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Autore: Tsuki5    13/02/2018    3 recensioni
La trama prende il via dalla faccenda di Overhaul, quindi attenzione allo spoiler!
La vita di Shouta Aizawa ha preso una svolta inaspettata da quando Eri vi ha fatto il suo ingresso.
(Shouta Aizawa / Emi Fukukado / Eri)
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eri, Fukukado Emi, Shōta Aizawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Che bella bambina che ha!”
La ragazza al bancone della gelateria forse non si era accorta del disagio causato da quella semplicissima affermazione ma l’incertezza era evidente nella risposta appena accennata, un “grazie” poco convinto e non per la falsità della frase ma per la supposta evidenza della scena.
Non che potesse dare torto a chiunque ipotizzasse che la bimba che gli teneva la mano fosse effettivamente la figlia; una figurina gracile gracile avvinghiata al suo polso, timida nei confronti del mondo e allo stesso tempo curiosa.
Le lanciò un’occhiata di sbieco quando fece uscire quel “grazie” dalle labbra, nella speranza che non stesse ascoltando e così era: troppo impegnata a fissare languida la vetrina dei dolci per accorgersi del suo turbamento interiore.
 
“Cosa preferisci, tesoro?”, chiese gentilmente la commessa.
Non c’era qualcosa che preferiva poiché avrebbe assaggiato tutto molto volentieri.  Si morse le labbra pensierosa e, indecisa sul da farsi, alzò lo sguardo verso il suo accompagnatore.
“Ti consiglio il gelato.”
Gelato. Ne aveva un vaghissimo ricordo; freddo e dolce se la memoria non la ingannava.
 
Vederla mangiare quel gelato con tanto gusto era una soddisfazione tale da poter essere paragonata al salvataggio di un’intera famiglia.
“Quanto manca?”, chiese Eri affrettando il passo per stargli dietro, la mano ancora stretta nella sua.
“Poco, se non mi sbaglio. Sei stanca?”
“No no!” S’era un poco rallegrata all’idea di uscire di casa e quella gita fuori porta, che le aveva fatto sperimentare un viaggio in metro, sembrava aver sortito effetti positivi sul suo umore decisamente grigio.
Shouta Aizawa sapeva perfettamente di non essere il massimo della compagnia e per nulla pratico di bambini, lui, che avrebbe passato le proprie giornate dormendo.
“Sei tutta impiastricciata.”
Eri si passò una mano sulla bocca nel vano tentativo di pulirla.
“Aspetta.” Istintivamente s’era chinato per strofinare delicatamente il piccolo viso con un fazzoletto.
Alcune ragazze passarono ridacchiando, lanciando sguardi ammiccanti e compiaciuti, spalleggiandosi a vicenda.
Non c’era nulla da fare: quel ruolo gli stava decisamente stretto. Occuparsi di una bambina così piccola e dal passato tanto difficile non sarebbe stata di certo una passeggiata. Povera piccola, che destino ingrato!
 
“Signor Aizawa, come ben sa, lei è l’unica persona in grado di controllare il quirk di Eri senza l’aiuto di medicinali; cosa vuole fare con lei?”
E cosa mai avrebbe dovuto fare Shouta? Lasciarla in ospedale? Andava da lei ogni giorno e tanto valeva, s’era detto nel tentativo di convincersi, portarsela a casa.
Eri non aveva mai dato problemi: silenziosa e ordinata in modo quasi inquietante, trattandosi di una bambina così piccola. Triste e malinconica ma con la voglia di rialzarsi ed essere felice, lo si vedeva nei grandi occhi chiari; e lui, Aizawa, che si era indubbiamente affezionato a lei, voleva restituirle quella serenità che le era stata strappata…sì, ma come?
 
Sì erano allontanati dalla U.A di una cinquantina di chilometri, cambiando treni più volte e addentrandosi nel fitto della grande città.
“Dovrebbe essere questo”, borbottò l’uomo entrando con Eri in un palazzone coperto di vetro. Salirono tre rampe di scale e proseguirono lungo un ampio corridoio color cipria; porte marroni tutte uguali si susseguivano a intervalli regolari fino ad arrivare all’ultima della serie. Decisamente diversa dalle altre questa, dipinta di lilla, un mazzo di grosse margherite in un vaso giallo posato su un piccolo sgabello quadrato. Shouta sospirò pesantemente come a cercare il coraggio per affrontare un nemico particolarmente ostile. Eri, dal canto suo, rapita dalla vista di quei fiori curiosi, venne scossa di un sussulto quando il trillo insolito del campanello riecheggiò per il corridoio.
 
“Diamine, mi sei sempre piaciuto con i capelli legati!”
“Sto bene grazie, e tu?”
“Oh Eraser, da quando sei così formale?”, chiese ridendo la ragazza che era comparsa sulla soglia.
Shouta fece cenno col capo, indicando la bambina che, timorosa verso l’estranea, s’era nascosta dietro la sua gamba.
“Oh, e questa bella signorina chi è?”
 
La casa di Joke era la stessa di sempre, non era mutata di una virgola: pulita ma disordinata, riviste di ogni tipo sparse ovunque, file e file di DVD di vecchie commedie e fotografie appese alle pareti. C’era un buon profumo di lavanda che veniva da un mazzolino di fiori secchi posto sul termosifone vicino alla finestra.
Dopo averle ‘gentilmente’ chiesto di non provare ad utilizzare il quirk su di lui, Shouta spiegò la situazione alla ragazza che li aveva, nel frattempo, fatti accomodare.
“Cavolo che storia”, disse Emi mettendo a bollire l’acqua per il tè. Indossava due grossi calzini di spugna bianca e una lunga felpa grigia sulla quale aveva allacciato un buffo grembiule rosa a coniglietti che aveva attratto l’attenzione di Eri.
“Sai una cosa piccolina? Io e te ci chiamiamo quasi allo stesso modo!” Il suo ampio sorriso ne aveva fatto nascere spontaneamente uno sulle labbra della bambina. Dopo tutto l’intuizione di Shouta pareva essere corretta.
“Bhe Eraser, speravo che tu fossi passato di qui per rievocare i vecchi tempi ma a questo punto cosa ne dite di fare un gioco, guardare un bel film e ordinare una pizza?”
 
Emi Fukukado, alias Ms. Joke, gli era venuta subito in mente, quando cercava un modo per alzare l’umore di Eri ma ci aveva messo un po’ a convincersi che la soluzione giusta e più rapida fosse quella di portare la bambina direttamente da lei.
Shouta ed Emi si conoscevano bene, avevano lavorato fianco a fianco per parecchio tempo per poi perdersi di vista. Si erano rincontrati dopo anni in veste di professori accompagnatori, in occasione dell’esame per ricevere la licenza temporanea da eroi qualche mese prima che la faccenda di Overhaul si verificasse. Due caratteri opposti certo, ma che funzionavano bene nonostante Eraserhead mal soffrisse le persone chiassose.
Mentre la donna si intratteneva con Eri in un’improbabile partita a Twister, nella quale aveva inutilmente cercato di includere anche lui, Shouta non poteva far altro che tenere il pannello quadrato, far girare la lancetta sui bollini colorati e provare un’immensa gratitudine. La bambina rideva, finalmente, dopo tanto tempo.
“Senti dolcezza”, bofonchiò Emi, cercando di portare il piede destro sul verde, “sul frigorifero c’è il numero della pizzeria: ordinane una formato famiglia! Eri mi ha detto di non averla mai mangiata…possibile?!”. E così facendo liberò il braccio sinistro per fare il solletico alla bambina che cadde portandosela dietro, ridendo.
 
Se qualcuno li avesse visti, null’atro avrebbe potuto pensare se non che si trattasse di una famiglia, una giovane coppia con la propria bambina, lì, stesa sul divano tra le braccia della madre.
Che Eri non avesse mai provato il calore di un abbraccio era chiaro, tanto che nel sonno, sopraggiunto nel bel mezzo di un anime per bambini, si era accoccolata tra le braccia di Emi.
“Sono molto fiera di te Shouta, per la decisione che hai preso, dico davvero.” Joke accarezzava i capelli della bambina, gli occhi fissi sullo schermo e il sorriso sulle labbra.
“Era l’unica cosa da fare.”
“Sarebbe un peccato svegliarla, perché non rimanete qui?”
Dopo essersi liberata dalla presa della bambina, con pochi gesti meccanici, Emi aprì una poltrona letto e vi adagiò un cuscino e una coperta.
“Puoi metterla qui”, disse poi, indicando la bimba.
Shouta le rivolse uno sguardo interrogativo. “Pensavo di dormirci io.”
“Ah, che peccato”, sussurrò la ragazza con aria divertita, “io invece pensavo che avremmo potuto ricordare i vecchi tempi. Non che io non me ne ricordi, anzi!”
Eh sì, Aizawa avrebbe mentito a se stesso se si fosse detto che non aveva considerato una tale eventualità. Joke ci provava sempre, flirtava con lui spudoratamente, per scherzo d’accordo, ma un fondo di verità c’era, eccome se c’era! Una verità memore delle lunghe nottate passate insieme durante i loro anni di apprendistato, due eroi alle prime armi, con poco tempo libero, molte energie da spendere e un bisogno taciuto e comune di una spalla a cui appoggiarsi.
“Non mi tentare, Emi.”
“Che meraviglia”, disse lei facendosi più vicina, “erano secoli che non ti sentivo pronunciare il mio nome”. Lanciò un’occhiata furtiva alla bambina per accertarsi che stesse ancora dormendo, poi si sciolse i capelli e si accostò a lui ancora un po’. “Puoi fare il duro quanto vuoi, Shouta Aizawa”, gli sussurrò all’orecchio, “ma ricordo benissimo cosa ti piace e sarebbe un peccato sprecare un’occasione come questa, non trovi?”
Era vero: poteva essere chiassosa, fastidiosa e invadente; poteva dargli sui nervi con stupidi scherzi e battute inopportune ma rimaneva sempre Emi, ed Emi sapeva sempre cosa fare con lui.
 
Era così strano per Shouta cercare di addormentarsi in quella stanza piena di ninnoli, così diversa dalla sua, praticamente vuota. Le lenzuola emanavano un profumo dolce molto intenso, forse ammorbidente alla fragola o qualche diavoleria del genere, non poteva dirlo con certezza; tutto in quella camera parlava di lei, tutto era eccessivo e caotico, dai vestiti sparsi ovunque alle scansie coperte di peluche che per l’imbarazzo, se ne avessero avuto la possibilità, si sarebbero coperti volentieri gli occhi con le zampette pelose.
Ad Emi era stato concesso di accoccolarsi tra le sue braccia (e Shouta avrebbe nuovamente mentito se non avesse ammesso che la cosa era particolarmente appagante), nuda e soddisfatta, la guancia premuta sul suo petto e il respiro regolare di chi si è abbandonato al sonno.
 
La domenica mattina portava con sé la splendida consapevolezza che la sveglia non avrebbe suonato e che nessuno dei suoi allievi gli avrebbe causato problemi.
Shouta rimase immobile in quel letto estraneo ma assurdamente familiare, gli occhi chiusi, il viso immerso nel cuscino e le narici piene di quel profumo, non più di ammorbidente alla frutta ma di fiori, il profumo dei suoi capelli verde menta. Allungò il braccio per cercarla, preso dal subitaneo bisogno di stringerla a sé ma non la trovò; svogliatamente aprì gli occhi e aguzzò l’udito per distinguere suoni confusi che, gli pareva, venissero dalla cucina.
“Che state facendo?”, chiese sbadigliando mentre entrava nella stanza.
“Buongiorno! Ti stiamo preparando la colazione”, disse Emi ammiccando. “Eri ha avuto la bella idea di preparare dei biscotti.”
La bambina stava in piedi su uno sgabello e trafficava indaffarata con una ciotola piena di impasto.
“Bhe, hai dormito bene, Eraser?”
“Ti sei mossa per tutto il tempo”, sussurrò lui passandole affianco e pizzicando la coscia lasciata scoperta dalla maglia maschile che indossava.
Aizawa si sedette davanti alla bambina e prese a sorseggiare il caffè dalla grande tazza che Emi gli aveva messo davanti. Sul tavolo vi era una piccola lettera macchiata di impasto al cioccolato. La prese tra le mani con l’intenzione di spostarla ma lo sguardo indugiò curioso sul contenuto.
La scrittura incerta di un bambino era impressa sulla carta con un pennarello azzurro dalla punta grande. ---- Grazie Ms. Joke! -, vi era scritto in alto; e ancora: -da grande voglio essere proprio come te! -. Sul fondo svettava un disegno scrabocchiato ritraente un bambino che teneva per mano una figura più grande con lunghi capelli verdi, evidentemente l’eroina a cui la lettera era indirizzata.
Shouta ripiegò il foglio con cura e lo posò lontano da Eri ed Emi che si apprestavano a stendere l’impasto.
Da lì in poi si limitò ad osservarle; Emi aveva raccolto i capelli di Eri in una lunga treccia e le aveva legato in vita il buffo grembiule coi coniglietti. Entrambe ridevano divertite, i visi sporchi di farina, le piccole mani della bambina che premevano stampini a forma di smile nella pasta.
Quella di portala da Emi era stata indubbiamente la decisione migliore degli ultimi tempi. Che non fosse un beneficio solo per Eri non era pronto ad ammetterlo ma già gli era stato chiaro nel momento in cui le sue labbra si erano posate su quelle delle ragazza…o forse nell’istante in cui gli aveva aperto la porta, sfoderando quell’inconfondibile sorriso tutto denti.
 “Torneremo qui?” La flebile voce di Eri catturò all’improvviso la sua attenzione. Se ne stava seduta sulle ginocchia di Emi, mentre questa la cingeva con le braccia e fissava sorridente il forno pieno di biscotti. Gli occhi chiari della bambina lo scrutavano speranzosi.
“Sì Eraser, dicci: quando tornerete a trovarmi?”
 
 
  
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