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Autore: _Morgan    12/02/2018    2 recensioni
Eppure mentre la osserva in silenzio, con le labbra semichiuse sopra le lunghe zanne,
le iridi incandescenti paiono rifulgere d'una luce nuova.
Non è la semplice fame del pellegrino, né l'esaltazione mistica del fedele giunto dinnanzi a Dio,
al termine del proprio viaggio, bensì puro desiderio addolcito da una punta d'umanità.
Miserere Mei Domina."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alucard, Integra Farburke Wingates Hellsing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Hellsing
Genere: Generale, Introspettivo
Personaggi: Alucard, Integra

Rating: Giallo
NdA: Scritta diverso tempo fa e recuperata dal pc con l’intento di pubblicarla. In sostanza sarebbe il continuo di Fall, Again“.
Un saluto e buona lettura.


MISERERE

“Perdonami Padre,
Perchè ho peccato.

Perdonami Padre,
poiché so quello che faccio.”

 

 

Quanti anni sono passati?
Troppi.

“Sono vecchia, ora. È tardi.” Asserisce con una punta di sdegno, sottolineando un’ovvietà che lui, stranamente, fatica a considerare; l’immortalità ha il potere di mutare certe percezioni tipicamente terrene, certi pensieri ‘umani’ come il prestar continua attenzione allo scorrere del tempo non lo toccano più da Secoli, da quando, in Valacchia, ancora contava i propri anni chiamandoli ‘Inverni’.
Era Voivoda allora ed il tempo a sua disposizione gli era sempre parso troppo poco per riuscire a completare tutti i grandiosi progetti plasmati dalla sua mente, nonostante il XV secolo non possedesse gli stessi ritmi folli di questo futuro, ove anche un secondo sprecato può significare enormi perdite; a volte dimentica di quali anni è figlio e perché certi suoi pensieri, a lei, paiano incomprensibili, come deve sforzarsi – a volte – per comprendere quella donna atipica e i tumulti che la agitano. I fiumi del tempo non possono inghiottire, né plasmare certe differenze, casomai acuirle e lui ora, vedendola di nuovo dopo anni ad inseguire fantasmi dai contorni fumosi e stralci di memorie, rammenta perché non ha mai cercato di far in fretta: la vecchiaia per lui è sempre stata utopia e, nella sua distorta visione del mondo, avrebbe dovuto esser così anche per lei, eternamente giovane, eternamente ‘Vergine’.
Non è una statua, Integra Hellsing, nonostante il suo cuore sia freddo come il porfido e pesante come un blocco di granato; non è nemmeno una santa, nonostante lui ora – con cinque pallottole in corpo e la stanchezza d’intere vite sulle spalle – la stia osservando con la stessa adorante bramosia con cui i fedeli a Lourdres si prostrano chinando il capo di fronte alle sacre rocce, pretendendo il miracolo.
Lui ai miracoli non ha mai creduto, ma il sangue di lei – santa reliquia – lo esige; è l’odore, antico e pungente, dolce e venefico come il succo della Datura, ad annientare quel poco di ragione che ancora possiede, spingendolo a scrutarla con impudenza, con occhi rossi come fiamme d’inferno e labbra dischiuse in un sorriso di scherno; può scaricargli in fronte gli ultimi proiettili, non si fermerà, come non s’è mai fermato in passato quand’era in procinto di commettere una pazzia: avrà il suo sangue di Vergine-Vecchia, ancora bella, nonostante bella non sia mai stata, quel sangue per cui ha combattuto persino sé stesso, tornando vincitore per reclamare ciò che gli spetta.
Lei è la sua terra, il principio e la fine del Mondo.
Che sia giovane o incartapecorita d’aspetto poco gl’importa.

“Vuoi succhiare il mio sangue?” nonostante l’intonazione non è una domanda, Lei sa perfettamente cosa il suo servo sia venuto a reclamare e, senza attendere risposta, stringe l’indice fra le labbra mordendo con forza prima di distendere il braccio verso di lui, lasciando cadere alcune gocce.
Bevi elemosina Alucard, Vlad Dracul, bevi la vita che questa donna ti concede e riprendi il tuo vecchio posto di servitore al suo fianco, sorvolando l’insolenza e rammentando il potere degli incantesimi che a lei ti vincolano, impedendoti di sfiorarla…non commettere l’insania che ha preso ad agitarti l’animo da quando hai messo piede in questa stanza.
Certe gerarchie non possono essere scavalcate, sarebbe come sovvertire l’ordine cosmico.

“Ben tornato, Conte” mormora lei, avvicinandosi sino a sfiorargli gli stivali.
“Sono a casa…” Integra avverte solo lo spostamento d’aria, i capelli lunghi fluttuarle attorno come fossero privi di gravità e, fra quei fili dorati che le coprono la visuale, rischiarati dalla luce tenue della luna,
gli occhi ardenti di lui farsi sempre più grandi e profondi, come l’abisso, inghiottendola.
L’aria le fuoriesce dai polmoni quando si ritrova schiacciata contro il suo corpo freddo, solido, imprigionata nella ferrea morsa di braccia che – un tempo – l’hanno protetta dai proiettili dei sicari inviati da suo zio e che ora, possessive, reclamano quel contatto che più volte si sono viste negare; la dama e il servo, che assurdità Indecente!
“Contessa…” il respiro di Lui contro la pelle delicata del collo è il vento freddo dell’Averno ed ha l’odore pungente del peccato, è la promessa di vita a cui lei non ha mai voluto pensare per paura di vacillare, 
dilaniata fra il buon senso – e la morale – che le imponevano l’umano commino come Unico e la possibilità, folle, che nel suo destino vi fossero altre vie.
“Vuoi uccidermi, Servo?” domanda la donna con voce ferma, recuperando il proprio contegno.
“Vuoi disonorare la tua Signora?” nonostante l’autocontrollo, il suo animo è in tumulto; quand’era bambina ed ancora poteva permettersi d’indugiare in frivoli pensieri, lui era stato l’archetipo d’uomo – 
del superhero-man -, la voragine in cui precipitavano quelle fantasie che non avrebbe mai rivelato ad anima viva; a dieci anni si sentiva ancora ‘innocente’ nonostante l’infatuazione per quella Leggenda che
in vita era stato un condottiero pazzo e sanguinario; un esempio deprecabile, nonostante lei stessa avesse impugnato la pistola per uccidere, dimostrando lo stesso sangue freddo d’una fiera.
Si era sentita ‘pura’ finché, nel guardarsi allo specchio, aveva scoperto che le camicette da bambina iniziavano a tirare sul petto seguendo il profilo dolce di seni ancora piccoli, accennati; le gonne s’accorciavano, 
passando dalle caviglie al polpaccio, sottolineando indecentemente il profilo di quei fianchi non più così secchi, di cosce femminili fra le quali scivolava in gocce la condanna del sangue mensile.
Fa male scoprirsi donna, scoprirsi improvvisamente ‘assoggettata’ ad una forza più grande della ragione, più profonda del sentimento; fa male scoprirsi debole, nonostante possedesse uno fra le armi
più potenti al mondo, perché Lui – la sua pistola – era come la lama d’una spada stretta in pugno, letale per altri se conficcata di punta, ma dolorosa anche per lei ferita di taglio e, per evitare che lui se ne accorgesse, 
che vedesse nei suoi gesti il riflesso di quella debolezza che, con fatica reprimeva, aveva scelto d’annichilire la sua natura mutandosi in Uomo.
Sir Integra Hellsing, la dolcezza d’un sergente dei Marines e l’aridità emotiva d’una vergine di ferro; rinunciando alla Donna aveva paradossalmente conservato quanto di più femminile avesse e solo ora che è invecchiata, con lui così vicino, si rende conto di quanto sia stato ‘inutile’ il suo gesto.
Nonostante la fascia che le schiaccia i seni avvizziti, la creatura ne avverte le forme compresse contro il proprio torace, come avverte l’odore dolce – femmineo – di lei sotto l’acre aroma di tabacco d’importazione; gli ci sono voluti quarant’anni per capire che la bambina magra e miope è divenuta una donna, per capire a fondo la forza di quei desideri che per troppo tempo ha represso.
Non sparire! Gli ha comandato trent’anni prima, fra le macerie d’una Londra apocalittica, “Non lasciarmi!” ciò che invece avrebbe voluto urlare nel vento pregno dell’odore di morte e fumo, affinché lui sapesse, nonostante rischiasse d’essere ugualmente abbandonata, con la beffa di finir derisa.
L’amore per Alucard è un sentimento dannoso, distruttivo, e ne ha una percezione ben diversa da quella attuale poiché, ai suoi tempi, non si usava dargli troppo peso.
Non ci si sposa per amore ma per politica.
Non si prende una donna per amore, ma per desiderio.
Non si combatte per amore, ma per necessità.

Eppure mentre la osserva in silenzio, con le labbra semichiuse sopra le lunghe zanne, le iridi incandescenti paiono rifulgere d’una luce nuova, ch’ella non aveva mai scorto prima; non è la semplice fame 
del pellegrino, né l’esaltazione mistica del fedele giunto dinnanzi a Dio, al termine del proprio viaggio, è desiderio – sesso e sangue – addolcito da una punta d’umanità, di quell’illusione tanto cara ai romanzieri.
La sta amando nell’unico modo che conosce, attendendo un suo cenno per affondarle le zanne nel collo e prendersi ciò che gli spetta, non con la forza – come in uno stupro- ma lentamente, con una gentilezza quasi ironica per una creatura priva di principi e pietà; non s’accontenterà più di quelle poche gocce offerte distrattamente, il suo status ora è mutato e, mentre Integra si sbottona il colletto della camicia,
tirando la stoffa sulla spalla per offrire alla vista la carotide pulsante, sa che quella comunione cambierà profondamente anche lei e, stranamente, non prova alcuna repulsione.
Tutto il suo rigore anglicano è spirato, annientato dalla presenza di lui.
“Miserere mei, Domine”

 


E:N:D.


  
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