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Autore: Reginafenice    06/02/2018    1 recensioni
Ho immaginato come, qualche mese dopo la morte di Elizabeth, Ross avrebbe potuto reagire ad un incontro non pianificato con il frutto della suo adulterio, Valentine, e quali sentimenti avrebbe suscitato in lui l’avere a che fare concretamente con quel figlio mai riconosciuto una volta messo finalmente di fronte alla realtà che, per quanto dolorosa, lui non è mai stato in grado di accettare.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa volta non sarebbe stato necessario che qualcuno si fosse intromesso tra lui e la porta per vietargli l'ingresso, dal momento che le parole che Ross aveva appena sentito pronunciare avevano sortito su di lui l'unico effetto che ognuno dei presenti si sarebbe potuto aspettare: lo avevano trasformato in una statua di ghiaccio e costretto ad un silenzio tombale.

Ma Dwight infranse la solennità di quel momento e azzardò un'ipotesi, "Potrei andare questa mattina stessa da Warleggan per comunicargli quanto è accaduto a suo figlio. Ho sentito dire che è rimasto bloccato a Trenwith a causa della neve".

Gli occhi chiari di Demelza cercarono invano quelli del marito, come a voler illuminare il buio profondo che riusciva a scorgervi, mentre contemporaneamente dalla sua bocca uscivano parole indirizzate al medico, in piedi sull'uscio della porta.

"Si, credo che sia la cosa più saggia da fare."

Incapace di trovare il benché minimo segno di assenso sul volto impassibile di Ross e affidandosi alle parole di Demelza, Dwight decise di entrare nella stanza per riferire al bambino la novità.

Fece per dare loro le spalle, quando una mano lo trattenne ancora per un po’.

"Non è successo nulla di grave..." Ross cercò goffamente di nascondere lo sconcerto che provava.

"Dwight, lo porteresti tu da suo padre?" Lo implorò Demelza.

"Purtroppo non è ancora nelle condizioni di spostarsi. Conto sulla tua pazienza ancora per un'altra notte, Demelza".

Dopo aver accompagnato Dwight alla porta, Ross decise di rinchiudersi nella sua camera per assorbire tutte le spiacevoli emozioni che quella scoperta gli aveva lasciato a gravare sullo stomaco.

Sapere che Velentine si trovava così vicino, dopo averlo evitato per tutti gli anni della sua ancora acerba esistenza, aveva risvegliato tremende battaglie interiori volte a scacciare qualsiasi ricordo associabile alla notte del suo concepimento.

Pensò alla sofferenza che aveva provato alla notizia della nascita di Geoffrey Charles, quando ancora non riusciva ad accettare l’idea che suo cugino avesse avuto tutto ciò che lui stesso desiderava e a quanto quel dolore non potesse essere nemmeno lontanamente paragonabile allo sconforto assoluto che lo aveva turbato il giorno della nascita di Valentine.

Ogni parto di Elizabeth, per motivi diversi, lo aveva segnato, trasformando continuamente il suo rapporto con lei: il primo, avvenuto poco dopo il matrimonio con Francis, lo aveva reso consapevole di aver perduto per sempre la ragazzina di cui era stato innamorato e che il tempo delle illusioni della gioventù aveva dovuto cedere il posto alla più grande delusione della sua vita; il secondo, invece, aveva  gettato una luce nuova sull’idea che aveva di Elizabeth, come se il desiderio che finalmente era riuscito ad appagare avesse svelato l’incantesimo e infranto il sortilegio che lo legava a lei, lasciandogli il ricordo di un sentimento ormai superato e la sensazione che nulla potesse riempire quell’immensa voragine che si era creata tra di loro; infine la nascita di Ursula, marchiata dalla morte, aveva imposto alla vita di Elizabeth un finale tragico e, contemporaneamente, aperto uno scenario nuovo sul suo futuro, un tempo in cui, per la prima volta, avrebbe vissuto con la certezza di poter fare a meno di lei.

Valentine, nel frattempo, dopo aver trascorso la maggior parte del tempo da solo nella stanza che gli era stata riservata, aveva trovato le forze necessarie per seguire il consiglio di Dwight e mettersi in piedi e, addirittura, scendere le scale.

Così, disorientato dal trovarsi in una casa sconosciuta, si trovò indeciso su quale direzione prendere per raggiungere il fuoco di cui sentiva un lieve calore sulle sue guanciotte pallide.

Demelza, bianca almeno quanto Valentine, si accorse subito di quell'incertezza e fece sì che lui potesse vederla e raggiungerla, "Ti farebbe bene sederti qui" indicò la panca bassa situata in mezzo al salotto, "e riscaldarti insieme a noi".

Cercò di risultare il più naturale possibile, ma l'assurdità della situazione le rendeva impossibile nascondere un certo imbarazzo nella voce.

Valentine si avvicinò alla panca, ai cui piedi Garrick aveva deciso di riposare, ancora troppo stanco per rimettersi a giocare con i suoi padroncini.

Prontamente Jeremy gli portò un vecchio plaid in segno di amicizia, avendo intuito dal suo colorito spento che ne avesse davvero bisogno.

"Tieni! Tanto a noi non serve." Disse Jeremy, studiando per alcuni secondi il piccolo viso del suo ospite, dopodiché corse da sua madre alla ricerca della sua approvazione.

Demelza rivolse a suo figlio un sorriso dolcissimo, "Bravo Jeremy! E' così che si fa!" Lo ricompensò con un sontuoso bacio sulla guancia.

Valentine distolse lo sguardo da quel momento così intimo tra madre e figlio, preferendo rivolgere la sua attenzione al pelosetto che era seduto ai suoi piedi.

Demelza si rese conto di aver involontariamente urtato la sensibilità del bambino, appena reduce dal trauma di aver perso la sua mamma ancora troppo giovane, quindi cercò di rimediare.

"Lo sai Jeremy che questo bambino si chiama Valentine?" Provò a far socializzare i due bambini, sperando che, inconsapevoli del legame che gli univa, potessero trovare piacevole passare un po’ di tempo a discutere insieme.

Il piccolo si sorprese nel sentire pronunciare il suo nome ma non riuscì a mantenere l'espressione meravigliata sul suo volto che Jeremy si avvicinò porgendogli la mano.

"Piacere, io mi chiamo Jeremy Poldark e questa..." si rivolse alla sorellina, stesa a pancia in giù sul tappeto, silenziosa come non mai, “...è  mia sorella Clowance."

Clowance, dal canto suo, rimase con la testa appoggiata sui gomiti, come se stesse sul punto di esaurire tutta la sua pazienza e sfogare, in un sonoro pianto, la rabbia che provava per la totale mancanza di attenzione che Dwight le aveva riservato quella mattina, preferendo occuparsi del nuovo arrivato.

Demelza, con grande stanchezza, prese in braccio la piccolina e la posò su un cuscino, proprio vicino a Jeremy e Valentine, incoraggiandola a intervenire nei loro discorsi.

Inizialmente Clowance mantenne il broncio, facendo perdere a sua madre tutte le speranze che nutriva per farla distrarre e poter raggiungere Ross, senza ritrovarsela dietro.

Quando Valentine abbandonò la sua timidezza e iniziò a parlare delle sue abitudini, l'attenzione di Clowance fu immediatamente catturata da un piccolo dettaglio, riferito al suo argomento preferito: le bambole.

Il piccolo Warleggan aveva, infatti, menzionato le bambole di sua sorella Ursula e i loro inquietante sguardo indagatore che incombeva su di lui ogni volta che passava dalla sua cameretta.

Demelza colse quindi l'occasione per lasciarli da soli.

Quando entrò nella sua camera da letto pensò di trovare Ross addormentato, invece si accorse che era seduto alla scrivania di fronte alla finestra, incupito a dismisura e concentrato sul foglio che sistematicamente macchiava con l'inchiostro della sua piuma d'oca, guidato dalla flebile luce di un’unica candela accesa.

"Perché non ne vuoi parlare?" Demelza era rimasta in piedi dietro di lui, con le mani adagiate sulle sue spalle larghe.

Ross distolse lo sguardo dalla lettera che stava scrivendo per voltarsi e incontrare il viso stanco di sua moglie che lo guardava come se non si aspettasse di sentire una risposta alla sua domanda, conoscendo piuttosto bene la sua riluttanza a toccare quell'argomento.

"Prima che Dwight se ne andasse, gli ho detto che avrei preferito informare George io stesso. Non mi piaceva l'idea di fare intervenire Dwight in una questione che non lo riguarda affatto, come se George potesse pensare che io sia troppo spaventato dalla sua reazione per poterlo affrontare personalmente."

Demelza inarcò le sopracciglia, "Penso che tutto questo coraggio, che non fai a meno di sbandierare quando si parla di George Warleggan, dovresti usarlo anche per ammettere di trovarti in una situazione difficile adesso che Valentine... "

Ross si alzò di scatto dalla sedia e si mise in piedi, deciso a fronteggiarla.

"Non nego il fatto che sapere di aver portato in casa il figlio del mio peggior nemico mi provochi una certa irritazione, ma..."

"Ma?" Lo interrogò Demelza.

"...ma non è per il motivo che immagini tu!" Ross, questa volta, decise di guardarla dritto negli occhi per dimostrarle che non aveva niente da temere, nemmeno la sua espressione dura alla ricerca disperata di sincerità da parte sua.

"Va bene, se sei così cocciuto da non voler riconoscere che stai soffrendo, non mi resta che lasciarti affogare nel tuo dolore. Stavo solo cercando di darti una mano."

"La questione è chiusa. Quando terminerò questa dannatissima lettera troverò la mia pace, Demelza"

"Non sarai in pace finché ti ostinerai a tenere la testa nascosta sotto terra. Ma non riesci a vedere quanto, nonostante tutto, io stia riuscendo a stare accanto a tuo... "

L'atmosfera iniziava decisamente a riscaldarsi.

"Non sei tenuta a farlo. Nessuno potrebbe pretendere una cosa simile da te."

"Perché? Credi che sia io la vittima in questa storia?"

Ross non riuscì più a reggere il suo sguardo.

"Sei tu la vittima, Ross. Sei la vittima del tuo continuo negare di aver sbagliato, quella notte, ad aver ceduto alla tua debolezza per Elizabeth. E questo non ti permette di andare avanti..."

Sentir nominare Elizabeth fu come un pugno nello stomaco, perché era anche verso di lei che Ross aveva provato un grande senso di colpa, che era riuscito a mitigare solo dopo essersi riconciliato con lei, congedandosi, una volta per tutte, dalle pretese illusorie di un amore tra di loro, durante quell' incontro inaspettato alla tomba di zia Agatha. Il suo più profondo dispiacere per Elizabeth stava, infatti, nell'averle proposto di avere un figlio da George per ingannarlo anche questa fingendo di partorire un mese in anticipo, con il terribile risultato di averla spinta a trovare la morte per redimere con la sua stessa vita una colpa che in realtà erano in due a condividere.

"Tu non puoi capire..."

"Si, invece! Ti farebbe soffrire troppo vedere con i tuoi stessi occhi quanto poco di Elizabeth c'è nel viso di vostro figlio!"

Ross la prese per un polso, in un gesto di grande rabbia, "Non è mio figlio!"

Demelza iniziò a piangere, accettando di essere uscita completamente sconfitta da quell'inutile battaglia e, quando Ross la lasciò libera dalla sua presa, a causa dell'intensità di tutte le emozioni che aveva provato sin dalla notte precedente, perse i sensi proprio di fronte ad un Ross tremendamente mortificato per averla trattata in quel modo.

   
 
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