Quando Demelza si
riprese dallo svenimento trovò le sue
dita intrecciate in quelle di Ross, il quale aveva sperato inutilmente
che con
quel gesto avrebbe potuto convincerla ad abbandonare il rancore nei
suoi
confronti e perdonarlo più facilmente, una volta ripresa
conoscenza.
Ben presto, infatti, le sue
aspettative furono deluse dal
momento che Demelza sfilò rapidamente le dita dalla sua
presa, facendogli
intuire che non aveva alcuna intenzione di riappacificarsi con lui.
Si
raddrizzò, alla ricerca di una posizione più
confortevole, evitando qualsiasi
forma di contatto.
“Ti sembra un atteggiamento
maturo?” Chiese lui.
“Senti chi
parla!” Rispose Demelza, decisa, questa volta, a
non concedergli una vittoria facile.
Ross si passò una mano sul
viso, “Non ho nessuna voglia di
fare la guerra con te, Demelza. E sinceramente mi preoccupa il fatto
che ti sia
sentita male. Perciò, se non hai niente da obiettare, vado a
riprendermi Prudie.
Non puoi fare tutto da sola!”
Demelza fece per rispondere ma,
quando intravide la
testolina di Jeremy sbucare da dietro la porta semi aperta,
preferì
trattenersi.
“Entra
pure…” lanciò un’occhiata di
fuoco a Ross.
Jeremy avanzò lentamente
verso il letto, fermandosi a
qualche centimetro di distanza, poi sua madre gli tese una mano per
incoraggiarlo a sedersi vicino a lei.
“Ho sentito che stavate
litigando e poi, tutto d’un tratto,
non ho sentito più niente e…”
“Non devi preoccuparti,
tesoro. E’ tutto a posto, vedi?” Jeremy
si tranquillizzò.
Mentre continuava a parlare con lui,
Demelza si sporse leggermente
in avanti per osservare Ross, il quale, nel frattempo, aveva chiuso
in una
busta la lettera appena redatta con l’intenzione di portarla
a Trenwith.
“Jeremy, pensi tu alla
mamma mentre io sono fuori?” Gli posò
una mano sulla piccola spalla ma, prima di raggiungere la porta, la
voce di
Demelza lo costrinse a fermarsi.
“Forse faresti bene a non
scendere, se non vuoi ritrovartelo
davanti. Anzi, credo proprio che sarebbe meglio se ti rinchiudessi
nella tua
torre d’avorio, finché qualcuno non si
deciderà a liberarti da questo
impiccio…”
Ross evitò di rispondere
alla sua provocazione, limitandosi
a scrollare la testa in segno di disapprovazione, quindi si
precipitò giù per le
scale e, dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno, prese giacca
e cappello
e uscì in fretta da casa.
Si incamminò, in groppa al
suo cavallo, verso la tenuta che
ora apparteneva a George Warleggan, riuscendo con fatica, a tenere a
bada i
nervi mentre pensava a quanto sarebbe stato spiacevole dover ritornare
ad avere
a che fare con lui.
Mentre si avvicinava alla staccionata
che delimitava i
confini della proprietà, notò la luce di una
lanterna che si faceva sempre più
intensa, illuminando il suo profilo contro uno sfondo completamente
buio.
Quando gli fu chiaro di chi si
trattava, il fedele servitore
di George prese a ridere sotto i baffi unti, una mano ferma sulla
pistola che
aveva nella cintura, “Chi si vede! Non siete un ospite
gradito da queste parti,
sapete?”
Con un vago ghigno ironico, Ross gli
porse la lettera, “Lo
immaginavo. Sono venuto solo per consegnare questa. E’ molto
importante.” Desiderò
con tutte le sue forze che quell’idiota facesse in modo di
tenere la bocca
chiusa.
“Perché, siete
troppo codardo per consegnarla di persona?” Riprese
a starnazzare, questa volta ancora più sonoramente di prima,
mischiando le
risate ad una tosse spaventosa, che finì per impietosire
Ross e convincerlo a
passare oltre quell’offesa.
“Vedremo chi tra noi
due sarà quello più
spaventato…” con una certa soddisfazione,
rimontò sul suo
cavallo, lasciandosi quel bifolco e tutte le sue ridicole insinuazioni
alle spalle,
per partire alla volta di casa Enys.
In lontananza, riconobbe la figura di
Dwight che si faceva
strada tra la neve a ritmo serrato, probabilmente ansioso di ritirarsi
dalle
sue ultime visite e rifugiarsi nella comodità di un salotto
riscaldato apposta
per lui. Ross gli andò incontro, raggiungendolo a pochi
metri dal cancello
principale.
Quella giornata aveva messo Dwight a dura prova, non
tanto come medico
quanto come amico, perché aveva compreso benissimo
quanto fosse
difficile per Ross avere a che fare con quella situazione e quanto
potesse
essere insopportabile il dover riaffrontare i fantasmi del passato,
proprio
quando ogni cosa sembrava rifiorire nella sua vita e indirizzarlo verso
un meritato
riscatto.
“Ross, il bambino si
è sentito male?” Non appena lo
individuò, gli urlò contro, sovrastando il suono
impetuoso del vento, per
sperare di farsi sentire.
“No, lui sta bene.
E’ Demelza che mi ha fatto spaventare, in
effetti credo che abbia bisogno dell’aiuto di Prudie. Sono
venuto per liberarvi
della sua presenza.”
Dwight annuì in maniera
non del tutto convinta, “Cosa è
successo? Non credi piuttosto che abbia bisogno del mio di aiuto, visto
che…”
rimase in silenzio per un po’ e poi ricominciò
“Senti Ross, io te lo devo
dire…” non fece in tempo a completare la frase che
il cancello massiccio fu
aperto, concedendogli una breve tregua, almeno fino a quando non
avrebbe avuto
l’occasione di valutare meglio la situazione con Caroline.
Invitò il suo amico a
sistemarsi vicino al fuoco,
intrattenendosi con lui per un po’, mentre qualcuno tentava
di convincere
Prudie a ricongiungersi col suo padrone, ma quasi immediatamente
preferì
lasciarlo da solo a contemplare le proiezioni di luce, create dalle
candele
degli opulenti lampadari
di cristallo che
scintillavano sopra la sua testa, per mettersi alla ricerca di sua
moglie.
La trovò intenta ad
imboccare Horace, seduta su una poltrona
damascata proprio all’ingresso della loro camera da letto.
Quando lei si
accorse della sua presenza lasciò che il cagnolino
scivolasse lungo le sue
gambe.
Dwight le prese le mani calde,
“Mia cara, temo di doverti
scomodare per un po’. Ross è venuto a riprendersi
Prudie, perché Demelza non si
è sentita bene e crede che, condividendo con lei la fatica,
possa rimettersi
più facilmente, ma non ha fatto alcun accenno
al…”
Caroline balzò in piedi,
“Non riesco proprio a comprenderla
a volte! Cosa aspetta a dirglielo?”
Insieme si incamminarono verso la
sala in cui Dwight aveva
lasciato Ross, trovandolo in piedi a discutere con Prudie. Attesero
in
silenzio fuori scena, nascosti dal drappo cremisi della tenda, per
godersi quel
momento esilarante prima di affrontare una questione particolarmente
delicata.
All’ultima supplica di
Prudie, affinché Ross le concedesse
un’altra settimana di dolce far niente in quella casa
così bella, Dwight si
fece sfuggire una risata e, solo dopo una discreta gomitata da parte di
sua
moglie, ammise di aver fallito e uscì allo scoperto
accompagnato da Caroline.
“Caro Ross, Dwight mi ha
accennato all’indisposizione di Demelza.
E’ qualcosa di preoccupante?” Ross non
l’aveva mai vista così nervosa.
“Non ha perso
l’uso del sarcasmo, quindi sono sicuro che sta
bene.” Guardò nella direzione di Dwight, come a
voler cercare una sorta di
spiegazione all’agitazione che percepiva in entrambi.
Iniziò a sospettare che
loro sapessero qualcosa che lui invece ignorava, qualcosa sulla salute
di
Demelza che, da quando era tornato, continuava a gravare
nell’aria che
respirava quando si trovava in loro compagnia e che cominciava ad
allarmarlo.
A Caroline non sfuggì quell’espressione
confusa, perciò si sedette al
suo fianco, pregandolo di ascoltarla, “Mi dispiace moltissimo
dover tradire
la fiducia di un’amica, ma questo segreto doveva pur essere
infranto prima o
poi e, visto che lei stupidamente persiste a tenertelo
nascosto…” si torturò le
mani, sperando che Ross riuscisse a capire prima che potesse macchiarsi
dell’onta
di tradimento, quindi fece una pausa per prendere tempo.
Dwight la stava osservando
attentamente, con una calma
rassicurante negli occhi, mentre Prudie saltellava impaziente,
appoggiata con
un gomito sulla mensola del camino, in preda ad
un’eccitazione incontenibile.
Ma Ross continuava a non capire.
Resosi conto della
difficoltà in cui si trovava Caroline, il
medico si assunse tutta la responsabilità del caso,
preparandosi ad esordire, ma
fu bloccato all’istante da un commento del tutto inaspettato
da parte di
Prudie.
“Insomma, quante storie! Ve
lo dico io capitano Ross, la
padrona aspetta un bambino e non ha voluto dirvelo. E questo
è tutto!” Dwight
la rimproverò con lo sguardo, ma non poteva negare il
sollievo che provava e
che leggeva negli occhi di Caroline, dopo aver ascoltato quelle parole
da una
bocca estranea all’accordo che invece vincolava le loro.
Ross
scoppiò in una risata
liberatoria, abbandonandosi contro lo schienale del divano su cui era
seduto,
“Perché mai non me lo hai detto prima?”
Si rivolse a Dwight, poi continuò, “Per
una volta, devo riconoscere l’utilità
dell’intervento di Prudie. Altrimenti, saremmo
andati avanti così almeno fino all’alba!”
La
signora Paynter annuì, smoderatamente
compiaciuta di se stessa.
Tuttavia,
ben presto, fu chiara a
tutti l’inclinazione malinconica che assunse
l’espressione di Ross, come se
soltanto allora fosse riuscito ad assimilare il contenuto reale della
rivelazione di Prudie. A quel punto, infatti, le risate si dissolsero
nell’eco
prodotto dall’immensità dell’ambiente
che ospitava tutti loro, cedendo il posto
al silenzio, ritenuto la scelta più appropriata alla
situazione.
Caroline
arrossì mentre si
accarezzava il ventre piatto, “Mi sento in dovere di liberare
Dwight da
qualsiasi colpa. Io e Demelza avevamo deciso di comunicarvi la notizia
insieme,
ma avere un marito medico non aiuta a celare i sintomi di una
gravidanza,
quindi ho dovuto ammetterlo prima del dovuto. Lei, invece, non aveva
altra
scelta se non quella di aspettare che tu tornassi da Londra. Solo, non
capisco
perché non l’abbia ancora
fatto…”
‘Non
ha avuto il coraggio di
dirmelo…’ pensò tra sé e
sé Ross, poi indirizzò a Caroline un sorriso
incerto e
si congratulò frettolosamente con Dwight, il quale
ricambiò le felicitazioni, tendendogli
la mano, in maniera così impercettibilmente imbarazzata che
chiunque, ad
eccezione di Ross, avrebbe avuto difficoltà a notare. Ma
anche a Dwight non
sfuggì il disagio che accompagnava i modi di Ross, il cui
umore era cambiato
radicalmente nel giro di pochi minuti.
Ross
decise, pertanto, di
togliere il disturbo, invitando Prudie a seguirlo senza fare troppe
storie. La
donna obbedì svogliatamente, avendo già intuito che, nello stato d’animo
in cui si trovava il suo padrone, il viaggio di ritorno sarebbe stato
alquanto
difficile da sopportare per entrambi.