Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: LaRagazzaCheNonEsiste    07/02/2018    2 recensioni
[Reupload con ingenti modifiche della fanfiction "Tutto può Succedere"]
Una ragazza cresciuta per essere una "sostituzione", per essere colei che avrebbe dovuto rimediare al "danno causato". Qualcosa però cambia improvvisamente e Mikan Sakura, una Mikan diversa da quella dell'universo canonico, assieme ai suoi demoni, sarà costretta ad entrare all'Alice Academy. Qui, con un "qualcuno" che già conosce il peso di questa oscurità, inizierà a cercare la luce alla fine del tunnel.
Ma questi personaggi saranno in grado di affrontare le loro paure? Il loro passato? Sapranno superare tutti gli ostacoli che incontreranno sul loro cammino?
Nessuno lo sa, perché Tutto può Succedere.

Attenzione: l’avvertimento OOC è stato inserito poiché, data la trama, alcuni personaggi potrebbero avere un carattere completamente diverso da quello dell’opera originale.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Luna Koizumi, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Persona/Rei Serio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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II
 
“How a flower looks like”
 
 -Fratellone?-.
-Uhm?-.
Era tardi e se il padre li avesse beccati in giardino li avrebbe rimproverati, sebbene Natsume sapesse bene che non sarebbe mai riuscito ad essere così severo. Non era cosa adatta a lui, e d’altronde l’uomo lo diceva sempre che, nel bene e nel male, quella che in quella casa aveva sempre portato i pantaloni era la madre dei due ragazzi.
Aoi giocherellò con i fili d’erba del prato facendoseli passare fra le dita delle pallide e piccole mani mentre gli occhi color rubino venivano coperti dalle morbide ciocche corvine dei suoi folti capelli, all’epoca leggermente lunghi, forse poco oltre le spalle. Era tale e quale al fratello più grande che in quel momento la stava osservando in silenzio, in attesa della sua domanda.
-Perché non possiamo rimanere nello stesso posto? Perché dobbiamo sempre cambiare casa?-.
Il ragazzo, che ancora non aveva compiuto otto anni, non si sorprese del fatto che la sorellina, di soli quattro anni del resto, non sapesse nulla a riguardo e per un poco evitò di rispondere al suo quesito, gli occhi puntati sulla pallida luna come se essa, assieme alle stelle, avesse potuto dargli le parole giuste da dire. Ma come al solito nulla disse quella fonte di luce notturna che da sempre è appesa al cielo e il corvino si fece sfuggire un lieve sospiro da quelle labbra su cui raramente si scorgeva un sorriso.
-Perché altrimenti ci porterebbero in un posto lontani da papà e dal resto del mondo-.
-E perché?-.
-Perché siamo diversi-.
-Ed è una cosa cattiva?-.
Natsume si avvicinò a lei e le scompigliò i capelli con una mano, forse in un vano tentativo di farle interrompere quello che rischiava di diventare un flusso di domande senza fine, ma la più piccola gli prese il polso fra i piccoli palmi, le guance gonfie e le sopracciglia leggermente corrugate.
Il fratello non trattenne quel sorriso che gli venne più che spontaneo e, con la poca forza delle sue braccia, se la mise sulle gambe.
-Quando saremo più grandi troveremo tutte le risposte. Ora non te le so dire, Aoi-.
Glielo disse con un’aria seria, tanto che la più piccola non insistette e si limitò ad annuire con il capo. Dopo non molto appoggiò la testa contro la spalla del fratello maggiore mentre veniva colta dalla stanchezza che, con uno sbadiglio della corvina, annunciava la sua presenza.
-Insieme?-.
-Insieme-.
 
[***]
 
L’inverno in Giappone sa essere pungente e, sebbene Tokyo non fosse avvolta dal gelo come Sapporo (capoluogo della prefettura di Hokkaidō), quel mattino uscire senza una giacca pesante era a dir poco impensabile. D’altronde le previsioni annunciavano che c’era da aspettarsi una nevicata nel giro di pochi giorni o al massimo una settimana, ma all’Alice Academy cose come la televisione erano impensabili persino per uno studente avente la Special Star.
Fu a causa di una corrente fredda che gli provocò brividi lungo tutta la spina dorsale che Natsume Hyūga si svegliò dal suo sonno e subito socchiuse gli occhi rosso rubino ancora stanchi a causa del mancato sonno della notte precedente. Nulla di troppo strano per quel periodo: Persona era letteralmente sparito dalla circolazione per due settimane intere, lasciando il posto alla Koizumi che, vuoi per la noia vuoi per il disprezzo verso tutto ciò che riguardava Rei Serio, li aveva ridotti allo stremo con un numero di missioni filate inconcepibile. Il corvino aveva contato le sue poco prima di crollare per la troppa stanchezza e, se la memoria non lo ingannava, era arrivato a farne una trentina, con neanche un’ora di pausa fra l’una e l’altra che, per chi aveva un Alice di tipo Illimitato, significava sfidare il proprio corpo a piegarsi fino a quando non si spezzava.
Forse però, in fin dei conti, il sedicenne sperava che il suo fisico collassasse del tutto affinché potesse morire in pace, ma lasciarsi abbracciare dalla morte in quel momento era fuori discussione: doveva ancora risolvere alcuni problemi, sistemare delle cose, e solo poi avrebbe potuto lasciare che quella piccola scintilla di vita dentro di lui si spegnesse al più debole soffio del vento. Quantomeno tutto quel dolore sarebbe finito, fisico o mentale che fosse.
Si passò una mano sul viso pallido, gli occhi segnati da due ombre scure per la mancanza di sonno, e sbuffò infastidito da quel maledetto inverno che non gli aveva concesso neppure quel poco riposo che aveva tanto richiesto. Non avrebbe mai ammesso che se la fosse cercata uscendo senza giacca, ma solo con la camicia bianca e stropicciata i cui bottoni all’altezza del colletto, fra l’altro, non erano neppure chiusi, i pantaloni a scacchi beige della divisa del dipartimento superiore e con quelle scarpe troppo eleganti che avrebbe volentieri incenerito con il suo Alice per il semplice gusto di eliminare quel dettaglio troppo perfetto. Perché in quel dannato posto tutto doveva essere perfetto sotto ogni punto di vista, tutto doveva rispettare le apparenze, sorreggere la maschera che l’Accademia si era meticolosamente costruita nel corso degli anni mentre, di nascosto, ragazzi e ragazze, bambini e bambine, sputavano sangue, versavano lacrime, nascondevano le ferite che si erano procurati, spesso tanto gravi da farli zoppicare o, alle volte direttamente costringerli a letto per una settimana o più; quegli stessi ragazzi soffrivano e quasi si facevano sanguinare quando, nella notte, li coglieva impreparati un incubo, spesso il ricordo di un’azione compiuta, una missione compiuta, e continuavano a farsi involontariamente del male fino a quando, abituatisi al dolore, non smettevano di provare emozioni concrete.
Che quel Dio di cui tutti parlavano gli fosse testimone quando diceva che, se avesse potuto, avrebbe volentieri raso al suolo quella schifosa scuola, distruggendola fino a quando non ne fosse rimasto neppure il più piccolo granello di polvere.
Appoggiò nuovamente la testa contro la corteccia di quel ciliegio ora spoglio dove da sempre veniva a rifugiarsi quando voleva stare da solo, alle volte con una rivista o un fumetto, soprattutto quando era più piccolo, o, più spesso quando divenne più grande, un libro o un oggetto casuale con cui tenersi occupato. Solo Luca Nogi, il suo migliore amico, sapeva che quando il corvino non era a lezione si trovava in quel luogo nascosto dagli alberi e forse, o almeno così gli era parso di capire, ne era a conoscenza anche Hotaru Imai che certo non aveva nulla di meglio da fare se non mettere il naso in affari che non la riguardavano. Rispettava quella ragazza dagli occhi ametista per la sua intelligenza e riservatezza, ma certo non per il suo essere tanto impicciona tanto che una volta aveva discusso aspramente con la corvina e solo dopo qualche commento sulla “curiosità degli scienziati” dell’amico da Feromone Animale era riuscito a far pace con lei, per quanto ad entrambi non potesse importare di meno del fatto che avessero risolto la questione. Perlomeno, nonostante ella avesse una sorta di gioia perversa nel divulgare informazioni personali sul conto di tutti, nessuno era venuto a conoscenza di quale fosse “il suo posto” cosa che, per uno dei ragazzi più popolari dell’intera Accademia, risultava essere ben più che positiva. A stento riusciva a trattenersi dal fare fuori Sumire e tutte le altre ragazze facenti parte del suo fanclub durante le ore scolastiche, figurarsi se queste fossero venute ad infastidirlo quando aveva la luna storta.
Il ragazzo spostò gli occhi color fuoco verso la maschera da gatto nero che giaceva al suo fianco e subito dovette trattenere l’istinto di mandare a fuoco quel vecchio strumento di contenimento che gli aveva affibbiato quel nomignolo che tanto lo infastidiva: Kuro Neko, gatto nero appunto. La sollevò dal prato sul quale giaceva ancora qualche foglia secca che qualcuno si era dimenticato di togliere e la osservò con freddezza, ricordandosi anche di come, anni prima, la vista di quell’oggetto gli causasse così tanta rabbia da fargli bruciare involontariamente gli oggetti che lo circondavano. Gli faceva ancora ribollire il sangue nelle vene, ma nulla più. Quando un suo compagno delle Abilità Pericolose lo aveva notato aveva ridacchiato divertito dalla cosa, mormorandogli un “Quanta poca determinazione che hai, gattino~”. Nessuno osò più fare commenti riguardo a Natsume quando lo stesso ragazzo, il giorno dopo, si ritrovò in ospedale con gravissime ustioni su tutto il corpo.
Interruppe il flusso dei suoi pensieri quando udì dei passi leggeri non troppo lontani da lui che a stento era riuscito a sentire nonostante l’orecchio attento. Diede la colpa alla stanchezza, al fatto che certo dopo aver consumato tutta quell’energia non potesse essere al massimo della sua forma, ma del resto non poteva immaginare che fosse un miracolo che i passi di quella persona avessero emesso anche solo un piccolo suono date le sue condizioni fisiche a dir poco precarie.
Si sforzò di alzarsi e si dovette sorreggere per un poco con il tronco dell’albero prima di potersi muovere senza dover temere in una caduta improvvisa. L’istinto gli disse di tenersi pronto ad usare il suo Alice e subito, senza pensarci troppo, fece apparire una piccola fiamma nel palmo della sua mano, cercando di evitare che le scintille infuocate cadessero sul prato o finissero contro gli alberi: era troppo debole per contenere un incendio causato dal proprio potere distruttivo. I passi si fecero più vicini ed anche più rapidi e subito il ragazzo si diresse verso essi, il cuore che pompava il sangue troppo velocemente e gli dava l’impressione d’avere l’organo in questione in gola.
Normalmente non si sarebbe mai lanciato con il suo Alice contro un qualcuno di cui non conosceva neppure l’identità perché avrebbe rischiato di far del male ad un innocente, ma in quel momento davvero non stava ragionando tanto che, vista un’ombra proiettata da dietro un albero, si scagliò contro essa puntando la fiamma verso il suo corpo.
Nella foga del momento neppure si accorse che il suo fuoco si spense poco prima di sfiorare la pelle di quella ragazza.
La vide cadere all’indietro, per fortuna senza sbattere la testa, e appena fu in grado di mettersi seduta indietreggiò spaventata, con l’aria di chi ha appena visto un fantasma, stessa aria che aveva Natsume che però, in fin dei conti, ne aveva tutto il diritto: quella ragazza dai lunghi capelli color miele e dagli occhi nocciola pareva davvero lo spettro di sé stessa. Era pallida, il viso dai bei lineamenti, ma asciutto come quello di chi non mangia da secoli, le gambe così esili da sembrare solo ossa coperte dalle calze nere, le occhiaie più scure delle sue sotto i grandi occhi che, spalancati, lo fissavano con terrore mentre il corpo era scosso da violenti brividi, causati forse anche dal gelo invernale che stava facendo congelare le ossa di entrambi; intorno al collo aveva delle bende e queste si potevano scorgere anche sull’esile polso che spuntava dalle maniche troppo larghe della giacca che indossava. Tre stelle appuntate ad essa che, con i suoi colori, segnava l’appartenenza della sua proprietaria al dipartimento superiore, peccato che il corvino non l’avesse mai vista neppure una volta e, dato che mai gli era capitato di incontrare un Alice per la prima volta quando questi era così grande, per un momento pensò davvero che la stanchezza gli avesse giocato un tiro mancino e che lui stesse vedendo davvero una sorta di Yokai.
Provò a fare un passo verso di lei e subito la vide strizzare gli occhi con forza, mentre delle lacrime iniziavano a formarsi al lato di questi e, temendo di averle fatto male, più per le conseguenze che avrebbe dovuto affrontare che per una reale preoccupazione per la condizione fisica di quella ragazzina spaurita, si chinò di fronte a lei, esaminandola con occhio attento cercando qualche ferita superficiale o il segno di un’ustione. Non vide nulla di tutto ciò e così pensò che si fosse fatta male a qualche osso considerando quel fisico che aveva, troppo debole persino per il più piccolo movimento, ma certo non poteva scoprirlo con un’occhiata superficiale e aveva compreso da subito che, fin quando non si fosse calmata, gli sarebbe stato impossibile anche sfiorarle una punta dei capelli senza farla scoppiare a piangere ed urlare.
Sospirò, forse anche per il fastidio che gli stava dando quella situazione.
-Ehi, piantala, non voglio farti nulla. Ti ho “colto alla sprovvista” perché...insomma...ti ho confusa per qualcun altro-, una pessima bugia ma non gli veniva in mente nulla di meglio, -Ora dimmi se ti fa male da qualche parte: se sei caduta male potresti esserti presa una distorsione o cazzate simili, ma non ti posso far zoppicare per tutta l’Accademia-.
La vide scuotere violentemente la testa mentre teneva le labbra serrate.
-Potresti anche rispondermi a parole se il gatto non ti ha mangiato la lingua, sai?-.
Il silenzio calò su entrambi e la ragazza, ora con gli occhi aperti, si era stretta le ginocchia al petto e continuava a fissare il prato come se fosse la cosa più interessante del mondo. In quel momento, guardandola, nella mente del ragazzo riapparve il ricordo della sua sorellina che guardava quelle cose tanto stupide e banali con gli stessi occhi trasognanti, anche quando quei rubini erano pieni di lacrime. E allora il ragazzo lo pensò davvero che entrambe quelle ragazze fossero state splendidi fiori di cui nessuno si era curato, tanto che gli uomini avevano continuato a pestarle fino a quando non avevano rischiato di spezzarne il gambo ed ucciderle, e da quel giorno quelle creature dai petali bianchi e candidi come neve vivevano in quel limbo fra la vita e la morte sperando che qualcosa potesse cambiare. Ma lo represse subito quel pensiero, così repentinamente che, anni dopo, non ne ebbe più memoria.
-...s-sto bene-.
Natsume quasi non si rese conto del fatto che ella avesse parlato tanto era debole la sua voce che, in quel momento, era uscita in quello che poteva essere poco più che un sussurro.
Cogliendola di sorpresa e facendola sussultare, il ragazzo la prese per il polso e si alzò sollevando anche la ragazza dagli occhi color nocciola, e si sorprese nel sentire quanto poco pesasse. La esaminò da capo a piedi, constatando che non gli aveva mentito e che riusciva a stare in piedi sulle sue gambe, e subito dopo mise le mani nelle tasche dei pantaloni della propria divisa.
-Pare tu sia stata sincera, comunque quale dovrebbe essere il tuo nome?-.
La vide esitare prima di rispondere.
-Mikan... M-Mikan S-Sakura...-.
-Io sono Natsume, Natsume Hyūga-.

 
Angolo Autrice [perché devo giustificarmi per la mia assenza]
 
Due rette parallele sono due insiemi infiniti di punti appartenenti ad uno stesso piano che non si intersecano mai fra di loro. Data la retta a (che chiameremo LaRagazzaCheNonEsiste), e la retta b (che chiameremo puntualità) disegnale facendo in modo che risultino parallele.
Credo di aver spiegato nel modo più semplice possibile la questione-
In ogni caso chiedo venia per la lunga assenza, ma vado in quel brutto posto chiamato Liceo Classico dove si devono studiare materie UTILISSIME come il Latino ed il Greco e quindi, soprattutto a causa della scuola, ho avuto pochissimo tempo libero negli ultimi mesi.
Per una serie di fortunati eventi, e di alcune canzoni che cascavano a fagiolo, ho avuto tutto il tempo di farmi venire un’idea e di scriverla. In ogni caso ringrazio tutti coloro che stanno seguendo questa storia, significa molto per me.
Ultime informazioni di servizio: nonostante a nessuno potrà fregare nulla di quanto sto per dire, volevo informarvi che le canzoni sopra citate da cui sto prendendo ispirazione per “il carattere” dei nostri due protagonisti hanno lo stesso titolo ma cantanti e testo diverso. Per Natsume mi sto basando su Human di Krewella (versione Nightstep), mentre per Mikan Human di Christina Perri.
Inoltre “Luca Nogi” non è un errore di battitura, questo perché in realtà è il modo corretto di scrivere il suo nome. Il ragazzo infatti ha la madre Francese e il padre Giapponese, per cui il suo nome è occidentale e il cognome Giapponese per ovvie ragioni. Nel doppiaggio italiano dell’anime e in alcune versioni inglesi/americane dei manga è arrivato il nome “Ruka” perché è così che viene scritto in Giappone, in quanto lì il suono della “L” e quello della “R” per certi versi si equivalgono. Una rapida ricerca in internet vi darà una spiegazione più accurata di quest’ultimo dettaglio.
Ultima cosa ma non per importanza: nella storia al momento ci troviamo nel mese di dicembre, questo perché 1º- Non mi volevo complicare la vita con il compleanno di Natsume (27 novembre) e 2º- Se fosse stata a gennaio avremmo avuto Mikan già di 17 anni e la cosa mi dava altamente fastidio.
Dopo questo capitolo molto bello (ma anche no), io vi saluto.
A presto (ma anche no parte due), Sayonara miei prodi!
 
LaRagazzaCheNonEsiste
 
  
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