«E poi lo capisci benissimo anche tu. Quando ti capita qualcosa come quella
che è successa a noi due, è difficile che dopo tutto ti scivoli oltre. Rimanere
isolato su un pianeta alieno per un’intera notte – più o meno – finisce per
farti legare con la persona a cui è capitata la tua stessa sfortuna.»
Pianeta Ummei
Data:24
Luglio 2264
Eve raggiunse di corsa Bones e gli si inginocchiò accanto. Analizzò la
situazione, il cuore che le batteva così forte da sembrare intenzionato ad
abbandonare il suo corpo. Il medico era ancora carponi, ansimante per il
dolore. Sulla sua schiena, all’altezza della spalla, era conficcata una grossa
punta, simile a uno spesso aculeo d’istrice.
«Oh mio Dio» mormorò fra i denti la ragazza appena vide la ferita dell’uomo.
«Dobbiamo fare qualcosa.»
«Qualsiasi cosa sia, toglila!» esclamò Bones, alludendo a ciò che lo aveva
colpito. La ferita fresca gli faceva visibilmente male e avere l’arma ancora
conficcata nel corpo contribuiva solo ad accrescere il dolore.
«Io non...» esordì titubante Eve. «Ho paura di peggiorare la situazione»
ammise. Cominciò a sentire il panico diffondersi ampiamente dentro di lei. Si
era trovata in una simile situazione solo durante le esercitazioni all’accademia
e si rese conto che dal vivo era tutto più spaventoso.
McCoy la guardò. Si mise a sedere a fatica, piegato in due a causa del
dolore.
«Afferrala con una mano e toglila» le intimò. «Se non si fa nulla allora sì
che la situazione peggiora.»
Eve guardò l’uomo e capì che aveva ragione.
«E per l’emorragia?» gli chiese.
Bones strinse i denti, sapendo che la ragazza aveva ragione. Prima che
potesse rispondere, però, Eve si ricordò della piccola sacca per il pronto
soccorso che Scott le aveva preparato insieme all’attrezzatura. Corse a
prenderla e tornò immediatamente dal medico, allungandogliela.
Bones frugò in fretta il contenuto, stringendo i denti. Passò un compatto
rotolo di garza alla ragazza e le disse: «Questa andrà benissimo, mi farò
medicare sull’Enterprise, per ora è importante che il sangue si arresti.»
Eve afferrò la garza e annuì all’uomo.
«Ora levami questa roba!» urlò Bones, al limite della sopportazione.
Lei gli si avvicinò, strinse la mano intorno alla punta conficcata nella
spalla di McCoy e si fece forza. Sentiva il corpo dell’uomo fremere per il
dolore ed era terrorizzata all’idea di complicare tutto e di fare ancora più
male al medico.
«Allora?» sbottò Bones.
«Non so se sono in grado. Ti farò del male.»
Eve si sentiva sempre più angosciata. Aveva ormai iniziato ad agitarsi più
del dovuto e McCoy lo aveva capito alla perfezione. Non gli importava del
dolore, voleva solo uscire da quella situazione. E ancora dall’Enterprise non
giungevano notizie.
«È ovvio che mi farai male!» esclamò lui. «Ma tu fallo! Un colpo secco, con
forza, poi mi togli questa maledetta tutta e medichiamo la ferita.»
Bones aveva appena terminato la frase quando sentì un forte dolore. Tentò
di soffocare senza successo un urlo e strinse i pugni fino a farsi male. Eve
aveva trovato la forza per comandare al proprio corpo di obbedire e, con un
gesto deciso, aveva sfilato la punta dal corpo di McCoy, mentre questi non se
lo aspettava.
«Che mi dice? L’effetto sorpresa ha funzionato?» chiese retorica Eve.
Iniziò ad abbassare la zip della tuta di McCoy presente sulla schiena, pronta
per medicare la ferita, che aveva preso a sanguinare copiosamente.
Il medico riuscì a reprimere un’imprecazione, sebbene una parte di sé pensò
che, in circostanze differenti, la frase della ragazza sarebbe risultata
piuttosto comica – magari se il soggetto fosse stato qualcun altro e non lui.
Sentì la ragazza abbassargli la tuta con delicatezza, attenta a non toccare
la zona della spalla sinistra ferita. Bones non sentiva quasi più il proprio
braccio, intorpidito per il dolore.
Eve si macchiò le mani con il sangue dell’uomo, ma non fece una piega; per
lei la parte peggiore era passata. Dalla piccola borsa per il pronto soccorso
estrasse un pezzo di stoffa bianco, sterile e lo usò per tamponare la ferita.
Lo permette sulla pelle di McCoy e iniziò a srotolare la garza così da ultimare
la medicazione. Non stava dicendo più nulla, era concentrata sul lavoro. Bones
sentiva solo il suo respiro sfiorargli la pelle. L’aiutò a tendere la
fasciatura come poteva, usando il braccio destro che non gli faceva alcun male.
Appena Eve ebbe finito risistemò la tuta del medico, tornando a chiuderla,
convinta che anche l’indumento avrebbe contribuito a rallentare l’emorragia.
«Come sta?» domandò poi a Bones.
«Un po’ meglio, grazie.»
La ragazza gli sorrise, poi si guardò intorno. Sapeva che non potevano
rimane fermi in quel punto; se il nativo fosse tornato, magari non da solo, la
situazione si sarebbe certamente complicata.
«Hai un tocco delicato per essere un meccanico» le disse il medico dopo
poco.
Eve la guardò e si strinse nelle spalle. «Non sono Scott» rispose,
divertita. Tuttavia tornò subito seria. «Non possiamo rimanere qui.»
«Sì, lo so.»
«Riesce ad alzarsi?»
Bones annuì. Si alzò in piedi non senza fatica, aiutato dalla ragazza. L’emorragia
alla spalla lo aveva indebolito, ma era ancora in grado di reggersi
perfettamente in piedi.
Cercando di fare silenzio i due si spostarono dal punto in cui era avvenuto
lo spiacevole incontro. Trovarono rifugio diversi metri più avanti, nel vano di
una possente pianta cava. Lì la ragazza aiuto McCoy a sistemarsi con la schiena
appoggiata all’albero e si sedette accanto lui. Guardò la trasmittente che
aveva ancora in mano, infastidita da quella situazione.
«Eve a Enterprise, mi ricevete?» tentò. Non ottenne alcuna risposta e provò
di nuovo: «Eve a Enterprise, mi ricevete? Il dottor McCoy è ferito.»
Sospirò, affranta.
«Dev’essere successo qualcosa» osservò il medico; aveva appoggiato la testa
contro il legno alle sue spalle e fissava assorto davanti a sé.
«I sistemi devono essere offline. Non può essere solo un’interferenza»
disse la ragazza.
«Quanto pensi possa volerci?»
«Impossibile saperlo con esattezza. Dipende dalla causa del problema.»
Il medico non disse nulla, limitandosi a un lieve cenno del capo.
«Come fa a essere così calmo?» volle sapere Eve poco dopo. Lei si stava
sentendo completamente mancare mentre Bones, seduto lì accanto, sembrava
prossimo a entrare in uno stato di trance.
Lui posò lo sguardo su di lei, serio. «Se mi agitassi non farei altro che
peggiorare la situazione. La pressione aumenterebbe e ciò farebbe solo sanguinare
di più la ferita.»
La ragazza gli diede ragione e lui riprese a parlare: «Sono finito in
situazioni peggiori da quando sono sull’Enterprise. Ancora non capisco perché
non mollo Jim» sbottò, sebbene nella sua voce fosse percepibile una lieve nota
di comicità. «Almeno questa volta abbiamo un phaser»
concluse, alludendo a una precedente avventura che Eve non avrebbe potuto comprendere.
Di tutta risposta, lei sollevò il phaser davanti
al volto di Bones. «Questo modello non ammazzerebbe neanche un canarino» lo
informò, sebbene il medico lo sapesse perfettamente.
«Però riesce comunque a scacciare gli alieni. È già qualcosa» McCoy si
lasciò sfuggire un sorriso alle sue ultime parole, ma durò poco. Sentì una
forte fitta alla spalla e tornò ad abbandonarsi contro la pianta. Qualunque
cosa stesse succedendo, sperò che dall’Enterprise si sbrigassero a recuperarli.
«Posso farle una domanda?» chiese dopo diversi secondi di silenzio Eve.
Stava osservando il profilo del medico, per poi spostare gli occhi sulle mani
dell’uomo, sporche di sangue ma, soprattutto, di terra.
«Sì, puoi smetterla di darmi del lei» replicò subito lui.
L’affermazione improvvisa fece ridere la ragazza, soprattutto per il tono
con cui era stata pronunciata. Leonard McCoy era un nome abbastanza pronunciato
fra le file del personale dall’Enterprise, sebbene non quanto quello del
capitano Kirk o di Spock. I membri dell’equipaggio della nave di tanto in tanto
parlavano dei modi di fare diretti del medico e Eve aveva sempre dovuto
ammettere di essere affascinata da quella figura. Seduta accanto a lui in quel
momento, non poté fare a meno di notare di esserlo davvero.
«D’accordo» acconsentì, in risposta all’affermazione di Bones. «Quello che vorrei
chiederti, in realtà, è un po’ diverso» proseguì, riuscendo a mettere da parte
le formalità.
«Del tipo?»
«Beh» esordì, con una lieve incertezza. «A bordo dell’Enterprise sono
praticamente tutti a conoscenza della tua repulsione verso lo spazio. Perciò mi
chiedevo solo...come mai, nonostante tutto, tu continui a imbarcati? Un medico
con le tue capacità sarebbe fondamentale anche su una qualche base o sulla
terra. È per il capitano Kirk, vero?»
La lieve incertezza iniziale era completamente scomparsa e la ragazza
formulò la domanda tutta d’un fiato, quasi sorprendendo Bones.
Quest’ultimo inspirò un po’ d’aria prima di rispondere. «Si vede che non
hai un divorzio alle spalle.»
Eve lo guardò perplessa, senza capire dove volesse andare a parare e Bones
ricominciò a parlare: «Ti auguro di non averlo mai. La mia ex moglie mi ha
portato via tutto e io ho dovuto decide che cosa fare della mia vita. La Flotta
Stellare mi è subito parsa come un’ottima possibilità, dopotutto,
sufficientemente distante dalla Terra. I medici sono sempre richiesti in simili
ambienti.»
«Oh, eccome» confermò la ragazza, lanciando d’istinto un’occhiata alla
spalla ferita dell’uomo.
«E sfortuna vuole che abbia conosciuto Jim» concluse lui, con una risata.
Venne imitato da Eve.
«Ho letto tutti i rapporti riguardanti l’Enterprise mentre studiavo in
accademia. Ho sempre desiderato di imbarcarmi su questa nave. È incredibile
quello che avete fatto. E il capitano Kirk. Sono contenta che mi abbia scelta
per fate parte del suo equipaggio» si strinse leggermente nelle spalle a quelle
parole, come in imbarazzo sotto allo sguardo di Bones.
«Sì, Jim» borbottò il medico, come se stesse parlando a se stesso. «Testardo
come un mulo. Ma forse non mi sarei imbarcato di nuovo se non ci fosse stato
lui in plancia.»
«Questo significa molto» gli fece notare Eve.
McCoy non rispose, si limitò a stare in silenzio, pensieroso. Poi, però
tornò a rivolgersi alla ragazza. Parlare con lei lo stava aiutando a non
sentire più dolore e, oltretutto, gli piaceva l’idea di avere finalmente la
possibilità di conoscerla meglio rispetto al banale rapporto medico-paziente.
«E tu invece?» Le chiese. «Cosa ti ha portato fino dall’Enterprise?»
La ragazza abbassò lo sguardo. «Era quello che volevo, tutto qui» esordì. «Mio
padre è un meccanico, ripara macchine agricole. Mi ha sempre affascinata il suo
lavoro, così crescendo ho imparato anche io guardandolo lavorare. Poi quando ho
scoperto che si potevano mettere le mani su qualcosa di molto più affascinante
di un mezzo agrario, ho deciso di provarci.»
«Ne sarà stato contento, immagino.»
La supposizione di McCoy fece amaramente sorridere Eve, cosa che consentì
al medico di capire che la situazione era molto diversa. Lei, infatti, confermò
il suo sospetto. «Niente affatto. I miei genitori non volevano che mi
arruolassi. Non volevano neanche che facessi il meccanico, in verità. Avevano
previsto per me una vita molto più semplice. Un matrimonio con un bravo
ragazzo, dei figli. Una vita che io non volevo. Così ho iniziato a mettere da
parte dei soldi e appena ne ho avuti a sufficienza me ne sono andata e mi sono
iscritta all’Accademia. I miei genitori non l’hanno capito. E non l’hanno
accettato.»
Fece quella confessione quasi tutta in un sol fiato, sembrava volersi
liberarsi di un ingombrante peso, come se non lo avesse mai detto a nessun
altro prima di allora. Bones l’ascoltò. Sapeva che nel passato di ognuno si
nascondevano dei fantasmi, trovò quasi normale che vi fossero anche in quello
di Eve.
«E non li hai più sentiti? Nemmeno per dire loro fin dove sei arrivata?» le
chiese, nel modo più garbato possibile.
Lei scosse la testa. «No. E loro non hanno cercato me.» Sollevò le spalle. «Magari
alla mia prima medaglia. Potrei tornare da loro e dire “Avete visto?”. Credo
che, insomma, alla fine si possa essere soddisfatti di una figlia con un
riconoscimento, cosa ne pensi?»
Il medicò rifletté un momento. «Se avessi una figlia non le avrei mai
impedito di fare ciò che vuole» disse, con una schiettezza disarmante.
Eve si sentì schiacciare da quell’affermazione, nonostante dentro di sé
sapeva fosse vero. I problemi con la sua famiglia non erano mai stati un
mistero e il suo arruolamento nella Flotta Stellare non aveva fatto altro che
frantumare una situazione già incrinata. Non le riuscì di replicare in alcun
modo e rimase in silenzio, un silenzio che durò a lungo.
«Scusami» mormorò McCoy.
«Per cosa? È la verità. Non recupererò mai i rapporti con la mia famiglia,
forse è meglio così. In un paio di mesi a bordo dall’Enterprise sono stata
mille volte meglio di tutta la mia precedente vita a casa» lanciò un’occhiata
indecifrabile a Bones. «Vorrà pur dire qualcosa, no?»
Detto ciò provò nuovamente a contattare la nave attraverso la
ricetrasmittente, ancora senza successo.
«L’equipaggio dall’Enterprise è la tua famiglia, adesso.»
McCoy spezzò il silenzio. A Eve non le riuscì di rispondere prontamente. Si
limitò a sorridere, senza però guardare il medico.
Da quel momento in poi parlarono sempre. Si raccontarono reciprocamente
passioni comuni e interessi. Bones espose alcune delle missioni affrontate e concluse
dall’Enterprise e dal capitano Kirk. Le descrisse con la sua caratteristica
vena contrariata e sarcastica, pur non riuscendo a mascherare completamente il
fatto che, dopotutto, lui lì si trovasse a suo agio. Eve lo ascoltò con
interesse; rimase colpita da ciò che l’uomo le stava raccontando, di cui le
piacevano i modi un po’ rozzi di descrivere le vicende, i suoi
"dannati" e "maledetti" posti qua e là nel discorso, come
ad accrescerne l’intensità. Infine le piaceva la sua voce, profonda e
rassicurante.
Le ore passarono inesorabili e dalla nave ancora non giungevano notizie. La
luce cominciò a venire meno, come le forze di Bones. La ferita non aveva smesso
di sanguinare per tutto quel tempo, aveva solo rallentato l’emorragia. Eve si
rese conto della debolezza del dottore, ma non sapeva cosa poter fare. Si fissò
le mani, ancora sporche del sangue di McCoy, ormai incrostato. Il freddo
cominciava a farsi sentire e, per quanto potesse servire, si avvicinò all’uomo
portando il suo corpo a contatto con quello di Bones. Quest’ultimo si mosse
appena quando la sentì, senza scomporsi e senza dire nulla.
Eve cercò qualcosa da poter dire, ma non le venne in mente nulla. Osservò
di sottecchi il profilo del medico e si accorse che faticava a rimanere
sveglio. Forse un po’ di riposo gli sarebbe stato d’aiuto, ma non era certa che
in simili circostanze si sarebbe potuta dimostrare una buona idea. Affermò la
ricetrasmittente in mano, indispettita dalla situazione. Perché ci stavano
impiegando tanto a recuperarli?
Aveva appena formulato quel quesito che sentì il proprio corpo farsi
leggero. Si voltò verso Bones e quando riuscì a vederlo nitidamente l’ambiente
intorno a loro era cambiato. Si trovavano sulla piattaforma di teletrasporto,
finalmente sull’Enterprise; davanti a sé vide Scott e Kirk. La ragazza lasciò
da parte il sollievo per essere finalmente arrivata in un posto sicuro, si alzò
di scatto ed esclamò: «Il dottor McCoy è ferito! Ha bisogno di cure urgenti.»
L’espressione preoccupata che rabbuiò il bel volto di Jim fece capire a Eve
che Kirk non era solo il capitano altruista che Bones le aveva dipinto, ma era
anche un amico sincero. Jim scattò subito verso il dottore, si inginocchiò
accanto a lui e provò a chiamarlo, ma senza successo.
«Qualcuno vada subito a chiamare un’infermiera e un medico, presto» ordinò
e uno degli addetti al reparto corse subito fuori. Nessuno si preoccupò più di Eve,
illesa. Quando il personale sanitario arrivò, tutte le attenzioni erano solo
per il dottor McCoy. La ragazza era ancora ferma sulla piattaforma del
teletrasporto e osservava tutte le precauzioni prese per Bones e continuò a
guardare finché lui non venne trasportato fuori dalla sala, d’urgenza.