Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Blue_Passion    14/02/2018    1 recensioni
-Ah… Levi, tu hai mai pattinato? –
-Cosa? Mh-
-Tu… non lo hai mai fatto- non era una domanda, quella.
-Non hai mai pattinato! E-e la tua infanzia? Il cadere e rialzarsi? Il congelarsi il culo quando si posa sul ghiaccio e l’avere male ai piedi, ma il cuore pieno? –
L’altro non rispose, accelerando il passo e cacciando le mani in tasca, affondando il viso nella sciarpa.
-L-Levi, aspetta, tu devi pattinare! Devi provare! –
-Quello che devo e non devo fare lo decido da me, moccioso, e poi come vuoi che impari? Non cadrò davanti a tutti, e guai a qualcuno se mi si avvicina. Non mi fido delle persone, Eren-
-Dai! Ci sono io! Di me si! Posso insegnarti io, lo giuro, non ti lascerò cadere, nemmeno una volta-
Levi non gli badò, iniziando a camminare in maniera simile a quando ci si prepara a correre.
No, non avrebbe ceduto. Su quegli arnesi infernali non ci avrebbe messo piede.
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Piccola OS Ereri/Riren, mettela come volete, solo due ragazzi e il loro amore.
Tenete per favore in conto che è la mia prima storia su AOT.
AUreincarnation accennata.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Warm me up

 
-Mamma, mamma, come si fa ad andare sui pattini, sopra il ghiaccio? –
-Devi provare, Eren. Ti andrebbe di andarci? –
-Si! Voglio imparare! Mikasa, verrai anche tu, vero? –
-Hmn... se ci sei tu mi va bene-
-Mamma, possiamo chiedere anche ad Armin? Ti prego? –
-Certo, andiamo. Andiamo, piccoli-
 
La prima volta che mise dei pattini s’una pista di ghiaccio, cadde rovinosamente. Ricorda ancora il pianto durato minuti, ore forse, e la disperata madre che con le sue dolci parole cercava di consolarlo. Lui, sua sorella Mikasa e Armin, un suo recente amico, andarono via dopo nemmeno dieci minuti dall’arrivo.
 
La seconda volta, decise di mettere da parte l’orgoglio e di chiedere aiuto a sua sorella, che si muoveva leggiadra e in modo esperto, pur essendo solo la seconda volta.
Lei lo prese per mano, sotto lo sguardo stupito dei loro genitori, e lo condusse finché non imparò. Non si accorse nemmeno che sua sorella aveva lasciato la sua mano fino a quando non andò a sbattere con la faccia su un palo della staccionata, cadendo all’indietro e prendendo una botta, oltre che sul naso, anche dietro alla nuca.
Dovettero portarlo a casa perché non si reggeva in piedi, quel giorno.
 
La terza volta andarono con la scuola, e lui non aveva più bisogno di nessun aiuto; si buttò a capofitto in una disperata gara contro Jean, quindi, un suo compagno di classe. Caddero entrambi di pancia, dopo essersi scontrati, e ridendo si rialzarono raggiungendo i compagni che li chiamavano preoccupati.
 
Dopo la terza venne la quarta, la quinta, la sesta e così via. Si, amava pattinare, anche se non lo avrebbe mai fatto come sport. Quindi ogni anno, come da manuale, si recava insieme ai suoi due migliori amici, insieme alla sua famiglia, insieme ai suoi compagni o anche da solo su quella pista, che veniva montata in centro durante il periodo invernale.
Non era più caduto, dopo la terza volta, e giurò a sé stesso che se mai avrebbe insegnato a qualcuno non lo avrebbe lasciato cadere nemmeno una volta.
 
 
Due occhi, in quel momento di un verde brillante, osservavano pigramente il cielo nuvoloso, fattore che preannunciava la presto nevicata che si sarebbe verificata.
Perché si, fuori faceva freddo, molto, erano da un paio di giorni sotto lo zero anche durante il giorno, e se quei nuvoloni stavano ad indicare pioggia, avrebbe fatto una bella nevicata. “Una nevicata con i fiocchi, finalmente. Ahaha.” Rise del suo stesso pensiero, per aver aggiunto un modo di dire a qualcosa che i fiocchi effettivamente li aveva.
Si, gli sarebbe di sicuro piaciuto uscire la mattina dopo con il mondo imbiancato da quel soffice e delicato strato di cristalli di ghiaccio, affondare i suoi scarponcini nella neve, osservare con Armin e Mikasa il paesaggio, e magari perché no? Tirare anche un paio di palle di neve a quella faccia di cavallo denominata Jean. Lo avrebbe fatto arrabbiare di sicuro, e quello non avrebbe resistito e gli avrebbe risposto per le rime, probabilmente prendendolo e buttandolo a terra, per poi infilargli la faccia proprio all’interno di quella bella quanto congelata neve. Si sarebbe preso una sgridata da Marco per certo, dopo; chissà, a lui magari ci avrebbe pensato Armin, ma poco importava, adorava prendersi gioco di uno dei suoi migliori amici.
Poteva fare anche un coniglietto di neve e portarlo a sua cugina Isabel, che pur avendo un paio di anni in più di lui aveva ancora il carattere di una bambina. Il suo ragazzo, Farlan, gli stava molto simpatico, e nei modi di fare ricordava vagamente Armin.
E poi avrebbero avuto il giorno libero, mentre il professor Erwin se ne sarebbe probabilmente rimasto rintanato nell’aula docenti insieme a tutti gli altri, da dove potevano osservare senza dover per forza uscire al freddo gli studenti.
Il preside Pixis era un dannato angelo. Una volta all’anno, dopo la prima seria nevicata della stagione, lasciava un’intera giornata agli studenti in cui potersi divertire e saltare le lezioni, giocando nell’enorme cortile o stando semplicemente a parlottare dentro l’istituto, per i più freddolosi. Si ricordava di aver anche chiesto una volta il perché, e il preside aveva semplicemente risposto con un tranquillo “la neve è una cosa passeggiera, dura poco, e se non usaste la mattinata, in cui è ancora fresca, pulita e alta quando vi divertireste? Di pomeriggio, che già inizia a sciogliersi e a sporcarsi? Voglio solo che vi possiate godere la prima neve dell’anno in santa pace e con i vostri amici. E un meritato riposo.”. Dopodiché lui era scoppiato a ridere, facendo spalancare gli occhi al preside. “Lo ammetta, volete una pausa anche voi docenti da noi petulanti ragazzini almeno una volta all’anno”. Il preside per tutta risposta si era messo a ridere a sua volta, accennando ad un sì.
Eh, era proprio una bella scuola la sua.
 
I fiocchi stavano cadendo da ormai quasi venti minuti, e il ragazzo non poteva far altro che sospirare davanti a quel magnifico quadretto che si era formato davanti a lui. La neve attecchiva velocemente, e le strade iniziavano già ad imbiancarsi.
Si, il giorno dopo sarebbe stato splendido.
I suoi genitori e sua sorella quel giorno erano fuori, il che lo rendeva leggermente triste, ma non abbastanza per non farsi una buona cioccolata calda e sedersi appollaiato sul divanetto davanti alla finestra.
Adorava quel divanetto. Era di un rosso scuro, e l’aveva deciso la madre anni prima, notando il ragazzo -al tempo bambino- attaccarsi sempre alla finestra e saltellare, per poi sedersi su quella rientranza che dava poi sulla finestra, leggendo un libro o magari semplicemente guardando fuori.
Avrebbe evitato di farsi male, e il divanetto era abbastanza alto da permettergli di guardare fuori dalla casa anche senza doversi spiaccicare sulla finestra.
Sospirò, pensando che la sua vita era così calma. Così felice. Così perfetta.
Che fosse un premio per aver sopportato quella vecchia, tormentata e devastante? Quella in cui aveva visto la madre essergli strappata via davanti ai suoi occhi, tranciata a metà dai denti di quella creatura mostruosa? Quella in cui lui stesso aveva ucciso il suo burbero e pacato padre? Quella in cui era stato considerato un mostro, in cui aveva perso così tante persone a lui care, in cui aveva visto così tanta morte e spargimenti di sangue? Quella in cui aveva visto morire la persona che più amava giusto un attimo prima di morire lui stesso? Era forse per quello che quella volta era così bello il mondo?
Lui credeva e sperava così, perché in fondo si, se lo meritava.
 
Alla fine aveva ceduto alla tentazione e aveva preso in mano un libro, l’ultimo che stava leggendo, sbuffando perché dovette alzarsi, ma rintanarsi poi sotto la coperta su quel divanetto era la fine del mondo, soprattutto durante una nevicata e con un buon libro da leggere.
Non se la sentiva di fare altro, e soprattutto in quel momento avrebbe preferito avere il suo ragazzo stretto tra le braccia piuttosto che starsene da solo a leggere.
Dio, come amava il suo ragazzo. Quello scorbutico e timido ragazzo, di solo un paio di anni in più di lui, con quello sguardo severo che tendeva ad addolcirsi ogni volta che aveva intorno le persone a lui care. Qui erano tutte vive, non ne mancava nemmeno una. E aveva persino scoperto che suo zio Kenny non era lo stronzo che era un tempo, con grande gioia da parte di entrambi.
E poi i suoi occhi. Dio, quegli occhi! Lo facevano morire ogni volta. Quella tonalità di grigio fumo che si colorava d’azzurro bluastro ogni volta che lo si esponeva ad una determinata luce. Quegli occhi che sapevano essere vitrei e spenti quando riaffioravano i brutti ricordi, ma lucenti e pieni di vita quando si ridestava e si rendeva conto che si, loro era qui, vivi, insieme.
Quegli occhi che sapevano già troppo, non a causa di fatti importanti successi di qua, ma fatti importanti successi .
Era una cosa che rimaneva dentro, ti segnava. Eppure, stranamente loro erano gli unici a sapere tutto, a ricordare tutto.
Marco una volta era arrivato a scuola con due occhiaie da far paura, reduce di una notte d’incubi, in cui lui perdeva la vita venendo divorato da uno di quei cosi, mentre la sua carne si lacerava e gli veniva strappato via brutalmente il lato destro del corpo.
Poi solo un fischio, nient’altro.
Aveva riso per la sua stupidità, e aveva rassicurato tutti sul fatto che fosse “solo un brutto sogno”.
Jean a quello aveva spalancato gli occhi, mettendosi a piangere, aggrappandosi al suo ragazzo, urlando il fatto che aveva sognato anche lui Marco tranciato a metà, e altri flash poco distinti di scene agghiaccianti. Erano tutti spaventati.
Mikasa ne aveva avuti alcuni simili, di incubi, per lo più la morte dei suoi genitori, il processo del ragazzo, la sua morte. A quanto pare lei stava guardando, in quel momento.
Non ci badava troppo, anche per lei erano solo sogni. Tutti loro avevano sognato qualcosa di importante o che li aveva colpiti parecchio della loro vecchia vita, ma nessuno si era mai reso conto di nulla. Nemmeno il professor Erwin, che a volte entrava in classe con la faccia di uno che ha visto la vita passargli davanti; in quelle giornate ordinava sempre a tutti gli studenti di raccontare i propri incubi.
Oh, quante volte aveva mentito od omesso un sacco di cose, riguardo ai suoi ricordi.
Nemmeno Hanji ricordava nulla, pur ronzando tutto il giorno intorno a coloro che aveva di là.
Credevano fossero causalità i sogni collegati che facevano, dato che non li facevano mai la stessa notte, pensavano anche che potessero essere “effetti collaterali” all’aver ascoltato gli incubi degli altri.
Tutti… tranne Armin. Armin, che aveva capito tutto. Armin, che seppur non ricordasse quasi nulla sapeva che c’era qualcosa che non andava, che il pianto che aveva fatto da piccolo quando gli si era presentato davanti non poteva essere per nulla, o non collegato a quei sogni. O ancora, come aveva spalancato gli occhi alla vista del suo ragazzo, la seconda settimana di scuola o giù di lì, mentre sentiva le lacrime rigargli le guance, e gli era corso incontro, seguito subito a ruota dall’altro. Oh, quanto si erano stretti, quel giorno.
Ma in quel momento nulla importava. Importava averli tutti lì, con lui…anche se in realtà, avrebbe preferito condividere quel preciso momento con Levi, guardando la neve cadere e stando rannicchiati sotto ad una coperta, magari mentre si baciavano dolcemente, come solo nei momenti più calmi riuscivano a fare, senza che uno dei due si staccasse dall’altro troppo imbarazzato.
Si, gli sarebbe davvero piaciuto.
 
 
Quella mattina faceva davvero più freddo del solito, era persino stato costretto ad indossare i guanti per evitare un assideramento alle mani.
Tirò la zip del suo parka verde fino allo stremo, nascondendovi poi il viso, sospirando.
Non era tanto per lui, il freddo lo sopportava abbastanza bene, no, era per Levi. Tendeva ad essere molto freddoloso, quindi un giorno come questo non doveva essere molto facile da affrontare per lui.
Sorrise, pensando al naso delicato del suo ragazzo arrossato a causa del freddo, quel viso così piccolo e con un’espressione così dura coperto per metà dalla sciarpa, il suo corpo fasciato dai pesanti pantaloni e l’ingombrante giubbotto. Si, era davvero adorabile.
Si beò del suono che facevano le sue scarpe a contatto con tutta quella neve, alzando poi lo sguardo e guardandosi intorno, piegando le labbra leggermente all’insù quando notò Armin e Mikasa che lo aspettavano in strada, mano nella mano. Giusto…anche Armin era molto freddoloso, Mikasa al contrario quando si vestiva abbastanza diventava la stufetta personale del ragazzo, che in quel momento le stava quasi appiccicato.
Lei aveva ancora la sciarpa rossa che le aveva regalato quando si erano conosciuti, ricordandosi di quella che gli aveva dato anche di là.
Mikasa era più per il colore scuro, e sinceramente a lui non dispiaceva. La ragazza era piuttosto chiusa in sé stessa, e davvero non si stupiva di vedere che indossava un cappotto grigio ogni anno, abbinato magari anche ad un paio di paraorecchie o nere o non particolarmente chiare. Quel giorno ne aveva un paio dello stesso colore del cappotto, grigio fumo, con un fiocco di neve nero cucito proprio al centro di ogni cerchio.
I suoi stivali erano neri, e piuttosto bagnati a causa della neve.
I guanti rossi senza dita, con la copertura tirata proprio per coprirle, non stonavano per nulla. E anzi, quello della mano destra, stretta a quella sinistra di Armin coperta da un guantone bianco, gemello del destro, era una scena davvero tenera.
Il ragazzo al contrario di lei era chiaro come il cielo quel giorno.
Un giubbottone azzurro, un cappello bianco e una sciarpona color panna; degli scarponcini marroncini simili a quelli da montagna che gli fasciavano i piedi, probabilmente già infreddoliti.
Pensandoci era probabilmente persino più freddoloso di Levi.
Non ci badò troppo, correndo verso di loro sorridendo ampiamente, abbracciandoli appena li ebbe raggiunti.
Si, Mikasa era davvero calda!
-Allora, Eren, andiamo? –
Guardò i suoi amici, annuendo, prendendo per mano Mikasa, quella libera, e iniziando ad avviarsi verso la struttura scolastica. Quel giorno si prospettava davvero bello.
 
-Oi! Bastardo suicida, non saluti?! –
-Jean, calmati! Non urlare. Ah, Eren, scusalo! Mi spiace! –
Rise, quando Jean e Marco li raggiunsero, tenendosi ancora per mano.
Jean aveva alzato subito la voce, quando non aveva risposto al saluto. E Marco, quel santo ragazzo, aveva subito cercato di farlo calmare. Inutile dire che furono tentativi vani, non appena Eren decise di mettere in atto il piano ideato il giorno prima.
Colpì in piena faccia Jean, che dopo un momento di smarrimento scosse la testa, togliendosi la neve di dosso e sbattendo poi le mani sul giubbotto marroncino, afferrando Marco per il cappotto marrone, sistemandogli il paraorecchie nero meglio in testa, e alzandogli il cappuccio, rinchiudendo così anche la sua sciarpa beige.
Ah… ma che carini. In fondo quello stupido sa essere anche dolce”. Si perse nell’osservare Jean cercare di proteggere dalla presto battaglia di palle di neve Marco, e si ritrovò colpito in pieno da una palla bella grossa.
Si fermarono lì, su quel marciapiedi, a tirarsi palle di neve addosso senza fermarsi, mentre i loro accompagnatori erano ben protetti a lato. E bhe… alla fine Jean lo buttò davvero a terra, prendendolo per i capelli e facendo scontrare la sua faccia con la gelida neve.
In quel momento il ragazzo lentigginoso prese Jean dal retro del giubbotto, alzandolo e iniziando a sgridarlo, mentre Eren si ricomponeva e rideva, sputacchiando neve e togliendosela dalla faccia e dai capelli, così come dai vestiti.
E alla fine si, Armin sgridò pure lui.
 
-Ciao ragazzi! –
All’entrata della scuola ad aspettarli c’erano tutti i loro amici. Sasha e Connie, che si tenevano per mano mentre la ragazza smangiucchiava un pezzo di cioccolato, con rispettivamente un giubbotto sul rosato e uno sul giallo. I guanti erano uguali.
Reiner, Berthold, ad Annie erano poco dietro a loro, che con quell’aria leggermente distaccata osservavano il gruppo appena arrivato.
Reiner era proprio fissato con l’azzurro spento, simile a quello di Armin, ma al tempo stesso diverso. Era grande, grosso e sembrava quasi bruciare, quindi non aveva bisogno di tanta copertura. Berth era quasi nella stessa situazione, con l’unica differenza che indossava una giacchetta in jeans e basta, dovuta al fatto che a quanto pareva provava solo caldo.
Annie invece aveva una giacca uguale a quella di Mikasa, forse leggermente più corta, e le mani erano dentro le tasche. Nessuno dei tre aveva guanti, sciarpe o cappelli.
A lato c’erano quelle due piccioncine di Ymir e Historia, che dopo aver salutato i nuovi arrivati tornarono a guardarsi e farsi gli occhi dolci, mentre Ymir stringeva a sé la bionda.
Lei aveva un cappotto lungo fino alle ginocchia color panna, e una sciarpa con un cappello uguale in lana bianca la coprivano meglio. Era tutta chiara, dalla testa ai piedi. Al contrario della mora, alta almeno venticinque centimetri in più dell’altra. Lei portava un giubbotto rosso, era sprovvista di guanti e cappello e portava solo una sciarpa marrone attorno al collo.
Ah, che gruppo di amici particolari che avevano.
Eren decise che era quello il momento di guardarsi intorno, cercando con lo sguardo Levi. Lo trovò poco più in là intento a parlare con Isabel e Farlan, ed una Hanji fin troppo eccitata poco più in là, che urlava cose senza senso ad un Mike che pareva non interessarsene davvero. Vicino al primo gruppo di anziani, c’erano i ragazzi “di mezzo”, erano chiamati così. Eren sorrise, vedendoli. Petra, Oruo, Erd e Gunther.
In quel posto non appartenevano a nessuna squadra speciale, non avrebbero dovuto dare la vita per nessuno, e non avrebbero di sicuro tentato di ucciderlo.
-Levi! –
Eren gli corse incontro, mentre Levi, avvolto nel suo giubbotto blu, con una sciarpa al collo nera e dei paraorecchie dello stesso colore, un paio di guanti grigio spento e dei pantaloni più simili a quelli da neve con sopra degli scarponi neri e pesanti, si girava verso la fonte di tutto quel trambusto.
Il castano gli saltò addosso dopo poco, abbracciandolo e portandoselo al petto per stringerlo con tutta la forza che aveva. Il poverino stava diventando viola in volto.
-M-moccioso! Staccati, non respiro-
Il più alto si staccò subito, mentre Levi prendeva delle grosse boccate d’aria tossendo.
-Stupido eri, e stupido rimani. Almeno non puoi più diventare alto quindici metri- Lo riprese il moro, dopo essersi ricomposto.
A volte trovava insopportabile il modo infantile di fare del più alto, ma solo a volte. Peccato che questa era una di quelle.
-Eheh, scusami Levi. È solo che è da così tanto che non ti vedo! –
-Ma se mi hai visto ieri, deficiente. Piuttosto, chi ti ha dato il permesso di abbracciarmi? –
-Ma il fatto che stiamo insieme ovviamente! Dai Levi, non fare lo scontroso, sono caldo, alto e posso avvolgerti per bene. Una coperta, in pratica! –
In tutta risposta il più basso gli mollò una gomitata in pancia, che fece piegare leggermente Eren. Mai, mai nominare l’altezza di Levi. Mai.
-Dai, non offenderti- inutili tentativi di rientrare nelle sue grazie -andiamo? Che ne dici? – forse quello poteva funzionare.
Il moro guardò il più alto di sottecchi, puntando poi i suoi occhi metallici in quelli del castano, assottigliando lo sguardo.
-Hmn-
Eren sorrise, notando la postura del moro farsi di nuovo più rilassata e lo sguardo addolcirsi. Era quello che facevano ogni mattina, e sperava che gli avrebbe fatto passare anche il momento di rabbia. Così fu.
Eren decise di abbracciare di nuovo Levi, senza stringerlo, per poi afferrargli la mano e iniziare a correre verso il cancello della scuola.
-Scusate, ve lo rubo! A dopo! –
Levi lo seguiva senza fiatare. Era il loro rituale, non avrebbe mai potuto dirgli di no. Assolutamente. Nemmeno se solo pochi minuti prima quello si era permesso di mettere in ballo la sua altezza, e neanche se ora gli stava quasi per staccare il braccio da quanto correva veloce. Avrebbe dovuto insegnarli le buone maniere in modo più crudo, in un futuro prossimo. Ma per il momento, non gli interessava per nulla. Voleva solo che il calore di quella mano, di quel corpo, di quegli occhi e quel sorriso non lo lasciassero. Mai più.
 
Entrare nell’ambiente caldo e confortevole di quella piccola caffetteria, di cui per fortuna era munita la scuola, era una vera goduria. Eren si fermò, senza però lasciare la mano di Levi, che stava zitto dietro di lui e lo seguiva senza fiatare.
Eren si avvicinò al bancone, guardando poi Mina, che la mattina aveva il turno al bancone.
-Ciao Eren! Come va? Buongiorno senpai Ackerman-
Mina sorrise ai due nuovi arrivati, girandosi verso di loro e appoggiando i gomiti sul bancone.
-Benissimo! Tu? Dopo ci raggiungi, vero? – rispose prontamente il moro.
Levi fece solo un cenno con la testa, nascondendo ancora di più il viso nella sciarpa.
Era più grande, si, ma lo metteva a disagio quando gli studenti più piccoli lo chiamavano “senpai”.
-Bene. Si si, Rico arriverà dopo per prendere il mio posto per il resto della giornata. Il solito? –
-Certo! –
Eren si girò, salutando di nuovo Mina con la mano libera e portando Levi ad un tavolo leggermente più lontano dagli altri, vicino alla finestra che dava sul cortile della scuola.
Il cortile era munito di una sottospecie di boschetto, pieno di alberi con al centro una fontana. In quel momento non c’era nessuno, probabilmente per via del freddo e della neve che albergavano in quel luogo. Non che da altre parti fosse meno freddo, ma le battaglie a palle di neve si giocavano nel cortile principale, uno spiazzo immenso e libero.
Quel luogo solitamente si riempiva nelle stagioni calde. Eppure, Eren e Levi lo adoravano in ogni momento dell’anno. Freddo o caldo.
Piano si tolsero il vestiario pesante, appoggiando cappotti, sciarpa, guanti e quant’altro su di un attaccapanni giusto vicino a loro.
Si sedettero lentamente e in silenzio entrambi, senza voler spezzare la quiete.
Eren osservava il più grande sedersi con movimenti fluidi e veloci, mentre lo imitava anche lui con fare più impacciato a causa della sua distrazione, rischiando anche di cadere quando per poco non mancò la sedia.
Levi alzò lo sguardo, inarcando un sopracciglio quando il castano fece questo. Che gli prendeva, al suo ragazzo?
-Eren… tutto okay? –
Quello in tutta risposta sembrò uscire da una trance che nemmeno lui capiva, guardando il più grande con sguardo perso.
-Eh? Ah… ah, sì. Tranquillo Levi, non è nulla. Stavo solo, pensando, direi-
-A cosa? Sembravi davvero distratto-
Il più piccolo rise leggermente, appoggiando i gomiti sul tavolo e allungando una mano verso il volto dell’altro. Gli accarezzo la testa, spostandogli dei capelli corvini che gli erano finiti davanti agli occhi.
-Davvero, Levi, nulla di importante, e comunque lo scoprirai a breve-
Il moro in tutta risposta, a quel gesto e quel sorriso, a quegli occhi che si erano così addolciti e sciolti, arrossì. Girò il viso dall’altra parte, scostando la mano di Eren, ma intrecciando poi subito le dita con le proprie. Anche l’altro era rosso, soprattutto per la dolcezza che Levi stava mettendo in tutto questo.
Entrambi sapevano essere davvero spaventosi, se volevano. Uno un mostro, l’altro un demone. Non erano socievoli, preferivano parlare poco e non a sproposito, stavano in compagnia quasi ed esclusivamente con i loro amici, ed erano abbastanza calmi.
Levi molto più del castano, dato che quest’ultimo si arrabbiava davvero facilmente, ma se si trattava di qualcuno che non conoscevano o di cui ignorava l’esistenza lasciava perdere, troppo annoiato per tale cosa.
Ma con i sentimenti non ci sapevano fare, non lo avevano mai saputo fare e mai ne sarebbero stati capaci. Dimostravano le loro emozioni attraverso occhiate truci o calme, attraverso gesti violenti, arrabbiati, o calmi e gentili.
Spesso le persone fraintendevano il loro atteggiamento, non comprendevano il loro essere e gli evitavano, iniziavano a temerli, in un certo modo.
Però non aveva molta importanza, quando potevano stare insieme. Insieme si capivano, bastava una sola occhiata per far capire all’altro tutto quello che gli frullava nella testa, un tocco per trasmettere le proprie emozioni. Gesti all’apparenza futili, ma che per loro valevano davvero tutto.
 
 
-Eren, dove mi stai portando? –
Il ragazzo sorrise, senza dire nulla all’altro.
 -Oi, Eren- l’altro continuava a giocare il gioco del silenzio, mentre il più grande lo guardava con la coda dell’occhio.
Erano usciti da scuola ormai da una decina di minuti, dopo una giornata passata con gli amici e in mezzo alla neve, senza mai staccarsi l’uno dall’altro.
Avevano riso, scherzato, giocato… okay, forse Levi non aveva fatto nulla, di tutto quello, ma l’importante per loro due era starsi accanto. Ed ora quell’idiota lo ignorava bellamente.
-Eren- niente. -Eren… Eren, Eren, Eren, Eren, Eren, Eren! –
-Che c’è? –
Eren si girò verso di lui con tutta la calma del mondo, guardandolo sorridendo.
-Cosa cavolo stiamo facendo? Dove mi porti? È da dieci minuti buoni che ti seguo senza sapere dove tu mi voglia portare… non stai cercando di rapirmi o stuprarmi, vero? –
L’altro spalancò gli occhi, arrossendo fino alla punta dei capelli.
-M-ma cosa dici Levi?! Di rapirti non ho sicuramente bisogno, e stuprarti?! Ma se non ci siamo mai nemmeno toccati, nemmeno so da dove partire, e una cosa simile non sfiorerebbe mai la mia mente! E-ecco, semplicemente, vedi, devi sapere che volevo… si, volevo portarti da una parte-
Eren parò per un po’ a vanvera, spiegandosi dopo balbettando leggermente. Il poverino era ancora imbarazzato.
-Una parte? –
-Si! È a cinque minuti da qui, davvero! Nessun rapimento e niente stupri, promesso! –
Levi inarcò un sopracciglio, divertito dalla reazione di Eren alla sua piccola presa in giro di prima. Si, voleva spiegazioni e davvero non capiva dove lo stesse conducendo, ma mai avrebbe pensato che il più alto avrebbe fatto qualcosa per ferirlo, o comunque qualcosa di così schifoso come le due azioni sopraelencate.
-Okay, allora muoviti a portarmici. A stare fermo mi sto congelando-
-Si, caporale! –
Eren fece il saluto militare, ricevendo una leggera pacca sulla nuca. Portò le mani al punto colpito, e si girò verso il moro, che lo guardava piuttosto rabbuiato.
-Che c’è? –
-Non sono più “il caporale Levi”, Eren. Siamo due ragazzi normalissimi, okay? Quindi non chiamarmi così, ti prego- ripensare a quel tempo un po’ lo faceva star male. Un po’ gli mancava, ma la felicità di non essere più costretto a combattere e di poter stare con la persona che amava era maggiore, e quindi riportare alla memoria tale periodo non gli sembrava il caso.
Eren sorrise, togliendo le mani dalla nuca e portandoli lungo i fianchi.
-Scusami, Levi. Abitudine-
Levi ridacchio leggermente, facendo illuminare le verdi iridi di Eren, che si tinsero leggermente di sfumature azzurrine e dorate.
-Okay! Andiamo! –
Il castano pompò un pugno in aria, iniziando ad incamminarsi verso la meta. Chissà dove l’avrebbe portato.
 
-Eccoci qui! –
Levi piegò leggermente la testa di lato, confuso. Spostò lo sguardo su Eren, per poi guardarlo in modo truce.
-Cosa ci facciamo qui? –
-Dai, Levi, non fare il musone! Non ti chiedo mica di ricostruirmi il movimento tridimensionale e saltare di tetto in tetto. Sarebbe solo una pattinata-
Levi socchiuse gli occhi, guardando male la pista di ghiaccio e le poche persone che a quell’ora la popolavano. No, non gli andava bene. Guardò di nuovo male Eren, scuotendo la testa.
-Sarebbe davvero più facile fare quello, che questo-
-Cosa?! Ma Levi, ti chiedo di pattinare con me, davvero, non è che se mettiamo piede su quella pista passiamo a miglior vita improvvisamente-
Levi sbuffò, scuotendo la testa e rilassandosi leggermente.
-Ci tieni davvero molto? –
-Si! E non comprendo il motivo del tuo rifiuto-
Levi gli colpì il braccio con una manata senza troppa violenza, che però fece lo stesso lamentare Eren.
Sperava che almeno con quel gesto capisse.
-Ahi! Perché l’hai fatto? –
No, a quanto pare era troppo accecato dal pattinare per capire cosa volesse fargli comprendere.
-Non capisco perché ti piaccia tanto-
-Ti fa sentire libero! Sentire l’aria fredda che ti penetra la pelle, scivolare e farsi trasportare come cullati, volare, è bello-
-Mhn. Okay. Trovo solo che sia uno spreco di tempo, di forze e un metodo veloce per ammalarsi o farsi male-
Eren lo guardò stralunato, mentre gli occhi diventavano leggermente più chiari ma vitrei. Era come se avesse appena realizzato una cosa davvero importante.
Si portò un dito sulla guancia e iniziò leggermente a grattarla, come a pensare.
-Ah… Levi, tu hai mai pattinato? –
-Cosa? Mh-
-Tu… non lo hai mai fatto- non era una domanda, quella.
-Non hai mai pattinato! E-e la tua infanzia? Il cadere e rialzarsi? Il congelarsi il culo quando si posa sul ghiaccio e l’avere male ai piedi, ma il cuore pieno? –
L’altro non rispose, accelerando il passo e cacciando le mani in tasca, affondando il viso nella sciarpa.
-L-Levi, aspetta, tu devi pattinare! Devi provare! –
-Quello che devo e non devo fare lo decido da me, moccioso, e poi come vuoi che impari? Non cadrò davanti a tutti, e guai a qualcuno se mi si avvicina. Non mi fido delle persone, Eren-
-Dai! Ci sono io! Di me si! Posso insegnarti io, lo giuro, non ti lascerò cadere, nemmeno una volta-
Levi non gli badò, iniziando a camminare in maniera simile a quando ci si prepara a correre.
No, non avrebbe ceduto. Su quegli arnesi infernali non ci avrebbe messo piede.
 
Eren alla fine lo aveva fermato, prendendolo per un braccio e strattonandolo con forse un po’ troppa forza verso di lui, visto che Levi era andato letteralmente a sbattere contro il petto del più alto, mentre veniva preso per le spalle e scosso leggermente.
-Levi, te lo chiedo solo questa volta. Solo oggi. Ti prego-
-Perché ci tieni così tanto? –
-Anni fa, in questo giorno, in questa pista, ho pattinato per la prima volta. Ti prego, permettimi di insegnarti! –
Levi arrossì leggermente, di nuovo, senza però staccare gli occhi da quelli del compagno.
Erano lucenti, sembravano trasmettere emozioni che a parole mai sarebbero potute essere espresse, ma che Levi capiva tutte. A quanto pare il suo ragazzo amava davvero pattinare.
Si arrese al suo destino, mettendo le mani su quelle del ragazzo, ancora appoggiate sulle sue spalle.
-Solo questa volta, okay? –
-Si! Dai, il turno nuovo è appena iniziato! Muoviti! –
Eren lo tirò improvvisamente verso la pista, correndo a perdifiato.
Levi dovette aggrapparsi al braccio del più alto per non cadere, dato che più volte i suoi piedi si erano aggrovigliati tra loro.
Eren si fermò di fronte ad una specie di casupola in legno montata vicino alla pista solo per ospitare i gestori e i pattini. Mise dei soldi sul bancone dietro il quale stava una donna, e sorrise.
-Due paia di pattini per favore! –
La donna dietro al mezzo vetro lo guardò, indicando la sua mano.
-Ah già, i documenti. Ecco. Un quaranta e un trentasette…Levi, hai quel numero vero? –
-Si-
-Bene- la donna si mosse all’interno della casetta, cercando i pattini, e consegnando poi ad Eren due paia neri con i blocchi rossi.
-Grazie-
Eren diede i pattini più piccoli in mano al moro, portandolo su delle panchine.
-Togliti le scarpe e infilati i pattini, dovrebbero essere stretti al punto giusto. Se li senti larghi gli andiamo a far cambiare-
Levi annuì, togliendosi le scarpe e mettendole accuratamente una accanto all’altra sotto la panca. A casa avrebbe dovuto pulirle.
Spostò gli occhi verso i pattini, prendendoli e storcendo il naso.
L’altro, nel mentre, si era già messo entrambi i pattini e osservava Levi guardare male i suoi.
-Che c’è? –
-Eren… non è poco igienico? –
Eren rise, cosa che non fece troppo piacere a Levi.
-Sono serio-
-Dai Levi, sono dei pattini-
-Sono lerci! –
-Solo questa volta, ricordi? –
Levi sbuffò, chiudendo poi gli occhi e infilando i piedi dentro quei contenitori di germi. Quanto odiava quella situazione.
-Eren…-
-Si? Cosa succede? –
Il castano guardò più attentamente Levi, spalancando gli occhi di fronte alla scena che gli si presentò davanti.
Levi aveva le piccole dita guantate strette attorno ai ganci, che li tiravano e cercavano di farli in un qualche modo incastrare. Stava cercando di capire come allacciare i pattini, senza molto successo.
Puntò gli occhi metallici in quelli di Eren, assumendo un’espressione quasi rassegnata.
-Come si mettono? –
-O-oddio, non sai nemmeno questo? Davvero? – non era per nulla un tono derisorio, più, comprensivo, quasi.
Levi scosse la testa, un po’ imbronciato. Che si aspettava, che sapesse farlo dopo che l’aveva lui obbligato ad essere lì e dopo avergli pure detto che non aveva mai pattinato?
-No, Eren- rispose secco Levi.
-Ecco, fai così-
Si abbassò, l’altro, prendendo le mani di Levi e spostandogliele leggermente, Afferrò poi quei ganci, allacciandoli tra loro e chiudendo così i pattini. Stringevano leggermente, ma da quello che aveva capito era normale.
Eren sorrise e si alzò in piedi, soddisfatto a quel punto del suo operato.
-Bene, andiamo! –
Levi si alzò a sua volta, rischiando di cadere per un attimo non abituato a camminare su due lastre di metallo.
-Attento! –
Eren lo prese per un braccio, facendogli riacquistare equilibrio.
Lo lasciò poi andare, mentre Levi prendeva confidenza con quei cosi.
Dio, come li odiava.
Eren salì tre gradini in legno che davano sulla pista, per poi tendere una mano a Levi, aiutandolo così a salire.
Appena poggiò entrambi i pattini sul ghiaccio si aggrappò ad Eren, dopo aver rischiato di ritrovarsi col sedere a terra.
-Tutto okay? –
-S-si. Intanto vedi di insegnarmi come tenere i piedi, non capisco in che direzione devono stare-
-Piega leggermente, di poco le ginocchia e porta pochissimo il busto in avanti. I piedi tienili leggermente puntati verso l’interno. Poi mentre ti muovi mandali verso l’esterno, tenendoti dritto. Facile, no? Reggiti a me, se non sei sicuro-
Levi in realtà continuava a non capirci nulla, ma annuì lo stesso e strinse di più la mano di Eren. Di lui si fidava, era sicuro che non lo avrebbe lasciato cadere.
Continuava a non capirci nulla, e per il momento sembrava che solo Eren potesse condurre i due. Giro. Giro. Giro. Non facevano che girare in tondo, tutto vicino alla staccionata che delimitava il confine della pista, solo per Levi, che stringeva in modo quasi doloroso la mano dell’altro.
-Vuoi fermarti? –
-Hm-
Si riposarono un po’, continuando però a mantenere il religioso silenzio in cui erano stati fino a quel momento.
Chissà perché, ma Levi era troppo imbarazzato per dire una qualsiasi parola, e sembrava che lo stesso valesse per Eren.
Il più grande porse di nuovo la mano ad Eren, in una tacita richiesta di aiuto per spostarsi da lì. Eren sorrise, prendendolo per mano e ricominciando a fare le stesse movenze di prima.
Si, non stava imparando quasi nulla. Provò a muovere un po’ i piedi, rischiando però di finire a terra di faccia, aggrappandosi quindi ai bicipiti del proprio ragazzo.
-Oi oi, non ti sei fatto nulla vero? –
-No-
Piano si scollò, riprendendo come prima, accennando qualche spostamento solo poche volte.
Eren si fermò di colpo, facendo inchiodare anche Levi e afferrandolo per le braccia, portandolo piano verso di lui.
-Proviamo così. C’è poca gente, non dovremmo avere spiacevoli scontri-
Iniziò lentamente a muoversi all’indietro, mentre Levi si lasciava trasportare. Le mani di Eren erano calde, grandi e trasmettevano un senso di protezione che il moro ricercava ormai da tempo.
Senza nemmeno accorgersene si avvicinò di più, mentre le braccia si piegavano leggermente e le dita si intrecciavano ancora di più. Quel calore si stava diffondendo in tutto il suo corpo, ora che osservava Eren più da vicino, negli occhi, smeraldo nel metallo, grigio nel verde. Levi ed Eren. Eren e Levi.
Senza nemmeno accorgersene si trovarono fermi in mezzo alla pista, senza che nessuno dei due accennasse al più minimo movimento. In una maniera così lenta da risultare quasi straziante si avvicinarono di più, mentre Eren portava le mani dietro alla schiena del compagno e Levi prendeva tra le mani il volto del più alto.
In mezzo a quella pista ebbero uno dei loro baci più belli, senza pretese, senza malizia, solo un bacio pieno di parole che i due non riuscivano a dirsi, pieno di gioia, pieno di amore.
Quel bacio, quel giorno, riuscì a riscaldare entrambi.
E Levi, mentre poco dopo tornavano a casa mano nella mano, pensò che, seppur non avendo imparato davvero nulla su come pattinare, ne era valsa la pena. E lo avrebbe rifatto, se voleva dire avere il cuore pieno di gioia e calore.
 
 
 
 
La mattina dopo fu davvero tra le più travagliate della stagione.
Eren arrivò a scuola come al solito, la neve che piano si stava sciogliendo ai lati della strada, voce squillante e sguardo sfuggente, mentre cercava Levi.
Appena lo vide gli corse intro, pronto ad abbracciarlo, ma prima che potesse farcela quello si scansò, causando la quasi caduta del castano.
-Levi? –
-Non avvicinarti a me, mostro-
Eren spalancò gli occhi. Non ci stava capendo nulla.
-Ma Levi, perché? –
-Non toccarmi, non avvicinarti, non parlarmi e non guardarmi, moccioso di merda-
-Che ti ho fatto? –
-Mi hai fatto che per colpa tua e di quegli aggeggi infernali ho la schiena e i piedi a pezzi, deficiente! Fanculo, non ci metto più piede dentro uno di quei cosi, e di sicuro non con te! Addio! –
Il moro schizzò via, mentre Eren lo osservava entrare dai cancelli della scuola a passo spedito verso l’entrata principale, massaggiandosi un poco la zona lombare. Cavolo… si era dimenticato di quel particolare.
Però non poteva trattarlo così solo per degli stupidi dolori, cavolo! E poi il loro rituale?
-Levi, aspetta! La caffetteria è dall’altra parte! Levi. Levi! –
Gli corse dietro, mentre l’altro aumentava il passo per potergli scappare.
I loro amici gli osservavano divertiti, ridendo o limitandosi a dei sorrisi, mentre guardavano la coppia che “litigava” proprio come degli sposini. Ah… vedere quelle scene poteva davvero riscaldare l’ambiente, soprattutto durante le fredde mattinate d’inverno come quelle. L’amore era davvero caldo.
 
 
 
Angolo Autrice:
Okay… i personaggi sono leggermente OOC, no? Bene, non uccidetemi se pensate che Levi sembri troppo dolcioso! Cioè… Isayama l’ha detto chiaro e tondo che sia Eren che Levi in una relazione sarebbero super impacciati e imbarazzati!
Quindi nulla, spero vi sia piaciuta la mia piccola (*cofcof*lunga*cofcof*) OS.
È una storia scritta senza pretese e partorita dalla mia mente dopo la mia prima esperienza sul ghiaccio con la mia ragazza. Si, la scena della pista è per metà vera (togliete bacio e qualche frase e siamo lì).
Una fluff che in realtà non era dedicata per nulla al 14 febbraio, ma che per colpa degli impegni e della mia testa troppo impegnata con lo studio non ho avuto il tempo di finire.
Doveva essere molto più corta, tutta la parte descrittiva di Eren e i suoi pensieri non doveva esserci, non doveva essere un AUreincarnation così evidente, non doveva nemmeno esserla, in realtà, dovevano solo pattinare, ma dopo la prima riga Eren mi ha come chiesto di esprimere i suoi sentimenti, far vedere azioni che si possono compiere ogni giorno, l’incanto di una nevicata e l’amore che si può provare verso una persona. Ed eccomi qui con questo papiro.
 
Spero che tutte e tutti gli ereri shipper(s?) che hanno letto la storia l’abbiano apprezzata e non l’abbiano trovata in qualche modo offensiva verso la coppia, dato che non era mia intenzione essendo la mia OTP, ma scrivendo per la prima volta qualcosa su questi due stupendi ragazzi, su AOT o comunque a tema yaoi non so davvero come possa essere venuta.
Spero di non aver reso Eren effemminato, dato che è proprio tutto tranne quello, Levi troppo mieloso, cosa che non è affatto, e di avervi, se non fatto battere il cuore, almeno sorridere.
 
Per errori di battitura scusatemi. Si accettano critiche costruttive di ogni genere.

I numeri delle scarpe sono quelli? Bho. Ne ignoro totalmente la veridicità, dato che non ho trovato nulla a riguardo e ho tirato ad indovinare. Levi è pur sempre piccolo, ed è più alto di me, quindi mi sono un po’ basata sul mio numero e su come cambia da persona a persona. Per Eren uguale, pensando però al fatto che ha una certa altezza ed età.
Gli altri personaggi non sono ben presi in considerazione, lo so, e sinceramente credo ci siano molte lacune… ma il senso generale c’è, no? L’amore semplice e pure tra due persone.
 
Titolo leggermente a caso, e bho. Niente.
 
Con questo mi dileguo e vado a mangiare cioccolato, perché pur odiando San Valentino è una buona scusa per ingozzarsi di dolci.
 
Un bacione.
Blue.

P.S: l'immagine sopra non so chi l'abbia fatta, ma tutti i crediti vanno all'artista.

 

   
 
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