevano avere risposte indesiderate.

Aveva deciso di alloggiare qualche miglia più avanti, per non dare nell'occhio. Non poteva presentarsi di punto in bianco da lei senza rischiare di provare una reazione catastrofica. Né voleva che il loro primo incontro avvenisse per caso nella piazza del paese, magari un giorno di mercato, senza che lui fosse pronto. Lei sarebbe stata colta certamente di sorpresa, ma lui voleva essere in possesso del controllo di se stesso e delle sue emozioni.

Diede un'ultima occhiata, senza scorgere anima viva nel gruppo di case addormentate, prima di prendere il viottolo che conduceva di nuovo in aperta campagna.

   
 
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