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Autore: WhiteLight Girl    10/02/2018    1 recensioni
Adrien aspetta Marinette per pranzare, ma quando lei non si presenta in orario al loro appuntamento alla pasticceria ci mette un po' a rendersi conto che Ladybug è in televisione. Un nuovo nemico è comparso a Parigi, ma quando Chat Noir raggiunge il posto è solo con un'immensa distesa di ragnatele. Prima di riuscire a trovare Ladybug e gli altri eroi, il ragazzo viene colpito alla nuca e perde i sensi. Si risveglia in ospedale, dove gli viene detto che Marinette è rimasta uccisa nel fuoco incrociato, ma lui si rifiuta di crederci.
***
La ripresa aerea non le rendeva giustizia, ma c’era ben poco da ammirare quando la sua comparsa significava guai seri in città e la presenza di Rena Rouge al suo fianco non faceva altro che avvalorare la tesi.
«A pensarci, forse dovrei telefonarle.» mormorò Adrien. Ad una prima occhiata, Plagg sembrava stupito dal suo repentino cambio di idea, ma Sabine si limitò a fargli l’occhiolino.
«Anzi, forse dovrei andarle incontro, assicurarmi che non si perda.»
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Alya, Chloè, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FISSANDO IL SOLE

L’oblio in cui si trovava pareva rifiutarsi di volerlo lasciare andare, era sospeso in quello stato di intontimento familiare in cui doveva chiedersi che ore fossero e quanto mancasse al suono della sveglia. Valeva la pena tentare di riaddormentarsi, con il rischio che gli restassero solo pochi minuti?
Adrien non lo sapeva, ma comunque non aveva altra scelta che rimanere disteso ad aspettare, con il corpo pesante e la luce contro occhi che non era ancora capace di aprire, domandandosi cosa fosse successo.
Non riusciva a muovere le braccia e le gambe, ma le dita si agitavano contro la stoffa ruvida di un lenzuolo che non era il suo. Qualunque cosa lo stesse trattenendo gli stringeva i polsi e le caviglie talmente strettamente da fargli male e nessun movimento riusciva a dargli sollievo.
Quelle non erano le sue lenzuola, quello non era il suo letto e, ci avrebbe scommesso ogni ciocca dei suoi capelli perfetti, non era neanche il letto di Marinette. Questa consapevolezza sarebbe dovuta bastare a svegliarlo, a riscuotere la sua mente intontita, ma anche solo dischiudere le palpebre fu faticoso come sollevare un treno senza sfruttare i poteri del suo Miraculous. La lampada che stava appesa sopra la sua testa lo accecò.
Voltò il capo e, quando le sfere bianche smisero di danzargli davanti agli occhi, mise a fuoco la parete ed il dottore che sedeva al fianco del suo lettino con aria assorta. Dischiuse le labbra, desideroso di chiedergli cosa fosse accaduto e strinse i pugni, cercando di riportare alla memoria i suoi ricordi più recenti. Sarebbe dovuto andare a lezione, anzi ci era già stato ed era anche uscito per pranzo, aveva aspettato Marinette alla pasticceria dei suoi genitori, ma poi era successo qualcosa che, dopo mesi di inattività, aveva spinto i supereroi ad intervenire. Ricordava il grande intreccio bianco che si era trovato davanti agli occhi, la confusione e la paura di essere arrivato tardi, ma dopo era tutto confuso e pieno di dolore.
«Marinette?» chiese, sporgendosi verso il dottore per quello che poteva a causa delle cinghie.
Si rese conto, forse troppo tardi, che probabilmente avrebbe dovuto chiedere di Ladybug. Chiunque l’avrebbe fatto, chiunque si sarebbe preoccupato di cosa fosse successo ai supereroi di Parigi, nessuno avrebbe potuto sapere che Marinette – ed Alya, Nino, Chloe e lo stesso Adrien –, fossero loro. Ma ad Adrien non importava quali fossero le sorti di Ladybug, per lui ciò che contava davvero era che Marinette stesse bene, che fosse Ladybug o no.
Il dottore non lo guardò neanche in faccia, nel rispondergli. «Come si sente oggi, signor Agreste?»
Roteando gli occhi nel tentativo di restare sveglio, il ragazzo prese fiato. «Oggi? Che giorno è oggi?»
Le domande che gli si affollavano in mente erano tante, così confuse da mescolarsi le une alle altre e sorpassarsi a vicenda facendo a gara per quale dovesse essere posta per prima.
«Da quanto tempo sono qui?»
Provò a rifletterci, ma aveva passato quasi tutto il tempo privo di sensi ed ora non vedeva l’ora di alzarsi. Doveva cercare Marinette, assicurarsi che stesse bene, che tutti fossero sani e salvi. Ancora non riusciva a ricordare cosa fosse accaduto, se fosse finito lì come Adrien o come Chat Noir. Non aveva idea se sapessero chi era.
Piegò i polsi, agitò le mani e le tirò su nel tentativo di liberarsi, tentò di sollevarsi ma la cinghia che aveva sul petto gli premette sui polmoni rendendogli difficile respirare.
«Che è successo? Perché sono legato?» domandò.
Il dottore si alzò e si chinò su di lui, lo tenne inchiodato sul materasso scomodo per impedirgli di muoversi e gli parlò con calma, come se temesse di spaventarlo. Adrien era sicuro che la sua voce fosse la cosa più odiosa che avesse mai sentito in tutta la sua vita.
«Si calmi, signor Agreste. Mi dica cosa ricorda.»
Adrien tornò a riflettere, si chiese cosa avrebbe dovuto dire, cosa aveva già detto, cosa si aspettava che dicesse. Ricordava la ragnatela, ricordava di aver cercato Ladybug, non ricordava di aver trovato né lei né nessun altro, ma poteva essere successo e lui avrebbe potuto raccontare una mezza verità. Se aveva già risposto a quella domanda, di certo aveva fatto la stessa scelta.
«Stavo cercando Marinette.» disse. «Cercavo Marinette, che era con Alya. Dove sono Marinette ed Alya?» Il dottore sollevò lo sguardo e seguendolo, Adrien si rese conto solo in quel momento che anche suo padre era nella stanza. L’uomo lo guardava in silenzio, la pelle ingrigita e le occhiaie profonde sotto gli occhi, quasi come se avesse visto il suo incubo peggiore avverarsi davanti ai suoi occhi.
Solo in quel momento Gabriel si riscosse e tese un braccio per sfiorargli una spalla, fu un tocco esitante, quasi timoroso, quel tipo di contatto che avrebbe fatto desiderare ad Adrien di ricevere un abbraccio colmo della stessa cura.
«Adrien, è comparsa una creatura in centro, Ladybug e gli altri eroi hanno cercato di affrontarla.»
Il ragazzo avrebbe voluto dirgli che questo lo ricordava, che aveva visto il luogo dello scontro, che in realtà non gli importava nemmeno. Voleva solo sapere se i suoi amici stavano bene, poi avrebbe potuto pensare a chiedere perché fosse legato ad un lettino, se suo padre o qualcun altro erano a conoscenza del fatto che fosse Chat Noir e qualunque altra cosa gli fosse venuta in mente.
Attese il resto delle parole di suo padre come avrebbe aspettato una boccata d’aria fresca dopo essere stato immerso in acqua più del dovuto.
«Le tue amiche sono rimaste bloccate nel fuoco incrociato.» gli spiegò Gabriel. «Ed anche tu.»
Non è andata così, si ritrovò a pensare, ma non disse nulla. “Sono rimaste coinvolte nel fuoco incrociato”, tradotto nel gergo dei portatori di Miraculous, significava che si erano buttate a capofitto nella mischia per risolvere la situazione, non era nulla di nuovo. Adrien sapeva che erano lì, voleva solo sapere cosa fosse successo dopo e sperava che il padre glielo dicesse subito, perché non era certo di quanto tempo sarebbe passato prima che non riuscisse più a trattenersi dal dibattersi e saltargli addosso per costringerlo a parlare.
«Una volta che Ladybug, Rena Rouge, Carapace, Queen Bee e Chat Noir hanno risolto la situazione i soccorsi sono riusciti a raggiungervi.»
Adrien strinse gli occhi. Non era andata affatto così, non ricordava di aver combattuto contro nessuno, ma a prescindere da questo e dalla confusione che aveva ancora in testa, non poteva mettere in chiaro che Ladybug e Rena Rouge fossero le ragazze che suo padre aveva detto essere state soccorse.
Prese un gran sospiro, Gabriel aveva detto che erano state aiutate alla fine dello scontro, ma allora perché tergiversava?
«Dove sono Marinette ed Alya?» domandò ancora. Suo padre aveva parlato anche di Queen Bee e di Carapace, ma lui non ricordava di averli visti. Avrebbe dovuto comunque chiedere di Chloe e Nino?
Suo padre non gli diede il tempo di pensarci, il tocco della sua mano sui suoi capelli, così inusuale da parte sua, lo riportò alla realtà. Ora la luce della lampada non gli dava più così fastidio, se evitava di guardarla direttamente.
«Adrien, abbiamo già avuto questa conversazione.» Sospirò, Adrien non ricordava, dubitò delle sue parole, ma perché suo padre avrebbe dovuto mentire su una cosa simile? «Alya è illesa, ma Marinette...»
Adrien si rifiutò di sentire il resto, non era certo di cosa avrebbe dovuto provare, forse disperazione, angoscia, ma tutto quello che riusciva a sentire era pura rabbia.
«Non ti credo.» disse a denti stretti. «Lei non è morta, non può esserlo.»
«Adrien.» esclamò il dottore, sfiorandogli un braccio.
Il ragazzo scosse la testa, piegò le ginocchia, strinse i pugni e digrignò i denti. «Marinette non è morta, non può esserlo! Portatemi da lei! Devo vederla!»
Il lettino oscillò, le lenzuola si incresparono sotto di lui, suo padre ed il dottore lo tennero inchiodato ad esse, impedendogli di ferirsi ulteriormente, ma lui già sentiva la pressione attorno alle caviglie ed ai polsi, il dolore della pelle tirata ed arrossata.
«Calmati, Adrien!» lo supplicò suo padre. Adrien non l’aveva mai sentito così preoccupato, in un’altra circostanza sarebbe stato quasi piacevole.
«Non ti credo!» gridò ancora «Voglio vedere Marinette!»
Qualcosa gli punse il braccio, il dottore aveva una siringa in mano e prima che Adrien potesse verificare che fosse vuota la vista tornò ad annebbiarsi, il familiare senso di intontimento lo avvolse ancora, la pesantezza lo costrinse di nuovo contro il materasso. D’improvviso realizzò che stava per addormentarsi un’altra volta, guardò il padre, cercò di tendere la mano verso di lui, ma anche se quella non fosse stata fermata dalla cinghia era quasi certo che non sarebbe riuscito a muovere un solo muscolo.
«Marinette.» sussurrò «Devo vedere Marinette.»
Il buio lo travolse e, senza che lui riuscisse a rendersene conto, scivolò in un sonno senza sogni da cui era certo non si sarebbe risvegliato presto.
L’oblio lo strinse nella sua morsa e lo trattenne fino al sopraggiungere del dormiveglia, si chiese se la sveglia stesse per suonare, se avesse ancora tempo per tornare a dormire. Non era ancora abbastanza in sé per decidere di alzarsi, o anche solo per volerlo. Una luce fastidiosa colpiva le sue palpebre, facendogli arricciare gli occhi nonostante fossero chiusi.
Si domandò cosa fosse successo, perché quel letto e quelle lenzuola gli fossero così estranei. Qualcosa gli stringeva polsi e caviglie, gli faceva male, ma lui non era in grado di muoversi per controllare di cosa si trattasse.
Qualcuno gli sfiorò la guancia in un gesto tanto dolce da scaldargli il cuore, non gli serviva aprire gli occhi per capire chi fosse, ma lo fece comunque. Il rosso della maschera di Ladybug, così intenso e familiare, fu una boccata d’aria fresca, ma trattenne comunque il fiato come faceva ogni volta che la vedeva dopo un pisolino, quando la sua presenza sembrava ancora fare parte del mondo dei suoi sogni e lui non sapeva distinguerla dalla realtà.
La sua mano gli sfiorava i capelli e la fronte ritmicamente, avrebbe voluto poter scrivere una sonata da dedicare a quel gesto, ma sapeva che nulla avrebbe potuto rendergli giustizia.
«Ehi.» disse, accennando un sorriso.
«Ehi.» gli rispose lei poggiando la fronte contro la sua.
Il profumo del suo respiro gli ricordava quello dei dolci più buoni, avrebbe voluto sporgersi verso di lei per baciarla, ma non lo fece.
«Cosa è successo?» le chiese invece. Lei poggiò le mani sulle sue guance, accarezzandogliele con il pollice. «Ora non ti posso spiegare.» gli disse. «Dovrai avere un po' di pazienza.»
Adrien deglutì. «Ma tu stai bene, vero?»
«Sto bene.» gli rispose lei. Premette un bacio all’angolo della sua bocca, il gesto bastò a scaldarlo ed a fargli dimenticare di essere bloccato.
Un rumore dal corridoio li fece sussultare entrambi. «Devo andare.» disse Ladybug, i suoi occhi scivolarono sull’ambiente attorno a loro alla ricerca di qualcosa.
Adrien annuì. «Ok, liberami.»
«Non posso.» gli disse lei. Gli sfiorò il petto, gli accarezzò il braccio e si morse il labbro.
«Marinette, che sta succedendo?» le domandò.
Lei scosse il capo. «Te lo spiegherò presto.» promise. «Ora non posso portarti via, ma giuro che tornerò a prenderti.»
Adrien annuì, resistendo alla tentazione di insistere, di agitarsi per cercare di liberarsi. Ladybug si chinò ancora verso di lui e lo baciò sulle labbra.
«Ti prometto che tornerò presto.» ripeté.
Poi Adrien ripiombò nell’oscurità.


***

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Prossimo capitolo, “Tra queste quattro mura”
   
 
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