Crossover
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Autore: Registe    04/02/2018    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 13 - Marluxia





L'Araldo del Grande Satana





Era la prima volta da quando erano entrati nell’Organizzazione che il Superiore non si univa alla cena.
Marluxia prese il vassoio dalle mani del n. X e versò la propria porzione nel piatto: la carne di capra cucinata con mandorle blu di Papunika aveva un profumo invitante, eppure se ne servì a stento una fetta.
“Per caso non è cotta bene?” chiese Demyx, seduto al suo fianco. Sebbene fosse un suo diretto superiore, il sedicente bardo gli si rivolgeva lo stesso con un tono di voce piagnucoloso.
Un villico, in fondo, rimaneva pur sempre un villico. “La carne appare deliziosa, n. IX. Credo solo che la nuova condizione di elementale stia avendo qualche leggera ripercussione sul mio … appetito”.
Prese il piatto comune e si avventò sulla lattuga intaccata solo dai n. IV e VI, svuotandone il contenuto nelle proprie stoviglie. Mise la prima foglia in bocca, assaporandone la consistenza: al proprio castello le verdure erano sempre state un contorno poco interessante di cui nutrirsi solo per necessità fisica e salute. Eppure, negli ultimi giorni, si era accorto di trovarle appaganti, e non certo per le discutibili doti culinarie del suo giovane superiore.
La scelta di controllare le piante, ed i fiori in special modo, era stata accolta da alcuni membri dell’Organizzazione con delle risate mal nascoste che si era sforzato di evitare. Un elemento debole, così dicevano. Un potere succube di molte altre forme di magia.
Vero e falso allo stesso tempo.
La mancanza della spilla di famiglia, quella con la rosa incastonata di piccoli rubini, si faceva sentire come uno strappo invisibile nella sua nuova tunica nera. Il solo pensare che si trovasse tra le dita unticce di un segaossa gli stringeva lo stomaco.
I Durlyn prima o poi avrebbero imparato quanto le rose fossero difficili da sradicare.
“Tranquillo, non saresti il primo. Qualche verdura in più non sarà un problema”.
Le parole del n. X, seduto di fronte a lui, interruppero il flusso dei suoi pensieri. Il signor Luxord era un uomo posato, molto distinto per il suo basso rango. Aveva dei capelli chiari che risaltavano sulla pelle leggermente abbronzata, e la barba corta, molto curata, finiva sempre per attirare l’attenzione dei suoi interlocutori. “Piuttosto, stasera non abbiamo un po’ troppi posti vuoti?”
Marluxia guardò alla propria sinistra. Oltre al n. VIII, non ancora ripresosi del tutto dallo scontro con Saïx, il Superiore ed i suoi due diretti sottoposti si erano assentati da oltre un’ora. Un silenzio innaturale era sceso sulla tavolata, e lo sguardo teso di Zexion, il giovane n. VI dagli strani poteri, peggiorava soltanto la situazione.
Terminato il pasto Marluxia si servì una mela, la fermò con la forchetta ed iniziò a sbucciarla. Purtroppo il livello di educazione a quel tavolo in assenza del Superiore era sceso ad un punto preoccupante, e cercò di voltarsi dall’altra parte quando vide Larxen immergere un dito nel sugo della carne e leccarlo con avidità.
Tra tutti il più civile sembrava il licantropo: sebbene i suoi movimenti fossero affettati ed artificiali, il n. VII stava tagliando la carne in fette minuscole. Le masticava con calma, come se un guinzaglio invisibile lo stesse tirando per il collo. Marluxia si ritrovò ad osservare i movimenti della bestia con estrema curiosità: era chiaro che fosse stato addestrato dal Superiore e che non vi fosse nulla di naturale, nobile o spontaneo in quei gesti, tuttavia non poté fare a meno di fissarlo.
L’effetto era più o meno quello di una scimmia addestrata ad imitare gli umani, ma in quel caso si trattava di una scimmia con i denti ed in grado di sventrare dieci di loro. Lanciò uno sguardo alla spoglia parete bianca di fronte a lui, immaginandosi la testa del licantropo impagliata e messa al suo giusto posto.
Il dolce –un ammasso gelatinoso e marrone servito da Demyx in mezzo ad una valanga di scuse su un errore nella cottura- atterrò non richiesto sotto il suo naso e fu felice di passare la propria porzione alle fauci della n. XII.
Per quanto il n. I si ostinasse a ripeterlo, quella massa di soldati, bestie feroci e reietti della società non era la sua famiglia. Né lo sarebbe mai stata. Il ricordo di sua madre, che con una voce perfetta intonava una lode alla generosità degli dèi prima del pasto, gli attraversò la mente quasi come un alito di aria fresca. Vi si sarebbe soffermato a lungo, ma il flebile rumore del portale di teletrasporto aperto richiamò la sua attenzione e quella di tutti i presenti.
Il n. II vi emerse, la faccia sfregiata attraversata da un’espressione che non indicava nulla di buono.
“Ragazzi, tutti in sala riunioni. Ordine del Superiore” disse, scrollando le spalle. “Stavolta sono cazzi”.


 
L’araldo della famiglia demoniaca era una figura alta, ma non imponente.
Marluxia si teleportò sul proprio trono posto a meno di due metri da terra, osservandolo da vicino.
Le fattezze apparivano umanoidi, ma nulla di concreto traspariva dal lungo mantello bianco che copriva ogni parte del suo corpo, la testa nascosta da un gigantesco cappuccio bianco a punta. Non sembrava intenzionato a volare –come spesso facevano i demoni- ed il clangore metallico delle sue calzature era l’unico rumore percepibile insieme a quello di una catenella che gli stringeva indosso il manto. Il n. XI si sporse dal proprio sedile per guardarlo meglio in faccia, ma tutto ciò che emergeva da sotto il cappuccio erano due punti luminosi dove si sarebbero dovuti trovare gli occhi.
La figura misteriosa li fissò tutti, uno ad uno.
“Figli miei, porgete i vostri migliori omaggi” parlò il n. I, seduto sul trono più alto. Come potesse vedere da quell’altezza, Marluxia non lo avrebbe mai compreso.
“Il generale Mistobaan, comandante del Maegudan e personale Braccio Destro del Grande Satana Baan è qui per conferire con la nostra Organizzazione”.
 
Muro del Suono: “No. Lui no. Non potete farmi questo. Voi non potete …”
 
“Risparmiate il fiato, umani”.
Con un cenno del braccio, quasi a voler fendere l’aria, il messaggero troncò sul nascere ogni loro saluto. “Serbatelo per quando vi prostrerete davanti al Grande Satana”.
Lentamente i suoi occhi si posarono su ciascuno di loro. Quando i punti luminosi si soffermarono su di lui, Marluxia non poté fare a meno di tremare; sentì la magia del loro interlocutore attraversarlo da parte a parte.
Si strinse nel mantello, attraversato da un brivido di freddo. Sotto di lui, il n. XIII sembrava aver visto lo Spiromorfo in persona.
“Non vedo il motivo per cui dovrei parlare di fronte a questa sudicia massa di parassiti!” tuonò l’inviato. “Non bastava la sua presenza, Superiore? Le parole del Grande Satana non sono cose per infimi sottoposti!”
“Infatti qui non vi sono sottoposti. Questa è la mia famiglia, e con essa non ho alcun segreto”.
Ovviamente sulla questione dei sottoposti Marluxia avrebbe avuto da che dire, ma rimase in silenzio, colpito dal Superiore. Il Radigata aveva, se possibile, un tono ancora più pacato del solito: il suo corpo non mostrava alcuna agitazione. “Quindi la prego, generale Mistobaan, di comunicarci il volere del suo signore. Ammetto che da qualche tempo ero certo che prima o poi un suo ambasciatore sarebbe giunto alla nostra soglia”.
“Se lo immaginavate da così tanto allora saprete il motivo della mia visita!”
Il demone avvolto dal mantello bianco fece un paio di passi avanti, continuando con lo sguardo ad inquisirli uno dopo l’altro. Marluxia fu certo che per qualche istante si fosse soffermato su un trono, uno soltanto, ma quando cercò di focalizzare l’attenzione vide il collo di Mistobaan continuare la sua lenta risalita. “Questo Castello e ciò che contiene non sono materiali per feccia umana come voi. Basti solo ascoltare la magia che anima queste mura per capire che si tratti di un potere ben oltre le limitate capacità della vostra razza”.
“Eppure questo Castello appartiene alla mia famiglia da generazioni. È un luogo creato dagli umani”.
“Mi sento in dovere di dissentire …” ribatté l’araldo, stavolta terminata la perlustrazione. Fissava il Superiore come se volesse trascinarlo giù dal trono. “Un simile potere è appannaggio solo della famiglia demoniaca. Questo posto è imbrigliato di incantesimi che i vostri maghi non oserebbero nemmeno immaginare! Dunque il Grande Satana mi ha inviato qui per avvisarvi che il Castello, insieme a tutte le diavolerie che contiene, verrà requisito dalla sua eccelsa maestà!”
Marluxia sospirò. Purtroppo il momento era arrivato.
“MA il Grande Satana, dall’alto della Sua magnanimità, ha concesso a voi ratti tre giorni di riflessione. SE e SOLO SE, allo scadere del tempo, consegnerete questo luogo e vi prostrerete alla Sua presenza vi verrà graziata la vita e vi dà la Sua parola di demone maggiore che a nessuno di voi verrà fatto del male. E ritengo che sia stato fin troppo generoso a vincolare la Sua sacra parola ad esseri del vostro livello”.
La sala piombò nel silenzio più totale.
Tre giorni, pensò tristemente Marluxia, erano un discreto preavviso. I Durlyn non avevano certo fatto una dichiarazione di guerra prima di entrare con l’inganno e massacrare la sua famiglia.
Guardò verso gli altri troni cercando di interpretare le espressioni dei suoi superiori: dagli sguardi dei numeri II, III e V era chiaro che fossero preparati ad una simile evenienza. Il n. IV era gelido ed enigmatico come al solito, mentre il n. VII, il licantropo, aveva sul volto un’espressione impossibile da leggere. Stava per osservarlo meglio quando la voce del Superiore tornò a riempire la stanza.
“Generale Mistobaan, la ringrazio per averci portato di persona la parola del Grande Satana. Fateci giungere un Occhio di Zaboera e vi faremo avere la nostra risposta entro il tempo da voi proposto” disse. Il tono era quello di un uomo che stesse discutendo al proprio desco in compagnia di ospiti piacevoli e non certo quello di una persona il cui Castello stesse per essere messo a ferro e fuoco da un esercito di draghi.
Senza saperne spiegare il motivo, si ritrovò a detestarlo.
“Inoltre” aggiunse il Radigata “Se stasera volesse unirsi alla nostra tavola ne saremmo davvero onor …”
“CIBO UMANO? GIAMMAI!” urlò il generale Mistobaan facendo fare a tutti, Marluxia incluso, un sobbalzo sul trono. “Sappiate che qualsiasi vostro invito NON, e sottolineo NON è gradito”.
 
Muro del Suono: “Eccolo che si carica …”
 
Il Superiore sembrò non notare il dito avvolto nel guanto metallico puntato verso di lui. “Non era mia intenzione offenderla”.
Probabilmente dalla mano del generale sarebbe potuto partire uno di quegli incantesimi demoniaci in grado di ridurre in cenere anche il mago umano più addestrato, ed il n. XI si ritrovò quasi a sperare che accadesse. L’indice smise di puntare il loro capo, ma si alzò con fare ammonitorio. “Badate, umani, avete solo tre giorni. E non solo per rispondere alla fin troppo magnanima offerta del mio signore e padrone. Perché ho anche IO una condizione da porre”.
Marluxia si accorse che, senza volerlo, le sue mani si erano conficcate nei braccioli. Cosa altro poteva esigere un demone di quel livello da loro? La resa incondizionata era già nella lista …
“Vede, Superiore, mi considero anche io un demone fin troppo tollerante. Non ai livelli del sommo Grande Satana Baan, ma vi sono alcuni comportamenti umani che posso quantomeno fingere di ignorare. La vostra puzza, tanto per cominciare. O la vostra disgustosa alimentazione. Posso PERSINO concedervi di non cancellarvi dalla faccia di Cephiro per il vostro evidente scarso rispetto per il mio signore …”
A Marluxia sembrò che la figura vestita di bianco si fosse girata proprio nella sua direzione, ma gli occhi luminosi si bloccarono poco al di sopra di lui. “MA VEDERVI OSPITARE UN VILE DISERTORE E METTERLO IN MOSTRA INNANZI A ME? LA VOSTRA SFRONTATEZZA NON CONOSCE LIMITI!”
Il dito accusatore si fermò, indicando il n. VII dell’Organizzazione.
Saïx, che fino a quel momento era rimasto impassibile come al solito, si irrigidì.
“IO ESIGO CHE QUESTO RINNEGATO VENGA RESTITUITO ALLA FAMIGLIA DEMONIACA, DOVE È GIUSTO CHE SIA!” gridò. “TU, SUDICIO IBRIDO INFERIORE CLASSIFICATO COME MEBRO DELLA FAMIGLIA DEMONIACA SOLO PER LABILI LEGAMI DI SANGUE, COME OSI MISCHIARTI IN QUESTO MODO AGLI UMANI? LA TUA VITA APPARTIENE AL GRANDE SATANA, ED È COSI CHE INTENDI SERVIRLO? VOLTANDO LE SPALLE AL TUO STESSO SANGUE? RIMEDIERÒ ALLA TUA NATURA ABERRANTE NON APPENA QUESTI UMANI TI AVRANNO RESTITUITO AL MIO SIGNORE, ED ALLORA CHIEDERÒ L’INDUBBIO PRIVILEGIO DI STRAPPARTI IL CUORE CON LE MIE STESSE MANI PER LAVARE L’ONTA DEL TUO TRADIMENTO! IO NON …!”
“ADESSO BASTA!”
Marluxia non aveva mai sentito urlare Xemnas e, da quel poco che aveva sentito in giro, nessun altro aveva mai avuto quel dubbio privilegio.
Quando la voce del n. I superò di diversi toni l’assalto oratorio del generale demoniaco calò un silenzio ancora più spaventoso, reso del tutto innaturale dagli sguardi attoniti dei numeri II e III. Dopo una manciata di secondi il Superiore riprese, tornando senza sforzo al suo tono pacato. “Tra tre giorni risponderò alle richieste del Grande Satana come da accordi, generale, e non verrò meno alla mia parola. Ma …” aggiunse, e stavolta Marluxia fu certo di sentire qualcosa di diverso, quasi minaccioso “… non manderò a morte nessun membro della mia famiglia. E questo, già glielo posso anticipare, non cambierà”.
“QUEL LICANTROPO NON FA PARTE DELLA SUA …”
“Generale Mistobaan, temo che il suo tempo di permanenza presso la nostra fetida magione umana sia scaduto da un po’. Credo che anche lei desideri andarsene, giusto?”
“Oh, su quello potrebbe giocarci il suo onore, Superiore, se solo lei sapesse cosa fosse …” sibilò l’araldo. Le porte bianche alle sue spalle si spalancarono di colpo, e la luce degli interni del Castello si affacciò con prepotenza nella stanza. La figura incappucciata si voltò di nuovo verso il n. VII “CI RIVEDREMO TRA TRE GIORNI, UMANI! ED IN QUEL MOMENTO VI PROSTRERETE AD IMPLORARE PER LE VOSTRE DISGUSTOSE VITE!”
L’essere uscì colpendo violentemente il pavimento con gli stivali intarsiati, continuando ad esprimere la propria ira finché anche l’ultima traccia della sua voce imponente non svanì tra le mura bianche.
Si ritrovarono tutti con un sospiro di sollievo fra le labbra.
Per Marluxia, però, fu di breve durata. Sarebbe stato chiaro persino a quel contadino del n. XIII che il loro beneamato Superiore aveva appena messo alla porta il terzo essere più potente del loro mondo che, a giudicare dagli eventi di Stagview, poteva benissimo inviare loro un esercito di draghi per lavare l’onta col sangue. E che, nell’assai improbabile caso che quel Mistobaan decidesse di ignorare l’offesa ricevuta, avrebbero avuto soltanto tre giorni prima di ritrovarsi tutta la famiglia demoniaca al portone.
Fu però il n. II a dare voce ai suoi dubbi “Ehm … capo … non perché lei non abbia fatto bene a mandar via quel demone insolente … però … come dire … lei ce l’ha un piano, vero? Perché altrimenti mi sa che siamo un tantino nella m …”
“In realtà ho già un’idea. Ma desidero prima parlarne con tutti voi”.
  
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