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Autore: lisi_beth99    09/02/2018    1 recensioni
Lane si risveglia nella Radura, inizialmente non comprende ciò che la circonda ma, dopo i primi flash-back, tutto diventa più chiaro...
Dal primo capitolo:
"Sentii dei rumori provenire da sopra la scatola, come dei passi, poi delle voci. Si aprì una botola e vidi una decina di ragazzi che guardavano me. Uno si fece avanti, aprì la grata ed entrò. Era un ragazzo alto, magro, con gli occhi scuri e i capelli biondo scuro. Mi studiò per alcuni secondi poi mi sorrise e mi porse la mano –Vieni, ti porto fuori da qui!-. afferrai subito quella che sembrava la cosa più amichevole che avessi mai visto e scoprii, con mia grande sorpresa, che era calda e rassicurante."
NOTA: Mi sono basata sul film, ci sono alcune riprese nella storia
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Newt, Nuovo personaggio, Thomas, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Live, Fight, Win'
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Newt mi baciava il collo mentre mi accarezzava il ventre con la mano destra. Eravamo rimasti in quella stanza per circa un’ora. Il biondino guardò l’orologio digitale che aveva al polso – Sono quasi le una. Dovremmo andare a mangiare…- effettivamente tutto quel movimento, sommato agli svariati svenimenti, mi avevano creato una voragine nello stomaco. – Per non parlare del fatto che gli altri potrebbero insospettirsi… Già che oggi qualcuno ha fatto battutine e commenti sul fatto che sei sempre con me. - continuò mettendosi a sedere. – Saranno gelosi! - scherzai scendendo dal letto raccogliendo gli slip poco lontani da me. Guardai Newt infilarsi i boxer e andare a recuperare i pantaloni marroni scuro. Avevo appena allacciato il reggiseno che la porta si aprì. – Newt come sta…- Zart rimase immobile sulla soglia quando ci vide mezzi nudi, il biondo intento ad allacciarsi i pantaloni ed io con gli shorts alle ginocchia. Divenne rosso e si voltò per andarsene imbarazzatissimo – Io…scusate…- scappò giù per le scale – Zart! - lo chiamò Newt afferrando la canottiera arancione e rincorrendolo fino al piano di sotto. Feci il più in fretta possibile a rimettermi la camicia violacea che, nel frattempo, si era asciugata. Quando uscii dal Casolare trovai i due ragazzi intenti in una conversazione più che imbarazzante. – Non dirlo agli altri, ti prego- stava dicendo il mio amato mentre mi avvicinavo. Appena mi vide, il giovane Raduraio si scusò ulteriormente e si dileguò. – Dici che lo racconterà a qualcuno? - domandai guardando nella direzione in cui era scappato il ragazzo. Newt si girò per guardarmi negli occhi – Era troppo imbarazzato anche solo per ripensarci…- sorridemmo mentre io pensavo che l’avevamo fatta grossa. Se Zart non avesse mantenuto il segreto, presto saremmo diventati i piccioncini della Radura e saremmo stati sulla bocca di tutti, per non parlare del fatto che Newt avrebbe rischiato di perdere il sostegno degli altri ragazzi. Come se mi avesse letto i pensieri, mi prese la mano – Non preoccuparti Lane! Ora andiamo a mangiare-
Quando arrivammo alla cucina presi la mia razione di cibo e andai a sedermi al primo posto libero. Newt mi raggiunse poco dopo con la stessa quantità di patate e carne nel piatto. Feci qualche boccone poi percepii un corpo avvicinarsi, mi voltai per vedere chi fosse e mi ritrovai Gally che si sedeva accanto a me. – Ciao- disse cominciando a mangiare. – Come stai? Ho saputo che ti sei fatta un bagnetto…- sogghignò divertito poi però tornò serio. Mi guardò negli occhi – Sono serio! Come stai? - io mandai giù il boccone e gli sorrisi con tutta la sicurezza che trovai – Bene. Ora sto bene! - Newt rimase immobile e quasi impassibile, continuava a mangiare evitando il mio sguardo. Notai Zart passarci accanto e girare la testa dalla parte opposta ancora imbarazzato. – Vieni a sederti qui Zart! - esclamò Gally. “No!” pensai incrociando le dita. Sarebbe stato impossibile mangiare in quella situazione… Il rumore di una posata che cadeva sul cemento mi riportò alla mente uno dei miei ricordi. Per un secondo tutte le cose attorno a me si misero a roteare. Sentii Newt urlare a Gally di prendermi mentre cadevo all’indietro dalla panca su cui mi ero seduta poco prima.

Sono in una mensa assieme a Thomas e Teresa. Stiamo mangiando ad un tavolo un po' isolato. Si avvicina una delle guardie dell’associazione – Lane devi venire con me- ordina senza battere ciglio. – Perché? - domando rimanendo immobile al mio posto. Thomas si agita leggermente sulla sua sedia. Mi guarda cercando di dirmi qualcosa e so cosa: poco prima ho distrutto un paio di dolenti facendoli combattere fra di loro. Non dev’essere passata inosservata la cosa ai piani altri ed ora mi vogliono punire come quella volta in cui avevo aiutato Minho ad uscire dal Labirinto aprendogli un varco. Quella volta mi avevano iniettato il siero che usavano per far perdere la memoria ai soggetti che entravano nella Radura. Ero rimasta senza forze e ricordi per quattro giorni poi, quando li avevo riacquistati, me lo avevano iniettato una seconda volta con dosi maggiori. Erano degli esperimenti che facevano per vedere cosa succedeva ai soggetti se venivano esposti più volte a quel siero. Era un modo per torturare chi non rispettava le regole.
La guardia mi afferra con violenza e mi costringe ad alzarmi facendo cadere il cucchiaio che avevo in mano. Mi dibatto usando sia le braccia che i piedi ma l’uomo mi strattona verso l’uscita della sala e sembra che i miei tentativi siano nulli. In un tentativo disperato urlo il nome di Thomas sperando che venga a salvarmi come avrebbe fatto Newt. Il moro scatta in piedi ma Teresa lo blocca facendo un cenno col capo come per dire che non ne vale la pena. Io non voglio mollare e continuo a battermi affinché mi lasci andare. Ovviamente non ottengo nessun risultato e l’uomo mi trasporta attraverso diversi corridoi fino ad una stanza completamente murata di mattonelle bianche che trasmettono freddezza e rendono l’ambiente asettico. C’è una scrivania in laminato e un armadio alto fino al soffitto. Un lettino riempie il resto dello spazio. Ci sono delle cinghie all’altezza dei polsi e delle caviglie e capisco immediatamente a cosa servono. Le usano sempre per tenere immobili i soggetti che usano come cavie. Lo avevano fatto anche con me quelle poche volte che mi avevano voluta punire. È una sensazione orribile, puoi muovere la testa e cercare di divincolarti ma sei sempre inchiodato a quel lettino maledetto. La guardia mi sbatte con violenza su quell’affare e comincia a legarmi prima i polsi poi le caviglie mentre continuo a muovermi in preda alla disperazione. Nella stanza entra un uomo in camice bianco e occhiali rotondi nel taschino – Cosa mi hai portato? - domanda alla guardia che mi ha prelevata. Lui mi guarda quasi divertito – Ha infranto il regolamento. Il capo desidera una punizione esemplare, così la smetterà di fare l’eroina. - il dottore annui leggermente, un po' pensieroso. Va alla scrivania ed estrae una chiave dal primo cassetto, poi si avvicina all’armadio e lo apre facendo girare tre volte la chiave nella serratura. Apre le ante e vedo che dentro ci sono decine e decine di flaconi contenenti liquidi di colori diversi. Mi accorgo che c’è un intero piano con delle fialette di un fluido azzurro che riconosco come quello che iniettano per far perdere i sensi. Sbarro gli occhi terrorizzata cercando di capire cosa sta prendendo il medico ma la guardia si piazza davanti alla mia visuale così appoggio il capo sulla testiera, sconfitta. L’uomo col camice si avvicina con una siringa in mano – Questo ti farà male- sussurra dispiaciuto. Cerco di scappare all’ago ma è inutile. Sento la puntura nel collo e vedo lo stantuffo abbassarsi mentre il liquido comincia a scorrermi nelle vene. Immediatamente i muscoli si contraggono procurandomi scosse di dolore insopportabili. Urlo con tutto il fiato che ho in gola cercando di divincolarmi. Vedo il mio braccio desto mentre le vene si ingrossano e spuntano in superficie con quel loro colore blu violaceo. Mi viene da vomitare ma non ho lo forze per fare nulla, sento la testa che scoppia e bollente come se avessi la febbre, gli occhi lucidi e la vista sfocata, più dal dolore che da altro. Il respiro si fa corto e irregolare. Mi sento malissimo. Il dottore rimane accanto a me mentre controlla delle cartelle cercando di ignorare le mie continue grida di dolore che ogni volta mi fanno scoppiare i polmoni. Per un tempo infinito mi contorco procurandomi ferite lì dove le cinghie stringono; tutto il corpo duro e indolenzito, le vene ancora enormi e il cuore che pulsa nel mio cervello. Dopo quello che credo siano ore, perdo i sensi.
-Svegliati- una voce di donna mi risveglia dal mio stato di incoscienza. Vedo una ragazza sui vent’anni con in dosso un camice che mi sorride dolcemente. Mi allenta le cinghie e mi aiuta a mettermi seduta. Mi porge un cucchiaino con una polverina bianca al suo interno. La guardo perplessa ed esausta – Il glucosio ti aiuta contro questo veleno. - sembra davvero molto gentile e decido di fidarmi. Mando giù lo zucchero e poco dopo mi sento già meglio.  Mi accompagna nella mia stanza dove mi sdraio sotto le coperte. Lei rimane a guardarmi, poi si siede vicino a me – Se solo la tua mamma sapesse cosa ha comportato la sua fuga… Tutto quello che hai dovuto subire… mi dispiace così tanto…- la guardo esausta ma decisa a dare sfogo ai miei pensieri – Se ti dispiace così tanto perché non li hai mai fermati? Perché non mi hai mai aiutata? - chiudo gli occhi incapace di continuare. Lei appoggia una mano sulla mia fronte senza rispondere alle mie domande. Poco prima di sprofondare nel baratro del sonno mi sussurra nell’orecchio – Ricorda: il glucosio è la tua chiave! -.

Mi svegliai lentamente percependo qualcosa di morbido che mi avvolgeva. Aprii lentamente gli occhi e mi ritrovai nell’infermeria, in un letto pieno di coperte e cuscini. – Ciao! - esclamò qualcuno alla mia sinistra. Voltai faticosamente la testa nella sua direzione e trovai, seduto su uno sgabello, il Raduraio più giovane. Era piccoletto e un po' cicciottello, con i capelli castani e ricci. Lo avevo già visto un paio di volte ma non gli avevo mai rivolto la parola. – Io sono Cuck- disse tutto allegro. Faticando un po' mi sollevai dal mio giaciglio bello caldo – E io sono Lane…- dissi a fatica. Guardai fuori da una finestra e notai che la luce era cambiata da quando ero svenuta a pranzo. – Sei rimasta incosciente per circa quattro ore. Newt si stava preoccupando! - disse tornando serio. – Mi dispiace…- sussurrai tentando di alzarmi. – Non preoccuparti! Mi ha messo di guardia così non eri sola- gli rivolsi un sorriso caloroso – Grazie Cuck- feci un passo ma la gamba non resse il mio peso e cedette. Fortunatamente il ragazzino era svelto, anche se non sembrava, e mi aiutò a ritrovare l’equilibrio. Notai che mi guardava con fare indagatorio così lo guardai negli occhi – Cosa vuoi chiedermi? - lui volse lo sguardo altrove diventando leggermente rosso – Io… ecco… hai fatto un brutto sogno? - lo guardai aspettando che continuasse – Sì vedi, tremavi e ti contorcevi un po'. Abbiamo dovuto mettere diversi cuscini per proteggerti dagli urti che potevi prendere. - questa volta fui io ad abbassare lo sguardo imbarazzata. La sensazione di dolore ai muscoli e il ricordo della tortura mi velarono lo sguardo, ma cercai di ricacciare le lacrime in fondo ai condotti lacrimali. – Mi dispiace…non volevo farvi preoccupare- Cuck si mise a ridere – Qui, quello più agitato era Newt che camminava nervoso su e giù per tutta la stanza continuando a lanciarti sguardi pieni di paura. Era uno spasso! Ma… voi due state insieme? - quella domanda così schietta, senza un minimo di velatura, mi lasciò sorpresa. Decisi di non rispondergli – Dov’è ora? - il ricciolino indicò molto casualmente una zona fuori dall’infermeria – Sta aspettando che Thomas e Minho tornino dalla loro ricerca nel Labirinto-. Era la mia occasione! Dovevo andare alle porte così da parlare finalmente con il moro; in più avevo appreso che lo zucchero poteva aiutare chi era punto da un Dolente, perché avevo capito che il liquido che mi avevano iniettato nel ricordo era lo stesso dei Dolenti, infatti i sintomi erano uguali: muscoli irrigiditi, vene ingrossate e sporgenti, stato febbricitante e respiro corto e irregolare. – Mi accompagneresti Cuck? Non so se le mie gambe reggono…- sorrisi leggermente mentre il giovane si avvicinava e mi prendeva sottobraccio. La cosa risultava abbastanza complicata visto che ero di diversi centimetri più alta di lui, però quel minimo di sostegno mi aiutava.
Camminammo lentamente per tutta la Radura, facevo molta fatica a rimanere in piedi. Mi sembrava che le energie se ne fossero andate completamente e probabilmente era dovuto al ricordo che mi aveva fatta agitare per diverse ore. Ci avvicinammo alle porte dove un gruppetto di una decina di ragazzi aspettava impaziente l’arrivo dei due velocisti.
   
 
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