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Autore: Dicorno_saddd    02/02/2018    1 recensioni
Minhyuk ha costruito la sua vita su un cumulo di menzogne.
Jooheon sarà l'unico a non credergli e a chiamarlo "bugiardo".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L'interno dell'abitazione era particolarmente freddo e sicuramente ci sarebbero voluti giorni per riportare tutte le stanze ad una temperatura abitabile. Minhyuk si preoccupò di accendere i riscaldamenti automatici cercando di stabilizzare almeno un ambiente tiepido nel piano giorno e nella camera da letto al piano superiore. Intanto disfò i suoi bagagli sistemando nuovamente il tutto al proprio posto, quella normalità che gli era mancata, ma alla quale sarebbe stato altrettanto difficile riabituarsi. Una volta ordinato tutto si preparò una cioccolata calda e si accoccolò sul divano con una spessa coperta di lana. L'ora di pranzo era già passata e lui non avvertiva ancora i morsi della fame, forse troppo preso dall'ennesimo cambiamento che stava attraversando la sua vita. Tanto assorto nei suoi pensieri che qualche minuto dopo aver appoggiato con un gesto automatico senza neppure accorgersene la tazza sul tavolino da tè, il sonno lo avvolse tra le sue spire dolci e amare, reali e illusorie, mentre le follie serpeggiano crudeli e gli incubi si protraggono in una lenta danza coi demoni, bruciando il desiderio, le speranze, la felicità. Poteva sentirlo quell'odore acre, come di carne bruciata, poteva immaginarlo l'odore dell'inferno, le anime come le sue erano così facili da rubare... Anche se odiava veder contorcersi la sua mente non poteva evitare di essere trascinato nelle profondità dell'oblio ogni volta che pensava troppo a lungo. Faceva male sapere che quello era il suo posto, che non poteva scappare, vittima della sua stessa creazione. E sapeva che avrebbe dovuto imparare a conoscere il prezzo del male e a conviverci, ma non riusciva ancora ad ammettere completamente la solitudine che lo circondava. Nessuno con cui parlare, nessuno da chiamare, nessuno per distrarsi, tutti avevano paura. Effettivamente, il diverso fa sempre paura. Ma allora perché non si era ancora arreso? Qualcosa internamente gli intimava di combattere, non per fallire, non per cadere, ma per vincere quelle illusioni che ogni volta prendevano il posto della realtà. Doveva semplicemente convincersi che la vita, quella sua misera vita, come d'altronde tutte le altre, era solo un susseguirsi di occasioni, fin quando l'anima avrebbe retto, fin quando non si sarebbe spezzata del tutto. 
«Dovrà essere pur colpa di qualcuno se sei caduto in questo baratro no?» qualcuno una volta gli aveva detto... Qualcuno che non aveva più rivisto dopo quella volta. Chissà se quel ragazzo ancora abitava lì, se era ancora così dolce e premuroso, se era cambiato, se aveva smesso di cercarlo presto... Se si ricordava ancora di lui...?

I fiori in giardino erano appassiti ormai quasi tutti. D'altronde era più di un anno che nessuno li curava. Non c'era più nemmeno l'ombra degli adorati tulipani blu di sua nonna, se non qualche stelo secco che ancora non era stato strappato via dal vento. Le uniche che ancora sopravvivevano erano delle violette selvatiche cresciute qua e là nei vasi dove i vecchi fiori, più deboli, avevano ceduto loro il posto. 
Doveva essere passato così tanto tempo da quando aveva varcato l'ultima volta i cancelli del cimitero del paese, ma, in fondo, casa sua era troppo fredda ancora e restare lì, in un posto che non faceva altro se non riportargli alla mente troppi ricordi, non sembrava affatto giusto adesso che la donna che aveva da sempre curato quella casa non c'era più. 
Si avvolse nel suo cappotto caldo e uscì in giardino strappando delicatamente i radi fiorellini violacei dai vasi fino a farne un mazzetto, stringendo gli steli in un pugno, consapevole che degli stupidi fiori non avrebbero mai comparato ciò che sua nonna aveva fatto per lui.
Niente avrebbe potuto distoglierlo da quella amara constatazione.

Ci volle una buona mezz'ora a piedi per raggiungere la sua destinazione, ma alla fine riuscì a cavarsela. Confuse molte volte scale, aiuole, sentieri e corridoi a cielo aperto, prima di trovare quello che ricordava essere lo spazio quadrangolare in cui era situata la tomba di sua nonna. Qualcosa però attirò immediatamente la sua attenzione, qualcosa che lo fece ricredere sull'aver trovato il posto giusto. c'erano dei fiori freschi vicino alla bianca lastra di marmo, più precisamente delle orchidee. Erano stati intenzionalmente sistemati nel portafiori di vetro a candela attaccato lateralmente alla lapide, probabilmente per far sì che non volassero via. Il vento sembrava così impetuoso che nulla trovava pace, era passato solo un giorno da quando Minhyuk era ritornato a Gwangju e la fredda bufera che l'aveva investito non era stata un piacevole bentornato.
Un brivido gli percorse la schiena non appena realizzò ciò a cui stava assistendo, ed era sicuro non fosse per il freddo.
Qualcuno si era preso cura di quella tomba fino a quel momento, e sicuramente non poteva essere stato il custode del cimitero, al quale determinati doveri non spettavano.
Il bianco posizionò accuratamente il mazzetto di violette nel portafiori formandone una corona attorno a quelle orchidee dalla provenienza sconosciuta. 
Sospirò pesantemente rialzandosi e scrollando via la polvere dal pantalone che si era sporcato su un ginocchio quando si era abbassato a sistemare i fiori, per poi sedersi su un gradino di pietra di fronte alla tomba.
Era calato il buio già da un po' e, se possibile, faceva ancora più freddo. Minhyuk decise che forse era ora di lasciare quel posto semplicemente perché era quasi giunto l'orario di chiusura, e restare lì a fissare il vuoto congelando non sembrava avesse proprietà rigenerative sul suo umore.
Tornando a casa ordinò del cibo d'asporto ad uno dei suoi ristoranti di fiducia e si rintanò subito sotto la coperta sul divano, piacevolmente accolto dal calore che finalmente aveva ripreso a invadere casa sua.
Dopo meno di un'ora arrivò la sua ordinazione, cenò e con la compagnia di un buon libro si mise a letto, accompagnato dal fruscio dei rami percossi dal vento all'esterno e dal rumore stridente della carta quando voltava le pagine del libro. Era una sensazione che non sperimentava da tempo e l'unica cosa che avrebbe potuto rendere più perfetta quella serata sarebbe stato solo il dolce crepitio della pioggia sui vetri e sul tetto, tuttavia era molto più che rara la pioggia in quel periodo dell'anno. Qualcosa gli sussurrava che fosse tornato tutto perfetto, lui da solo con se stesso, la sua vita scomoda e senza senso, le sue abitudine incorreggibili, il rimbombo dei propri passi quando camminava in quella casa tanto vuota quanto il suo cuore. 
Tutto incredibilmente al suo posto.
Come se le piccole avventure vissute, le persone conosciute, fossero solo un passatempo, una momentanea distrazione da quella che era e doveva essere la sua quotidianità.
Eppure... Da qualche parte della sua mente sapeva che non fosse questa la verità, c'era qualcosa che non quadrava con le scelte che il destino aveva in serbo per lui.
Il giorno dopo fu il sesto senso a prendere il sopravvento sulle scelte delle sue azioni, sentiva di dover tornare lì, in quel posto, il ricordo di quei fiori fisso nella sua mente come se fosse stato appuntato da pungenti e fastidiosi fermacarte di ferro. Le lastre di marmo si susseguivano una dopo l'altra mentre vagava in quel labirinto di aiuole smorte, un pomeriggio come un altro, nel silenzio spezzato solo dal calpestio dei suoi passi che facevano scricchiolare le rare foglie secche che si trovavano sul sentiero. Passavano nomi, date e fotografie, una di seguito all'altra, come se fossero cose così normali, senza alcun valore, fin quando non la intravide da lontano, la tomba con inciso il nome di sua nonna: Song GaHyeon. 
E non era da sola.
C'era qualcuno di fronte alla lapide, aveva le mani guantate unite davanti alla bocca impegnato in un infantile tentativo di riscaldarle, il cappello di lana calato quasi fin sopra gli occhi neppure gli permetteva di distinguere chi fosse, ma il suo cuore aveva istintivamente preso a battere più forte. Passarono pochi minuti in cui Minhyuk, immobile, non fece altro che fissare il profilo dell'uomo - che sembrava piuttosto giovane dallo stile di vestiti street casual che indossava - davanti alla tomba, ma quello neppure si era accorto della presenza del ragazzo che non gli aveva ancora scollato gli occhi di dosso. Poi, però, l'altro gli diede le spalle e si avviò verso il sentiero dal lato opposto, sparendo dalla visuale del bianco.
Doveva lasciarlo andare anche stavolta?
Forse stavolta no.
Minhyuk raggiunse il ragazzo ad ampie falcate correndo dietro di lui nel modo più silenzioso possibile, e quando fu abbastanza vicino gli afferrò un braccio con le dita intorpidite dal freddo nello stesso istante in cui l'altro si voltò per vedere chi lo avesse fermato a quel modo. 
Il bianco sorrise d'impronta, rivolgendogli uno sguardo tuttavia malinconico. «Jooheonie...» sentiva un nuovo calore svilupparsi dentro di sé, come se rivedere quel ragazzo lo avesse scosso, come se lui avesse già saputo di doverlo rincontrare, prima o poi. Il castano trasmetteva un'aura così pura e solare da riscaldare almeno un po' la sua anima affranta, nonostante le dita che stringevano quel cappotto fossero ormai diventate più pallide dei suoi capelli e le unghie così come le labbra avessero assunto una sfumatura purpurea. Era stranamente consapevole che una parte di sé voleva ritrovare Jooheon a tutti i costi, e ora che ci era riuscito, così per caso, sembrava essere tutto troppo irreale, ancora una volta. «Ti stavo cercando.» sussurrò piano faticando persino a muovere le labbra a causa del gelo. 
La nuvoletta di condensa che  fuoriuscì insieme alle sue parole si unì alla nebbia fitta che copriva gli occhi lucidi del minore, il quale sorrise di rimando:«Ti stavo aspettando.»

   
 
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