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Autore: TheSlavicShadow    15/02/2018    2 recensioni
Sei mesi dopo essere deiventata Iron Woman, qualcosa inizia a non andare come dovrebbe.
{Earth-3490; sequel di Wherever You Will Go}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Giugno 2006

 

Si era lasciata cadere di peso sul divano del salotto. Era stata una giornata stressante, sotto il suo punto di vista. Avere lo S.H.I.E.L.D. a casa non le piaceva, eppure Coulson e Romanoff erano rimasti con lei anche quando Fury se ne era andato. Il direttore dello S.H.I.E.L.D. se ne era andato dopo averle intimato di studiare bene il contenuto della cassa di metallo.

Aveva guardato male Fury, i due agenti grossi quanto due armadi, Coulson e anche la Romanoff. Voleva passare la giornata a fare assolutamente nulla, non a rovistare in una vecchia cassa di metallo che era appartenuta a sua padre. Si vedeva chiaramente la scritta H. Stark anche da lontano e non voleva avvicinarsi a quella cosa. Aveva già passato troppo tempo a parlare di Howard con Fury. E non le piaceva. Parlare di Howard per lei era come aprire una scatola di biscotti danesi e scoprire che dentro era piena di vermi. Non aveva mai avuto un buon rapporto con il padre. Non erano mai stati capaci di comunicare senza litigare, alzare la voce, e un paio di volte anche le mani. Non era stata una bambina facile e da adolescente era stata solo peggio. Questo lo sapeva bene. Non ci voleva un genio per capire che molte delle cose che aveva fatto erano state solo per contrastare quell’uomo autoritario che era suo padre. Farsi espellere dal collegio era stato il suo modo di fargli capire che quel posto non era adatto a lei. Si annoiava. Le lezioni erano troppo facili e lei non le seguiva, questo la portava ad avere problemi con la maggior parte degli insegnanti. E anche con le sue compagne di classe non era meglio. Loro parlavano di cose che per lei erano superficiali. Non che non la interessassero, ma non erano il centro dei suoi pensieri. Anche a lei piacevano attori e cantanti, ma non era di quello che voleva parlare tutto il giorno. Lei voleva di più. Voleva poter studiare qualcosa che la interessava davvero. Voleva avere qualcuno al suo livello. E parlare di scienza fino alla nausea.

Quella era stata la prima volta in cui Howard aveva alzato le mani su di lei. Uno schiaffo. Non era tanto. Non era neppure troppo doloroso da sopportare. E aveva avuto attenzione da parte di suo padre. Un uomo che spesso era sembrato insofferente alla sua presenza. Spesso le era sembrato che la vedesse solo come un intralcio, qualcosa che non poteva controllare e che poteva minare tutto quello per cui lui aveva lavorato. Aveva sentito Obadiah Stane che diceva ad Howard che doveva darle una chance. Che quella ragazzina potevano usarla perché aveva potenziale. Era così che aveva iniziato a correggere i progetti che uscivano dal reparto di Ricerca e Sviluppo. E aveva in qualche modo recuperato almeno in parte il rapporto con suo padre.

Incrinandolo totalmente quando aveva iniziato ad andare alle feste all’università. Ogni sabato una confraternita organizzava una festa. E lei raramente se le lasciava sfuggire. Ma non così raramente evitava di finire su qualche rivista di gossip. Quello aveva rovinato totalmente il rapporto già molto precario che avevano. Avevano solo iniziato a litigare di più e a vedersi sempre di meno. E le poche volte in cui si vedevano era solo per lavoro.

Si era stupita quando Howard l’aveva portata allo S.H.I.E.L.D. per vedere un addormentato Steve Rogers. Aveva dovuto capire che quella era forse una sorta di resa, un’offerta di pace che suo padre le aveva fatto. Ma non aveva capito. Forse non voleva capire. Forse era una cosa tipica di ogni adolescente vedere nei propri genitori sempre un nemico. Perché Fury le aveva detto che Howard vedeva grandi cose per il suo futuro. Peggy le diceva sempre, ancora oggi, quanto Howard parlasse sempre del lavoro che lei faceva. Jarvis era il primo a litigare con Howard quando si trattava di difenderla, ma lui stesso le diceva che suo padre le voleva molto bene. Anche Steve lo aveva fatto. Più volte.

Per non parlare di sua madre. Anche l’ultima volta che l’aveva vista in vita le aveva detto quanto mancasse ad Howard. Ma lei non ci aveva creduto. Non riusciva a crederci. Anche quella volta avevano litigato e si erano insultati a vicenda. Lo facevano sempre. In continuazione e senza sosta. Era come se tutti i ricordi belli dell’infanzia erano scomparsi e ora ricordava solo le cose brutte.

Non ricordava più le giornate passate in officina con Howard, sotto ad una macchina a riparare dei reperti quasi storici. Non ricordava i pomeriggi sul divano a guardare schemi di circuiti mentre lui le spiegava a cosa serviva cosa. Non ricordava più tutti momenti belli. Ricordava solo le urla di suo padre. Spesso dovute anche al troppo alcool. Non ricordava più i complimenti, solo le critiche. Nel corso degli anni aveva ricordato solo le cose brutte. Solo i motivi che li avevano fatti allontanare.

Non poteva credere che Howard avesse davvero detto a Fury che solo lei poteva completare il reattore arc. Era qualcosa di fantascientifico.

Aveva trovato il coraggio di aprire la cassa solo quando tutti se n’erano andati. Coulson le aveva detto che la controllavano. Che non poteva uscire di casa e che se avesse avuto bisogno di qualcosa poteva contattarlo. In quel momento aveva bisogno di Steve, ma aveva evitato di dirlo a voce alta. Non voleva assolutamente sembrare una sciocca ragazzina. Ma aveva bisogno di Steve. Non aveva idea di cosa potesse esserci in quella cassa.

L’aveva trascinata vicino al divano e l’aveva osservata per diversi minuti. Si era poi alzata, aveva preparato del caffè ed era tornata sul divano. Ancora non aveva il coraggio di aprirla perché apparteneva a suo padre. Lei non guardava mai le cose di suo padre. Neppure dopo il funerale aveva guardato tra le sue cose. Aveva vietato a chiunque di entrare nello studio di Howard e lo aveva chiuso a chiave. Quando Howard e Maria erano morti non le era sembrato vero. Aveva passato diversi giorni come in trance. Diverso tempo lo aveva passato anche nello studio di Howard, chiudendo a chiave in modo che nessun altro potesse entrare. Sedeva alla sua scrivania, ma senza toccare nulla. C’erano delle carte sulla scrivania. C’era ancora un sigaro nel posacenere. Un bicchiere di cristallo da cui Howard beveva di solito. Da bambina aveva passato pomeriggi interi seduta sul tappeto dello studio a leggere e disegnare. Howard lavorava, parlava al telefono, o con Obie. E lei se ne restava lì, solitamente in silenzio, a guardare quell’uomo che allora vedeva come un eroe.

“Fantastico. J, abbiamo un proiettore da qualche parte?” La prima cosa che aveva visto una volta aperto la cassa era un rotolo di pellicola. Una di quelle cose che erano così superate che non credeva ne avrebbe mai più dovuto usare una.

“Nel ripostiglio in officina. Se Dum-E non l’ha toccato dovrebbe essere ancora funzionante.”

“Un giorno smonto quel robot.” Aveva guardato il resto. Quaderni. Fogli. Qualcosa che sembrava il prototipo di un atomo. Cose che non aveva mai visto, o che non ricordava di aver mai visto. Si era alzata per andare in cerca del proiettore. Se Fury le aveva mandato un filmato, sicuramente era qualcosa che doveva vedere. Non sapeva come questo avrebbe potuto aiutarla, perché dubitava che Howard avesse fatto un video per spiegarle come migliorare il reattore. Sempre se davvero avesse voluto che fosse lei a migliorarlo.

Aveva trovato il proiettore nel ripostiglio come J.A.R.V.I.S. le aveva detto, assieme al telo per le proiezioni. Aveva fatto due viaggi per portare tutto al piano di sopra, disponendo con cura telo e proiettore in soggiorno. Non sapeva esattamente neanche perché si era portata quel coso da New York. Non lo aveva mai usato da quando si era trasferita a Malibu. Aveva montato la pellicola sul proiettore, sedendosi poi nuovamente sul divano. Aveva sorseggiato il caffè mentre prendeva in mano un quaderno. Aveva subito riconosciuto la scrittura di suo padre. Era precisa, calcolata, l’esatto contrario della sua quando doveva annottare qualcosa. Quella scrittura era anche sul suo primo progetto. Il suo primo circuito che Howard l’aveva aiutata a costruire.

Ancora custodiva quel progetto, anche se non lo aveva mai fatto vedere a nessuno.

Leggeva le formule e guardava i disegni, e riconosceva il progetto del reattore arc in quelle lettere e numeri. Quando era stata una ragazzina aveva studiato a fondo il progetto del reattore. La incuriosiva ed era un progetto troppo interessante. Aveva passato giorni a studiare quei progetti fino a quando non aveva compreso tutto quello che c’era da sapere sul reattore. Questo le aveva permesso di miniaturizzarlo mentre era in Afghanistan. Lo conosceva a memoria ed era stato così semplice.

“J, fai partire il video.” Gli appunti di suo padre si fermavano di punto in bianco. Non aveva più annottato nulla su quel quaderno e non sapeva neppure quando lo avesse compilato. Non c’era nessuna data.

La voce di Howard sullo schermo l’aveva distratta. Ricordava quel video. Era la pubblicità per la promozione della Stark Expo del 1984. E quelle erano solo le prove, le scene sbagliate, tutto quello che non era stato inserito nel promo andato poi in onda. Guardava suo padre mentre sbagliava le parole, mentre sbagliava qualche entrata, ed era strano. Howard ai suoi occhi era sempre sembrato perfetto. L’uomo che non sbagliava mai un parola o una mossa mentre era in pubblico. E avevano girato quel video a casa loro. Quello era lo studio di Howard. Ricordava quando la troupe televisiva era entrata in casa quella mattina. Era così curiosa che voleva soltanto vedere cosa facevano. Era anche riuscita a sfuggire alla tata per intrufolarsi nello studio.

Tasha!” Aveva guardato lo schermo e vedeva una bambina con due codini che si aggirava attorno al modellino della Stark Expo. Adorava la città del futuro che avevano creato. L’aveva sempre adorata. “Natasha Stark, ti avevo detto di rimanere con la tata.” Howard si era avvicinato alla lei di 4 anni che aveva messo le mani sul modellino. E piccola stronzetta che non era altro, gli aveva solo sorriso. Un sorriso enorme. Un sorriso che non credeva di aver mai rivolto a quell’uomo. E Howard l’aveva soltanto presa in braccio. Le aveva detto qualcosa, ma l’aveva detta così piano che non si sentiva nella registrazione. Ma doveva essere stato qualcosa di bello visto il modo in cui lei aveva sorriso e lo aveva abbracciato.

Non se lo ricordava. Quella cosa l’aveva sepolta sotto tutto l’odio che aveva poi provato verso quell’uomo. Non si ricordava del modo in cui l’aveva stretta e l’aveva portata fuori. Ma non era arrabbiato. Forse infastidito dall’essere stato interrotto, ma non era arrabbiato. Non aveva alzato la voce, non aveva detto nulla. L’aveva solo presa in braccio, fatta sorridere e l’aveva riportata probabilmente dalla tata. O quasi sicuramente da Ana. Dava sempre più retta ad Ana che alle varie tate.

Aveva abbassato lo sguardo sul quaderno che teneva in mano. Guardava la scrittura di suo padre e si chiedeva dove avessero sbagliato entrambi. Non erano sempre stati in guerra. Una volta c’era stato un periodo in cui lei lo guardava con ammirazione e lui la teneva stretta a sé. Le parlava piano e le sorrideva. E lui con molta probabilità era tutto il centro del suo mondo.

Tasha.” Lo aveva guardato di nuovo. Howard era appoggiato contro il bordo del modellino e guardava dritto nella telecamera. “Non so tra quanto tempo vedrai questo filmato. Forse non lo vedrai mai perché ne parleremo tra di noi quando sarai abbastanza grande. Solo che ora sei troppo piccola per poter capire quello che sto per dirti. L’altro giorno abbiamo iniziato a studiare i circuiti elettrici e sembra che tu abbia capito le mie spiegazioni. Ho cercato di renderle più semplici possibili disegnando man mano che spiegavo. E tu mi capivi. Devi ancora compiere 4 anni e sei davvero sorprendente. Io sono sempre stato considerato un genio, ma tu mi superi di gran lunga. La mia è anche esperienza, il tuo è un talento innato. Un giorno capirai che questa Expo, questa città del futuro, l’ho costruita per te. Questo rappresenta il lavoro intero della mia vita. Questa è la chiave per il futuro.” Aveva guardato Howard indicare con un gesto della mano il modellino. Aveva usato la stessa città del futuro per la sua Expo. “Mi duole ammetterlo, ma io sono limitato dalla tecnologia del mio tempo. Ci sono cose che non potrò mai costruire o inventare o scoprire, ma tu un giorno ci riuscirai. E quando lo farai, cambierai il mondo. Perché la mia più grande creazione sei e sarai sempre tu.

Aveva guardato lo schermo che era ora completamente bianco. Il filmato era finito e lei continuava a guardare al tela bianca ripetendosi mentalmente le ultime parole pronunciate da suo padre. Quello doveva essere uno scherzo. Quello non poteva essere vero in alcun modo. Howard le ripeteva che era una disgrazia, che se avesse saputo che sarebbe diventata così non l’avrebbe mai fatta nascere. Howard le urlava contro e la faceva sentire come se non valesse niente, anche quando eccelleva in qualsiasi cosa si fosse cimentata. La lei adolescente e Howard non facevano altro che litigare e urlarsi contro.

Anche le ultime parole che si erano rivolti. Erano in guerra anche allora. Lei gli aveva detto di andare a farsi fottere. Le ultime parole che aveva rivolto a suo padre erano state quelle.

Si era domandata più volte se non fosse lei la causa del loro incidente. Howard poteva essere ancora arrabbiato. Poteva essere nervoso e questo avrebbe potuto fargli perdere il controllo della macchina. Era successo davvero troppo poco lontano da casa.

C’erano momenti in cui sarebbe voluta tornare indietro nel tempo, mandarlo in ogni caso a quel paese, ma dirgli anche che gli voleva bene. Forse sarebbe bastato davvero poco per rimettere le cose a posto.

“Ehi, va tutto bene?” La voce di Steve dall’altra parte della linea era bassa, come quella di uno che si era appena svegliato. E sì, lo aveva indubbiamente svegliato. Erano le 2 del mattino a New York e forse non aveva dovuto telefonargli. Ma ne aveva bisogno.

“Stavo pensando al fatto che forse Howard non avrebbe potuto parlare con nessuno del tuo ritrovamento. Sei ancora adesso un segreto di Stato, super Top Secret, no? Eppure lui mi ha portata a vederti mentre dormivi.” Aveva chiuso il quaderno e si era messa più comoda sul divano. Forse sarebbe stato ancora meglio salire di sopra e affondare il viso nel cuscino di Steve e cercare di calmarsi così. L’alternativa era affogare sé stessa nella bottiglia di whisky, ma questo non avrebbe reso felice nessuno. Soprattutto avrebbe deluso Steve. “Mi ha portata lì. Quegli energumeni mi hanno perquisita, mi hanno preso il cellulare, mi hanno dato un badge e poi Fury ci ha accompagnati fino alla tua stanza. Tu eri lì. Ed è stato come se Natale, Pasqua e il mio compleanno si fossero allineati e quello era il regalo che l’universo aveva deciso di farmi perché me lo meritavo. Quando in realtà era stato Howard ad organizzare tutto. Perché tu eri il mio eroe, e lui non aveva fatto altro che parlare di te per anni.”

“Tasha, che è successo?” Si era sentito il fruscio delle lenzuola, e un po’ si era sentita in colpa per averlo svegliato. Ma aveva bisogno di sentirlo.

“Fury mi ha dato delle cose di Howard e c’era un video. Lui mi voleva bene, Steve. Mi voleva bene e io non l’ho mai capito perché era Howard, perché mi rompeva le palle anche solo per il semplice fatto che esistevo. Non mi ha mai fatto un complimento. Cristo, quando ho costruito Dum-E mi diceva che era una perdita di tempo passare così tanto tempo su un prototipo da presentare ad un gara di robotica per universitari. Era per dirmi che potevo fare di più? Che quella gara era qualcosa di troppo semplice per me? Non poteva dirlo così?”

“Per prima cosa fai un respiro profondo. Tutti noi ti abbiamo sempre detto che Howard ti voleva bene, ma tu non ci credevi. E ti capisco, non è che davanti a te facesse qualcosa per dimostrarlo. Lo so, Tasha. Ho visto come si comportava con te.” Steve aveva sospirato ed era rimasto in silenzio per un attimo. “Lui non voleva che io mi avvicinassi a te perché aveva paura che ti avrei fatto del male. Aveva visto Peggy soffrire a causa mia e non voleva che lo stesso succedesse anche a te.”

“Te l’ha detto lui…?” Glielo aveva chiesto con un filo di voce ed era come se tutto all’improvviso avesse avuto un senso. Howard non li aveva mai allontanati davvero, ma aveva sempre cercato di interferire in qualche modo.

“Sì, me lo ha detto lui. Qualche tempo prima che noi finissimo a letto insieme la prima volta. Mi ha detto di starti lontano perché non voleva vederti con il cuore a pezzi perché io dovevo fare l’eroe.”

Erano rimasti entrambi in silenzio per qualche minuto. Natasha si era alzata dal divano e si era avvicina al mobile con gli alcolici. Avrebbe deluso Steve e in quel momento era l’ultima cosa che la stesse interessando. Aveva versato una generosa dose di whisky del bicchiere di cristallo e si era diretta alle scale. Avrebbe dormito in officina quella notte. Non voleva salire in camera da letto e trovarla vuota. Non dopo quelle parole di Steve.

“Io pensavo fosse solo stronzo e ti volesse tutto per sé, tipo i bambini dell’asilo che non vogliono condividere i loro amici. E ammettiamolo, io neppure credevo mi avresti mai guardata. Ero carina, ma ero solo una ragazzina.”

“Sei ancora quella ragazzina, Tasha.”

Erano di nuovo rimasti in silenzio e in quel lasso di tempo lei era scesa in officina e si era chiusa dentro. Aveva guardato i robot che dormivano e si era seduta sul divano. Sentiva il respiro di Steve dall’altra parte e voleva averlo a casa.

“Stare al telefono con te a quest’ora mi fa effettivamente sentire come allora. C’è anche Dum-E e io non dormo perché ho problemi con Howard. E Howard è morto da 6 anni…” Aveva bevuto un sorso di whisky e il primo sorso era sempre il peggiore, per quante volte avesse bevuto. “E tu sei lontano.”

“Tornerò tra qualche giorno. Non appena saremo sicuri che la Expo non corre pericoli prenderò il primo aereo e tornerò a casa. E tu non bere.”

“Non sto bevendo.”

“Fammi indovinare. Whisky?”

“Ma non è il The Macallan invecchiato che abbiamo preso qualche mese fa.” Se chiudeva gli occhi poteva vedere Steve sorridere. E poteva ricordare l’espressione che aveva fatto quando lei aveva speso davvero troppi soldi per un whisky. “Papà beveva sempre The Macallan nelle occasioni speciali. Diceva che secondo lui quello era il miglior whisky in circolazione.”

Aveva iniziato a bere whisky quando suo padre era morto. Fino ad allora non aveva mai prestato attenzione a cosa stava bevendo. Era alcool e questo le bastava. Le permetteva di sballarsi e da ragazzina non le era interessato nulla di più.

Aveva bevuto un po’ del suo whisky quando era entrata nel suo studio dopo essere tornati a casa dall’obitorio. Jarvis era rimasto in salotto a parlare con Stane e probabilmente a telefonare a Peggy, e lei era andata nello studio di Howard. Ne aveva bevuto solo un piccolo sorso e poi aveva appoggiato il bicchiere accanto al decanter.

“Una volta ho bevuto una bottiglia intera sperando di ubriacarmi, ma non era successo nulla. Nemmeno un leggero annebbiamento della mente.” Conosceva quella storia. Era successo a Londra, subito dopo la morte di Barnes. Steve era tornato nel pub dove solo pochi giorni prima avevano festeggiato il fatto di essere insieme. E quando vi era tornato Barnes non c’era e il pub era stato raso al suolo dai bombardamenti tedeschi.

“Non deve essere facile neppure per te che non puoi ubriacarti.” Natasha aveva sospirato appoggiando il bicchiere di cristallo sul tavolino. Le era improvvisamente passata la voglia di affogare tutti i suoi dispiaceri nell’alcool. “Howard beveva molto. Non era alcolizzato, non vorrei definirlo così, però beveva molto. Era perfettamente funzionale quando non beveva. O forse era diventato un alcolizzato funzionale, come me.”

Si era passata una mano sugli occhi. Era pessima e ora stava sicuramente facendo preoccupare Steve. Forse avrebbe anche mandato qualcuno a controllare come stava. Un altro agente sotto copertura.

Questo le bruciava più del previsto, anche se aveva evitato di pensarci tutto il giorno.

“Tu bevi molto, ma in questi mesi ti sei data una bella calmata.” Lo aveva sentito sospirare. Sì, era stata brava. Da quando era ritornata a casa non aveva fatto nulla di troppo stupido. Fino al giorno prima non c’erano articoli di giornale che parlavano dei suoi eccessi. Parlavano di Iron Woman. Parlavano delle Stark Industries. Parlavano del suo misterioso compagno. Non si parlava dei suoi eccessi. “Tasha, come stai?”

“Pepper non mi parla. Ho provato a telefonarle non appena Fury se n’era andato, ma mi ha riattaccato in faccia. Rhodey invece è impegnato. Ha detto che sarebbe venuto anche subito se solo avesse potuto. Quindi sono da sola, con i miei figli robotici, e probabilmente qualche cimice nascosta in casa. La Romanoff continuerà a fare finta di lavorare per me e Coulson mi farà da baby-sitter dalla mattina alla sera finché non torni. Sto magnificamente, non ti pare?”

“Tornerò tra un paio di giorni. Ce la fai a resistere?”

“Sì, Fury mi ha dato i compiti per casa quindi non mi annoierò. Solo che mi manchi. Mi ero abituata ad averti a casa.”

“Mi piace la parola casa. E’ quello che cercavo da quando sono ritornato.”

“Pensavo fossi più tipo da fattoria in North Carolina con un bel giardino e il steccato bianco.”

“Posso abituarmi anche ad un villa futuristica sul mare in California.”

Aveva sorriso. Era sicura che anche Steve avesse sorriso. Poteva immaginarlo e se chiudeva gli occhi le sembrava che fosse nella stessa stanza con lei. Tra un attimo si sarebbe seduto accanto a lei sul divano. L’avrebbe attirata a sé e le avrebbe baciato la fronte. Le avrebbe detto che andava tutto bene e lei gli avrebbe creduto.

 

✭✮✭

 

Aveva lasciato un messaggio attaccato al frigorifero per Coulson. Le avevano detto di non uscire di casa, ma lei non era brava ad eseguire gli ordini. Anzi. Più le dicevano che non doveva fare una cosa, più lei aveva voglia di farlo. E’ così aveva fatto.

Si era alzata presto nonostante fosse andata a dormire tardi. Era rimasta ancora al telefono con Steve a parlare di nulla. A parlare di possibili ristrutturazioni della casa. A parlare dell’edificio che avrebbero comprato a Brooklyn. A parlare di una prossima vacanza. Parlare nuovamente di futuro, avere dei progetti concreti, questo le dava speranza. Non aveva ancora trovato una soluzione per il reattore, ma aveva speranza. Se Fury le aveva consegnato tutti gli appunti di Howard sul reattore, allora forse qualcosa poteva ricavarne.

Aveva studiato gli appunti di suo padre anche mentre faceva colazione. Erano incompleti. Parlava di qualcosa che non conosceva neppure lei. Un elemento nuovo. Una combinazione di elementi. Non lo sapeva neppure lei.

Guardando il disegno di un circuito aveva notato che sembrava il suo primo circuito. Howard la stava addestrando già da allora a portare avanti il suo retaggio. In tutti i sensi.

Si era vestita di tutto punto. Aveva messo un tailleur nero e delle scarpe con solo un po’ di tacco. Si era truccata e aveva sistemato i capelli in modo serio. Per una volta non voleva sembrare una ragazzina appena uscita da una lezione all’università. Anche se spesso si era presentata alla sede dell’azienda vestita in modi troppo casual. Solo la settimana prima si era presentata con una maglietta di Batman. Sapeva che l’avevano giudicata tutti, anche se erano ormai abituati a lei e i suoi outfit.

Si sarebbero stupiti anche questa volta.

Aveva parcheggiato l’Audi praticamente davanti all’ingresso e sapeva che nessuno le avrebbe detto nulla. A volte davvero faceva le cose solo perché gli altri avessero qualcosa da ridire, ma raramente venivano a dirglielo in faccia. Un paio di persone le si erano avvicinate non appena aveva messo in piede nell’atrio, ma aveva ignorato tutti. Si era tolta lentamente gli occhiali da sole e li aveva infilati nel taschino interno della giacca. Sapeva che la stavano guardando tutti. Sapeva che si stavano chiedendo cosa ci facesse lì. Soprattutto perché nessuno sapeva cosa esattamente era successo alla sua festa di compleanno. Anche perché improvvisamente sembrava come risorta. Quell’intruglio che le avevano messo dentro allo S.H.I.E.L.D. funzionava ancora.

“Posso richiamarla più tardi? Ho una visita imprevista.” Virginia Potts aveva messo giù la cornetta del telefono e l’aveva guardata. “Signorina Stark, vedo che sta benissimo.”

Era furiosa. Lo si poteva capire dal modo in cui aveva serrato la mascella e come aveva messo le mani sulla scrivania. Non era mai bene quando le persone appoggiavano entrambe le mani sulla superficie delle scrivanie. Non nel suo caso. Urlavano sempre contro di lei quando succedeva.

“Sì, non posso lamentarmi oggi.” Si era avvicinata lentamente, osservando quello che era stato il suo ufficio quando era lei ad occuparsi di tutto. Non era cambiato molto, ma Pepper aveva sostituito alcuni mobili. E aveva spostato il modellino che lei tanto amava della vecchia Stark Expo. “Posso disturbarti un attimo?”

“Basta che faccia in fretta. Ho una riunione a pranzo.” La sua ex assistente aveva sospirato e l’aveva guardata.

“Mi dispiace di non averti detto nulla. Non l’ho detto a nessuno praticamente.”

“E’ arrivato lo S.H.I.E.L.D. a prenderla. Quindi qualcuno sapeva. Dovevo immaginare che c’era qualcosa sotto se improvvisamente riscriveva il testamento e tutto il resto. Ma pensavo avesse a che fare con Iron Woman, non con qualcosa di così serio.” Pepper si era sporta un po’ sulla scrivania. “Mi hanno detto di Vanko e che per questo motivo la signorina Rush...Romanoff resterà con noi ancora per qualche tempo.”

“Fury ha mandato Steve a New York e io sono sotto stretta sorveglianza di Coulson.” Aveva guardato le proprie mani. “Sono venuta per fare un salto in laboratorio e negli archivi. Fury è convinto che il mio vecchio avesse la soluzione del mio problema al reattore e che solo io lo posso risolvere. Ma gli appunti che ho a casa sembrano incompleti, così sono venuta per dare un’occhiata qui. E se non è qui, penso che andrò a New York e ribalterò il suo studio.”

“Tra un paio di giorni anche Rhodey dovrebbe essere a New York. Se faceste il viaggio insieme mi sentirei più sicura.”

Aveva fatto una smorfia e aveva guardato Pepper.

“Per la presentazione di Hammer? Non possiamo cancellarla? Credimi, a questo punto darei piuttosto più spazio a Tiberius Stone, perché per quanto sia un figlio di puttana almeno sa il fatto suo.”

“Stone ha chiesto di poterla incontrare per discutere della sua presentazione, ma gli ho detto che non se ne occupa lei.”

Pepper le aveva fatto un piccolo sorriso e sapeva di avere ancora un’alleata. Per quanto potesse farla arrabbiare, sapeva che Pepper non le avrebbe voltato le spalle. Non allora almeno.

“Sarebbe stato divertente solo per vedere l’embolo partire al cervello di Steve.” Aveva sorriso mentre Pepper si alzava dalla sedia dopo aver controllato l’orologio da polso.

“Se ha modo e tempo, in quell’angolo ho messo tutte le sue cose. Sono settimane che dice che le porterà a casa. Se le vedo ancora qui le giuro che le mando in magazzino.”

“Quel magazzino è peggio della stanza delle necessità. Se finiscono lì dentro non le troverò mai più.”

Pepper aveva sorriso. Aveva preso la propria borsa e giusto in quel momento si era aperta la porta dell’ufficio.

“Capo! Non dovrebbe essere a casa a riposare?”

“Calmati Happy. Torno a casa subito. Sono solo venuta a prendere alcune cose.” Si era alzata anche lei e aveva guardato il proprio autista. Alle sue spalle c’era l’agente Romanoff e doveva ammettere che si sentiva almeno un po’ felice di vederla lì. Anche Pepper aveva bisogno di protezione. Non solo lei.

“Tasha, le telefonerò questa sera. Veda di non fare danni né qui né a casa. Se le serve aiuto per spostare le sue cose le mando subito qualcuno.”

Aveva guardato la donna uscire e chiudere la porta alle sue spalle. E aveva sospirato guardando poi le cose accatastate in un angolo. C’era il modellino della città del futuro di Howard. Pepper l’aveva fatta mettere in verticale contro il muro e l’aveva coperto da uno straccio. Si era avvicinata e aveva guardato tutti quei edifici in miniatura. Pepper almeno aveva tolto tutti i suoi omini Lego. Se ricordava bene c’era una targa in parte. Forse sotto la targa c’era una scomparto nascosto, come si vedeva nei film, e lì Howard avrebbe potuto nascondere quello che le mancava per completare il reattore.

Aveva tolto il panno che copriva la struttura e aveva subito cercato la targa.

“La chiave per il futuro”

I suoi polpastrelli si erano mossi veloci sulla placca dorata, ma non era scattato nulla. Aveva decisamente guardato troppe volte Indiana Jones per poter credere che qualcosa del genere esistesse nella realtà. Forse esisteva. Ma non nella testa di Howard. Lui le cose le nascondeva nelle casseforti.

“Merda…” Aveva mormorato mentre si allontanava dal modellino. Doveva immaginare che non fosse così semplice. Avrebbe dovuto cercare in archivio tutti i vecchi file di Howard. Sarebbe sicuramente dovuta tornare a New York e mettere a soqquadro il suo studio per trovare anche solo un indizio. Mai che una volta suo padre rendesse le cose semplici.

Aveva guardato un’ultima volta in modellino, decisa ad andarsene subito per proseguire la sua ricerca. Solo che ora che si era allontanata di qualche metro vedeva qualcosa. Qualcosa che non aveva mai notato perché non l’aveva guardata dalla prospettiva giusta.

Aveva chiuso un occhio cercando di concentrarsi su quello che vedeva e non poteva davvero vedere una struttura molecolare. Quella doveva essere deformazione professionale e nulla più. La vista la stava sicuramente ingannando, perché non poteva essere così semplice. Non poteva essere sempre stato sotto il suo naso. La chiave per il futuro era lì, e lei lo usava per giocarci con gli omini Lego.

Era uscita di corsa dall’ufficio per cercare un cacciavite per smontare il modellino e portarlo a casa.

 
   
 
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