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Autore: Eneri_Mess    08/02/2018    0 recensioni
Entrato a passo svelto nell’hangar senza palesare la propria presenza, Lance afferrò il viso di Lotor con le mani e lo trascinò in basso per un bacio privo di qualsiasi preavviso.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Lotor, McClain Lance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cow-t, quarta settimana.
Numero parole: 2046
Note: vago spoiler fine stagione S4?


I shot for the sky
I'm stuck on the ground
So why do I try?
I know I'm gonna fall down.
I thought I could fly,
So why did I drown?
I'll never know why
It's coming down, down, down.
[Down - Jason Walker]



 

Entrato a passo svelto nell’hangar senza palesare la propria presenza, Lance afferrò il viso di Lotor con le mani e lo trascinò in basso per un bacio privo di qualsiasi preavviso.

Il loro primo bacio, dopo settimane, mesi, che Lance aveva continuato a negarglielo.

Lotor non esitò; lo afferrò per la nuca con una mano, tenendogli la testa ferma per affondare nella sua bocca, mentre l’altro palmo lo spinse contro il proprio torace.

Le dita di Lance scivolarono nei suoi capelli e le braccia intorno al collo; si lasciò trasportare quando Lotor lo sollevò per spingerlo contro la parete, sotto lo sguardo spento del Black Lion, nel silenzio di attesa in cui versava il Castello.

Lance gemette, il petto rigido per la mancanza d’aria, ma non accennò a voler smettere. Anche se scomodo, si puntellò con le spalle e sfregò il bacino contro quello del principe, le gambe allacciate alla sua vita, l’eccitazione già pressante. Voleva di più, voleva che Lotor capisse in fretta i suoi bisogni.

Gemettero entrambi col bisogno di riprendere fiato. Lance aveva gli occhi serrati e iniziò a mordere il labbro inferiore del Galra, senza smettere di strusciarsi, i jeans sempre più stretti.

Con le palpebre a metà, Lotor lo osservò, lo lasciò fare, fino a quando non lo spinse completamente contro la parete, bloccandolo. Tirò indietro solo la testa, scostandosi dalla presa dei suoi denti sul labbro, e poi tornò vicino, la bocca alla sua tempia, rimanendo fermo mentre sentiva contro il torace i tentativi del petto del paladino di riprendere fiato nella gabbia tra corpo e muro in cui lo teneva costretto. Lo sentì mugolare contrariato, e si abbassò al suo orecchio.

« Sei crudele, Baby Blue. Cosa significa tutto questo, così all’improvviso? »

Con le dita Lance si aggrappò alle sue spalle, cercando di muoversi di nuovo a proprio piacere, ma il principe non lo lasciò fare. Fu allora Lance ad avvicinarsi all’orecchio dell’altro, respirandoci per lunghi secondi, in cerca di coraggio, in cerca di qualcosa che lo aiutasse a cambiare una storia apparentemente già scritta, e non affidandosi a un tentativo che sapeva così di disperazione. Parlò, e tremò, ma si ostinò nel suo piano.

« Scopami »


L’unico modo che Lance aveva di distinguere se fosse notte o giorno era controllare i valori sul display principale della camera. Un’iconcina a forma di sole, giallo brillante, con le fattezze caricaturali della faccia di Pidge, avrebbe indicato il giorno, un’altra, grigio luna, la notte. Uno dei tanti dettagli che molto, molto tempo prima, il loro gremlin aveva customizzato. In quel momento, il display e i suoi dati erano tra le cose che Lance avrebbe spaccato volentieri.

Per quanta rabbia, delusione, paura, e forse un’infinità di sentimenti ancora avesse in corpo, nessuno di questi riusciva a raggiungere la superficie delle intenzioni e portarlo ad agire.

Non era come Keith, lui. Lui cercava di riflettere, trovare una soluzione alla situazione, conscio che gli sforzi fisici non fossero il suo forte, che per quanto avesse desiderato cambiare le cose con le proprie mani, in maniera istintiva, avrebbe fatto solo un gran casino.

Le cose tra lui e Lotor non sarebbero dovute andare in quel modo. Con un pensiero simile, tutta la sua vita non sarebbe dovuta andare così.

Si era proiettato nelle stelle fin da piccolo, a esplorare nuovi sistemi solari, pianeti, magari scoprire i fantomatici alieni. Si immaginava le missioni come gite fuori porta, qualche mese passato a galleggiare nello spazio, un anno o due al più, e poi rotta di ritorno verso casa per abbracciare chi da sempre lo sosteneva. Di nuovo qualche e mese e poi ancora ripartire e tornare.

Ora la sua famiglia probabilmente lo credeva morto, i suoi compagni erano o dispersi o impiegati in missioni suicide o alla ricerca di modi per salvare l’universo.

Lui, in quel momento, voleva solo salvare l’ultima delle creature che lo spazio avrebbe potuto offrirgli come amore della sua vita. Una descrizione odiosamente e smielatamente accurata.

Il loro tira e molla era andato avanti da quando il Principe Galra aveva chiesto asilo politico alla coalizione di Voltron, nascondendo solo in parte che per lui non erano altro che un ripiego momentaneo prima di riprendere la propria strada e i propri scopi. Cosa fosse successo tra uno sguardo e un altro, tra una sconfitta e una vittoria, nella routine quotidiana e nella sorte avversa, Lance aveva smesso di chiederselo.

Lui e Lotor erano lentamente scivolati l’uno di fianco all’altro. Per cose banali a volte - invidiare la setosità di quei capelli bianchi non lo aveva aiutato ed era stato uno dei tanti pensieri martellanti - e per cose che li avevano colti entrambi impreparati. La nostalgia di casa tra queste.

Un argomento che si era rivelato terra franca, la zona di confine tra le loro realtà nemiche, un modo per iniziare a conoscersi. Lance fissava le stelle in cerca del suo mondo, Lotor le guardava immaginando che potesse esistere ancora.

Forse era stato in quel momento che Lance aveva sentito il primo dei tanti brividi infingardi, il primo dei tanti pensieri che avevano spostato il peso della bilancia, le piccole insinuazioni che lo avevano fatto titubare riguardo la propria lealtà a volte, nel dubbio di dover scegliere da che parte stare.

Una sola volta Lotor lo aveva sfidato, proponendogli di unirsi a lui. Negli attimi iniziali, Lance era arrossito, fraintendendo completamente le sue parole in un modo così adolescenziale che col senno di poi aveva urlato nel cuscino contro la propria ingenua malizia.

Ma questo non gli aveva impedito comunque di trovarsi davanti a un bivio. Se fosse successo mesi prima, la risposta sarebbe stata Stai scherzando, non esiste, sei il nemico. Anche in quell’occasione la replica fu tale e quale, ma tentennata, incerta, perché dentro Lance sentì chiara una voce, un sentimento, dirgli Seguilo.

Ma al di là di quell’occasione, il numero delle volte in cui avevano flirtato era stato imbarazzante. Lotor aveva cercato di baciarlo e Lance si era sempre tirato indietro. Lotor aveva iniziato a chiamarlo Baby Blue, invece di semplicemente Blue, quando, per un motivo o un altro, si ritrovavano a condividere un tempo e uno spazio per loro. Lance era il suo “braccio destro”, da quando il Black Lion si era ribellato a Shiro, da quando avevano scoperto la verità sul progetto Kuron e Keith si era rifiutato categoricamente di tornare a pilotare Red. Lotor aveva ucciso a sangue freddo per difenderlo, quando le cose si erano messe male.

E continuavano ad andare peggio e Lance si sentiva fluttuare senza gravità, senza una forza a cui fare appello per impedire alle persone di uscire dalla sua vita, o che lo aiutasse a raggiungerle, provando mille modi per salvarle.

Non sapevano nulla di Shiro, del vero Shiro, da quasi un anno. Keith era stato dato per disperso durante una missione, riferito con uno dei messaggi privi di empatia di Kolivan, appena qualche ora prima. Prima di questa notizia, Pidge e Allura erano partite immediatamente quando erano stati contattati da uno sperduto avamposto di ribelli dove era stato portato Matt, ferito. Hunk e Coran erano tornati a Balmera per recuperare altri cristalli per l’ennesimo tentativo da provare contro l’Impero, ma le comunicazioni andavano e venivano.

Gli eventi si erano mossi come un vento impetuoso e sradicante, e Lance e Lotor erano rimaste le sole presenze all’interno del Castello dei Leoni. Peggio c’era solo l’idea, ormai concreta in Lance, che a breve sarebbe stato l’unico lì.

Lotor aveva un piano contro suo padre, un piano che Lance non aveva voluto sapere per non doversi trovare a scegliere da che parte stare, ma tutti i suoi sensi, e poche parole del principe, gli avevano fatto comprendere che era arrivato il momento degli addii.

Per questo, dopo mezza giornata di silenzio, di trasmittenti che mandavano segnali statici, di novità poco incoraggianti sulla salute di tutti, il pensiero martellante che Keith avesse combinato qualcosa di irreparabile, che Shiro stesse ancora soffrendo prigioniero da qualche parte, che una trappola fosse in agguato per altri, Lance era andato da Lotor giocandosi l’ultima carta in suo possesso per tentare di fargli cambiare idea.

Parte del piano, più simile a un canovaccio, era stato consumato.

Avevano fatto l’amore nella sua camera; erano ancora caldi di sesso, l’aria musicata dai loro respiri lievi, qualche fruscio morbido di stoffa quando si muovevano nell’incoscienza del sonno. Almeno, fino a poco prima Lance era perso nell’oblio di un’ombra senza sogni, svegliato dalla certezza che allungando la mano non avrebbe trovato nessuno al fianco.

Ma Lotor era lì e si destò al suo tocco.

La propria espressione, Lance lo sapeva, non era quella di un amante soddisfatto, magari scanzonato nel sorridere mentre rimarcava la passione consumata. Il battito agitato del suo petto aveva ricominciato a galoppare e lui non riusciva a farci nulla. Avrebbe potuto scivolare di nuovo tra le braccia di Lotor, fare proprie le sue labbra, sentire la pelle contro la pelle e lasciarsi andare. La sua testa smetteva di figurarsi scenari di solitudine e disfatta, quando il principe lo toccava, quando pretendeva tutta la sua attenzione per sé.   

Lotor non gli aveva detto no. Non gli aveva detto di andarsene, che il suo piano non sarebbe cambiato.

Lo aveva preso come Lance gli aveva chiesto, lo aveva fatto suo in ogni centimentro come da mesi desiderava fare, come Lance aveva iniziato a immaginare sarebbe stato. Ma guardandolo in viso, negli occhi, nella fioca luce della stanza, con l’universo che gli alitava sul collo il ticchettio del tempo che andava esaurendosi, Lance non vide alcun cambiamento. Nessun Complimenti, Baby Blue, sei riuscito a farmi cambiare idea.

Nessun Rimango.

Le lenzuola finirono aggrovigliate tra di loro, quando Lance gli montò sopra, le gambe ai lati del suo torso, le cosce mordicchiate, costellate di succhiotti, premute sui suoi addominali. Piantò le mani ai lati del volto del galra, affondando le dita nel cuscino come appiglio.

Non era agitato in realtà, aveva una calma dentro che poteva essere quella prima della tempesta, dell’inevitabile, ma la verità era che si trattava della più disarmante delle consapevolezze. Quello che doveva succedere non sarebbe cambiato. Non era riuscito ad avere un’altra possibilità.

Forse dipendeva dal suo non essere abbastanza, come sempre. I suoi sentimenti infantili, che agognavano di sapere tutti al sicuro, erano solo un agglomerato di atomi insignificanti rispetto agli eventi che li avvolgevano come un tornado.

Lance non voleva essere lasciato solo, rimanere ultimo in una guerra dove non sapeva cosa fare. Lui non era nessuno; era molte idee e molte emozioni, molte aspettative e tante delusioni, ma a stringere non era che una porta socchiusa, in penombra, cigolante e in cui quasi mai qualcuno si avventurava a esplorare quello che aveva da offrire.

« Rimani » si sorprese di non avere lacrime lungo le guance. Forse un po’ stava crescendo.

Al contrario di lui, Lotor dimostrava di aver apprezzato la piega presa dalla nottata. Lui era l’incarnazione di un amante soddisfatto, un amante dallo sguardo in parte ancora non del tutto sazio, come se avesse avuto un antipasto, un aperitivo lussurioso, appetibile, ma che gli aveva soltanto aperto lo stomaco all’idea della prima portata.

Con indolenza si tirò su, abbastanza da riavere le labbra di Lance sulle proprie.

E poi fu di nuovo un cedere al desiderio. Lotor lo riportò sotto di sé un’altra volta, e di nuovo baciò e fece suo tutto quello che Lance gli stava offrendo per fargli cambiare idea, docile ma non meno vorace.

Il principe non si sentì obbligato a rifiutarlo, non quando aveva voluto quel momento tanto da far vacillare per un istante le scelte che stava per fare. Ma questo non glielo avrebbe mai detto.

Lance rimase senza forze dopo il terzo orgasmo, schiena contro il materasso, sotto di lui, quasi sparendo nella differenza fisica dei loro corpi. Gemette per entrambi, teso e perso nello spasmo del piacere. Aveva le dita affondate nelle spalle di Lotor, incurante, anzi, inconsciamente intenzionato a lasciare dei segni, dei marchi, qualcosa di sé. Aveva i sensi così storditi, annebbiati da Lotor, dai sentimenti che si gonfiavano come palloncini, comprimendogli respiro e ragione, che non sentiva più nulla come importante.

Fu per quello che non insistette a farlo restare.

« Vieni con me »

 

Fu per quello che rispose sì.


 
   
 
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