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Autore: lady lina 77    01/02/2018    2 recensioni
Elke abbassò lo sguardo sulla sua mano, sul suo polso che ancora Mattheus stringeva. Era un uomo a volte duro, a volte irriverente, il più delle volte strafottente, ma una cosa l'aveva colpita fin dal primo istante in cui lui aveva sfiorato la sua mano dieci giorni prima, fermandola quando stava per scoccare una freccia contro i sei arcieri del villaggio che l'avevano attaccata: il tocco di Mattheus era delicato, gentile, buono; non vi era traccia di possesso, forza o prepotenza ed era opposto al suo modo di fare tanto scontroso e cinico. Mani gentili, ma di una persona che per la maggior parte del tempo si faceva beffe del suo prossimo. Eppure, quando era serio, Mattheus sembrava quasi un'altra persona, saggia e, sotto un'apparente durezza, gentile. Scosse la testa, turbata, rendendosi conto forse per la prima volta che sarebbe stato difficile conoscere per davvero quello stregone. Sotto la sua scorza tanto dura, doveva nascondersi un mondo ben più complesso e sconfinato di quel che appariva. Spesso la prendeva in giro, ma anche in quegli istanti, se si stava bene a ragionare sulle sue parole, Mattheus non faceva che darle insegnamenti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La Vigilia di Natale aveva sempre avuto, ai suoi occhi, qualcosa di magico insito in se. Attesa, magia, contemplazione e uno strano senso di benessere che contagiava tutto e tutti. Nevicava dolcemente su Bozen da quella mattina. Grossi e morbidi fiocchi ricoprivano strade e tetti, attutendo il rumore e il vocio delle persone indaffarate a comprare leccornie per la cena e qualche pensiero per le persone amate.

Stiracchiandosi, Mattheus si sedette sul parapetto della finestra della sua lussuosa stanza, osservando il mondo al di fuori. Ormai il suo lavoro in quella città si poteva dire concluso, a parte una decina di ampolle tenute come al solito per le emergenze, non aveva altro da vendere e poteva anche tornare a casa. Lo avrebbe fatto volentieri se solo avesse trovato una carrozza che lo portasse fino alla Val Sarentino, ma in quei giorni di festa non c’era un solo cocchiere disponibile a portarlo tanto lontano.

Sospirò, incrociando le braccia al petto, indeciso se essere più annoiato o più scocciato per quella forzata permanenza a Bozen. Aveva guadagnato molto, era per quello che era venuto in città, però non era stato un viaggio piacevole e spesso si era trovato a pensare che forse avrebbe dovuto dare retta a Jutta e ai gemelli e rimanere a Pennes. Lì era fra amici, conosceva ogni singola persona del villaggio e non si sarebbe sentito solo come in quel momento. Si stupì di se stesso per questi sentimenti perché lui era stato solo per gran parte della sua vita negli ultimi anni e mai gli era capitato di avvertire il peso della solitudine come a Bozen. Eppure era così, soprattutto da tre giorni a quella parte, dopo il confronto avuto con Elke che gli aveva lasciato uno strano amaro in bocca.

Non l’aveva più vista da allora, nonostante fosse passato spesso per lavoro davanti al convento, non l’aveva più incrociata. Né lì né in piazza. Non avrebbe dovuto importagli ma in realtà non riusciva a non pensare a lei e al modo in cui si erano rapportati dopo tre anni di lontananza. La verità era che si sentiva un perfetto idiota per come si era comportato con lei e da tre giorni a quella parte, ogni volta che teneva fra le mani un'ampolla d'acqua, provava il forte desiderio di andare in quel convento a portargliela. Si era comportato come uno stupido, aveva lasciato che arroganza e orgoglio avessero la meglio sulla ragione e su quello che provava per lei. Era rimasto ferito, durante il loro incontro, dal fatto che Elke avesse timore di lui e solo a mente fredda aveva capito che quella era stata una normale reazione di una ragazza sola, costretta a dormire al gelo di una piazza, senza alcuna protezione. Era la cosa più scontata del mondo che si fosse spaventata a trovarselo davanti, non si vedevano da tre anni e si erano lasciati in malo modo, cosa poteva pretendere da lei? Il loro secondo incontro era andato anche peggio, un po’ per colpa di Elke, un po’ per colpa sua che non aveva saputo reagire con lucidità. Sarebbe bastato così poco per chiarire, per calmare gli animi, forse. Con una fitta allo stomaco pensò a quanto fosse tutto più semplice e sereno fra loro fino a tre anni prima, al modo in cui Elke si era fidata di lui e gli era stata accanto in ogni cosa che facesse, ovunque lui la trascinasse. Ora era diverso, Elke non aveva più fiducia in lui, il legame che li aveva uniti si era spezzato e sicuramente, al momento, era arrabbiata. E non poteva darle torto, pensò sospirando.

Di malavoglia si mise in piedi, fuori ormai stava imbrunendo e presto per i suoi gusti sarebbe stato troppo freddo per uscire. C’era però una cosa che doveva fare, che faceva ogni anno il pomeriggio della Vigilia di Natale.

Si mise il mantello e dopo aver dato le chiavi della stanza al locandiere si avviò verso la grande Chiesa in piazza. Era sempre stato un orso, come diceva una volta Elke, e odiava trovarsi in posti con troppa gente e chiasso e per questo da molto non andava alla Messa di mezzanotte di Natale, ma ogni anno nel pomeriggio, quando la Chiesa era ancora quasi deserta, ci si recava ad accendere tre candele. Una per suo padre, una per sua madre e una per Jakob. Era un momento intimo, di preghiera e ricordo, in cui si isolava da tutti e pensava solo a loro e a quello che rappresentavano per lui. Lo faceva ogni anno a Pennes e non c'era motivo alcuno per non farlo a Bozen.

Camminò fra la neve che gli arrivava alle caviglie, provando piacere nel sentire il rumore degli stivali che affondavano in essa. Attorno c'era un piacevole via vai di gente infagottata in mantelli e cappucci e le torce accese ai lati delle strade infondevano una strana atmosfera di calore e pace. Quella era la magia del Natale che amava più di tutto, quel senso di benessere e attesa che pervadeva l'aria e gli animi delle persone, rendendole più bendisposte verso gli altri.

Quando arrivò in Chiesa si accorse che, rispetto a Pennes, c'erano più persone che andavano e venivano per portare offerte o pregare in raccoglimento, lontani dalla folla della notte. In fondo era normale, Bozen non era Pennes, era una città e ci vivevano molte più persone. Osservò quelle donne intente a portare fiori o qualche spicciolo, i bambini che sbirciavano dalla porta il grande Presepe all'interno della Chiesa e udì l'organo che suonava accompagnato dalle voci infantili del coro che stavano probabilmente preparando i canti per la Messa di mezzanotte.

Alzò le spalle, rassegnato al fatto che non sarebbe stato solo. Entrò, ammirando i dipinti alle pareti e la maestosità dell'altare, talmente grande che avrebbe potuto ospitare, da solo, tutta la Chiesetta di Pennes. Era bello nell'insieme, ma gli parve così lontano dalla semplicità e dai veri valori del Natale, che per un attimo si sentì un po’ perso così lontano dalle sue abitudini.

Nella Chiesa c'erano una ventina di persone che andavano e venivano e c'era abbastanza penombra per rimanere in raccoglimento senza che nessuno venisse a disturbare, soprattutto nelle ultime panche. Davanti all'altare scorse un gruppo di suore che seguivano le prove del coro e che muovevano la testa a tempo con l'organo suonato da un musicista talmente improvvisato da sbagliare una nota ogni cinque. La cosa lo divertì, tanto che per un attimo si sedette a una panca, pronto a mettersi a contare il numero di errori che lo sventurato avrebbe collezionato durante una singola esecuzione. Poi l'occhio gli scivolò al lato opposto della Chiesa dove un gruppo di ragazze tutte vestite di grigio parlottava fra loro, un po’ attente ai canti e un po’ perse nel loro mondo. Gli ci volle qualche istante per realizzare che indossavano la stessa divisa di Elke, lo stesso sgualcito vestito usato dalle ragazze sotto la protezione del convento. Il cuore gli accelerò. Se loro erano lì, c'era di sicuro anche Elke, che le piacesse o no dubitava avesse voce in capitolo sui luoghi da frequentare la Vigilia di Natale. Guardò le ragazze, una ad una, riconoscendo la piccoletta che aveva visto lavorare con Elke quattro giorni prima e l'altra ragazza, quella con la figlia piccola a cui aveva dato la statuetta.

"Dove sei?".

Osservò più attentamente e infine la vide. Se ne stava in disparte, in un angolo scuro in fondo alla Chiesa, appoggiata alla parete. Non sembrava desiderosa di chiacchierare con le altre e il suo sguardo pareva perso o forse semplicemente annoiato. Non si era accorta della sua presenza e difficilmente, in quella penombra, avrebbe potuto essere diversamente. Ma per fortuna lui sì, l'aveva vista e in cuor suo sapeva di esserne contento. Chiuse gli occhi, ringraziando la buona sorte che gliel'aveva fatta rincontrare, giurando a se stesso che avrebbe cercato di rimediare ai suoi errori. A tutti quanti.

Si alzò dalla panca, ormai dimentico della musica, avvicinandosi all'altare per accendere le sue tre candele. Rimase per alcuni istanti fermo, in meditazione, pensando al sorriso di sua madre, alla pacatezza di suo padre e agli anni trascorsi insieme a Jakob. Loro non c'erano più ma in quella Chiesa c'era qualcuno che, piano piano, era stato capace con dolcezza e pazienza di guadagnarsi un posto nel suo cuore e di diventare la sua famiglia.

Guardò le tre candele accese, salutando silenziosamente le tre persone per cui ardevano. Poi fece per andarsene, quando una voce lo bloccò. "Signore, siete forestiero, vero?".

Mattheus si voltò, trovandosi davanti il Parroco di Bozen, un uomo molto anziano dai capelli radi e bianchi come la neve, magro come un chiodo e ingobbito. "Scusi?".

"Non vi ho mai visto da queste parti" – rispose l'anziano prete.

Mattheus sbuffò. Non aveva tempo da perdere accidenti! "No, vengo dalla Val Sarentino e sono quì per lavoro. So' che non è la mia Chiesa ma ecco...".

"La Chiesa è di tutti, ognuno è il benvenuto qui. Rimanete pure quanto volete signore, è un piacere avervi fra noi. Ero solo rimasto incuriosito dalla vostra espressione. Sembravate un po’ perso".

Nonostante tutto, Mattheus annuì. "Forse un po’ lo sono per davvero" – sussurrò, stupendosi di quell'ammissione.

"Siete come alla ricerca di qualcosa, vero? Questo luogo è adatto a gente come voi".

Mattheus scosse la testa. "Non sono alla ricerca di qualcosa, io so cosa voglio. E forse è tempo che vada a prenderlo".

L'anziano prete scosse la testa. "Sembrate combattuto, c'è in atto una guerra in voi". Dalla tasca della sua veste tirò fuori una piccola ampolla contenente dell'acqua che gli porse. "E' acqua sacra signore, tenetela. A volte averla può essere d'aiuto".

Mattheus sorrise, osservando la piccola ampolla. "Ah, lasciate perdere caro padre. Vi assicuro che, in fatto di acque miracolose, nessuno ne sa più di me". Si alzò dalla panca, stringendosi nel mantello. "Vi ringrazio comunque, ma quell'acqua datela a chi è più bisognoso di me, per favore. Insieme a questi". Dalla tasca dei suoi pantaloni tirò fuori un sacchettino di pelle pieno di monete che lanciò al prete. "Buona fortuna padre".

Accigliato, l'uomo annuì, osservando il sacchetto fra le sue mani. "Buona fortuna a voi, signore. E grazie per la vostra generosità".

Mattheus fece per andarsene ma il suono dell'organo lo costrinse a fermarsi. "Caro padre, se volete un consiglio, cambiate l'organista! E' uno strazio sentirlo".

Il prete sospirò. "In effetti...".

Mascherando un sorriso, Mattheus ripercorse a ritroso la navata della Chiesa. Doveva trovare Elke e parlare con lei, quella poteva essere l'ultima occasione che il fato gli offriva.

Con sgomento, si accorse che la ragazza non era più nel punto dove l'aveva vista poco prima e si maledì per il tempo perso a parlare col parroco. Si guardò attorno, cercandola fra le altre ragazze che continuavano a chiacchierare e a far finta di sentire l'organista, ma non la vide. Eppure non poteva essersene andata, dubitava gli fosse permesso sottrarsi a quel luogo che, poteva scommetterci, le suore giudicavano tanto salutare per anime perdute come quelle ragazze.

A passo svelto uscì dalla Chiesa, sperando di trovarla fuori da qualche parte a prendere magari una boccata d'aria. Ormai era buio e il piazzale della Chiesa era quasi deserto, in attesa di ripopolarsi per la Messa di mezzanotte.

Si strinse nel mantello per ripararsi dal freddo pungente mentre morbidi fiocchi di neve gli solleticavano il viso. Si guardò intorno e infine la vide. Se ne stava seduta sull'ultimo gradino della scalinata, sola, intenta a fare una specie di pupazzo di neve . Pareva assorta in chissà quali pensieri e completamente catturata da quello che le sue mani facevano, affondate in quel gelido strato bianco. I suoi capelli erano chiusi in una coda bassa, poco curata e non indossava che l'abito logoro usato dalle altre ragazze nella sua stessa condizione. Si chiese se avesse freddo e perché rimanesse lì fuori da sola quando poteva stare dentro con le sue amiche, al caldo. A piccoli passi, con la neve che attutiva il rumore, scese uno ad uno gli scalini, arrivando alle sue spalle. Così vicino a lei, per un attimo gli parve tanto fragile e indifesa da rischiare di spezzarsi da un momento all'altro. "Ti ammalerai, se rimani quì fuori al freddo" – sussurrò infine.

Nonostante l'avesse presa di sorpresa, la ragazza non ebbe reazioni particolari. Si voltò verso di lui, accigliata, poi dopo un attimo si rivoltò e riprese a giocare con la neve.

Decise di non farsi intimidire da quella reazione tanto fredda. Elke probabilmente ce l'aveva a morte con lui e ne aveva mille buone ragioni. E per una volta, la prima in vita sua, doveva essere lui a chinare il capo e a fare il primo passo, senza che orgoglio e rabbia avessero la meglio. "Posso stare qui un attimo con te?".

"Con tutti i posti che ci sono..." - rispose, vaga.

Nonostante tutto, gli venne da sorridere a quelle parole. Si affiancò a lei, sedendosi accanto sul gradino. Elke si voltò, tirandogli un'occhiataccia seccata. Ma non si fece intimorire nemmeno in quel caso. "Che vuoi farci, sono un tipo dispettoso".

"Fa come ti pare".

"Che ci fai qui fuori? Non passerai dei guai se ti allontani?".

Sul viso di Elke comparve un sorriso freddo e distante. "Può darsi, ma mi stava venendo la nausea a star lì dentro ad ascoltare tutte quelle dannatissime canzoni che parlano d'amore e di pace e ho deciso che avevo bisogno di aria per non vomitare".

"Elke?". Mattheus si accigliò. Era strana, stranissima quella sera... Non era da lei parlare a quel modo e non gli appartenevano nemmeno quella freddezza e quel tono così distaccato. Stentava a riconoscerla. "In fondo non sono canzoni stupide se le si sa ascoltare, capire e se si riesce a trarne insegnamento. Alcuni ci riescono".

Elke sorrise di nuovo, mentre il suo sguardo si perdeva nella piazza. "Davvero? Strano sai, di solito la gente entra in Chiesa, sta ad ascoltare canzoni e parole sull'amore e sulla fratellanza, finge di crederci e poi una volta usciti, una volta varcata la porta, comincia a far male a chiunque gli capiti a tiro, a chiunque non giudicano degno di loro. Ma se tu credi a tutte le stupidaggini che dicono là dentro Mattheus, entra e restaci in Chiesa. E lascia in pace me!".

Mattheus sussultò. Elke aveva variato il tono di voce che si era fatto più alto ed acuto. Se qualcuno l'avesse sentita dire cose del genere, avrebbe passato dei grossi guai. Ricordava bene lo schiaffo che la suora le aveva dato pochi giorni prima davanti al convento, quando aveva coperto la fuga della sua amica con la figlia. E se quella suora si fosse trovata nei paraggi e l'avesse sentita pronunciare quelle parole, l'avrebbe riempita nuovamente di sberle senza pensarci su due volte. "Smettila, non dovresti dire cose del genere, cose a cui nemmeno credi".

"Dovresti rientrarci davvero in Chiesa, Mattheus" – proseguì lei, in tono monocorde, senza scomporsi.

"E invece resterò qua a capire cosa ti passa per la testa".

"Come vuoi" – rispose Elke, liquidandolo con un'alzata di spalle. "A tuo rischio e pericolo...".

"Che rischi starei correndo, scusa?".

A quella domanda, finalmente, Elke si voltò verso di lui. E solo in quell'istante si accorse di quanto il suo viso apparisse pallido e sofferente. "Stai qui, seduto accanto alla figlia del diavolo, in una città con mille occhi. Se la gente ti vede, penserà che sei amico del maligno e nessuno vorrà più concludere affari con te. E non credo che rischieresti i tuoi guadagni solo per fare dispetto a me".

"Elke, che cosa stai dicendo? Sei impazzita?".

La ragazza affondò ancora di più le mani nella neve, stringendola fra e dita. "Io sono la figlia del diavolo e ora chiamerò mio padre per bruciare tutto e tutti. E la gente ti vedrà qui con me e penserà che sei mio amico".

Mattheus spalancò gli occhi davanti a quelle parole senza senso. C'era qualcosa di oscuro che le annebbiava il cuore e l'anima e non era solo rabbia nei suoi confronti, Elke straparlava, non pienamente cosciente delle sue parole e delle sue azioni. La osservò meglio: i suoi occhi erano opachi, spenti e persi e sembravano non percepire appieno la realtà che la circondava, le sue parole erano deliranti e prive di logica ed era talmente pallida da sembrare un fantasma. Guardò le sue mani, ancora affondate nel gelo della neve, a modellare chissà cosa. Con un gesto veloce e deciso le afferrò il polso per costringerla a smettere. "Ora basta, ti congelerai!".

A quel gesto, finalmente Elke ebbe una reazione. Con uno strattone allontanò la sua mano e poi gli piantò addosso due occhi talmente pieni di rabbia che per un attimo ne fu intimorito. "Non mettermi le mani addosso".

"Elke!".

"Non mi devi toccare. Nessuno mi deve toccare".

Al diavolo, non lo avrebbe fatto, non l'avrebbe ascoltata per tutto l'oro del mondo. Era terribilmente preoccupato per lei, quella che aveva davanti non era la sua Elke e si rifiutava di credere che fosse tanto cambiata nel giro di pochi giorni. Cosa le prendeva, cosa le passava per la testa? "Ho detto di finirla!". Allungò il braccio, prendendole nuovamente la mano e costringendola ad allontanarsi dalla neve.

Elke strinse i denti, impallidendo. "Lasciami, mi stai facendo male".

"Cosa?". Fu allora che se ne accorse. La sua mano, che ricordava dalla pelle liscia e candida, era violacea e percorsa da un fitto reticolato di abrasioni ed escoriazioni, non c'era un solo lembo di pelle che non fosse martoriato. "Che diavolo...?". Si alzò in piedi, costringendola a fare altrettanto. "Cosa ti sei fatta?". Come un fulmine capì. Non era rabbia quella che l'aveva cambiata così tanto ma dolore fisico, che leggeva in ogni sua parola ed espressione. "Elke?". Fece per bloccarla sfiorandole la schiena e la ragazza chiuse gli occhi per una fitta di dolore. Il fiato gli si fermò in gola davanti a quella reazione.

Il suo sguardo si incupì e, dopo averle lasciato la mano si spostò di lato, osservandole la schiena. Non poteva vedere molto, solo la scollatura del colletto gli permetteva di vedere un lembo di pelle del collo, ridotto come le mani, pieno di tagli e lacerazioni infette. Era qualcosa di talmente terribile che gli si contorse lo stomaco. Qualcuno, per qualche assurdo motivo, l'aveva torturata e frustata forte, molto forte. Come da bambina, quando suo padre l'aveva massacrata a suon di cinghiate in una notte di Natale. Quell'esperienza Elke non l'aveva mai davvero superata e ora che l'aveva rivissuta non aveva idea di quali cicatrici avesse lasciato nel suo animo. "Chi ti ha fatto una cosa del genere?" - sussurrò, sfiorandole la nuca e stringendola a se. Le accarezzò i capelli e stranamente Elke non fece obiezioni, abbandonandosi contro di lui a peso morto, sfinita. Le diede un bacio sulla fronte e si accorse che era bollente. Le ferite dovevano essersi infettate ed Elke aveva la febbre altissima, sembrava andare a fuoco. Per la prima volta da quando l'aveva conosciuta ebbe paura per lei, per la sua salute, paura di perderla davvero e per sempre. "Elke, sta tranquilla, ora risolveremo tutto. Starai bene". L'avrebbe curata. E poi avrebbe ucciso chi le aveva fatto tanto male.

Col viso chino, tanto che era impossibile capire se stesse piangendo, Elke gli strinse la stoffa del mantello. "Mattheus, tu sei ancora uno stregone, vero? E sai fare tutto?".

Non capiva il perché di quella domanda ma decise di assecondarla. Aveva la febbre alta, straparlava per il dolore e difficilmente avrebbe potuto sostenere con lei un dialogo sensato. L'unica cosa che poteva fare in quel momento per lei era cercare di assecondarla e tranquillizzarla. "Più o meno".

"E allora fammi sparire. Non voglio più esistere".

A Mattheus si strinse il cuore, dolorosamente, a quelle parole. Le sfiorò i capelli, accarezzandoli piano, con una dolcezza di cui non si sarebbe mai creduto capace. Gli atteggiamenti disfattisti di chi si piange addosso lo irritavano da sempre ma non in quel caso. Elke era la persona più solare, dolce e pulita che avesse mai incontrato e per arrivare a quelle parole doveva esserle stato fatto molto male. L'avevano spezzata, distrutta e quei segni sul suo corpo erano lì a testimoniarlo inequivocabilmente. Non si stava auto commiserando, desiderava davvero sparire. Forse lui, nei suoi panni e con le medesime esperienze, lo avrebbe desiderato prima, non avrebbe retto così a lungo. Ma nonostante questo non glielo avrebbe permesso. "Se sparisci, io cosa faccio poi? Dove la trovo un'altra assistente brava come te?" - le sussurrò all'orecchio.

"Ti prego".

"No, mi dispiace".

Elke alzò lo sguardo. I suoi occhi erano opachi e persi e la sua fronte era madida di sudore, a dispetto della neve e del freddo che li avvolgevano. "Sei un bugiardo. Mi avevi detto che mi avresti protetta sempre".

Mattheus chinò lo sguardo, vinto dai sensi di colpa. Era vero, le aveva fatto mille promesse e non ne aveva mantenuta una, aveva lasciato che il suo passato e i suoi rancori avessero la meglio, allontanandola da lui. E poi aveva permesso all'orgoglio di impedirgli di cercarla, di chiederle scusa e di riportarla a casa, al sicuro. "Mi dispiace" – sussurrò.

"Elke! Dannata strega, cosa stai facendo con quell'uomo?".

Una voce sgradevole, irosa e piena di risentimento li raggiunse, facendo sussultare entrambi. Mattheus avvertì il corpo di Elke tremare e si voltò, trovandosi davanti la suora che pochi giorni prima aveva visto prendere a schiaffi Elke. Li guardava dall'alto della scalinata, appena fuori il portone della Chiesa. La sua faccia era rossa d'ira e sembrava sul punto di scoppiare. Strinse Elke a se per impedirle di scostarsi da lui, deciso a proteggerla. Sul serio questa volta.

La suora scese uno scalino, poi un altro ancora, lentamente, stringendo convulsamente le mani. "Signore, mi dispiace, quella è una creatura del demonio. Sta tentando di sedurvi col suo fascino oscuro, scostatevi da lei e mettetevi in salvo. Le ho tentate tutte con lei per riportarla sulla retta via, ma resiste". Guardò Elke, piena di risentimento e rabbia. "Nemmeno le frustate dell'altro giorno sono servite, vero Elke? Nonostante questo ci ritenti, fuggi da una Chiesa e seduci un uomo davanti all'entrata della casa di Dio. Che tu sia maledetta".

A quelle parole Mattheus si scostò di colpo da Elke. Non aveva mai provato tanta rabbia e odio verso una persona come li stava provando in quel momento. Alzò il mento della ragazza, delicatamente, costringendola a guardarlo in viso. "E' stata lei a frustarti? Elke, rispondimi!".

Gli occhi di Elke si inumidirono ed annuì con un impercettibile cenno del capo.

"Io la uccido!".

"Mattheus, no...".

Non ci vide più dalla rabbia ed Elke non avrebbe potuto fermarlo in nessun modo. Quella dannata donna aveva osato torturare, ferire ed umiliare la persona più dolce e gentile che quelle montagne avessero mai visto nascere sulle loro vallate e lui gliel'avrebbe fatta pagare. A grandi falcate salì le scale della Chiesa, avventandosi contro l'anziana suora che, presa alla sprovvista, non riuscì ad indietreggiare. La prese per il bavero, attirandola a se, viso a viso. "Elke non è né una creatura del demonio né una strega, ve l'assicuro. Ma io invece sono uno stregone, conosco la magia e so usarla a mio piacimento. Ne volete una dimostrazione? E dopo che ve l'avrò data, frusterete anche me? Avrete lo stesso coraggio davanti ad una persona che ha i mezzi per difendersi?". Senza aspettare una risposta alzò la mano puntandola verso il soffitto del colonnato e richiamò a se l'energia del vento, del gelo, del ghiaccio e della neve. Sentiva scorrere nelle sue vene una furia che non aveva provato nemmeno davanti al corpo inerte di Jakob, dopo che era stato colpito a morte dal demonio. Nubi di fumo gelido scaturirono dalle sue dita e grosse stalattiti di ghiaccio si formarono sul soffitto del colonnato, sulle loro teste, crescendo e puntando dritte con le punte verso il volto della suora.

"Mattheus, ti prego!".

La voce di Elke, alle sue spalle, gli apparì terrorizzata e suo malgrado dovette fermarsi, per lei. Si arrese, abbandonando i suoi propositi. Voleva davvero uccidere quella suora, ma ora Elke era la sua priorità, doveva fare in modo che stesse bene ed eventualmente rimandare la vendetta a un secondo momento, se era quello che lei voleva. Strinse i pugni e poi rilasciò le dita lentamente, bloccando le stallatiti di ghiaccio pochi istanti prima che bucassero il collo della donna. La prese per il colletto, di nuovo, avvicinando ancora di più il viso al suo. "Solo un gesto, una parola fuori posto contro Elke o qualsiasi altra ragazza che alloggia da voi e sarete morta. Ricordatevelo bene la prossima volta che deciderete di metterle le mani addosso, ci metto un attimo, uno schiocco di dita a tagliarvi il collo. Qualsiasi cosa farete, io la saprò. Ci siamo capiti?".

Pallida come un cencio, la donna annuì senza trovare fiato per parlare. Indietreggiò, incespicò sui suoi passi e cadde col sedere a terra. "S... Si signore".

"Bene. E ora da brava, tornate in Chiesa ad ascoltare le vostre canzoni e lasciate in pace Elke" – disse, in tono gelido, non togliendole gli occhi di dosso.

La suora annuì goffamente, si rialzò e poi corse dentro la Chiesa come gli era stato ordinato. E nel piazzale tornò il silenzio.

Mattheus corse da Elke che, esausta, si era appoggiata ad una delle colonne della Chiesa. "Tutto bene?".

La ragazza alzò lo sguardo su di lui, poi con sua grande sorpresa scoppiò a ridere. "Mi ucciderà per questo! Ma averla vista tanto spaventata ne varrà la pena".

Avrebbe dovuto sentirsi sollevato dal vederla ridere ma non lo era. Non era una risata felice, allegra, quella di Elke, quanto una reazione spropositata dettata da uno stato psicologico gravemente alterato. Non era in se in quel momento e sentì che doveva portarla via da lì il prima possibile. "Cerca di stare tranquilla, per favore. Dobbiamo andarcene da quì" – le sussurrò, accarezzandole una guancia.

Elke smise immediatamente di ridere. "Andare dove?".

"Alla mia locanda, così potrò curarti. Credi di farcela a camminare un pochino? Ti porterei in braccio ma ho paura di farti male alla schiena".

"Perché vuoi curarmi?".

Mattheus scosse la testa. Non si fidava di lui, non completamente almeno. "Come puoi chiedermelo? Non esistono perché, ti curerò perché è quello che desidero fare. Fidati di me, ti prego. Anche solo per una volta". Gli porse la mano, lei non sembrava troppo convinta ma cedette. Le loro dita si intrecciarono, come non succedeva da tanto tempo e strinse la presa, lentamente. "Andiamo?".

Elke si voltò verso l'ingresso della Chiesa dove si era rifugiata la suora che l'aveva frustata, quasi ponderasse il pericolo che correva ad allontanarsi. Ma poi annuì. "Andiamo" – sussurrò, in modo stentato.

"Vieni". Le strinse delicatamente la mano, piano per non farle male, poi fecero alcuni passi ma Elke si fermò quasi subito. Si voltò verso di lei e vide che piangeva. "Cosa c'è?" - chiese, preoccupato.

"Io... Io non posso venire e ora ti arrabbierai".

Mattheus sospirò, alzando una mano ad accarezzargli una guancia. Stava male, era poco lucida e molto vulnerabile, questo era evidente. L'unica cosa che poteva fare, al momento, era cercare di tranquillizzarla di nuovo. "Non mi arrabbierò, perché dovrei farlo? Su, sta tranquilla".

Elke scosse la testa, continuando a piangere silenziosamente. "Ma io sono stanca, non riesco a camminare. E tu ti arrabbiavi quando te lo dicevo, a Pennes. Però mi fa male dappertutto e...".

Si sentì un idiota, era talmente evidente che non poteva farcela, era a pezzi e ogni passo doveva costarle sofferenze atroci. Annuì e senza dire nulla le cinse la vita, la attirò a se e la prese in braccio. Solo in quel momento si accorse di quanto era magra e leggera. Lo era sempre stata ma non così, non da sentire le ossa sotto le sue mani. Tentò di essere il più delicato possibile per non tormentare ulteriormente la sua schiena ma non c'erano alternative. Elke non ce la faceva, non poteva farcela! "Io borbottavo con te quando ti lamentavi per niente perché sapevo che non eri poi così stanca come affermavi. Ma non è questo il caso, giusto?" - disse, strizzandole un occhio. "In fondo non è male portarti in braccio, mi fa sentire quasi un principe azzurro nobile e fiero che porta in salvo la principessa. Che ne dici, mi trovi credibile in questo ruolo?".

A dispetto di tutto, ancora incredula e con le guance segnate dalle lacrime, Elke scosse la testa e lo guardò storto. "Per niente" – borbottò.

Mattheus sorrise. Sembrava divertita e questo era un bene. "Fingerò di non aver sentito. Ma tu fammi un piacere ora, cerca di non dormire. Arrivati alla locanda devo medicarti e ho bisogno della tua collaborazione per farlo".

Elke annuì, affondando il viso nel suo petto. Mattheus sospirò, poco convinto del fatto che sarebbe riuscita a star sveglia, ma lui sapeva che se si fosse addormentata, poi non avrebbe avuto il coraggio di svegliarla. "Vuoi che ti racconti qualche barzelletta per aiutarti a stare sveglia? Sono bravissimo a raccontarle".

"No, ti prego".

"Ti ricordavo più simpatica e ironica".

Elke alzò gli occhi su di lui, lanciandogli un'occhiataccia. "Io ti ricordavo con un pessimo carattere. E mi sembri anche peggiorato".

Mattheus sostenne il suo sguardo. "Attenta, potresti cominciare ad assomigliarmi, ci sei molto vicina". In realtà, nonostante fosse una conversazione assurda e illogica, fatta unicamente per tentare di tenerla reattiva, si stava divertendo a stuzzicarla come una volta. E si sentiva sollevato dal fatto che comunque Elke non fosse totalmente inerme, ma anzi, avesse mantenuto il suo carattere combattivo. Forse non tutto era perduto

Calò il silenzio. Camminò svelto fra i vicoli, superando la piazza, diretto alla sua locanda. Spesso aveva dovuto soccorrere gente malata o ferita in passato ma mai gli era capitato di portare in braccio una ragazza bisognosa di cure. Nonostante questo non gli pesava, però. Elke era leggerissima, tanto che la sua mente non riusciva a smettere di interrogarsi incessantemente su quanto fosse denutrita. L'avrebbe curata e poi l'avrebbe costretta a mangiare, questo era certo! "Oggi hai pranzato?".

Da Elke non venne nessuna risposta.

Mattheus abbassò lo sguardo, accorgendosi che dormiva. O aveva perso i sensi, era difficile stabilirlo. Con un sospiro si arrese all'idea di dover fare tutto da solo, senza la sua collaborazione. Ma forse era meglio così, per lei, avrebbe sofferto meno. Abbassò il mento per sfiorarle la fronte ed era ancora più calda di prima. La strinse a se e Elke, nell'incoscienza, prese fra le mani la stoffa del suo mantello. Il suo respiro era affannato e il suo corpo era percorso da brividi di freddo dovuti alla febbre. Mattheus accelerò il suo passo, superando a grandi falcate la piazza e immettendosi nella via dove alloggiava.

Giunse alla locanda mentre il campanile rintoccava le sette di sera. Bozen era avvolta dal buio e la neve che cadeva sempre più insistente attutiva ogni rumore.

Appena entrato andò dal locandiere per prendere la chiave della sua stanza.

L'uomo lo osservò accigliato, poi spalancò gli occhi per la sorpresa, appena ebbe visto Elke. "Signore, quella ragazza..." - biascicò, indicandola – "E' albina".

"Lo so, non sono cieco" – rispose, seccato. Se quella sera qualcuno avesse osato dire qualcosa di offensivo su Elke, l'avrebbe ucciso in qualche modo molto doloroso. "Oltre al colore dei suoi capelli, vi siete accorto anche che è ferita ed è bisognosa di cure?".

"Signore, non potete tenere quella ragazza qui, è il male".

Mattheus piantò gli occhi su di lui, uno sguardo talmente gelido e tagliente che il locandiere, un omino basso mezza tacca e dalla corporatura tozza, fu costretto ad indietreggiare. "L'unico male che aleggia qui è quello che vi faranno i miei pugni se non la smetterete di dire sciocchezze. Questa ragazza è mia ospite, pagherò di persona le spese per la sua permanenza e PRETENDO venga trattata con ogni cortesia e rispetto. Chiaro?".

Il locandiere deglutì. "Certo signore".

"Bene". Mattheus prese la chiave della sua camera e poi vi si precipitò, con Elke fra le braccia. Chiusa la porta, la adagiò sul letto delicatamente, a pancia all'ingiù, senza che la ragazza desse alcun segno di volersi svegliare.

Accese il camino per scaldare l'ambiente, prese le ampolle dell'acqua del lago che aveva tenuto di scorta e le appoggiò sul comodino accanto al letto. Per prima cosa doveva curarle le ferite e poi cercare di farle bere dell'acqua magica per farle scendere la febbre. Deglutì, sentendosi stupidamente in imbarazzo. Aveva curato spesso persone gravemente ferite, togliendo loro gli abiti anche in situazioni difficili e ben più disagevoli di quella che stava vivendo in quel momento, eppure ora era diverso, era Elke che doveva curare, era Elke a cui doveva togliere i vestiti e Elke era la persona che desiderava più al mondo. Contro ogni logica, contro ogni suo volere, irrazionalmente era lei che desiderava avere a fianco ed era lei l'unica casa e l'unica famiglia che volesse davvero. Prese fra le mani un'ampolla, rigirandosela sul palmo della mano. Non avrebbe mai voluto usarla per Elke, odiava il fatto che fosse ferita e bisognosa di cure e avrebbe preferito essere al suo posto piuttosto che vederla in quello stato. Scosse la testa, deciso a mettere fine ai suoi pensieri. Se voleva davvero aiutarla, doveva darsi da fare

Annullò ogni pensiero nella sua mente, ogni turbamento, convincendosi a fatica che stava curando una delle tante persone qualunque con cui si imbatteva da anni. Sbottonò delicatamente i bottoni sulla schiena del vestito di Elke e poi glielo sfilò, attento a non svegliarla. E poi fece lo stesso con la sgualcita sottoveste, macchiata di sangue incrostato. "Avrei desiderato farlo in ben altre occasioni, Elke" – le sussurrò piano, stupendosi di quella frase che forse non aveva mai avuto il coraggio di formulare nemmeno a se stesso. La desiderava, non solo per farle compagnia a Pennes e per averla accanto come assistente ed apprendista, la desiderava come un uomo desidera una donna, avrebbe voluto che stesse bene, che fosse sveglia e che il tempo in quella stanza l'avessero impegnato ad amarsi su quel letto e non a curarla e a tentare di salvarla.

Ma quei pensieri dolci ed improvvisi finirono anche troppo in fretta, appena la vide davanti a se, senza abiti addosso. Gli si mozzò il fiato quando vide lo stato della sua schiena, ferita ancor peggio di quanto avesse immaginato. Profondi tagli la solcavano dall'incurvatura delle spalle e dal collo fino alla vita, un intreccio di lacerazioni e ferite che si incrociavano fra loro come una fitta ragnatela. La pelle era viola, piena di sangue rappreso e di pus e stentava a vedere delle parti sane. Si chiese come avesse fatto a sopportare la camminata con le altre ragazze e le suore fino alla Chiesa e come fosse riuscita a non urlare dal dolore. "Oh Elke...".

Aveva sempre identificato il male con la figura di Lucius, coi suoi trucchetti, con i suoi omicidi, con le sue macchinazioni, ma ora si rendeva conto che il vero male era altro, era qualcosa di informe, viscido, che corrodeva come la peste l'animo delle persone e le rendeva capaci di compiere atti atroci come quello di ferire gravemente una persona inerme e incapace di difendersi. Il vero male erano quelle ferite sul corpo di una ragazza che fin dal suo primo vagito aveva sopportato ogni sopruso e violenza senza che avesse fatto nulla per meritarselo, inferte da chi pensava di essere migliore di lei e che aveva la presunzione di ergersi a giudice. Il vero male non era Lucius, ma il modo in cui le persone permettevano al demonio di entrare in loro, di corrompere i loro animi per far del male al prossimo traendone godimento.

Guardò Elke, esanime su quel letto. Da quando l'aveva conosciuta non l'aveva mai vista piangere o piangersi addosso per la sua vita, non aveva mai mostrato le sofferenze e le cicatrici che si portava dentro ma al contrario, era sempre stata dolce e gentile, sorridente e solare. Eccetto la notte di Natale di tre anni prima, mai gli aveva mostrato il suo dolore, gli strascichi del suo passato e cosa provasse realmente. E lui, stupidamente, non se l'era nemmeno mai chiesto, troppo convinto di sapere tutto dalla vita e che bastassero un paio di battute e la sua conoscenza a risolvere tutto. Si rese conto che non aveva capito niente. Anche lui era stato presuntuoso e superficiale, arrogante e convinto di saperne più di lei. Doveva essere il suo maestro ma era stata Elke ad insegnargli tanto della vita, forse ancor più di Jakob.

Aprì un'ampolla e poi fece scivolare delicatamente sulla schiena di Elke l'acqua, tamponando con un panno pulito ogni ferita, ogni lacerazione e tutti i lividi che le coprivano la pelle. "Ti prego Jakob, fa in fretta, guariscila! Non sopporto di vederla così".


"Credi davvero che basterà la mia acqua a guarirla?".


Mattheus sussultò. Era la prima volta che sentiva così vividamente la voce di Jakob in faccende che non lo riguardavano in prima persona. Mai il suo maestro era intervenuto per parlargli di Elke e per consigliarlo sul da farsi, aveva sempre taciuto e negato consigli sul suo rapporto con la ragazza albina. Così come sul legame avuto con Jutta. "Jakob... Cosa devo fare?".


"Le sue ferite peggiori non sono quelle che vedi sul suo corpo e che stai curando con l'acqua, lo sai anche tu. Mattheus, questa ragazza è pericolosamente vicina a un punto di rottura con quello che è stata e quello che potrà essere. L'hanno spezzata, ferita talmente nel profondo che non potrà mai essere quella di prima e non basterà un po d'acqua per sistemare le cose, stavolta".


"Ti sbagli, tu non la conosci, non sai quanto sia forte".


"Quando a qualcuno si continua a ripetere che è cattivo, finirà col diventarlo per difendersi. Per quelli come lei in fondo, che differenza c'è fra essere brave persone o pessimi individui? Non cambia nulla negli occhi di chi li guarda".


"Elke è una brava persona e non cambierà, non ne sarebbe capace! Tu non la conosci ma lei è... è...".


"La ami?".


Mattheus strinse i pugni, messo di fronte a quella domanda così diretta. Guardò Elke dormire, così inconsapevole di quello che la circondava in quel momento. E nonostante fosse ferita, pallida, smunta e spettinata, gli sembrò la donna più bella che avesse mai visto e l'unica che desiderasse avere vicino. "Credo di si".


"Credi o ne sei sicuro? Perché non è un gioco, Mattheus".


"Ne sono sicuro". Lo era, davvero! E in fondo ammetterlo era più facile di quanto avesse mai pensato.


"E allora basta giocare, ragazzo! Sei un uomo, dimostralo e fai quello che devi, con lei. Forse è troppo tardi per questa ragazza, ma non avrai rimpianti, quanto meno".


Mattheus annuì. Già, era ora di smetterla di giocare e di riaprire il suo cuore e la sua vita a qualcuno, dopo che per tanti anni non aveva desiderato altro che la solitudine. Dopo la morte dei suoi genitori e di Jakob aveva deciso che non era fatto per soffrire la perdita di qualcuno e che l'unico modo per evitare che accadesse di nuovo era rimanere solo, senza legami. Suo malgrado, Elke aveva rivoluzionato tutto il suo mondo e ora non aveva altre strade da percorrere se non quelle che portavano a lei. Era stato qualcosa di irrazionale affezionarsi a lei, volerle bene, qualcosa di talmente naturale che la sua mente, le sue decisioni passate e la sua logica di pensiero erano state zittite senza rimedio. Irrazionale... In fondo non c'era definizione migliore dell'amore, pensò. Certo, rimaneva il fatto che Elke aveva mille ottime ragioni per odiarlo e probabilmente l'avrebbe rifiutato, ma doveva davvero tentare, non se lo sarebbe mai perdonato in caso contrario. "Jakob, lei ti piace?".


"Stai cercando la mia approvazione? Non deve piacere a me...".


"Rispondi!".


"No, non ti rispondo perché se la ami davvero, del mio parere non te ne faresti niente".


A quella risposta tanto tipica del suo maestro, sorrise. La voce di Jakob nella sua mente pian piano scemò, lasciandolo di nuovo da solo con Elke. Finì di medicarle la schiena, attento a non svegliarla e poi le prese le mani fra le sue, bagnandole a loro volta con l'acqua del lago. Vide le ferite richiudersi e la pelle da viola tornare gradatamente rosa e candida. Ogni segno sulla sua pelle sparì, come se non fosse mai esistito. Infine prese una calda e morbida coperta di colore rosso acceso dall'armadio, coprendola per difenderla dal freddo. Si chinò su di lei, le sollevò leggermente il viso e fece scivolare da una delle ampolle rimaste, fra le sue labbra, alcune gocce di acqua del lago.

E alla fine di tutto, esausto, si stese accanto a lei, accarezzandole i capelli piano. "Sai Elke, io mi sono sempre fidato di Jakob e delle sue parole. Ma ora no, ora voglio fidarmi di te. Non darla vinta a quelli che ti hanno fatto del male, so che puoi farlo, che sei abbastanza forte per superare tutto senza perdere te stessa. Non darla vinta a nessuno, non darla vinta a gente come me...".








  
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