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Autore: Enchalott    06/02/2018    3 recensioni
“Maledizione, donna! Io sono un Saiyan! Non aggiungere altro o…”.
Lui l’aveva fermata, ma la sua voce si era spezzata per la profonda commozione che quelle parole gli avevano cagionato ed era rimasto con gli occhi piantati su di lei: occhi neri come il fondo dell’inferno, vissuto suo malgrado in anima e corpo, ma risputato in faccia all’universo per rivalsa. Finché quel dannato nodo in gola non si era fatto seppellire dall’orgoglio. Aveva incrociato le braccia, aveva reso il suo sguardo il più freddo possibile e aveva affermato: “Quello che dici non ha senso per me”. Ma ne aveva, stradannazione, soprattutto da quando aveva incontrato lei.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 Alla luce degli ultimi episodi di "Dragon Ball Super", in particolare dello splendido episodio 126, sto rivedendo questa vecchia storia...
 
In questo universo...
 
Vegeta era in dormiveglia. Quella notte non c’erano stati né incubi né visioni. C’erano stati un assaggio di super Saiyan e quel bacio infinito. Alla trasformazione era sempre stato certo che ci sarebbe arrivato… ma non avrebbe mai pensato di poter provare simili sentimenti e, soprattutto, di riuscire a mostrarli. Eppure i Saiyan vivevano di passioni. La gelosia per una donna. Per lei sola. La sentiva al suo fianco, la voleva al suo fianco. Lei aveva insistito per medicarlo e lui aveva detto sì, perché era stremato, poi era crollato e lei era ancora lì, stretta a lui, come se dormire accanto al principe dei Saiyan - che ora era anche un guerriero leggendario - fosse la cosa più naturale dell’universo.
Vegeta socchiuse gli occhi alla luce dell’alba. Da quando era stato teletrasportato sulla Terra, lei era stata un mistero insondabile: lo aveva invitato a casa sua, nonostante lui avesse le mani ancora lorde di sangue innocente e si fosse mostrato spietato, non avesse tenuto segrete le sue mire di conquista e avesse giurato di uccidere Kakarott, i terrestri e, forse, l’universo intero.
Ricordava il momento in cui, in mezzo agli sguardi ostili dei Namecciani superstiti, era giunto alla Capsule Corporation: aveva osservato incredulo quel mondo tranquillo, che lui stesso aveva tentato di sconvolgere, quella generosa ospitalità e quello stupefacente momento, che era stato il tramonto del Sole, quando la Terra si era dipinta degli stessi colori rossi del suo Pianeta e lui aveva sentito fluire in sé tutto l’orgoglio della sua razza.
Lei gli si era avvicinata, dicendogli: “Ehi, Vegeta, hai del terriccio tra i capelli!” e gli aveva tolto qualche sassolino.
Lui era indietreggiato per non farsi toccare, diffidente, innervosito da tanta familiarità, ribattendo: “Certo! Ho combattuto, sono morto e mi hanno sotterrato!”.
Lei lo aveva guardato con quegli immensi occhi blu e, mettendogli un bicchiere di tè tra le mani, gli aveva risposto: “Non ci pensare più. Bevi questo, ti sentirai meglio!” e lui l’aveva fissata, impietrito, come se l’aliena lì fosse lei.
Poi, si era messo in disparte e il sonno si era preso il suo corpo, estenuato dalle battaglie e dagli stenti, mentre la sua mente, avvezza a non abbassare mai la guardia, era comunque rimasta vigile; si era accorto che qualcuno gli si era avvicinato e si era sentito sfiorare, così era balzato in piedi, con il ki pronto a esplodere e… era rimasto sconcertato. Lei aveva tentato di avvolgerlo in una coperta, mentre dormiva: “Guarda che io non sono un tuo avversario!” gli aveva detto con disapprovazione.
“Non farlo mai più, donna, se ci tieni alla pelle!!” aveva minacciato lui, mantenendo la posizione di difesa, l’energia guizzante in una mano, guardingo davanti a una simile incoscienza. O forse coraggio?
“Io mi chiamo Bulma!” aveva borbottato lei di rimando: “Qui di notte fa freddo! Vieni con me, non crederai che ti faccia dormire in giardino, anche se sei un Saiyan duro e zuccone!”. “Cosa!?! Non pensi mai a misurare le parole, donna?” aveva ringhiato lui, omettendo volutamente il suo nome, a fronte del “duro e zuccone” che lei gli aveva appioppato. Ma l’aveva seguita, passando in mezzo ai terrestri intimoriti.
“Questa è la tua stanza” gli aveva detto lei. “Ti ho lasciato qualcosa da mangiare. Se sei come Son Goku, avrai sicuramente una fame da lupi!”.
“Paragonarmi continuamente a Kakarott è una pessima idea!!” aveva sottolineato lui offeso. “Anche progettare di farlo fuori!” aveva risposto lei, strizzandogli l’occhio e lasciandolo interdetto “Domani, vieni a fare colazione con noi, se ti va. Buonanotte, Vegeta!”.
L’ultima parola era stata sua. Con un grado di confidenzialità intollerabile. Lui, di fatto, era un nemico. Aveva ucciso senza pietà alcune persone a lei care. Lo aveva sentito sussurrare dai Namecciani poco prima. Come riusciva a guardarlo negli occhi?
 
Vegeta sorrise tra sé a quel ricordo e si spostò sul fianco che non gli faceva male. Bulma, nel sonno, scivolò contro la sua spalla.
 
Il giorno successivo era davvero sceso in sala da pranzo, guidato dal profumo che saliva al piano di sopra e da una fame tale da annebbiare la vista.
“Buongiorno!” lo aveva salutato lei amichevolmente: “Dormito bene? I Namecciani sono già a posto, dovrai accontentarti della nostra compagnia” aveva aggiunto indicando la madre, che la stava aiutando a imbandire la tavola.
“Dormire…” aveva pensato lui “In un letto. Per più di qualche ora rubata tra una battaglia e l’altra. Sonno vero, non quello artificiale. Mi ero dimenticato cosa volesse dire”. Ma si era limitato a prendere posto senza parlare, distratto dal seguito della conversazione.
“Bulma, tesoro! Il tuo ragazzo è davvero bellissimo, complimenti!”
Vegeta aveva guardato la donna bionda come se fosse pazza, ma Bulma era intervenuta subito: “Mamma!! Non è il mio ragazzo!”
“Beh, comunque è davvero attraente, dove l’hai trovato?”
“È lui che ha trovato noi, mamma!” poi si era girata e gli aveva sorriso: “Non sapendo cosa ti piacesse, ho cucinato in abbondanza. Serviti pure”.
È lui che ha trovato noi. Ma che razza di definizione… Un eufemismo per dire che li aveva attaccati per conquistare il pianeta e che il suo unico successo era stato quello di ammazzare un grappolo di idioti per poi farsi umiliare. La prima sconfitta della sua vita. Il suo stomaco si era lamentato, riportandolo alla realtà.
Erano anni che non vedeva così tanto cibo. Erano anni che si limitava a ingurgitare quel poco che trovava, rifiutandosi di sedere con gli uomini di Freezer e di chiedere loro qualcosa quando non ne aveva. Aveva iniziato a mangiare a quattro palmenti, ricordandosi a malapena di usare le posate, che non vedeva dai tempi in cui sedeva ai banchetti della famiglia reale, sul suo pianeta.
“Perché non lo inviti a uscire?” aveva continuato imperterrita la terrestre bionda.
“Perché il mio ragazzo è Yamcha!”
“Ma non è morto? Dovresti fartene una ragione, cara…” e lo aveva puntato con aria complice, procurandogli i sudori freddi. Lui aveva addirittura smesso di abbuffarsi per stare a sentire quella marea di sciocchezze. No. Per ascoltare lei. Lei, il giorno precedente, aveva parlato con gli dei e con le anime dei guerrieri defunti, grazie a non si sa quale privilegio. E il principe dei Saiyan l’aveva osservata attentamente: non si era persa d’animo, non aveva mostrato timore e neppure reverenza. Lui l’aveva addirittura aiutata, suggerendole il modo per far tornare i suoi amici dall’aldilà. Perché lo aveva fatto? Era stato solo il desiderio di farla pagare a Kakarott? Ma che ti è preso, Vejita!?
“Voglio resuscitarlo con le Sfere del Drago, te l’ho già detto!” aveva rimarcato lei.
“Ma se litigavate in continuazione per il suo pessimo comportamento!”
“Questo non significa che si meriti di essere morto!!” le aveva gridato Bulma, sbattendo malamente i piatti. Poi si era rivolta a lui, mortificata: “Abbi pazienza, mia madre è davvero invadente a volte”.
“Che cosa sono questi?” le aveva chiesto Vegeta, tentando di sviare il discorso fortemente imbarazzante, prendendo gli hashi dalla tavola.
“Servono per…”.
Poi il bollitore del tè aveva fischiato. Lui era saltato come una molla, rovesciando la sedia e alzandosi in volo a mezz’aria, espandendo automaticamente il ki, preparandosi ad affrontare un nemico.
“Vegeta!” aveva esclamato lei, scattando in piedi, preoccupata. Lui aveva realizzato in breve l’accaduto ed era sceso a terra, ancora in tensione. Anche lei aveva capito l’equivoco.
“Mi hai spaventata! Voi Saiyan percepite le energie spirituali a distanza, vero? Ho pensato che ci stessero attaccando!”. E aveva tirato il fiato a sua volta, sollevata.
Saiyan. Pronunciato con una profonda ammirazione. Non con il disprezzo cui era abituato. “Hah…” aveva affermato lui, senza aggiungere altro, smarrito per la tenerezza con cui lei lo aveva guardato.
 
Bulma si destò, stiracchiandosi come un gatto, indolenzita dal “volo” imprevisto della sera precedente. Addormentarsi sul divano non era stata una delle sue migliori pensate. Vegeta. Non aveva sognato, lui era lì accanto. Aveva giurato. I loro sguardi si incatenarono.
 
Bulma ricordava distintamente i suoi primi giorni sulla Terra: lui era spossato dalle infinite battaglie e dalla mancanza di riposo, il suo viso era pallido e segnato. Solo i suoi occhi ardevano di fierezza e di rabbia. Aveva garantito vendetta. Non aveva certo rinunciato. Lo avrebbe fatto. Aveva categoricamente rifiutato di abbandonare gli abiti da combattimento, anche se erano strappati e gli ballavano addosso; si vedeva chiaramente che non era in forma, nonostante l’enorme potere che emanava dal suo intero essere. Era rimasto sempre in disparte, in costante allerta, imbronciato e distaccato. Aveva detto di essere il principe dei Saiyan e, quando lei gli aveva chiesto dove fosse il suo pianeta, lui aveva indicato un punto lontano del cielo notturno, dicendole di guardare il vuoto tra le stelle, poiché ormai lassù non esisteva più nulla. I suoi sudditi erano due: Kakarott, che detestava, e quel mezzosangue di suo figlio Gohan. Le aveva risposto quasi con gentilezza, mentre con tutti gli altri si era dimostrato sprezzante e altezzoso. La sua voce era suonata glaciale, ma i suoi occhi… Aveva continuato a minacciare ritorsioni, ma di fatto non aveva mai mostrato seria intenzione di fare del male a lei; se lo avesse voluto davvero, non le sarebbe bastato il tempo per pregare. Probabilmente, aveva un suo codice d’onore.
Un giorno, era entrato in laboratorio, mentre lei stava lavorando su una nuova capsula spaziale. Aveva osservato con attenzione il progetto e aveva esclamato incredulo: “Ma questa è piuttosto simile all’astronave di Freezer! Sei stata tu a disegnarla?”
Bulma si era un po’ risentita davanti a tanto stupore e aveva ribattuto: “Certo! Devi sapere che io, oltre a essere molto affascinante, sono anche una scienziata geniale!”
Vegeta l’aveva squadrata, sollevando un sopracciglio e si era avvicinato, sciogliendo le braccia dal petto e indicando un particolare sul foglio: “Qui è diversa”.
“E tu come lo sai?” aveva chiesto lei meravigliata.
“Mi hai preso per un idiota, forse!?” aveva risposto lui irritato. “So leggere! Non sono eccellente solo nel combattimento! Ho viaggiato per anni lì sopra!”.
Lei aveva sollevato lo schizzo e gli aveva spiegato in breve le migliorie a cui aveva pensato, mentre lui si era ulteriormente accostato: “Hai ragione” aveva ammesso “Così è meglio.” e l’aveva fissata con una sorta di ammirazione. Poi si era accorto che si stavano sfiorando e si era allontanato come se avesse preso la scossa.
“Guarda che non mordo!” gli aveva detto lei, punzecchiandolo per sua reazione impacciata. “Chi! Sei stata tu a dirmi di tenermi lontano da te!” aveva ribattuto lui con altrettanta ironia. “Non intendevo questo!” gli aveva gridato dietro lei, mentre lui era uscito dalla stanza con un sogghigno.
 
Ora invece, la mano di Vegeta era posata sul di lei senza imbarazzo. L’aveva superata in altezza di una spanna buona; la sua dogi aderente metteva in risalto il fisico agile e muscoloso; non c’era più traccia in lui di spossatezza, il suo viso aveva preso un colore ambrato che lo rendeva ancora più affascinante. Solo gli occhi esprimevano la stessa ardente fierezza. E guardavano lei.
“Lo so…” mormorò Bulma “Devi andare, devi allenarti, devi fare tutte le cose che fanno i super Saiyan.”
Il principe si mise a sedere sul divano, scuotendo la testa per la descrizione poco ortodossa: “Chi! Devo imparare a controllare il ki del super Saiyan”.
“Quella capsula non è adatta a te, figuriamoci ora che ti sei trasformato. Ormai non è più in grado di reggere, non vale neanche la pena di aggiustarla”.
“Cosa vorresti dire?”
Bulma si sollevò sul gomito: “Ci sto pensando da un po’. Vorrei costruire una gravity room più grande e potente, magari nei sotterranei della Capsule Corporation, vicino al laboratorio. Sarebbe più stabile e più sicura”.
Vegeta la fissò: “Ogni tanto mi chiedo da quale universo tu provenga”.
Lei rise: “È un complimento? Te l’ho detto, vorrei dare anch’io il mio contributo, ovviamente scientifico. La parte pratica la lascerò volentieri a voi guerrieri…”.
“Voi? Io sarò più che sufficiente!” ribatté lui corrugando la fronte.
“Va bene” sospirò Bulma, arrendendosi davanti allo smisurato orgoglio saiyan “Però per qualche giorno dovrai allenarti all’aperto, impegnandoti a non disintegrare il pianeta”.
“Non è un problema”.
Allungò il braccio verso il suo viso e lo sfiorò, ripulendolo dai segni della polvere della notte precedente e il principe la lasciò fare, senza ritrarsi.
“Se la vostra leggenda non sbaglia” disse sorridendogli “Devo supporre che tu abbia il cuore puro”.
Vegeta sussultò, ma ribatté senza esitare: “Chi! Puro male!”
“Oh, smettila di fare il guerriero implacabile con me! Se tu pensi che io possa credere ad una simile…”.
“Parli troppo…” la interruppe lui, posandole un dito sulle labbra. Non c’era nulla di imperioso nella sua voce, era una mera constatazione. “Questo è quanto vi sarà concesso di sapere e ciò che dirò di me. Ho una fame incredibile, non ho voglia di discutere”.
“Tu sei un…” ricominciò lei, senza saper risolvere se arrabbiarsi o mettersi a ridere o… Non riuscì a terminare neppure quella frase. Perché lui si avvicinò e già questo sarebbe bastato a levarle il fiato; la ridusse al silenzio con un bacio.
 
Vegeta si era esercitato tutto il giorno a controllare la trasformazione in super Saiyan e non era stata un’impresa semplice. E il fatto di avere probabilmente qualche costola incrinata non era stato d’aiuto. Era così come aveva anticipato Kakarott: ci sarebbero voluti tempo e concentrazione. Ma lui ci sarebbe riuscito, anzi, sarebbe andato oltre, sarebbe tornato ad essere il primo! L’acqua della doccia gli scorreva sulla pelle, portando via la stanchezza del pesante allenamento.
Ricordava quando era rientrato sulla Terra, dopo aver dato inutilmente la caccia al suo rivale per la galassia; dopo alcuni mesi, era tornato alla Capsule Corporation e Bulma lo aveva accolto, stroncando con fermezza qualsiasi screzio tra lui e gli altri combattenti presenti in quel momento. Durante il viaggio, si era sorpreso a pensarla più di una volta, anche se aveva subito riportato l’attenzione sul suo obiettivo principale. La cosa gli era risultata incredibile e priva di ogni logica. Aveva respinto la possibilità di chiarirsi con se stesso. Quando era uscito dalla capsula spaziale, la ragazza era sembrata sinceramente felice di rivederlo e lui davvero non era riuscito a darsi una sola valida ragione. Si era accontentato di rifilare una risposta al vetriolo all’idiota con cui lei usciva, minacciando di polverizzarlo e non sarebbe stata una cattiva idea farlo all’istante. Anche adesso gli prudevano le mani ogni volta che lo vedeva. Ma lei lo aveva trascinato via. Era riuscita a farlo svestire degli abiti da combattimento, dicendogli che un principe non se ne sarebbe potuto andare in giro come uno straccione. Quelle parole erano state una stoccata al suo orgoglio. Certamente sapeva dove colpire con quella dannata linguaccia. Inoltre, gli aveva chiesto, davanti a tutti, di trasferirsi definitivamente a casa sua e lui era rimasto senza parole. I terrestri pure. Non aveva rifiutato.
Un giorno, lei lo aveva raggiunto, mentre stava leggendo un libro sulle leggende terrestri, aveva sbirciato da sopra la sua spalla, commentando: “Adoro quel libro!” e poi aveva aggiunto divertita: “Studi il nemico?”.
Chi! La tua rischiosa sagacia ti procurerà dei guai seri, donna!” aveva sbuffato lui tra i denti.
Ma lei aveva cambiato argomento: “Certo che tu parli veramente bene la nostra lingua, oltre a quella comune!”.
Vegeta si era subito alterato: “Perché, la cosa ti sorprende? Io ho ricevuto un’educazione degna del mio rango! Non sono uno di quegli idioti che…”
“Ehi! Non ti arrabbiare per ogni parola! Mi stavo solo chiedendo dove l’avessi imparata!”.
Lui l’aveva guardata con la solita espressione corrucciata, però aveva risposto con calma: “Durante gli spostamenti tra i sistemi stellari. Alcuni duravano più di un anno, come quando sono arrivato qui. Lo scouter serviva anche per quello. Alcuni stupidi bestioni dell’esercito di Freezer lo usavano come traduttore, non avendo abbastanza cervello per capire. Io non ho mai avuto problemi ad assimilare una nuova lingua”.
Lei gli aveva lanciato un’occhiata ammirata e lui aveva abbassato lo sguardo, sentendosi a disagio: solitamente, chi gli stava davanti lo fissava con odio o con terrore. Lei invece…
“Anch’io conosco alcune lingue, ma il saiyan proprio non l’ho mai sentito…”
“Se ci pensi, è perché eravamo in tre a parlarlo e ora solo io” aveva spiegato lui con un velo di amarezza.
Lei era rimasta un attimo in silenzio e poi aveva proposto: “Perché non lo insegni al piccolo Gohan? È un bambino intelligentissimo…”
“Cosa?!! Tu sei pazza! Credi che abbia tempo da sprecare?! E poi non gli servirà, quando l’avrò levato di mezzo insieme con suo padre!”.
“Quanto sei antipatico!” aveva ribattuto lei, mettendo le mani sui fianchi: “Sempre a pensare alla guerra! Insegnalo a me, allora! Sono brava, sai! O pensi di far fuori anche me?”
“Può darsi, sei insopportabile!”
Vegeta aveva ribattuto seccato, ma l’aveva osservata in tralice e aveva compreso il motivo della richiesta: alla ragazza dispiaceva che non potesse più parlare con nessuno nella sua lingua madre. Neppure ai Saiyan, forse, era mai importato così tanto dei Saiyan stessi. Quando Radish gli aveva riferito, sconvolto, che il loro pianeta si era disintegrato, lui era rimasto impassibile e gli aveva ordinato di piantarla con quella lagna. Aveva ricoperto perfettamente il suo ruolo, facendo venire i brividi persino ai suoi uomini. Ma dentro di lui lo scenario era ben diverso. Un atomo di odio, vendetta e impotenza. Quella donna gli aveva appena chiesto di tramandare qualcosa di sé, del suo retaggio, del suo pianeta. Quelle parole avevano toccato una corda che avrebbe preferito non sentir vibrare, perché suonava una melodia di emozioni sopite e umanità, che lui non aveva intenzione di ascoltare.
“Ah, davvero!? E io che ero venuta per dirti che mio padre ed io abbiamo completato il progetto per adattare la capsula spaziale e trasformarla in gravity room!”
Lui aveva spalancato gli occhi, abbandonando il filo di quei pensieri sgraditi, e lei gli si era seduta accanto con un’espressione orgogliosa: “Vedi? Io sono contenta di aiutare voi fanatici del combattimento, soprattutto i miei amici…”.
Amici? Il principe aveva riflettuto un istante sul termine e poi aveva deciso di togliersi i dubbi: “Dici che vuoi favorire tutti, ma di fatto aiuti me” aveva affermato con rabbia. “Da quando sono qui, hai aiutato sempre e solo me. Perché? Forse ti faccio pena?”.
Bulma gli aveva rivolto un sorriso disarmante: “Non puoi pensare questo. Tu sei forte, Vegeta. Te la cavi benissimo. E neppure voglio tenerti impegnato per evitare che tu ti batta con Goku quando tornerà…”. Lui aveva atteso che lei cercasse le parole giuste: “Quando ti ho conosciuto, ho pensato… che spreco!”.
Vegeta era scattato in piedi, serrando i pugni, profondamente turbato. Spreco? Un’espressione che gli aveva ricordato la preghiera accorata di Kakarott al suo amico pelato, dopo il loro scontro cruento, mentre quel terrestre incombeva su di lui con la katana sguainata, per ucciderlo: “È un peccato perderlo così, lascialo andare”. Risparmiarlo era stato un errore. Un affronto. E ora…
Lei aveva proseguito: “Mi sono chiesta perché. Perché un uomo del tuo valore dovesse per forza agire in modo brutale, distruggere anziché proteggere, conquistare anziché difendere… E mi sono detta che questo era terribilmente ingiusto, per te, per noi… ho voluto darmi la possibilità di comprendere, di comprenderti. A te, un’altra occasione. Tutti la meritano. Desideravo vedere oltre quello che tu hai scelto di mostrare di te stesso e poi… e poi in realtà tu sei…”
“Maledizione, donna! Io sono un Saiyan! Non aggiungere altro o…”.
Lui l’aveva fermata, ma la sua voce si era spezzata per la profonda commozione che quelle parole gli avevano cagionato ed era rimasto con gli occhi piantati su di lei: occhi neri come il fondo dell’inferno, vissuto suo malgrado in anima e corpo, ma risputato in faccia all’universo per rivalsa. Finché quel dannato nodo in gola non si era fatto seppellire dall’orgoglio. Aveva incrociato le braccia, aveva reso il suo sguardo il più freddo possibile e aveva affermato: “Quello che dici non ha senso per me”. Ma ne aveva, stradannazione, soprattutto da quando aveva incontrato lei.
Anche lei gli era sembrata piuttosto sottosopra nell’essere stata così schietta. Era certo che lei non avesse creduto neppure per un istante alla sua altezzosa affermazione, ma non aveva insistito e lui aveva cambiato immediatamente discorso: “Comunque sia… per la gravity room andrò a parlare con tuo padre”.
“Puoi parlare anche con me! E puoi perfino farti uscire un grazie!” aveva esclamato lei mettendo il broncio. “Anzi, in cambio potresti dirmi qualche parola nella tua lingua!”.
Vegeta aveva sospirato davanti a tanta ostinazione, ma in fondo non gli sarebbe costato nulla: “Che cosa vuoi sapere?”
“Anche tra voi Saiyan si dice ti amo?”
“Certo che si dic… ma cosa ti viene in mente!?!” per un momento il principe aveva abbassato la guardia e lei l’aveva colto alla sprovvista con una delle mille domande scomode che, anche ora, non smetteva di rivolgergli. “Mi prendi in giro? E io che sto anche qui ad ascoltarti!” aveva gridato lui più imbarazzato che incollerito.
“Insomma, sono curiosa!” aveva brontolato lei, mentre lui si era diretto alla porta con passo deciso. “Tieni, non dimenticare questo” aveva aggiunto lei, porgendogli il libro che era caduto a terra.
Lui lo aveva preso e, girandosi le aveva detto: “¶ž∞$ÑóÉ. Grazie”.
 
Vegeta chiuse l’acqua e considerò che il termine “impossibile” stava diventando privo di significato. Abbassò lo sguardo. Le sue mani non erano solo capaci di uccidere: i suoi pensieri virarono in una direzione mai percorsa. Non li arrestò.
 
Bulma uscì dal laboratorio: aveva lavorato tutto il giorno alla gravity room e necessitava di un caffè forte e possibilmente di un bagno caldo. Si diresse verso la cucina e sul tavolo trovò un sacchetto di tela, accompagnato da un biglietto della madre: “Tesoro, è passato da noi questa mattina uno strano samurai e mi ha lasciato per te questi fagioli. Avrei voluto chiamarti, ma lui è fuggito subito. Questa sera sono a teatro con papà…”
I senzu! Yajirobei li aveva addirittura portati personalmente, ma era battuto in ritirata prima di incappare accidentalmente nel principe dei Saiyan. La cosa la rallegrò molto. Li avrebbe portati subito a Vegeta, anche se questo avrebbe significato che lui si sarebbe dedicato con ancora maggiore persistenza all’allenamento.
Ricordava il giorno, non molto lontano, in cui il giovane venuto dal futuro aveva stroncato le loro speranze di tranquillità; dopo l’incontro, Vegeta era partito come una scheggia, intenzionato a non perdere tempo e aveva immediatamente chiesto a suo padre una gravity room più efficace del pianeta di Kai-Oh, sul quale Goku aveva raggiunto la sua straordinaria potenza. Si erano messi immediatamente all’opera: lei non si era opposta, perché desiderava che il principe fosse un loro alleato. No. Perché non voleva che se ne andasse. Perché lui le era entrato nell’anima. Se si fosse trattato del cuore, se ne sarebbe fatta una ragione. Invece, era il suo essere così come lui era che l’aveva catturata.
Durante la costruzione, lui si era dimostrato molto impaziente e spesso si era fermato a chiedere informazioni sullo stato dei lavori. Una volta, lei si trovava proprio sulla cupola della capsula, per risolvere un problema che le aveva fatto perdere parecchio tempo ed era lassù da sola, a inveire contro il computer. Vegeta si era levato in volo e l’aveva osservata con uno sguardo severo, poi aveva borbottato: “Ehi, donna! Quanto ti ci vuole ancora per finire? Io sto facendo la ruggine a furia di aspettare!”
Lei si era girata, davvero esasperata, e gli aveva risposto: “Se non hai niente da fare, vieni ad aiutarmi, invece di lamentarti!”.
“Che cosa!? Come ti permetti di rivolgerti a me in questo modo!?”.
“Io ti sto facendo un favore!” aveva continuato lei, sempre più inviperita “Se pensi che sia qui a perdere tempo, perché non vai ad allenarti con gli altri, anziché comportarti da arrogante?”. Vegeta era andato su tutte le furie: “Arrogante?! Io sono il principe dei Saiyan, mi rifiuto di mettermi al pari con un branco di guerrieri di bassa leva!”.
“Non mi pare che Goku ti sia inferiore! Perché non ti alleni con lui? Un’altra lezione potrebbe abbassare il tuo livello di presunzione!”.
Lui aveva incassato l’offesa, stringendo i pugni e il suo tono si era fatto minaccioso: “Dovresti stare attenta a come parli, donna! La tua impertinenza può costarti cara! Qui non c’è il tuo amico Kakarott a difenderti!”.
“Mi difendo benissimo da sola!” gli aveva strillato conto lei, lanciandogli il cacciavite che aveva in mano. Lui aveva schivato senza troppo impegno, con uno sguardo torvo.
“Almeno Goku non si sposta, quando sa di meritarselo!” aveva continuato lei, scagliandogli addosso le pinze. Evitate anche quelle senza una piega.
“Questo non fa che aggiungere prove al fatto che è un vero idiota!” aveva commentato lui sogghignando e scansando un terzo attrezzo non ben identificato. “E smettila! Sei troppo lenta!”
Mentre lui stava scendendo a terra, Bulma, che aveva esaurito l’arsenale, si era tolta una scarpa per usarla come ultima arma, ma aveva improvvisamente perso l’equilibrio. La superficie liscia e curva della capsula aveva fatto da scivolo e lei era inesorabilmente precipitata verso il suolo. Aveva gridato e si era coperta il viso con le mani. Ma l’impatto non era mai arrivato.
“Sei impazzita!?” aveva esclamato una voce piuttosto inquieta. Lei aveva scostato le dita. Oh, stelle! Non si era schiantata perché Vegeta l’aveva presa al volo e la stava tenendo sollevata, tra le braccia. I loro sguardi si erano incrociati per un attimo, poi lui l’aveva posata a terra immediatamente. Ma nei suoi occhi aveva fatto in tempo a scorgere una sincera apprensione. Bulma aveva dovuto reggersi al suo braccio, scioccata, e quando il principe l’aveva lasciata malamente, era piombata giù, perché le gambe le tremavano ancora.
Chi! Tu non sai volare, che cos’hai in testa?”
Quando era riuscita a ritrovare la voce, Bulma si era a sua volta trincerata dietro l’orgoglio: “È colpa tua se per poco non mi ammazzo!” gli aveva risposto.
“Che cosa!? Se non fossi stato qui, non saresti tutta intera! Dovresti ringraziarmi!”.
“Scordatelo!” aveva dichiarato lei, caparbia più che mai. “Se tu non mi avessi fatto arrabbiare, non sarebbe successo nulla!”.
“A quanto vedo, sei tu ad avere bisogno di una lezione di umiltà”.
Poi era successo qualcosa di impensabile: Vegeta se l’era caricata su una spalla, lei non aveva nemmeno visto come, e aveva attraversato il giardino della Capsule Corporation in tutta calma, senza neppure prendersi la briga di volare.
“Mettimi giù immediatamente!” aveva gridato lei, tempestandogli inutilmente la schiena di pugni, mentre il principe dei Saiyan riusciva a trattenerla senza scomporsi.
Poi era arrivato alla piscina e l’aveva scaraventata in acqua con poca grazia: “Per rinfrescarti le idee!”.
Bulma era riemersa, più infuriata che mai, con in testa il solo pensiero di non fargliela passare liscia: “Per te vale solo la legge della forza bruta, eh, testone di un Saiyan!?”.
“Uso le armi che ho a disposizione, solitamente. Come vedi, sei ancora viva, ho fatto un’eccezione” e le aveva girato la schiena, mentre lei si era issata sul bordo della piscina.
“Ehi, Vegeta!”
Lui si era voltato e gli occhi gli erano quasi usciti dalle orbite per lo spettacolo che gli si era presentato: Bulma, bagnata fradicia, si era sollevata la maglietta bianca, mostrando la biancheria, resa completamente trasparente dall’acqua e lui si era congelato. Poi si era tolta la seconda scarpa e l’aveva scagliata, prendendolo in pieno. Lui era avvampato, riscuotendosi di colpo e aveva esclamato, fuori di sé: “Che… che cosa credi di fare!?!”.
“Ciascuno usa le armi che ha a disposizione, l’hai detto tu!” aveva risposto lei a naso in su, abbassando la t-shirt, che comunque lasciava poco all’immaginazione.
Vegeta aveva distolto lo sguardo, ringhiando qualcosa tra i denti; poi si era sfilato la maglietta e si era diretto verso di lei, terribilmente accigliato.
Bulma era stata presa dal panico: se solo lo avesse voluto, il principe avrebbe potuto fare di lei quello che desiderava e lei non sarebbe stata in grado di opporsi. Lui, però, si era fermato a un passo e le aveva infilato a forza la sua maglietta scura, fissandola con un’espressione severa: “Sei davvero una donna rozza!”.
“Non sei così insensibile alla mia rozzezza, mi pare…”
“Se sei abituata a far valere le tue ragioni in questo modo, significa solo che sei circondata da una massa di idioti!!!” era esploso lui, davvero furibondo. “Non osare prendermi per uno di quelli!!”.
Si erano studiati reciprocamente senza cedere.
“Non mi ha mai sfiorato il pensiero” aveva risposto lei, rendendosi conto di aver esagerato e di aver ferito in un certo modo il suo senso dell’onore. “Era solo uno scherzo. Ma hai ragione tu…”.
Chi!”. Vegeta aveva scrollato la testa, ancora adirato, le braccia incrociate sul petto nudo. Lei aveva iniziato a rabbrividire per il freddo e lui aveva nuovamente scrollato la testa, ma senza più traccia di collera. Rientrando con lui nell’edificio, Bulma aveva notato che anche i guerrieri saiyan erano soggetti alla pelle d’oca.
 
Vegeta era assorto nei suoi pensieri, quando Bulma lo raggiunse in camera sua e gli consegnò il sacchetto: “E senza dover mietere vittime” gli disse allegra. Alla battuta e alla vista dei preziosi senzu, la sua espressione si rasserenò; ne prese subito uno e si sentì rinascere, quando anche le ultime tracce di dolore svanirono dal suo corpo. Sciolse le bende, ormai inutili: l’indomani l’allenamento sarebbe finalmente stato molto proficuo.
“Ti sei stancato oggi?”
“Certo che no! Potrei continuare il training ancora per tutta la sera”.
“Già” fece lei alzando gli occhi al cielo “Perché invece non esci con me?”
“Eh?”. La guardò con un’espressione interrogativa.
“Ti sei esercitato tutto il giorno, le tue ferite sono guarite… Aspetta. Tu non sei mai uscito con una ragazza, vero?”.
“Secondo te, io avrei avuto tempo per queste stupidaggini!?” esclamò lui contrariato.
“Mmh, non saprei…”
“Quando “uscivo”, era dalla mia navicella spaziale e tutti quanti fuggivano terrorizzati!!”
“Ooh, voi Saiyan!! Intendo…”
“Ho capito benissimo!” intervenne lui incrociando le braccia. Ultimamente, molte riflessioni occupavano la sua mente; per non parlare di quanto era successo tra loro due. Il suo cuore prese a battere all’impazzata e…: “Va bene. Andiamo!”
“Ma non puoi venire così!” disse lei, indicando la sua tenuta sportiva.
Vegeta si impose di non cambiare idea, seguendola con uno sguardo corrucciato, mentre lasciava la stanza: “Chi!” borbottò guardandosi allo specchio.
   
 
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