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Autore: Urban BlackWolf    14/02/2018    5 recensioni
Può un falco forzare se stesso e rallentare per mettere in discussione le scelte fatte nonostante la sua natura lo costringa alla velocità, alla determinazione nel raggiungimento dell’obbiettivo di una vendetta?
E può una gru riuscire a proteggere con l’amore e la cieca fedeltà tutto ciò nel quale crede fermamente?
Possono due esseri tanto diversi fondersi in uno per tentare di abbattere le barriere che li separano pur solcando lo stesso cielo?
Ungheria 1950: Michiru, figlia della ricca e storica Buda, dove tutto è cultura e tradizione, lacerata tra il dovere ed il volere, dalla parte opposta di un Danubio che scorre lento e svogliato, Haruka figlia di Pest, che guarda al futuro correndo tra i vicoli dei distretti operai delle fabbriche che l’hanno vista crescere forte ed orgogliosa.
Una serie di eventi le porteranno ad incontrarsi, a piacersi, ad amarsi per poi perdersi e ritrovarsi nuovamente, a fronteggiarsi e forse anche a cambiare se stesse.
Genere: Romantico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le Gru della Manciuria

 

 

I personaggi di Haruka Tenoh, Michiru Kaioh, Usagi Tzukino e Minako Aino apparsi in questo capitolo appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Capitolo III

 

 

E vidi le tue ali

Buda – Distretto I – Settembre 1950

 

 

Si diede ancora qualche secondo e poi impose alle gambe di accelerare sentendo quasi nell’immediato l’aumento del sincrono cardiaco. Cento metri, duecento, trecento. Stringi i denti Michi. Fino alla fontanella, dai pensò inalando ossigeno correndo verso l’agognata meta già ben visibile dalla parte opposta della strada, lungo il fiume. Mantenendo il ritmo dello scatto oltrepassò la cancellata del parco dov’era solita correre da ormai un mese, avvertendo nei muscoli dei piedi il cambio della superficie. Passando dal brecciolino dei viottoli al rivestimento liscio del marciapiede, le suole delle scarpe da corsa sembrarono come ammorbidirsi di colpo provocandole sollievo. Arrivò all’angolo con il vialone principale e voltando la testa in entrambe le direzioni coprì rapidamente la carreggiata ancora poco frequentata dai veicoli. Davanti a lei il Ponte della Libertà ed immediatamente sotto il Danubio, che anche per quell’alba sembrava porgerle il suo buongiorno. Accattivante. Fluido. Ammaliatore.

Ormai era diventato un incontro fisso il loro, un impegno improrogabile, sia che ci fosse pioggia, sole o la nebbia di quella mattina di fine settembre. I primi giorni di allenamento erano stati per lei devastanti, tanto che aveva dovuto grattare fino all’ultima oncia di volontà per costringersi a continuare quel supplizio al quale la sua sconsideratezza l’aveva portata. Era partita forte con il suo “programma ginnico”, ignara di quel che volesse dire iniziare improvvisamente un’attività fisica competitiva, impersonificando scioccamente il così detto passo più lungo della gamba.

Il giorno nel quale aveva deciso che avrebbe partecipato alla gara di corsa della Festa della vendemmia si era ripromessa che si sarebbe allenata e così aveva fatto. L’inizio di quella tortura, le sei di un lunedì, l’aveva vista vestirsi di tutto punto; calzoncini, maglietta, calzini, scarpe, una comoda coda di cavallo ed una massiccia dose di buona volontà e poi via, verso una zona indecifrata del suo distretto, una strada presa a caso. Inizialmente aveva trotterellato quasi timorosa, ma visto che con il passare dei minuti aveva sentito il corpo rispondere positivamente, aveva accelerato non badando alla vocina della sua intelligenza che le urlava di fermarsi e continuando si era ritrovata in quel parco percorrendone poi il perimetro prima di rientrare verso casa. Tutto sommato era stata un’uscita più che positiva. Non sapeva quanti chilometri avesse percorso, ma sicuramente pari a quelli stabiliti per la gara. Rinfrescata da una doccia corroborante e rivestita con abiti più consoni, era poi andata alla BME come se nulla fosse sentendosi solo leggermente spossata. Il pomeriggio lo aveva passato a studiare e dipingere, mentre verso sera una fame anomala aveva iniziato a farsi largo tra le pieghe del suo stomaco provocandole rumorosissimi crampi come in casa Kaioh non se n'erano mai sentiti. Crollando subito dopo cena trasformatasi in un ciocco stagionato, aveva infine dormito come un animale da tana per tutta la notte. Ma era stata la mattina successiva ad essere tragicomica.

Aveva aperto gli occhi ancor prima di essere svegliata dalla domestica, stiracchiandosi tra le lenzuola come una gatta per poi scansarle pronta ad alzarsi e li, insospettatamente, ma inesorabilmente, una miriade di spilli le avevano fucilato le gambe stramazzandole il respiro nella gola. Dilatando gli occhi li aveva poi serrati stringendo denti e mani gemendo soffiando un semplice, ma esaustivo Ahi.

Erano serviti tre giorni alle sue fasce muscolari per tornare quelle di prima. Così aveva ripreso ad allenarsi, ma questa volta con parsimonia ed attenzione, percorrendo un chilometro alla vota, un giorno alla volta, una settimana alla volta, fino a sentirsi scattante e pronta.

Aprendo il rubinetto della fontanella lasciò che l’acqua gelata le sferzasse i polsi facendole contrarre i muscoli della schiena, poi si dissetò ampiamente ed infine si sciacquò il viso più volte passandosi i palmi ancora bagnati sulla pelle delle braccia provando piacere. Si sentiva bene. Non avrebbe mai creduto che della sana e semplicissima attività all’aperto le potesse portare tanto giovamento. Il rapporto con gli altri era migliorato rendendola più serena e solare, la concentrazione nello studio era andata via via intensificandosi e fisicamente non si era mai sentita tanto in forma. Era pronta a gareggiare con qualunque atleta l’avesse voluta sfidare lungo le strade della collina del castello di Buda, qualsiasi ragazza, fosse stata anche veloce come un falco o il vento stesso.

Già, un falco. Michiru guardò la struttura del Ponte della Libertà che si apriva accanto a lei ancora semi nascosta dalla nebbia. Adorava lo stile con il quale era stato costruito; un Art nouveau magnifico, così possente, ma al contempo elegante, come se gli Architetti che ne avevano disegnato le forme avessero voluto simboleggiare le due facce di una stessa medaglia. La possanza e l’eleganza; la componente maschile e femminile di un’unione. Concentrandosi rendendo gli occhi due fessure, riuscì a scorgere i quattro animali alati posti a guardia del cielo cittadino di Buda e Pest.

Incamminandosi verso il primo pilone Michiru continuò a guardarli iniziando il defaticamento. Da quando circa un mese prima li aveva visti stagliati contro l’azzurro, aveva iniziato a sognarne uno quasi tutte le notti. Un piccolo falco dagli occhi profondi, verdissimi e guardinghi, tanto che una mattina a colazione ne aveva parlato con il padre. Alexander, che da quando la figlia era stata sufficientemente grande per capire le aveva narrato la mitologia magiara, l’aveva ascoltata con un certo interesse sbiancando subito dopo la fine del suo racconto notturno.

“Amore te lo ricordi l’episodio del sogno della madre del principe Almos?” Le aveva chiesto dimenticando tra le dita la tazza di caffè e lei innocentemente gli aveva risposto di si.

“Ne sei proprio sicura?”

“Ti ho detto di si papà. Scusa, ma adesso che c’entra il sogno di Emese con il mio?!” E si era stizzita da quello strano senso di disagio manifestato dal genitore.

“E no Michiru, non mi sembra che tu…”

“Un Turul, dopo aver fecondato Emese le apparve in sogno annunciandole che avrebbe dato all’Ungheria un grande re. Corretto? Io non…” Bloccandosi improvvisamente la ragazza era diventata paonazza.

“Papà! Ma cosa vai a pensare!?”

“Anima mia, sei una così bella ragazza che è normale che prima o poi…”

“Prima o poi che!? Per tua informazione non sto frequentando nessuno ed è perciò assolutamente impossibile che io sia... Che aspetti un… Insomma, hai capito.”

Alexander aveva tirato allora un sonoro sospiro di sollievo sorridendole. “Allora vorrà dire che un falco sta per entrare nella tua vita e sarà foriero d’amore.” E tornando a bere il suo caffè l'aveva lasciata ancor più interdetta di prima.

Sistemandosi la coda di cavallo Michiru sbuffò ricordando quell'assurdo presagio. “Ah papà, tu e le tue tradizioni. Alle volte mi sembra di sentir parlare nonno Kōtei.”

Arrivata quasi fin sotto alla seconda guglia, a più di due terzi del ponte, la ragazza scosse la testa guardando uno dei due Turul a guardia di Pest. Che razza di padre aveva; romantico fino all’inverosimile. Ma dico io, come gli sarà venuto in mente.. un falco foriero d’amore. Sono proprio nel periodo giusto per provare un sentimento del genere si sfotté spostando le iridi sulla banchina verso il quinto distretto. E tra la nebbia che stava velocemente alzandosi e gli attracchi delle chiatte mercantili che stavano scaricando la merce giornaliera, lo vide. Un giovane alto, biondo, dalla pelle imperlata di sudore e la falcata ampia e sicura, correre fino alle scale che salivano dall’argine alla spalla del ponte.

Cercando di metterlo a fuoco ne inquadrò il viso concentrato e lo sguardo fisso di chi ha un punto immaginario da inseguire nella mente, ed ebbe un brivido. Bello. Era bello come un dio greco e spinta come da una planetaria forza d’attrazione velocizzò il passo cercando d’incrociarlo alla fine del porte. Non vi riuscì. Cambiando rapidamente direzione lui evitò un furgone attraversando rapidamente la strada.

E’ veloce come il vento. Come un falco pensò rabbrividendo una seconda volta a quel pensiero. Poi qualcosa nel corpo di quel giovane la colpì. Ormai sufficientemente vicina non poté non notare le forme morbide del torace e dei glutei.

“E’ una ragazza?!” Ed il suo cuore tornò a battere veloce come durante la sua corsa, mentre le campane della chiesa di San Mattia iniziavano la loro cadenzata squilla.

Porca… le campane. Sono in ritardo! Zigzagando tra una fila di paletti Haruka scattò per una cinquantina di metri diretta verso casa. Iniziava ad essere stanca, ma doveva tener duro. Non poteva certo permettersi il lusso di arrivare tardi in fabbrica proprio ora che le opere di trivellazione erano iniziate. Doveva riuscire a concludere il suo allenamento, lavarsi, cambiarsi e buttar giù un boccone prima che il padre e la sorella fossero usciti.

Corri accidenti a te… Corri! Salendo i gradini di una scalinata che metteva in comunicazione due zone dal notevole dislivello, si ritrovò tra i sobborghi del quinto distretto. Quella mattina aveva deciso di cambiare strada spezzando la monotonia del suo solito tragitto. Le era capitato ancora di sognare il Danubio e quello stranissimo uccello bianco e nero e forse per questo era arrivata a lambire quella zona centrale per lei così fuori mano. Non amava il centro cittadino e nello specifico la parte della ricca ed altolocata Buda, fatta di palazzi storici dalla pietra grigia e dalle ville dai giardini curati. Lei era figlia della caotica e popolare Pest, del colore caldo dei mattoni delle sue fabbriche e degli intonaci colorati delle case popolari. Ma tanto sta che ora era li e già non vedeva l’ora di tornare indietro.

Si era convinta a prendere quella gara di corsa sul serio e spinta da Jànos e dalle pedate di Johanna, aveva iniziato a svegliarsi prima dell’alba per uscire ad allenarsi. Mai scelta era stata più sofferta. Haruka amava dormire, poltrire era la parola giusta e più le giornate diventavano fredde ed uggiose e meno si riusciva di tirarla fuori dal letto. Fin da bambina aveva imparato a sfruttare ogni istante dei canonici cinque minuti pur di crogiolarsi il più possibile nel tepore delle lenzuola. Ma questa volta aveva fatto le cose per bene, esercitando corpo e mente pur sapendo di non averne affatto bisogno. L’aggiudicazione della commessa aveva galvanizzato tutta la sua famiglia e lei per prima. Avrebbe sudato, gareggiato e vinto anche quella personalissima sfida e lo avrebbe fatto triturando i suoi limiti e perché no, anche le avversarie.

Fermandosi in pasticceria per acquistare al volo tre kurtőskalács, puntò verso il perimetro meridionale del sesto distretto e venti minuti più tardi svoltò nella strada dalle case a schiera che l’avevano vista crescere. Salutando il lattaio ed una signora scesa per far fare la passeggiata al cane, aprì il cancelletto di casa salendo i gradini a due a due come al suo solito. Pur se curiosa della vita amava tornare al nido, lei falco pellegrino bramante della solitudine e della sua piccola famiglia.

“Giorno.” Esordì sentendo nell’aria l’odore di caffè.

“Sei in ritardo come al solito!” La redarguì Johanna dalla cucina.

“Lo so, lo so. Dov’è pà?” Chiese togliendosi le scarpe con l’aiuto delle punte dei piedi.

“E’ uscito mezz’ora dopo di te. Doveva preparare gli ambienti per l’acciaio. Dovrebbe arrivare via fiume questo fine settimana.”

“Se avessimo forni più potenti potremmo fondercelo da soli!”

“Se avessimo forni più potenti ci chiameremmo Ganz! Dai vai a farti una doccia e poi vieni a fare colazione. Sarai affamata.”

Entrando in cucina a piedi scalzi la bionda aprì il sacchetto mettendolo sul tavolo pronta per sedersi e ricevere la sua dose giornaliera di caffeina. “Mi lavo dopo!”

“No Haruka… ti lavi ora!” Intimò l'altra guardandola male.

“Che differenza fa!”

“La differenza sta nel fatto che sei sudata marcia e così rischi che ti si freddino i muscoli e poi… puzzi. Dai cammina, ti aspetto!”

“Che palle!” Di malavoglia lasciò il legno della sedia imboccando la porta e poi le scale che portavano al piano superiore.

“Hai una camicia pulita sulla traversa della sedia.” Urlò la maggiore sentendo il furgoncino del lattaio avvicinarsi.

“Grazie cosa farei senza di te!” Canzonò entrando in bagno.

“Moriresti di fame puzzando come un tasso morto.” Borbottò Johanna andando ad aprire la porta di casa.

 

 

Pest – Distretto VII, Fabbrica C.A.P.

 

Tirando su con il naso Jànos si grattò la nuca contrariato. Gli spazi disponibili che la fabbrica aveva per lo stoccaggio dei materiali per la prima parte della campata, erano angusti e completamente insufficienti. Nelle misurazioni i loro tecnici sarebbero dovuti essere più precisi. Ora si ritrovavano con una partita d’acciaio in arrivo dal nord e pochissimo tempo per porre rimedio ad un potenziale disastro.

”E’ proprio un gran casino vero Presidente?” Rimarcò Scada Erőskar, uno dei cofondatori della CAP, nonché grande amico di Jànos.

“Puoi dirlo forte! Ma si può sapere chi ha fatto i rilievi del magazzino?!”

“Non tua figlia!” Scoppiando in una fragorosa risata gli diede una pacca sulla spalla.

Scada era per Jànos il fratello che non aveva mai avuto. Sempre pronto a spalleggiarlo in qualsiasi occasione erano diventati inseparabili ancor prima delle elementari, frequentando poi le medie ed il liceo nella stessa classe. Abitando l’uno di fronte all’altro avevano visto la loro prole crescere giocando per la strada con qualunque condizione atmosferica e verso la fine della guerra, avevano combattuto fianco a fianco l’Armata rossa in quella che sarebbe passata agli annali come la Battaglia di Budapest.

Sorridendo fiero l’altro colpì il piccolo lucido con il dorso della destra ammettendo che non fosse la scrittura di Johanna.

"Jo e' una casinista, ma di questi errori non ne fà."

“Non preoccuparti amico mio, in qualche modo faremo. In fin dei conti lo stoccaggio dell’acciaio non è permanente e non appena saranno finite le fondazioni non servirà più che lo si porti qui, perché basterà scaricarlo dalle chiatte e metterlo in opera.” Disse convincente.

Questa volta fu il turno di Jànos di ridere. Il suo amico vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno. “Si, ma voglio sapere chi è stato a disegnare questa porcheria. Adesso che siamo in ballo per questa commessa non voglio cialtronerie Scada!”

“Sono d’accordo, ma vedila con più serenità fratello.”

“Ma si, che diamine! Non sarà certo questo problemuccio ad impensierirci. Abbiamo vinto sbaragliando la concorrenza, ed è questa la cosa che più conta!”

“Giusto! Piuttosto dimmi, la piccola di casa è pronta per la gara?”

Sogghignando al nomignolo con il quale Haruka veniva chiamata da quello che in pratica era il suo padrino, confermò con una certa dose d’orgoglio che non l’aveva mai vista tanto in forma.

“Allora potremmo scommetterci su!”

“Si, ma che non le arrivi alle orecchie, perché se ne fregherebbe di chi siamo pretendendo una percentuale sulle vincite.” Disse tornando poi a ridere.

 

 

Provvidenziali interventi

Buda – Distretto I – Festa della vendemmia

 

La giornata era splendida. Nulla a che vedere con quel tempo orrendo dalla pioggia incessante che aveva battuto le strade della capitale per tutto il giorno precedente, rendendole paurosamente scivolose. Johanna si guardò attorno felice come una ragazzina, puntando i suoi occhi chiari alle bancarelle di dolciumi e cibarie varie disseminate attorno all’arrivo.

Francamente non ricordava molto di com’era quella festa prima che lo scoppio della guerra ne interrompesse la ritualità annuale, ma le dava comunque un senso di gioia, perché vedere le famiglie riunite imbastire le coperte per il consueto picnic di mezzogiorno sulle pendici del castello, la riportava con la memoria a quando anche loro quattro camminavano tra i tralci di viti appena messi a riposo cercando un posticino per disfare i cestini del pranzo. Sapeva che anche Haruka provava le stesse sensazioni anche se non aveva potuto godersi la madre tanto quanto lei. La sorella aveva solo dieci anni quando l’avevano persa e con un padre impegnato nell’esercito non era stato facile cercare di non farle mancare quegli affetti.

“Dove diavolo si è cacciata!?” Si sentì chiedere avvertendo una certa preoccupazione nel timbro di quella voce tanto potente.

“Arriverà apa, arriverà. Tranquillo.”

“Tranquillo un accidente! Ma sei sicura che sia riuscita a rotolare fuori dal letto?”

“Prima di andare in fabbrica ho chiesto alla signora Erőskar di svegliarla.”

“Dovevi rimanere a casa invece che venire al magazzino per cercare di mettere ordine tra i rilievi di quell’incompetente!”

Girandosi verso il padre inarcò le sopracciglia mettendosi sulla difensiva. “Ma se sei stato tu a chiedermi di darti una mano anche se è domenica.”

“Per tutti i Santi, Johanna… lo so! Non ti sto incolpando è solo che… Ma che fine avrà fatto quella disgraziata!”

Alzando gli occhi al cielo la figlia fece finta di niente. Quando Jànos entrava in quello strano stato mentale fatto d’apprensione paterna, si doveva lasciarlo cuocere nel suo brodo, perché qualunque cosa gli fosse stata detta sarebbe stato peggio.

“Allora dov’è la nostra campionessa?” Scada arrivò alle loro spalle pasturando ancor di più.

E no! Adesso ci si mette anche lui pensò la ragazza sorridendo forzatamente.

“Che vuoi che ne sappia!” Ringhiò Jànos guardandolo storto.

“Che hai?“

“Nulla! E’ che la signorina Tenoh ancora non si è degnata di comparire e la partenza è tra meno di un’ora! Tua moglie l’ha svegliata?”

“E che ne so! Ti ricordo che sono stato in cantiere fino ad ora e non sono certo passato per casa. Ma non agitarti troppo... Guarda eccola li.” Indicò un punto dove la bionda in tuta stava arrivando senza fretta facendosi largo tra la folla.

“Alla buon’ora.” Masticò Jo mentre uno strano profumo, che non avendolo mai visto non poteva certo sapere fosse di mare, le invadeva le narici spingendola a voltarsi.

Vide le spalle di una ragazza passare oltre stringendo una borsa da ginnastica. La seguì con lo sguardo fino a quando non la perse tra la gente.

Michiru si insinuò tra due bancarelle uscendo dal flusso pedonale per camminare più comodamente sul marciapiede. Rasentando una vera e propria fobia, non amava la calca ed anche se Hairàm era stato chiaro, era più forte di lei. Camminare tra le persone venute a vedere la gara sarebbe stato più sicuro. Non potevano sapere dove e quanti poliziotti in borghese fossero presenti in quell’occasione ed anche se un’atleta con una borsa a tracolla non avrebbe dovuto attirare sospetti, il condizionale d’obbligo la costringeva comunque ad essere il più accorta possibile. Forzandosi tornò a seguire il flusso fino a vederlo scemare in prossimità delle prime abitazioni; dei palazzi a sei piani risalenti agli ultimi anni del secolo precedente. Nonostante si trovassero in pieno centro quella particolare tipologia di nuclei abitativi potevano quasi considerarsi popolari ed usando un po’ di scaltrezza sarebbe stato facile accedervi.

Arrivando nei pressi del portone che il sopralluogo dei giorni precedenti aveva decretato essere quello più riparato e con una buona vista sulla parte terminale del percorso, Michiru si fermò lasciando la borsa sul muretto di cinta e facendo finta di controllarne il contenuto, aprì la lampo stirando le labbra all’asciugamano che stava usando per nascondere il suo vero contenuto. Sentendo l’ascensore mettersi in moto, s'inginocchiò temporeggiando iniziando ad allacciarsi meglio la scarpa destra. Meno di un minuto ed una signora uscì dal portoncino metallico e lei ne approfittò tenendole gentilmente l’anta per poi sgattaiolare all'interno. Un’azione tanto rapida ed apparentemente naturale che però non passò inosservata ad un paio di persone ferme nell’ombra dell’angolo del palazzo opposto.

“Hai visto con quanta freddezza è entrata?” Chiese la figura più alta ancora seminascosta.

“Le viene naturale. Te l'ho detto; la signorina Michiru Kaioh è un soggetto da tenere fortemente in considerazione.”

Infilandosi nell’ascensore e premendo il bottone dell’ultimo piano si poggiò alle grate metalliche della cabina cercando di frenare l’adrenalina. Calmati Michiru, respira si disse sentendosi già esausta. Sapendo che la porta che dava accesso ai lavatoi era sempre aperta, salì rapida l’ultima rampa di scale non trovando alcuna difficoltà nell’arrivare là dove Adam le aveva detto di nascondere i volantini; una piccola nicchia larga si e no una quarantina di centimetri ricavata nel muro della terrazza condominiale. E così fece. Piazzandoli in bell’ordine richiuse la borsa non avendo più salivazione nella bocca. Ripercorrendo i suoi passi tagliò nuovamente il locale dalle grandi vasche in pietra uscendo fuori dal pianerottolo ridiscendendo poi la rampa di scale per riprendere l’ascensore, ma non appena stava per afferrare la maniglia, questo iniziò la discesa richiamato ad un piano intermedio.

Maledizione! E d’impulso si schiacciò contro il muro sentendosi già le manette ai polsi. Inondando i polmoni d'ossigeno provò a riflettere con calma.

La cabina è aperta e se scendessi adesso potrei essere vista da chi l’ha presa, perciò anche se voglio andare via da qui devo aspettare che si chiuda il portone d’ingresso e sperare di non incrociare nessuno. Hai capito Michiru?!

Attese secondi interminabili, poi vociare per la tromba delle scale, saluti di gente che si conosce, la porta metallica dell’ascensore che si chiude, il motore che si riavvia, l’arrivo al piano terra, altri suoni secchi e poi il silenzio. Benedetto, ma non tranquillizzante. Scattando giù per la rampa iniziò a scendere. Quinto piano. Quarto. Terzo. Serrando le dita della destra al corrimano di legno che circondava il vuoto e le corde a vista del vano ascensore, stava per abbandonare il secondo piano quando il portoncino di un appartamento si aprì alla sua sinistra lasciando intravedere la faccina curiosa di una bambina di circa cinque anni. Michiru dovette farsi forza per mantenere il controllo sul terrore che sentiva spingerle le gambe verso la fuga. Le due si guardarono per un istante poi portandosi l’indice alle labbra in segno di silenzio, la ragazza sibilò leggermente facendo un occhiolino alla più piccola. Dopo un attimo di ovvio stupore la bambina esplose un enorme sorriso richiudendo lentamente la porta.

Sospirando allo scampato pericolo Michiru arrivò al piano terra e da li al sole riprendendo a camminare verso la strada principale brulicante di gente. E qui il vero carattere di Kaioh saltò fuori nel pensiero aggressivo rivolto verso se stessa e alla stanchezza che stava provando.

Non riuscirò mai a vincere se le gambe continueranno a tremarmi così!

 

 

Qualche altro giro di lancetta ed arrivò il momento per la folla di allontanarsi da quello che era sia l’avvio che l’arrivo. I giudici presero posto sul palco costruito per l’occasione e le concorrenti iniziarono a spogliarsi.

“Ti sei scaldata a sufficienza?”

“Si Jo.”

“Mi raccomando tieni a mente che verso metà del tragitto per terra c’è del basalto. Con tutta l’acqua di ieri sarà scivoloso. Fai attenzione a come poggi i piedi.”

“Lo so, lo so.” Affidandole la tuta rimase in canottiera e pantaloncini finalmente libera di dar sfogo alla frenesia che sentiva nelle gambe.

“Non partire a razzo come al solito. Sei in forma, ma non conosci le tue avversarie.”

Iniziando a saltellare sul posto la bionda se la guardò non capendo il perché fossero tutti tanto apprensivi.

“Johanna vado, le schianto e torno. Dacci un freno. Mamma mia sembra quasi che tu e apa ci abbiate scommesso sopra. - Fermando i saltelli dilatò le pupille sporgendosi verso l’altra. - Lo avete fatto?”

“No! Forse… Può darsi. O insomma, concentrati per la miseria!”

Ghignando la bionda iniziò a muovere ritmicamente il busto per sciogliere la tensione. “Passi lui, ma sorella... non è da te buttare i soldi. Allora pensi che vincerò!”

Certo che pensava che avrebbe vinto. Era un fulmine ed era la sua Ruka. Quali altre garanzie avrebbe potuto chiedere?

“Bada… Ho puntato la paga di un intero mese! Se ti azzardi a combinar casini parola mia che te le trito queste gambe. Chiaro?!” Minacciò alzandole l’indice sul naso mentre i giudici lasciavano partire la sirena che avvertiva tutti i non partecipanti di uscire dalla strada.

“Si, si, ora vattene e lasciami fare. Aspettami dietro al traguardo… non ci metterò molto!” Dandole una spinta l’allontanò per poi iniziare a studiare la situazione.

In tutto le partecipanti non superavano la trentina e ad un primo sguardo solo una decina di loro sembravano essere in possesso della giusta fisicità per portare a termine i cinque chilometri che servivano per vincere. Molto bene. Stai a vedere che mi sono fatta tutte quelle alzatacce per niente pensò superba mentre prendeva posizione in seconda fila preferendo lasciare sfogare le avversarie nei primi metri per poi riprenderle man mano. Arretrando di un passo avvertì il calore della pelle del braccio di un’altra atleta sulla sua e spostando gli occhi su di lei si sentì immediatamente catturata dalla linea del collo lasciato libero dai capelli, dal profilo delicato del suo viso e dallo sguardo concentrato fisso oltre il muro delle prime ragazze.

“Scusa.” Articolò proprio mentre il colpo di pistola decretava l’avvio della gara.

Troppo presa l’altra sembrò non badarci scattando e lasciandola sul posto a fissarle le spalle.

Haruka rimase così sola ed ultima, bloccata come se i suoi piedi fossero stati ancorati al suolo.

“Che fa?!” Esclamò allarmato Jànos aprendo le braccia.

“Ma che cavolo… Haruka per la miseria! Avanti… Corri!” Urlò Johanna cercando di sovrastare l’infinità di voci che si stavano alzando tutto intorno a loro.

“E’ impazzita! Tua sorella è impazzita! Haruka!”

“No… Vorrà dare un po’ di vantaggio alle avversarie. Vedrai che adesso parte. Parti dannazione! Parti!” Si sgolò mentre il padre si portava una mano al viso scuotendo la testa.

Pur se ancora ferma, imbambolata come uno stoccafisso con le altre e lei ormai già con un buon margine di vantaggio, la bionda sentì il battito del cuore accelerare e farsi forte, intenso. Stirando un sorriso sardonico inalò una boccata d’ossigeno partendo a sua volta. Come infuocata da qualcosa che le stava ardendo alla bocca dello stomaco, lasciò che la distanza tra le avversarie rimanesse pressoché invariata fino all’inizio della prima salita, poi, ad una ad una, le riprese quasi tutte ed alla prima curva a gomito che spaccava in due i campi di vite deposti lungo uno dei fianchi della collina del castello, ne contò davanti a se soltanto due; una ragazzona alta quanto lei e quello splendido cigno dalla fluttuante coda di cavallo che aveva visto alla partenza.

Entrambe spaventosamente resistenti non le permisero di avvicinarsi neanche una volta tornate in piano, sull’asfalto. Porca miseria! Siete due tipe toste eh?! Allora se volete giocare… giochiamo pensò dilatando la cassa toracica aumentando la spinta riuscendo ad avvicinarsi alla prima ragazza, ma non a quella più minuta che una volta arrivate tra i palazzi, sembrò improvvisamente più interessata al panorama che alla sfida in atto.

Non perdendo ritmo nelle falcate Michiru guardò in cielo non scorgendo ancora nulla, poi li vide; uno, due, tanti foglietti bianchi dondolare sospesi tra il chiarore delle facciate. Costretta dal percorso ad una svolta a destra lasciò temporaneamente la strada dei palazzi con il pensiero ad Adam.

Lanciato anche l’ultimo blocco di volantini il ragazzo schizzò verso la porta metallica dei lavatoi togliendosi dal sole. Kaioh era stata semplicemente perfetta e lui aveva trovato tutto dove e come le aveva chiesto.

“Ora non ci rimane che filarsela prima che le guardie possano capire da quale terrazza sono partiti questi scottanti gioiellini.” E cercando di fare meno rumore possibile discese per le scale con l’accortezza di un gatto. Aprendo il portoncino dello stabile passò la sottile striscia delle fioriere che arrivava fino a muretto di cinta ritrovandosi sul marciapiede. Mani nelle tasche cercò di fare il vago sforzandosi di non guardare in alto.

Fottuti alla grandissima pensò sentendosi ormai in salvo quando il suono acuto di un fischietto non gli bloccò il cuore.

“Ei tu! Fermo li!” Intimò una voce dittatoriale proveniente dalle sue spalle.

Merda! Ruotando il busto si voltò lasciando uscire lentamente le mani dalle tasche. Davanti a certa gente si doveva esser cauti.

“Di un po’ ragazzo, vivi nei paraggi?” Un poliziotto in borghese con dietro uno in divisa, estrasse la placca d’ordinanza bloccandogli ogni via di fuga.

“Perché è un crimine signor agente?”

“Fai poco lo spiritoso e tira fuori i documenti!” Ordinò l’altro stringendo minacciosamente la sinistra all’impugnatura del manganello.

“Scusate, scusate. Ecco a voi.”

Una rapida scorsa ai suoi dati e scattò l’ovvia domanda. “Senti un po’, visto che non abiti in questo distretto che ci fai da queste parti?”

“Be diciamo che ci sarebbe una festa… da queste parti.”

L’uomo in borghese lo afferrò allora per il cotone della camicia ringhiandogli sul viso di non continuare con quell’atteggiamento.

“Di un po’ ragazzino sai per caso cos’è questo?” E gli sventolò in faccia un volantino dove campeggiava la scritta SVEGLIA!

“Un pezzo di carta?”

“Divertente! Vediamo se portandoti alla centrale ti passerà la voglia di fare il galletto.”

“Amore…”

I tre uomini si voltarono all’unisono verso la biondina che braccio alzato, oltrepassò la carreggiata andando loro incontro.

“Ma sei qui! Ti stavo aspettando all’arrivo della gara. Adam possibile che tu sia sempre in ritardo?!”

“E voi sareste?” Chiese l’agente in divisa.

“Minako… la sua fidanzata. Cos’è successo? Ci sono dei problemi? - Corrugando la fronte guardò allora la mano dell’altro ancora serrata al colletto della camicia del ragazzo. - Mi avevi promesso che mi avresti portato alla festa, ma tanto lo sapevo che avrei dovuto aspettarti buttata in mezzo alla strada. Sempre in ritardo! Diteglielo voi signori, che sarebbe buona creanza non fare attendere una donna.”

Leggermente spiazzato da quei due laghi di pura innocenza, l’uomo lasciò la presa schiarendosi la gola con un secco colpo di tosse. “Signorina, i ragazzi di oggi sono spesso irrispettosi. Confido che sappiate dare al vostro fidanzato la giusta dose di educazione. Potete andare.” Riconsegnando i documenti ad Adam e portando l’indice ed il medio della destra alla fronte, abbassò leggermente la testa verso Minako in segno di saluto.

Afferrando il ragazzo per un braccio lei lo attirò a se lasciandogli un bacio sulle labbra. “Coraggio amore. La gara sta per terminare.” E si allontanarono senza fretta.

“Grandissima interpretazione Aino. Buon sangue non mente!” Bisbigliò.

“Sta zitto stupido! La prima regola per non destar sospetti è di non provocare gli uomini in divisa. Ringrazia il cielo che non fossero della ÁHV o saresti già sparito nei meandri della casa della giustizia.” Incompetenti terminò nella sua testa scorgendo Usagi ad aspettarli nei pressi dell’incrocio dove stavano passando le ragazze in testa alla corsa.

Distratta dal trambusto che il lancio dei volantini stava provocando sulla folla sparsa a “macchia di leopardo” lungo il tracciato, Michiru sentì scemare l’adrenalina iniziando a sentirsi a corto d’energia. Ai suoi fianchi, una a destra ed una a sinistra, le due ragazze che stavano dividendo con lei i primi posti. Vuoi il pensiero di Adam, vuoi che quando correva non era solita guardarsi in torno, non sapeva neanche che faccia avessero. Sapeva solamente che erano veloci e che doveva dare di più se voleva sperare di portarsi a casa la vittoria.

Non ce la faccio più ed avvertì una delle sue avversarie fiancheggiarla. Solo allora, con le spalle a pochissimi centimetri l’una dall’altra, riuscì a mettere a fuoco l’immagine di Haruka e a riconoscere nel suo viso la ragazza vista qualche giorno prima correre lungo il Danubio.

Eccomi qui mio bel faccino. Credevi di sfuggirmi vero? E no. Proprio no ed una volta identificata la sua preda, il piccolo falco scese in picchiata pronto a ghermire.

E’ lei! Ne sono sicura… Ma cosa sta facendo? Perché sorride?

Accidenti che taglio d’occhi che hai. Ed il colore poi…

Se questa è una dichiarazione di guerra… l’accetto volentieri pensò la gru forzando il passo.

Acceleri? Così mia cara all'arrivo arriverai squassata.

Non mi farò battere! Mi scoppiasse il cuore.

Competitiva la ragazza, mi piac…

Michiru perse il contatto visivo che aveva tenuto a passi alterni con la bionda sentendo quasi nell’immediato un tonfo sordo proprio dietro di lei. Voltandosi decelerò quanto basta per vedere la sua avversaria rovinata sul basalto disseminato di foglietti mezzi bagnati.

“Cazzo…” Articolò l’altra quando un dolore sordo le colpì la caviglia destra facendole serrare la mascella.

“Tutto bene?” Chiese Michiru fermandosi e tornando indietro.

Maledizione che male pensò Haruka avvertendo il calore di un palmo sulla schiena.

“Ce la fai a rialzarti?”

Cercando di non badare alle escoriazioni a pelle viva che sulle ginocchia e sui gomiti stavano iniziando ad arrossarsi di sangue, la bionda provò a rimettersi in piedi non riuscendovi. Rimanendo seduta sul basalto socchiuse gli occhi chinando la testa ed arpionandosi il polpaccio con entrambe le mani iniziò sommessamente ad inanellare una quantità industriale di male parole.

Michiru guardò allora al gruppo delle inseguitrici che stava iniziando ad intravedersi dal margine della strada decidendo alla velocità di un lampo. Per entrambe la gara si chiudeva li.

“Dobbiamo toglierci. Vieni, ti aiuto io.” E prima ancora che Tenoh avesse potuto obbiettare qualcosa, se l'era già presa di forza tra le braccia costringendola a far leva sull’altra gamba. Infilandosi sotto la sua ascella Kaioh la guidò verso il marciapiede il più velocemente possibile.

"Cazzo... che male!"

“Posso immaginare il dolore, ma non è il caso di sporcarsi la bocca con queste volgarità, non trovi?!" La redarguì inalando per la prima volta il suo odore buono fatto di sudore giovane e fragranza di pelle.

“La fai facile tu! Porca puttana schifa!”

“Ancora?! Dimmi piuttosto cos’è successo. Sei inciampata?”

Inciampata un par di palle… Pensò Che sono una pupattola di un anno?! Però… sei proprio della mia misura. Indolente ridacchiò e vincendo il pulsare doloroso che stava provando un po’ dappertutto, si appoggiò più comodamente a lei. Era più bassa di una quindicina di centimetri ed i loro corpi aderivano perfettamente.

Finalmente messa a sedere sul ciglio della strada indicò un paio di pezzi di carta abbandonati tra le pozzanghere. “Sono stati quelli!”

Oddio i volantini ed inginocchiandosi Michiru si sentì mortificata.

“Chi può essere stato il genio?”

“Magari se avessi guardato per terra li avresti evitati.” Rispose acida senza neanche pensarci su.

“Quando corro io guardo avanti… non in terra.”

“E fai male. Se lo avessi fatto a quest’ora saremmo quasi al traguardo.”

Stizzita Haruka le piantò gli occhi addosso. “Non ti ho chiesto io di fermarti!”

Ed accettando la sfida l’altra fece altrettanto. “Io non sono solita lasciare indietro nessuno!”

Rimasero così, occhi negli occhi, a fissarsi non accettando una resa, come se ognuna delle due sentisse di dover sostenere il punto. Un dovere verso se stesse che ben presto si trasformò in piacere.

Se sei bella ragazzina. “Comunque il mio nome è Haruka.”

Perché non riesco a staccarle gli occhi di dosso?! “Michiru.”

“Michiru... - Scandì lentamente come a volersene impadronire. - A parte tutto mi dispiace che tu abbia perso l’occasione di vincere. Stavi gareggiando bene.”

A quelle parole Kaioh iniziò a ridere spezzando quella sorta di arcano richiamo ammettendo di non aver mai sentito il cuore battere tanto forte. “Credo che se non mi fossi fermata mi sarebbe uscito dal petto prima di toccare la linea del traguardo.”

Ma la bionda non la seguì in quell’improvvisa esplosione d’ilarità, anzi. Sbattendo le palpebre arretrò leggermente il collo stupendosi di stare provando serenità e piacere in quel suono argentino.

“Senti, adesso come facciamo? Non credo che la tua caviglia stia bene. Si sta gonfiando.”

“Oh… Non preoccuparti. Non fa poi tanto male.” Mentì Haruka, mentì fregandosene del dolore, delle altre concorrenti che nel frattempo stavano sopraggiungendo sorpassandole, della figuraccia che stava facendo davanti a quell’incanto, del suo sentirsi avvilita perché momentaneamente menomata e bisognosa di aiuto.

“Non si tratta di male o meno. Riesci a muoverla?”

“Si… Un po’.”

“Ottimo, allora vieni… Ti accompagno.”

La bionda la guardò alzarsi e tenderle una mano. “Dove?”

“A casa tua.”

E no, ferita si, ma almeno l’orgoglio in quella giornata di sconfitte doveva rimanere intatto. “Ti ringrazio Michiru, ma credo di riuscire a cavarmela da sola.” Disse con una smorfia da dura rimettendosi lentamente in piedi.

“Sei sicura? A me non costa nulla sai.”

“Sicurissima. Ti ringrazio.”

Un po’ delusa l’altra stava per ritrarre la mano rimasta vuota quando se la sentì stringere forte. “Spero di rivederti. La nostra gara non è ancora finita, giusto?”

Avvampando a quel semplice tocco Kaioh scosse frettolosamente la testa distogliendo lo sguardo dal verde dei suoi occhi. - Chissà. Be allora io vado, ho degli amici che mi stanno aspettando al traguardo. - E lasciando a forza il calore di quella mano le sorrise un’ultima volta tornando a correre lungo la strada dell’arrivo.

Rimasta sola la bionda sospirò rumorosamente. “Che grandissima figura di merda che hai fatto Haruka.”

Facendo un mea culpa iniziò zoppicando ad incamminarsi verso quella che avrebbe dovuto essere la sua trionfale vittoria e che invece la stava vedendo sconfitta su tutta la linea. O no? Forse avrei dovuto accettare l’offerta di farmi riaccompagnare a casa. Io ed il mio stupidissimo orgoglio. Chissà se la rivedrò mai… Michiru…

 

 

“Un puledro con le zampe troppo lunghe per stare in piedi, ecco che sei! Tu e le tue stupide gambe mi avete fatto perdere la paga di un mese!”

“Dio che palle! Ho capito Jo. Te li restituirò quei soldi!”

“No! Stupida io che mi sono lasciata forviare da tutta la frenesia che c’era in fabbrica. Ben mi sta! I soldi vanno guadagnati, non vinti!”

Non vedendola arrivare Jo e Jànos le erano andati incontro ed ora, caricata a forza sulla schiena del padre, stavano tornandosene a casa senza alcuna fretta dopo aver fatto una capatina dal dottore.

“Basta voi due. Fatela finita! Johanna può capitare e tu Haruka, ringrazia il cielo di non esserti rotta la caviglia.”

“Se becco chi è stato a gettare quei volantini gli torco il collo, quanto è vero iddio!” Abbaiò stringendosi all'uomo.

“Non colpevolizzare chi combatte per la libertà del nostro popolo.”

“Si combatte con le armi e non con degli stupidi pezzi di carta lanciati vigliaccamente sulla folla.”

Jànos non controbatté alle parole della figlia sapendo che quello sfogo di rabbiosa indolenza era dettato più dall’avvilimento della sconfitta che da una vera e propria convinzione. Stringendo le labbra l’uomo voltò l’angolo della loro strada notando un gruppetto di persone nei pressi della loro abitazione. Riconobbe Scada, sua moglie ed un altro paio di vicini, tutti con un’aria cupa stampata in faccia e tutti con una copia del quotidiano cittadino stretto in mano.

“Jànos dov’eravate?” Si sentì chiedere fermando il passo e lasciando che i quattro gli si facessero incontro.

“Dal dottore. Haruka è caduta. Che cos’avete tutti? Perché quelle facce?”

“Guarda da te fratello.” Rispose l’altro aprendo il giornale per lasciarlo leggere.

Irrigidendosi al titolo che campeggiava in prima pagina lasciò che la figlia gli scendesse dalle spalle afferrandolo.

“Questa non ci voleva.”

 

 

 

NOTE: Ciau. Questa volta sono riuscita a terminare il capitolo in tempi decenti 

Abbiamo avuto la riprova che le sorelle Aino hanno una “marcia in più” e conoscono cose che gli altri ragazzi non possono neanche lontanamente immaginare, mentre il falco e la gru si sono incontrate per la prima volta e credo non sia passato inosservato quante scintille facciano i loro caratteri se accostati in una gara. Soprattutto Kaioh, che non le manda certo a dire rispondendo colpo su colpo.

Per quanto riguarda la leggenda di sogno di Emese per chi ne volesse sapere di più la può trovare velocemente su “santo” Wikipedia.

Passando invece alla famigerata casa della lealtà, oggi trasformata in museo detto la casa del terrore, era un’antica struttura dove durante la seconda guerra mondiale e successivamente, furono rinchiusi e torturati i dissidenti politici del nazismo prima e del socialismo poi.

A prestissimo

 

 

   
 
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