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Autore: Yoshiko    15/02/2018    5 recensioni
È trascorso molto tempo dal viaggio dei ragazzi a Kyoto. Era autunno, la città li aveva accolti nella sua splendida cornice di aceri rossi, promettendo un soggiorno piacevole tra visite ai giardini e ai templi, colloqui per nuovi ingaggi e prove per uno spot televisivo. La spensieratezza di quei giorni si era infranta di colpo e gli strascichi di quei tragici avvenimenti continuano tuttora a segnare le loro vite.
Holly e Patty sono a Barcellona, Benji ad Amburgo, Mark è atterrato in Italia inaspettatamente accompagnato, e il resto del gruppo si trova in Giappone finché un’amichevole contro l’Italia di Salvatore Gentile e Dario Belli li riunisce tutti, ancora una volta.
Rain è il sequel di Leaves che a sua volta è il continuo di Snow. Per capire la storia e seguirne l’andamento è consigliabile avere un po’ di pazienza e cominciare dall’inizio, anche per la presenza di personaggi out of character, già presentati nelle precedenti fanfiction.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Kojiro Hyuga/Mark, Salvatore Gentile, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Time'
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Secondo capitolo


Bruce scese sul marciapiede e richiuse lo sportello del taxi con tale vigore che l’autista lo redarguì dal finestrino aperto. Lui non lo udì. Si precipitò verso l’ingresso dell’ospedale, salì con due falcate quattro scalini, superò le porte a vetri che si aprirono automatiche e si aggrappò al banco dell’accettazione. Da quando Evelyn l’aveva chiamato un paio d’ore prima mentre era in pieno allenamento, dicendogli che aveva avuto un incidente, non aveva smesso di correre. Aveva interrotto gli esercizi, aveva costretto l’allenatore a lasciarlo andare e si era scapicollato fino alla periferia di Tokyo, in quello sperduto ospedale in cui la fidanzata era stata trasportata con l’ambulanza.
Evelyn lo vide entrare, si alzò dalle sedie di plastica dell’ampia sala d’attesa e lo chiamò. Bruce si volse, la individuò e le corse accanto. Le prese una mano, il sollievo di vederla sana e salva gli tolse la voce. Puntò gli occhi sul cerotto che le decorava la fronte, poi abbassò lo sguardo nel suo.
-Che ci fai qui, Bruce?-
-Come che ci faccio qui? Che razza di domanda è?-
Amy gli arrivò alle spalle con due tazze fumanti.
-Ciao Bruce, vuoi anche tu del caffè?-
Gliene allungò uno ma lui rifiutò, però fu contento di vederla.
-Quando sei arrivata?-
-Un’oretta fa.-
La osservò mentre lei porgeva ad Evelyn uno dei bicchieri.
-Grazie per essere venuta.-
-Figurati.-
Amy tornò verso le sedie di plastica e si sedette, lasciandoli soli. Bruce le lanciò un’occhiata, poi si rivolse alla fidanzata.
-Che accidenti è successo?-
Lei fece spallucce.
-Il tizio che Mike ed io dovevamo intervistare non ha gradito le mie domande. Così è salito in macchina e ci ha investiti.-
-Ti ha investita perché non gli sono piaciute le tue domande?- la fissò dall’alto in basso e viceversa, notando anche le bende che le fasciavano il polso -Ti sei fatta male?-
-Niente a parte questo.- si portò la mano alla fronte -A Mike è andata peggio. Si è fratturato un piede. Mentre si scostava è finito contro il paraurti.-
Bruce non riuscì a credere alle proprie orecchie.
-Chi accidenti ti hanno mandato a intervistare?-
Lei alzò di nuovo le spalle con noncuranza. Non si era fatta niente e le dispiaceva solo che la sua prima intervista di una certa importanza fosse andata a finire così.
-Sarebbe stato un bello scoop. Pare che lui sia coinvolto in un traffico di droga e…-
Bruce spalancò gli occhi.
-Merda! Ti hanno mandato a incontrare uno spacciatore?-
-No, lui non spaccia, organizza la distribuzione. E poi non voleva andarci nessuno, così mi sono offerta io.- lo vide sconvolto e tentò di rassicurarlo -Un articolo su di lui sarebbe stato pagato più che bene!-
-Tu sei matta Eve! Rischi la vita per i soldi?-
-No, non per i soldi!- si accalorò pestando i piedi -Se fossi riuscita a fare l’intervista, avrebbero smesso di lasciarmi i pezzi più noiosi! Mi sono stancata di recensire film e intervistare donne in pensione che consigliano alle casalinghe come passare il tempo libero. Non è questo quello che voglio!-
-Vuoi farti ammazzare?-
-È stato un incidente.- il cellulare che la ragazza teneva in mano squillò. Abbassò gli occhi sul display e sbuffò -Porca miseria, è ancora mia madre! è la quarta volta che chiama!-
-E ci credo! Sarà preoccupatissima.-
Lei gli allungò il telefonino.
-Le parli tu?- vedendo che lui esitava insistette -Dille che sono dentro e che mi stanno visitando.- e accettò la chiamata, costringendo così Bruce a rispondere. Tornò a sedersi accanto ad Amy, per bere il caffè prima che si freddasse. Osservò il fidanzato che camminava avanti e indietro nella hall parlando al cellulare, cercando imbarazzato di contenere la preoccupazione di sua madre -Non c’era bisogno che venisse fin qui.-
-Si è preoccupato. Non sei contenta?-
-Ha fatto due ore di viaggio per nulla. Sto benissimo.-
-Almeno non dovrai tornare a casa da sola.-
Evelyn annuì, osservando pensierosa il corridoio che portava al pronto soccorso. Quanto ci metteva Mike? Che gli stavano facendo? Bruce le tornò accanto e le restituì il cellulare.
-Tutto a posto?- gli chiese preoccupata.
-Sì. Forse per oggi non ti chiamerà più.-
-Speriamo…-
Mike arrivò zoppicando sulle stampelle, un piede ingessato. Era un uomo sulla cinquantina, che faceva quel lavoro da due decenni e che, conscio del pericolo, l’aveva seguita controvoglia nell’avventura che l’aveva tanto entusiasmata. Evelyn si alzò e gli andò incontro, ma non riuscì ad avvicinarsi. Lui sollevò una stampella e gliela puntò addosso furioso, facendola saltare indietro per non essere colpita.
-Tu sei una pazza! Io con te non ci lavoro più. Ho già chiamato il direttore e l’ho avvertito.-
Evelyn lo fissò incredula, senza parole. Si accorse che parecchie teste erano voltate verso di loro.
-Mike, è stato un incidente!-
-No! Te la sei cercata!- si guardò -Anzi, me la sono cercata! Non dovevo lasciarmi convincere, in fondo tu sei l’ultima arrivata! Cosa ne capisci di come si fa un’intervista? Di come si avvicina la gente?-
Ad Evelyn si riempirono gli occhi di lacrime, poi sentì qualcuno posarle una mano sulla spalla e alzò il viso verso Bruce che le si era avvicinato.
-Mike, mi dispiace…- cercò di scusarsi.
-Certo che ti dispiace! Come fa a non dispiacerti? Mi hai messo fuori uso per un mese!-
-L’assicurazione ti pagherà e…-
-Sì, mi pagherà! Ma con te ho chiuso!- la superò e imboccò l’uscita. Lo videro sparire oltre le porte, saltellando sulla gamba sana con l'aiuto delle stampelle.
-Eve, non te la prendere.- Amy la fissò negli occhi pieni di lacrime -Sei ancora agli inizi, devi solo imparare come funziona il tuo lavoro.-

*

Philip era tornato a casa tardissimo, la sera prima. Aveva salutato al volo suo padre che sedeva sul divano a guardare la tv, era passato davanti alla cucina tanto per farsi vedere da sua madre e aveva trovato Kate seduta al tavolo. Si erano scambiati uno sguardo, un saluto risicato ed era salito in camera. Quella settimana lei e suo figlio si erano trasferiti da loro, con valigie e giocattoli al seguito. Qualcosa tra Kate e suo marito non stava andando bene. Forse era un difetto di famiglia, quello di distruggere i rapporti affettivi.
Prima di questo seccante trasloco, Philip aveva già il suo bel daffare per cercare di evitare di pranzare e cenare con i suoi. Non era più abituato a farlo. Dalla fine del liceo si era praticamente trasferito a casa di Jenny, teneva lì le sue cose e i suoi vestiti e si riaffacciava dai suoi solo due o tre volte al mese, spesso insieme a lei, giusto per farsi vedere ogni tanto. I suoi genitori adoravano Jenny ed erano sempre contenti quando la portava con sé. Adesso tutto questo era finito e lui evitava il più possibile di stare con loro, anche se aveva rioccupato la sua stanza. Odiava essere tornato a casa a ventidue anni, ma non riusciva a prendere la decisione di tornare a vivere a Sapporo. Si sarebbe ritrovato troppo solo e in quella sua totale solitudine si sarebbe arrovellato su ciò che tentava disperatamente di dimenticare.
Evitare il pranzo con i suoi era facile, spesso a quell’ora era ad allenarsi. Evitare la cena era più complicato. Alcuni giorni arrivava alla fine degli allenamenti così distrutto che non vedeva l’ora di infilarsi a letto. Negli spogliatoi si dilungava sotto la doccia, poi si vestiva così lentamente che gli altri se ne andavano lasciandolo per ultimo. Per essere sicuro di non trovare i suoi ancora a cena evitava la superstrada e prendeva la provinciale, allungando il percorso di chilometri. A volte ne approfittava per passare davanti casa di Jenny, osservare le finestre chiuse e costringersi a rassegnarsi che lei non ci fosse più. Quando sua madre ad una cert’ora non lo vedeva rientrare, gli lasciava la cena in un piatto coperto. Philip rincasava in silenzio e mangiava da solo, in cucina, senza neppure scaldare il cibo per fare prima, mentre i suoi guardavano la tv in salotto. Qualche volta, se era particolarmente sfortunato, trovava sua madre ancora occupata a lavare le stoviglie della cena. Se capitava che lui tornasse all’improvviso dopo aver avvertito che sarebbe rimasto fuori, era completamente inutile che le mentisse dicendo che non aveva fame. Lei ricominciava a cucinare e dopo averlo servito gli si sedeva di fronte, tentando di intavolare una conversazione che restava un monologo fino alla fine. In genere Philip non aveva voglia di parlare e dopo qualche domanda a cui rispondeva a monosillabi, sua madre se ne tornava sospirando in salotto dal marito. Tutte quelle premure gli davano fastidio. Sarebbe stato molto più semplice se lei l’avesse ignorato. A casa, in quella casa, desiderava passare il più possibile inosservato.
Ora che sua sorella e suo nipote si erano trasferiti nella vecchia stanza di lei, i suoi sforzi per diventare invisibile cadevano nel vuoto. Li vedeva ovunque, lo chiamavano in continuazione, tentavano di coinvolgerlo in discorsi che non lo interessavano e certe volte sua sorella insisteva per aspettarlo e poter cenare insieme. Philip aveva finito per fare l’impossibile per non tornare a casa né a pranzo né a cena. A volte gli capitava persino di non riuscire a mangiare né a casa né fuori e i jeans avevano cominciato ad andargli larghi. La mattina si alzava presto, molto presto, e si precipitava in macchina senza fare colazione. Lo scopo di quelle alzatacce era filarsela prima che suo nipote si svegliasse. Il bambino lo adorava. Più Philip cercava di ignorarlo e di evitarlo, di fare finta che non esistesse, più quello gli trotterellava dietro, si aggrappava alle sue gambe, tendeva le manine verso di lui per farsi prendere in braccio, lo chiamava in ogni momento e faceva i capricci quando capiva che non avrebbero giocato insieme. E Philip, nonostante il primo giorno ci avesse provato con tutta la buona volontà e avesse ritentato anche il secondo e il terzo, si era reso conto di non avere la pazienza per dedicarsi al nipotino. Era irascibile, scontroso, in poche parole intrattabile. Ogni capriccio e ogni richiesta di Will peggiorava il suo umore già nero, creando una miscela esplosiva che faticava a controllare.
Era in un esausto dormiveglia quando udì i suoi passetti sul corridoio. Si sentì sprofondare. La tortura ricominciava. Lanciò un’occhiata rapida alla sveglia. Erano appena le sei e mezza, che diavolo ci faceva già in piedi? Will si aggrappò alla maniglia della porta e riuscì ad aprirla. Sapeva farlo benissimo ma non aveva ancora imparato a bussare. Philip fu veloce. Si girò dall’altra parte, si tirò su le coperte fin sopra la testa e finse di dormire. Fu un comportamento profondamente stupido. Solo sua madre, vedendolo ancora addormentato, avrebbe richiuso la porta e l’avrebbe lasciato in pace. Neppure sua sorella si sarebbe preoccupata di non disturbarlo, figuriamoci Will.
-Phi-i!- la elle non riusciva proprio a pronunciarla quindi si fermava alla prima sillaba -Phi-i!- lo chiamò di nuovo con la sua voce squillante. Avrebbe svegliato anche un cadavere.
Caparbio rimase immobile nel letto, continuando a fingere di dormire. Per chiunque sarebbe stato chiaro che dopo quelle grida era ormai ben sveglio. Ma per Will no, se non si muoveva significava che dormiva. Il bambino si avvicinò al letto e con una forza che il ragazzo non si aspettava gli tirò via le coperte dalla testa.
-Phi-i! Giochiamo!-
-Will, vieni qui.- la voce di sua madre gli fece credere per un attimo di averla scampata. La donna si avvicinò al letto e prese il bambino per mano -Philip è stanco. Lascialo dormire.-
Non l’avesse mai detto. Il bambino cominciò a frignare.
-Giochiamo! Phi-i, giochiamo!- sfuggì in qualche modo al controllo della nonna e si arrampicò sul letto, salendo su di lui. Gli infilò un piedino tra le costole e un gomito sul collo.
-Phi-i! Giochiamo?- gli domandò avvicinando la testolina alla sua faccia, per metà caparbiamente sprofondata nel cuscino.
Philip tenne gli occhi ben serrati e il fiato caldo del nipote gli accarezzò il viso. Sentì profumo di dolci. Di cioccolato. Will doveva aver già fatto colazione o quanto meno doveva essere riuscito a sgraffignare qualcosa dalla cucina. Aprì un occhio e si ritrovò il suo viso così vicino che i loro nasi quasi si sfioravano. Vedendolo sveglio, il volto di Will si illuminò di felicità.
-‘ma, ho sonno.- tentò di dire sapendo perfettamente che era inutile spiegare quel semplice concetto al bambino. Non avrebbe recepito.
-Vieni Will.- ripeté lei avvicinandosi e sollevandolo tra le braccia -Lascialo tranquillo.-
Quel gesto e quelle parole scatenarono una crisi. Goccioloni di lacrime cominciarono a sgorgare dagli occhi di Will e come ovvia conseguenza iniziarono le urla.
Mentre sua madre richiudeva la porta portandolo con sé e i pianti continuavano nel corridoio, Philip infilò la testa sotto il cuscino, innervosito dalla confusione ma ancor più dai sensi di colpa. Non gli andava di giocarci ma neppure di farlo piangere. Ormai s’era svegliato, cosa gli costava dargli retta per un po’? Tanto più poi che quella mattina sarebbe tornato a Sapporo e per tutto il giorno non l’avrebbe visto. Sua sorella e Will erano a casa da poco più di una settimana e lui non era riuscito a trovare la voglia di dedicare al nipotino neppure un pomeriggio. Era veramente un pessimo zio.

“Patty!” Amy le perforò quasi un timpano quando rispose al telefono “Sono giorni che cerco di chiamarti. Che fine avete fatto?”
-Siamo stati fuori. È successo qualcosa?-
Holly abbassò il volume della tv e si volse con un’espressione tra l’interrogativo e il preoccupato.
“Un sacco di cose. Evelyn è stata quasi investita ed è finita in ospedale! Lo sapevi?”
-No che non lo sapevo! Sta bene? Cos’è successo?-
“È andata a intervistare un tizio, pare che fosse coinvolto in un traffico di droga. Lo ha intercettato sotto casa e alla seconda domanda lui ha cominciato a dare di matto. Evelyn ha insistito finché quello è salito in macchina e ha investito lei e il fotografo che era con lei!”
-Dio! S’è fatta male?- si accorse che Holly la guardava dal divano, dov'era rimasto seduto.
-Chi?-
-Evelyn.-
“Per fortuna niente, solo qualche graffio. È già tornata a casa. Il suo collega invece si è fratturato un piede. E poi ti volevo dire di Philip…”
-Che ha fatto Philip?-
“Devi assolutamente vederlo. Ti ho mandato una mail. Accendi il computer, dopo ti richiamo.”
Patty sospirò, si avvicinò alla scrivania del modernissimo soggiorno della loro casa di Barcellona, lanciò un’occhiata al mare azzurro che si scorgeva dalle finestre e accese il portatile. Holly la guardò.
-Che è successo?-
Lei alzò gli occhi, intercettando la sua occhiata perplessa.
-Evelyn è andata a intervistare un tizio e quello invece di risponderle ha investito lei e il suo collega fotografo. E poi non so cosa sia successo a Philip… Amy ha detto che devo assolutamente vedere la mail che mi ha mandato.- scostò la sedia e si sedette davanti al pc che si avviava.
-Evelyn si è fatta male?-
-No, niente per fortuna.-
-Che razza di gente!-
Patty annuì.
-Era una persona coinvolta in un traffico di droga. Come possono mandare lei ad intervistare un uomo simile? È appena arrivata, non ha esperienza!-
-Forse ci è andata lei perché non voleva andarci nessun altro.- Holly lanciò un’occhiata alla tv, sintonizzata sulla NHK giapponese. Era ora del notiziario sportivo ed era curiosissimo di sapere i risultati degli incontri della J-League -E Philip?-
-Adesso vediamo.-
Patty aprì la casella di posta e l’allegato della mail la lasciò sbigottita. Spostò gli occhi su Holly per dirgli qualcosa ma non fece in tempo. Il telefono squillò di nuovo. Era sempre Amy.
“Riesci a vedere la foto?”
-Certo che la vedo!-
Holly si alzò curioso e la raggiunse, chinandosi sul monitor. Patty posò il cordless sul ripiano e accese il vivavoce.
-A quando risale l’articolo?-
“È sul numero di questo mese. L’hai riconosciuta?”
-No che non l’ho riconosciuta! Chi accidenti è?-
Fu Holly a risponderle, appoggiato alla spalliera della sedia.
-È la modella di Kyoto.-
Amy lo udì e le sfuggì un’esclamazione di disappunto.
“Anche Julian ha capito subito di chi si trattava… Curioso, vero? Io ci ho messo un po’ per riconoscerla.”
Holly si mosse a disagio.
-Probabilmente l’abbiamo guardata meglio di voi.-
Patty non commentò. L’ottima memoria di Holly in quel momento non era un problema ma lo era ciò che quella foto significava.
-Philip e Jenny si sono lasciati?-
“Non lo so, non ne ho idea. Immagino di sì, a meno che Philip non le stia mettendo le corna.”
-Scherzi?- le rispose Holly -Non lo farebbe mai!-
Patty lo guardò sgomenta.
-Lasciarla sì e metterle le corna no?-
“Patty, ho provato a chiamare Jenny. Lo sto facendo da quando quella maledetta foto mi è capitata sotto gli occhi. Non risponde e il cellulare è staccato. Le ho intasato la casella di posta di messaggi ma niente, sono preoccupata.”
-Hai provato a telefonare a Grace?-
“Sì. Mi ha detto che non la vede dalla partita che Philip ha giocato contro Ed mesi fa. L’avete vista? Quando l’hanno espulso.”
-Sì, l’abbiamo vista.- confermò Holly.
“È riuscita a parlarle al telefono solo una volta, l’ha chiamata a Shintoku. Ma ora non è neppure lì e la nonna non ha voluto dirle dov’è andata. Patty, sono veramente preoccupata. Non so che fare.”
-Forse è a New York dai suoi.-
“E allora perché non risponde alle mail?”
-Magari non ha internet?-
“Grace aveva il numero di New York e me lo ha dato ma ho paura a chiamare. Lei non lo ha fatto. Se i suoi non sanno dov’è li facciamo preoccupare inutilmente.”
-Ma Amy! I suoi genitori sanno sicuramente dov’è!-
“Lo penserei anch’io se non ricordassi quanto si è arrabbiata quando le abbiamo suggerito di chiamare i suoi dopo quello che era successo a Kyoto.” Patty lo ricordava perfettamente “Quindi se non sanno dov’è, cosa dico?”
-Amy, hai provato a sentire Mark?- suggerì Holly -Forse lui sa qualcosa. Magari si sono sentiti. Oppure lui ha sentito Philip e sa cosa sta succedendo.-
“Oh…” mormorò la ragazza sorpresa da un’eventualità che non aveva preso in considerazione “Sai che potresti avere ragione?”
-Ci pensiamo noi, Amy.- le disse Patty -Dobbiamo comunque telefonargli. Se ho novità ti faccio sapere.-
“Anche se non ne hai, per favore. Sono preoccupatissima.”
Patty l’accontentò, poi la salutò e chiuse la comunicazione. Si alzò, tornò verso il divano e si lasciò cadere sui cuscini. Posò il cordless sul tavolino e si appoggiò alla spalliera, fissando Holly che la raggiungeva con il portatile in mano. Le si sedette accanto e posò il computer sul ripiano, vicino al telefono.
-Credi che sia per questo motivo che Jenny non è venuta al nostro matrimonio?- Patty si sporse verso il tavolino e abbassò lo schermo fin quasi a chiuderlo sulla tastiera. Quel bacio non voleva vederlo, le faceva male.
-Non lo so… Penso di no. Philip mi è sembrato sincero quando ha detto che Jenny non se la sentiva di vedere nessuno.-
Patty annuì. Ricordava perfettamente la telefonata con cui l’amica le aveva fatto gli auguri.
“Mi dispiace tantissimo” le aveva detto con voce rotta “ma non posso… non ci riesco. Verrà Philip.” e Patty non aveva insistito. Lei e Holly si erano sposati ad aprile, quasi un anno prima. Era passato troppo poco tempo da quello che David le aveva fatto. Scacciò il pensiero. Dopo la cerimonia, in un attimo di tranquillità, Patty si era avvicinata a Philip e gli aveva chiesto notizie dell’amica. Il giovane era stato reticente, non riusciva praticamente a parlarne. Aveva dovuto fare uno sforzo e la sua risposta era stata vaga. Non era stato neppure in grado di guardarla negli occhi mentre riferiva le condizioni della fidanzata con poche, essenziali parole. “Parla spesso con Nicole.” aveva ammesso con una punta d’amarezza, facendole capire ancora una volta quanto soffrisse di non poterla aiutare in nessun modo. “Credo…” si era corretto “…spero che stia meglio.”
Era rimasto con loro solo il tempo della cerimonia, disertando la cena al ristorante. In pensiero per Jenny era partito subito per tornare a Furano. Patty sospirò. Dal loro matrimonio erano passati molti mesi. Cos’era successo nel frattempo?

Il telefono di casa squillò nel momento preciso in cui Mark usciva dalla doccia. Si avvolse in un asciugamano, socchiuse la porta e si affacciò nel corridoio.
-Jenny, rispondi?-
La sua voce arrivò da sotto, dalla cucina dove la sentiva spadellare.
-No! È troppo probabile che non sia per me!-
-Senti chi è! Puoi sempre riagganciare!-
-E se riconoscessero la mia voce?-
-Le persone che conosci mi chiamano molto meno spesso di quanto immagini!-
-Non rispondo Mark.-
Il ragazzo sbuffò, s’infilò sulle gambe ancora bagnate i pantaloni della tuta e scese in fretta le scale, passandosi un asciugamano sui capelli che gocciolavano ancora. E se si trattava di sua madre che voleva dirgli qualcosa d’importante? Raggiunse il telefono nel momento in cui smetteva di squillare. Merda! Succedeva sempre così! Si affacciò in cucina. Jenny stava riempiendo le ciotole di riso. Lo vide e alzò gli occhi.
-Chi era?-
-Non lo so, non ho fatto in tempo a rispondere!- l’accusò quasi -E se era urgente?-
-Allora sicuramente richiameranno.- incrociò il suo sguardo -Come possiamo tenere nascosto il fatto che io sia qui se mi metto anche a rispondere al tuo telefono?- si fermò un istante di troppo a guardare il suo torace nudo e muscoloso, uno spettacolo che era una gioia per gli occhi di qualunque ragazza -Dimentico sempre il motivo per cui hai tutte quelle fan.-
Mark la fissò incredulo, persino imbarazzato. Poi il telefono ricominciò a squillare. Si volse e uscì nel corridoio, felice di avere una scusa per tagliare la corda.
-Patty?-
Jenny lo udì, il bicchiere che teneva in mano quasi le scivolò dalle dita. Lo posò al volo sul tavolo e corse verso la porta, terrorizzata. Mark incrociò per un istante i suoi occhi sorpresi, poi si liberò rapidamente dell’interlocutrice.
-Non ti sento, Patty. Aspetta, ti richiamo…- riagganciò senza esitare.
-Che voleva?-
-Cerca te!-
-Me? E perché mi cerca qui?-
Mark si passò l’asciugamano intorno al collo, lasciando che le due estremità gli pendessero sul petto. Se le afferrò con le mani.
-Perché voi donne siete contorte! Amy ha trovato la foto di Philip sulla rivista e ti sta cercando da giorni. Visto che non è riuscita a contattarti, ha chiamato Patty. Sono preoccupate e vogliono sapere se ho tue notizie!-
Lei annuì, seguendo il ragionamento.
-Ma perché dovresti avere mie notizie proprio tu?-
-Perché?- le fece eco -Per lo stesso motivo per cui sei qui, suppongo…-
Jenny non fu sicura di aver compreso l’allusione, ma non le importò.
-Che le hai detto?-
-Hai sentito, no? Le ho detto che l’avrei richiamata.- fece una pausa -Allora?-
-Allora cosa?-
-Che devo dirle?-
-Quello che vuoi, basta che non le dici che sono qui. Chissà cosa penserebbe se lo sapesse…-
Mark si asciugò nervosamente una goccia d’acqua che dai capelli gli era scivolata sul torace e stava rotolando verso il basso, procurandogli un fastidiosissimo prurito. Jenny aveva ragione. Non poteva dire a Patty che lei era in Italia e per di più ospite a casa sua.
-E allora che le dico?-
-Non che ci sia molto da scegliere. O le dici che non lo sai, oppure le dici che sai che sono a New York dai miei.-
Mark restò a fissarla poco convinto, poi il telefono squillò di nuovo.
-Maledizione! Quant’è insistente!-
A Jenny sfuggì un sorriso.
-Probabilmente ha paura che non la richiami perché costa troppo.-
-Mi metti nei casini e hai anche la faccia tosta di prendermi in giro.- la fulminò con un’occhiata infastidita e tornò nel corridoio.
“Mark, allora?”
Si ritrovò Jenny accanto. La giovane si sporse oltre il suo braccio e dopo aver dato un’occhiata al tastierino del telefono, accese il vivavoce. Se parlavano di lei, voleva sentire.
-Non trovavo più il tuo numero…-
“Non fa niente. Adesso mi senti?”
-Perfettamente.-
“Hai notizie di Jenny? Non riusciamo a contattarla.”
-No, non so nulla. Hai provato a chiedere a Price?- che andasse a infastidire il portiere, accidenti -Forse sua madre ne sa qualcosa.-
“Forse.” ripeté la giovane poco convinta “Puoi chiamare Philip?”
-Per dirgli cosa?-
“Per chiedergli se ha notizie di Jenny.”
-Non mi pare proprio il caso.-
“Ma forse lui sa dov’è!”
-Allora fallo chiamare da Holly!-
“Scusa ma non sei preoccupato? Ti sto dicendo che non abbiamo più notizie di Jenny e come minimo dovrebbe prenderti un colpo!”
La conversazione cominciava a diventare imbarazzante, si chiese come interromperla.
-Cosa te lo fa pensare?-
“Il tuo comportamento. A Shintoku le stavi sempre appiccicato.”
A Jenny venne da ridere e gli si accostò di più. Incrociò il suo sguardo contrariato e gli strizzò un occhio.
-Non mi pare proprio.-
Patty lasciò perdere.
“Mi prometti di avvertirmi se la senti?”
Mark non volle legarsi ad una promessa che non poteva mantenere, così evitò persino di mentirle ancora.
-Perché dovrei sentirla?-
“Quante storie.” si spazientì lei.
Il giovane sbuffò.
-Senti Patty, sono appena rientrato a casa dopo quattro ore di allenamenti e tra pochissimo devo riuscire. Magari ci sentiamo con calma un altro giorno…- sì, col cavolo.
“Va bene. Ti saluta Holly.”
Mark riagganciò e tirò un sospiro profondo. Poi si volse a guardare Jenny, rimasta pensierosa accanto a lui.
-Sembra davvero preoccupata. Forse dovresti chiamarla.- la vide scuotere la testa -A meno che tu non voglia incontrarla.- lo disse prima di pensarlo e un secondo dopo nella sua mente prese forma una diabolica speranza. Se fosse riuscito a mollare Jenny da Patty avrebbe svoltato. Era tornato a Torino da poche settimane ma Gentile gli aveva reso la vita impossibile. Lo braccava, lo tartassava, lo marcava stretto, lo seguiva fino a casa, offrendosi di accompagnarlo e passarlo a prendere ogni santo giorno di allenamento, con la morbosa speranza di riuscire ad incontrare Jenny. Perché si era così intestardito? Eppure quante volte gli aveva detto che lui a Jenny non interessava e non sarebbe mai interessato? Non ne poteva più di averlo addosso.
-Incontrarla dove?-
-A fine mese giocherò contro Holly a Barcellona.-
Lei scosse di nuovo la testa.
-Ti aspetterò a casa.- si volse e tornò in cucina -Mangiamo?-
Mark annuì ma prima fece un salto al piano di sopra a finire di vestirsi. Nonostante i riscaldamenti accesi, faceva davvero freddo.

*

Philip si infilò la maglietta della squadra. Non era la divisa ufficiale con cui scendevano in campo durante gli incontri. Era una maglietta di cotone da allenamento, che riportava il logo del Sapporo sul petto. Non l’aveva più indossata da quando aveva discusso con l’allenatore durante la partita contro il Nagoya di Ed Warner, il peggior incontro della sua vita. Aveva smesso di indossarla per protesta, infilandosi magliette prese a casaccio dall’armadio. Gli era capitato di allenarsi con quella della nazionale, con quella della squadra dell’università e con anonime maglie della nike o dell’adidas. L’uomo aveva capito il messaggio e non gli aveva rivolto la parola fino al giorno prima, quando Philip si era finalmente deciso a chiedergli scusa, perché tanto continuare in quel modo non l’avrebbe portato da nessuna parte.
Ormai vestito e pronto a scendere in campo per una nuova giornata di faticosi allenamenti, riordinò i propri abiti nell’armadietto, ci ficcò anche la borsa e si sedette sulla panca per allacciarsi con calma gli scarpini. Anche quel giorno aveva mal di testa. Un violento mal di testa. Le tempie gli pulsavano e l’analgesico che aveva presto una mezz’ora prima al bar del centro sportivo non aveva ancora fatto effetto. L’emicrania ultimamente lo martirizzava, aveva cominciato a soffrirne quasi tutti i giorni. Scoppiava all’improvviso ed era talmente forte e violenta che solo mandando giù una dose doppia di antidolorifici riusciva a farsela passare. Dopo ogni crisi restava intontito per tutto il giorno successivo, stordito dagli strascichi del dolore e dai farmaci.
Con una gamba piegata contro di sé, il tacco dello scarpino sul bordo della panca, strinse i lacci e chiuse gli occhi, poggiando per un istante la fronte sul ginocchio alla ricerca di un sollievo che non trovò.
Peter lo guardò afflitto, ripensando alla scena del giorno prima. Finiti gli allenamenti, dopo una lotta all’ultimo sangue con il proprio orgoglio, Philip si era scusato con il mister ammettendo di aver agito in modo inqualificabile durante la partita contro il Nagoya. Daniel Baird aveva assistito insieme a Richard Hall e qualcun altro, gongolando di piacere.
L’umiliazione che Philip si era imposto per mantenere in squadra il ruolo che gli spettava e meritava, non aveva modificato il suo atteggiamento. Il malumore non si era dissolto e continuava a starsene per la maggior parte del tempo per conto suo con la testa chissà dove. Anzi, forse era ancora più assente di prima, facendo chiaramente capire a tutti, pure all’allenatore, che non era stata la situazione all’interno della squadra a turbarlo. Peter un’idea su cosa lo angustiasse se l’era fatta ormai da tempo, da quando Grace gli aveva riferito che non riusciva a trovare Jenny da nessuna parte. A casa non c’era. Da Shintoku se n’era andata e quando aveva provato a cercarla di nuovo al ryokan, la nonna, scusandosi infinite volte, non aveva voluto dirle che fine avesse fatto. Peter non era sicuro che alla fine fosse riuscita ad avere sue notizie. Di Jenny, Grace non aveva più parlato.
Tornò a fissare Philip e si domandò se lui sapesse dove fosse. Poi si chiese perché insistesse a frequentare quelle scialbe ragazze degli ultimi mesi (compresa la modella con la puzza sotto al naso) e non facesse niente per ritrovare Jenny, con cui sì che avrebbe potuto essere felice. La domanda lo tormentava ma non si azzardava a fargliela. Philip gli avrebbe ricordato che non erano fatti suoi.
Continuò ad osservarlo abbattuto. Da quando aveva messo piede negli spogliatoi, Philip non aveva detto una parola e anche quel giorno sembrava non stare bene. Peter sospirò depresso. Il suo compagno di scuola, di squadra e di vita per anni, colui che pensava di conoscere perfettamente, era diventato un vero enigma. Non era più il Philip di una volta. Quello che si faceva in quattro per gli altri, per la sua squadra e per gli amici, quello che amava Jenny e avrebbe fatto di tutto per stare con lei per sempre. Era un altro, una specie di ombra di se stesso, che aveva appena l’energia per star dietro all’università, agli esami, agli allenamenti, alle riunioni di squadra e alle partite del campionato. E pensare che quando erano entrati insieme nel Sapporo avevano scommesso che nel giro di pochi mesi ne sarebbe diventato il capitano. Visto come si stavano mettendo le cose, sarebbe stato già tanto se fosse riuscito a farsi ingaggiare anche per la stagione successiva.
Mentre aspettava che anche gli altri fossero pronti, Peter ripensò con amarezza a quando era andato a riprenderlo da Baird, strafatto di chissà-che-roba-non-voleva-nemmeno-pensarci. Philip aveva impiegato un’intera giornata per tornare in sé. Era rimasto incosciente sul divano per ore, mentre lui e Grace uscivano a fare la spesa, preparavano il pranzo e mangiavano. Si era riscosso verso le sei, aveva ammesso a disagio di avere un mal di testa lanciante, li aveva ringraziati con un filo di voce e se n’era tornato a Furano.
Peter lo fissò di nuovo mentre si premeva le tempie con le dita, intontito e sofferente. E più lo guardava più si convinceva che fosse tornato da Daniel e lo avesse rifatto chissà quante volte ancora. Lo osservò mentre annodava lentamente i lacci dell’altro scarpino. Tutto era cominciato un anno e mezzo prima, dopo il viaggio a Kyoto. Lì era accaduto qualcosa, qualcosa tra lui e Jenny si era spezzato. L’amica era tornata da sola, sconvolta, scioccata. Philip l’aveva seguita poco dopo e, un giorno dopo l’altro, la loro vita si era trasformata, rendendoli entrambi due persone completamente diverse. La cosa terribile era che né lui, né Grace, per quanto ci avessero provato, erano stati in grado di aiutarli.

*

Marianne Weiland lo aspettava fuori dal campo e quando Benji la raggiunse, lei gli si aggrappò al collo sorridendo, accostò le proprie labbra alle sue e gli ficcò la lingua in bocca. Il portiere non rispose al bacio perché scoppiò a ridere e, con un filo di imbarazzo, la scostò da sé. Benché da un lato lo divertissero e gli facessero piacere, non riusciva ad abituarsi a quegli assalti, soprattutto se avvenivano davanti all’invidia dei compagni. E questo pure se era proprio con la sua carica sensuale che Marianne lo aveva attratto fin da subito. Nonostante Benji vivesse in Germania da più di dieci anni, la riservatezza giapponese faceva parte di lui e certe effusioni preferiva tenerle per la camera da letto.
La ragazza che lo aveva aspettato impaziente fuori dal cancello, aveva una cascata di capelli dorati e splendenti che le sfioravano le natiche. Li teneva per lo più sciolti, perché sapeva che attiravano inevitabilmente gli sguardi dei maschi, forse ancora più del suo fisico mozzafiato e del suo volto da bambola. Erano una criniera dorata e liscia, che brillava alla luce del sole e che sulle punte inevitabilmente si arricciava anche quando le giornate non erano umide. A Benji piaceva, dopo l’amore, farsi scorrere quei boccoli tra le dita e vederli poi riarrotolarsi quando li lasciava liberi di ricadere sulla schiena nuda di Marianne.
Le posò le mani sui fianchi caldi, sotto il cappotto che teneva slacciato, e la guardò nei suoi splendidi occhi turchesi.
-Sei pronto? Possiamo andarcene?-
-Dov’è che hai così fretta di fuggire?-
Lei sbuffò.
-Non lo immagini?- gli volse le spalle fingendosi offesa, lui le circondò la vita sottile con un braccio, si caricò la borsa sportiva su una spalla e s’incamminò verso il parcheggio.
Lo immaginava perfettamente. L’attrazione che lui provava nei suoi confronti era la stessa che provava lei. Quando si incontravano, non vedevano l’ora di gettarsi una nelle braccia dell’altro. Era la prima volta che gli succedeva di essere così attratto fisicamente da una donna e non riusciva a capacitarsene. Dipendeva da lei, dalla sua esuberanza, dalle sue risate divertite quando giocavano tra le lenzuola. Dopo quasi due mesi che si frequentavano, continuavano a mantenere gli stessi ritmi appassionati dei primi giorni, senza annoiarsi neppure un minuto.
I giovedì erano diventati una routine. Marianne lo raggiungeva al campo, si rifugiavano nel suo appartamento, amoreggiavano per ore e poi uscivano a cena insieme. Lui la portava a mangiare nei ristoranti più rinomati, più eleganti e più costosi di Amburgo. E Marianne apprezzava. Mangiava con gusto, assaggiava ciò che lui le offriva, allungando graziosamente la forchetta attraverso il tavolo. Ogni tanto gli accarezzava le dita, il dorso della mano, il braccio, dovunque riuscisse ad arrivare. I suoi piedi danzavano sotto il tavolo, alla ricerca continua di un contatto. Ogni volta che si sfioravano era una scarica d’elettricità.
Marianne quel pomeriggio indossava un abito cortissimo che la fasciava stretta e che a malapena si intravedeva sotto l’orlo del cappotto di panno turchese, come i suoi occhi. Il soprabito, forse cucito su misura, non nascondeva nulla del suo corpo mozzafiato, che i compagni di Benji avevano apprezzato, come facevano di solito, mentre le passavano accanto per raggiungere il parcheggio. Ai loro commenti lei aveva risposto a tono, con una punta di malizia, agitando i capelli biondi che avevano luccicato ai raggi del sole. Era così bella che Benji non si stancava mai di guardarla e a volte finiva per pensare a lei anche quando non erano insieme.
In realtà anche lui non vedeva l’ora di arrivare a casa. Quel giorno meritava tutti gli assalti della ragazza, si era guadagnato le sue attenzioni. In campo aveva dato il meglio di sé, non c’era stato un goal, non c’era stato un litigio. Tutto era filato liscio e adesso, dopo tanta fatica e tanta tensione, non vedeva l’ora di appropriarsi del corpo di Marianne e lasciarsi andare insieme a lei.
A pensarci bene la compagnia di una donna che gli desse tutte quelle soddisfazioni, senza troppe pretese, senza troppi capricci, se l’era conquistata davvero. Erano mesi ormai che la porta dell’Amburgo rimaneva inviolata. Non avevano mai perso una partita, erano in testa alla classifica subito dopo il Bayern, e quel fine settimana, per chiudere in bellezza il girone d’andata, avrebbero sconfitto la squadra di Schneider.

*

Evelyn rispose con poche parole al messaggio di Philip che le chiedeva come stava e accantonò il cellulare sul tavolino. Sapeva più o meno tutto di quello che l’amico stava combinando su in Hokkaido e non approvava. Da quando aveva visto la foto di lui e Julie Pilar su una rivista, aveva cominciato a tenerlo d’occhio. Per farlo era riuscita ad instaurare una specie di amicizia con un giovane fotografo di Sapporo, Bob Waley, che grazie ad uno scambio di favori si era dimostrato disponibile a non perderlo di vista. Ogni tanto si sentivano e lui la metteva al corrente di ciò che l’amico combinava. Tutto quello che veniva a sapere su Philip, Evelyn se lo teneva per sé. Non diceva nulla a Bruce, neppure una parola, neppure un accenno. Il fidanzato aveva la lingua troppo lunga. Non ne aveva parlato con Patty quando l’amica l’aveva chiamata da Barcellona dopo l’incidente per sapere come stava. Non si era confidata neppure con Amy, con cui si sentiva più spesso e con cui ogni tanto si vedeva. Ogni tanto, con discrezione, chiedeva anche ai compagni se avevano notizie di Philip e finora Tom si era rivelato la fonte più attendibile perché gli capitava di sentire spesso Peter Shake.
L’unica cosa che Evelyn non sapeva, che assolutamente non aveva scoperto neppure con tutta la ragnatela di agganci che pian piano stava intessendo, era dove accidenti si fosse cacciata Jenny. Com’era riuscita a far perdere così bene le sue tracce? Neppure la nonna s’era fatta sfuggire una parola. Di lei non sapevano niente neanche Meryl e Grace. Nessuno. Forse era a New York? Ma allora perché tutto questo mistero? Vagò a caso tra la miriade di finestre di google aperte sul desktop alla ricerca di qualche notizia da approfondire e continuò a pensare a Philip. Ridusse a icona gli articoli e andò a pescare la foto dell’amico che baciava la fotomodella. Perché lui e Jenny si erano lasciati? E da quanto tempo?
Poggiò il portatile sul tavolino, sollevò le gambe e le distese sul divano. Lavorava da ore e gli occhi stavano cominciando a farle male. Si massaggiò distrattamente il polso. Il giorno prima aveva tolto la fasciatura ma quando usava il mouse a lungo ancora le doleva. Lanciò un’occhiata oltre i vetri della finestra. Vivere in una casa da cui, nelle giornate limpide, si riusciva a scorgere il monte Fuji dal salotto era un lusso che aveva sempre sognato. La cima conica della montagna era imbiancata dalla neve e lo sarebbe rimasta fino ad aprile inoltrato. Quest’anno voleva fare almeno una volta con Bruce un salto alle terme di Hakone per rilassarsi e prendersi una pausa dal lavoro.
Tornò a spostare gli occhi dal paesaggio alla foto che campeggiava sul pc. Cosa ci trovava Philip in Julie Pilar? Aveva lasciato Jenny per lei? Non riusciva a credere che l’amico si fosse messo con una tipa del genere. Che avesse preferito lei a Jenny era inconcepibile. A Philip piacevano così? Pilar sembrava piuttosto la donna perfetta per Benji. Una bella attricetta, abbastanza famosa da non farlo sfigurare, un gingillo con cui uscire la sera, con cui farsi fotografare dai giornalisti e da portarsi a letto. Che c’entrava Philip con lei?
Dopo il primo e fortuito incontro a Kyoto negli studi televisivi, Evelyn aveva avuto modo di rivedere la fotomodella durante una conferenza stampa. Le era sembrata una ragazza estremamente superficiale a cui interessavano soltanto due cose: soldi e fama. Philip non era che un mezzo per raggiungerli entrambi. Aveva cercato su internet le sue precedenti storie e aveva notato che Pilar cambiava ragazzo a intervalli regolari. Questo le permetteva di finire spesso sulle copertine dei giornali di gossip. Per ogni intervista, come Evelyn sapeva bene, le testate sborsavano migliaia di yen.
Era inconcepibile che Philip permettesse a qualcuno di sfruttare la sua immagine per fare soldi. Nell’ultima intervista a Julie, che si augurava che l’amico avesse letto, la giornalista era arrivata addirittura a chiederle se stavolta aveva trovato l’uomo giusto da sposare. E quella maledetta stronza aveva persino risposto di sì!
E in tutto questo, dove accidenti era finita Jenny? Era impossibile che di lei non fosse rimasta traccia. Aveva chiesto a Bob Waley di pattugliare il campo del Consadole Sapporo alla ricerca dell’amica. Il giovane aveva fatto di più. Era riuscito a porre qualche discreta domanda ai giocatori, senza però ottenere nulla. Philip era nella squadra da appena un anno e i nuovi compagni non conoscevano abbastanza bene Jenny da poter avere notizie di lei. L’avevano vista così raramente che la maggior parte di loro non ricordava neppure che faccia avesse. L’unica cosa che Evelyn era riuscita ad ottenere, e non da Bob, era il numero di telefono di Grace, che però non aveva risolto il problema.
Lasciò perdere quelle riflessioni, doveva prepararsi e si stava facendo tardi. Si alzò e si spogliò lungo il percorso verso il bagno, ficcando poi tutti i vestiti nel cestino dei panni sporchi. S’infilò sotto la doccia pensierosa. Era sabato sera e ancora non aveva preparato il suo programma di lavoro per la settimana successiva. Avrebbe finito per passarci tutta la domenica. Tornò in camera da letto per indossare il vestito che aveva scelto. Un abito semplice, color melanzana, corto al ginocchio con le maniche lunghe. Niente di speciale ma in fondo era una cena informale.
La chiave che scattava nella serratura della porta d’ingresso la fece sobbalzare. Alzò gli occhi sull’orologio, erano già le sei e mezza. Aveva passato un pomeriggio a riflettere sulle sorti di Philip e Jenny senza riuscire a produrre neppure due righe da presentare al caporedattore.
Bruce la chiamò, lasciando cadere la borsa sportiva sul parquet. Evelyn udì il tonfo sordo mentre percorreva il corridoio. Lo trovò nell’ingresso, era seduto a terra a slacciarsi le scarpe da ginnastica.
-Che c’è per cena?- alzò gli occhi e la fissò. Evelyn lo aveva raggiunto in mutandine e reggiseno. La sua espressione stanca si trasformò in un largo sorriso, carico di aspettative -Pensandoci bene possiamo anche saltarla, la cena…-
Lei rise e gli si accostò. Bruce si mise in piedi e la prese tra le braccia, osservando il taglio sulla fronte, sotto la frangetta, che stava guarendo a poco a poco. Passò le mani sulla pelle calda e ancora umida della schiena, sprofondò il viso tra i suoi capelli e li sentì profumati di doccia.
-Assolutamente no.- lei gli stampò un bacio sulle labbra -Andiamo dai tuoi.-
-Ancora?! Sono distrutto, non mi va di riuscire.- mentre tornava a casa aveva programmato la serata. Voleva mangiare qualcosa, spaparanzarsi sul divano insieme a Evelyn, guardare un film e andare a letto presto. Anche se adesso, tenendola tra le braccia, i suoi programmi avevano cambiato ordine. Voleva andare a letto presto, mangiare qualcosa, spaparanzarsi sul divano e guardare un film.
Lei lo fissò costernata.
-Mi dispiace Bruce, non sono riuscita a rifiutare.-
-Lo so. È per questo che mia madre chiama sempre te quando deve invitarci.- la lasciò e sospirò -Cosa ci prepara?-
Evelyn fece spallucce.
-Mi sembrava brutto chiederle il menu.-
-Ti fai troppi problemi.-
-Per forza, è tua madre!-
-A che ora dobbiamo essere lì?-
Lei lanciò un’occhiata all’orologio.
-Verso le otto, come al solito.-
Bruce la prese per mano e la precedette in camera da letto.
-Allora abbiamo tutto il tempo che ci serve.-
-Tutto il tempo per fare cosa?-
-Indovina?-
-Non eri stanco?-
-Sì, prima. Adesso non più.-

*

Mark smontò e richiuse lo sportello appagato, talmente soddisfatto che lungo tutto il tragitto in macchina, seduto accanto a Salvatore che guidava, non era riuscito a smettere di sogghignare. Quel coglione di Gentile aveva tentato in ogni modo di organizzare una cena romantica con Jenny ma lui gliel’aveva boicottata. Non avrebbe passato quel maledetto San Valentino con l’amica in un ristorante a lume di candela, come avrebbe invece desiderato.
Avanzando sotto i portici, il respiro che si condensava in nuvolette, le mani ficcate nelle tasche per difenderle dal rigido inverno torinese, la sciarpa ben avvolta intorno al collo, si volse a guardare l’italiano che procedeva svelto accanto a lui, altrettanto infreddolito.
-Se continui a parcheggiare in divieto di sosta prima o poi ti porteranno via la macchina.-
-Quando succederà smetterò di farlo.- Salvatore proseguì, chiaramente pensieroso.
Mark sapeva perfettamente che era in ansia per la cena. Voleva far colpo su Jenny e non era sicuro di riuscirci. Gli sfuggì un sogghigno mentre l’altro continuava, perplesso.
-Forse per stasera dovevo scegliere il sushi…-
-Il sushi? Ma se ti ha sempre fatto schifo!-
-Magari Jenny lo avrebbe apprezzato.-
-Ne mangiamo a bizzeffe di sushi in Giappone. Non lo sai?- e poi il giapponese non costava mica poco. Quelle composizioni di pesce crudo artisticamente sistemate su vassoi di bambù, avevano prezzi da capogiro che, era sicuro, Gentile per Jenny avrebbe speso senza farsi mezzo problema. Meglio qualcosa di più economico, come una pizzeria per esempio. Con una ventina di euro se la sarebbe cavata. Lanciò un’occhiata a Gentile e lo vide annuire.
-Allora ho fatto bene a scegliere qualcosa di tipico.-
Mark esultò. Le premesse per una buona riuscita della serata c’erano tutte. Autoinvitandosi aveva impedito a quel mentecatto di restare solo con Jenny, aveva evitato il sushi dirottando l'amico su un'altra tipologia di ristorante e presto, molto presto, avrebbe fatto sparire quel pacchetto con il fiocco rosso che l'italiano aveva recuperato dai sedili posteriori della macchina e ficcato davanti, nel portaoggetti.
Salvatore si guardò intorno.
-Dov’è questo benedetto fioraio?-
-Maledetto direi, visto che Jenny si è intestardita a dare lezioni di giapponese a sua figlia.-
-Se la pagano bene...- l’italiano si passò una mano tra i capelli biondi per scostarli dagli occhi e seguì il compagno -E poi è stata in gamba a trovare lavoro così presto. In fondo è qui da un mese.-
-Chiamalo lavoro…-
Erano quasi le otto, avevano una gran fame e Rob e Dario li aspettavano al ristorante. Jenny era ferma davanti l’ingresso del negozio, li salutò con un sorriso contento e un mazzo di margherite in mano.
-Bei fiori.-
Lei alzò gli occhi su Salvatore e sorrise, agitandoli nell'aria.
-È una specie di mancia.- Jenny li seguì fino alla macchina e prese posto sui sedili posteriori.
Mark si sedette davanti e si volse a guardarla.
-Non è che per caso si tratta del figlio del fioraio e non della figlia?-
Lei lo guardò infastidita.
-Se non ti fidi vai a controllare!-
Gentile non poté capire nulla del loro botta e risposta in giapponese, così li ignorò e si concentrò sulla guida. C’era poco da fare. Jenny non capiva l’italiano, Landers era una frana in inglese e lui non parlava il giapponese. A volte comunicare diventava una vera fatica.
Così stettero più o meno in silenzio per quasi tutto il tragitto, ognuno immerso nei propri pensieri. Salvatore continuava a chiedersi se avesse scelto il ristorante giusto, Mark si domandava perché l’amica si fosse d’improvviso messa in testa di voler lavorare pur non avendone la necessità e Jenny, con una certa angoscia che rischiava di rovinarle la serata, se il mancato versamento mensile di suo padre sul conto che condividevano fosse una dimenticanza o una decisione scaturita dall’infelice frase con cui l’aveva salutato quando era andata via di casa. “Sai che c’è?” gli aveva gridato dalle scale con tutta la collera che aveva dentro “Al diavolo i soldi! Io qui non ci sto più!” e suo padre aveva reagito nel modo più ovvio, vale a dire tagliandole di netto i fondi. Ma quella sera Jenny non ci voleva pensare.
Varcarono una porta di legno di poche pretese, incassata in un signorile palazzo bianco, al lato di una piazza su cui sorgeva uno degli edifici storici di Torino, un museo in cui Mark non era mai entrato. Da fuori il ristorante aveva un aspetto ordinario e lui credette davvero che lo fosse, finché un cameriere in giacca e papillon li accolse impettito e li introdusse nella sala grande.
Jenny spalancò gli occhi di fronte allo sfarzo che le si aprì davanti e che quella porta quasi dimessa non lasciava assolutamente intuire. Le pareti erano ricche di stucchi barocchi ori e tappezzeria rosso cremisi, specchi ovunque incassati nei muri, lampadari con gocce di cristallo che riflettevano le luci in migliaia di bagliori. Sembrava di essere appena entrati in una reggia. Seguì Salvatore frastornata da tanto lusso, mentre dietro di lei Mark imprecava contro l’italiano.
Landers era fuori di sé. Era stato fregato, Gentile l’aveva clamorosamente beffato! Di sicuro erano finiti nel locale più caro di Torino. Ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa. Capì che questa era la sua vendetta. Non aveva lasciato che Jenny passasse con lui quella serata e Salvatore si era ingegnato per fargliela pagare cara, in ogni senso.
-Maledetto stronzo.-
Jenny lo udì ma non si curò di lui. Si stava guardando intorno e procedeva distratta, osservando le pietanze sui tavoli occupati. Diamine, Salvatore si trattava più che bene. Fu sicura all’istante che se fosse stato per Mark, non avrebbe mai messo piede in un ristorante così di classe. Del resto anche lei, lì in Italia, probabilmente non si sarebbe potuta permettere una cena di quel tenore. Mentre attraversavano le sale i commensali li seguirono con lo sguardo, scambiandosi occhiate eloquenti subito dopo. Una ragazza diede una gomitata al suo accompagnatore e gli indicò Gentile con un cenno della testa. Salvatore non si accorse di nulla e se lo notò, si mostrò del tutto indifferente all’interesse suscitato dalla sua apparizione. Jenny si era accorta già da un po' che dovunque andava veniva notato. Probabilmente ciò accadeva ormai da così tanto tempo che l'italiano non sembrava neppure rendersi più conto dell’effetto che faceva sulla gente.
-E tu che ci fai qui?-
La domanda di Mark la indusse a voltarsi. Individuò Rob e Dario già seduti, i bicchieri ricolmi di un liquido ambrato, degli stuzzichini nel piatto e, accanto a loro, una ragazza che sorrise al saluto scorbutico di Mark. Aveva un viso molto bello. Doveva essere un’euroasiatica, solo gli occhi erano quelli di una giapponese, allungati però castano chiaro. Indossava una camicetta bianca che lasciava intravedere le curve di un seno generoso che Jenny le invidiò non appena vi posò gli occhi.
-Mi ha invitata Rob. Comunque anche a me fa piacere vederti, Mark.-
Quando incrociò gli occhi di Jenny, la sconosciuta le dedicò un altro bel sorriso, tendendo la mano verso di lei.
-Finalmente ti conosco. Sono un’amica di Rob, mi chiamo Carol.- le si rivolse in un giapponese perfetto ma con un leggero accento straniero -Se non mi avessero già avvertito del contrario, penserei davvero che sei la fidanzata di Mark. Non l’ho mai visto portarsi dietro una ragazza.-
A Jenny sfuggì un sorrisetto, sollevò su Landers un’occhiata divertita e lui rispose sbuffando. Poi si sporse sul tavolo e le strinse la mano.
-Mio padre è giapponese, di Tokyo. Mia madre invece è italiana. Sono nata qui ma per fortuna mio padre ha avuto il tempo di insegnarmi la sua lingua.-
Jenny la guardò meglio, praticamente la esaminò. Aveva i capelli tagliati cortissimi sulla nuca e un caschetto così biondo da risultare quasi bianco. Sulla frangetta lunga che le ricadeva da un lato fin quasi al mento, risaltavano tre sottili ciocche viola. Oltre alla sua curiosa pettinatura, sfoggiava un make-up perfetto. Quando lei la invitò a farlo, Jenny le si sedette accanto e Gentile si affrettò ad appropriarsi della sedia al suo fianco, prima che lo facesse Mark.
-Questo è il mio posto, Landers. Non ci provare.-
-E chi lo ha deciso?-
-Io!-
Carol li guardò, poi abbassò gli occhi sulla ragazza.
-Che carini, litigano per sedersi vicino a te.-
Jenny arrossì.
-Litigano perché gli piace farlo.-
Rob la udì e rise.
-Hai perfettamente ragione!-
Carol afferrò il menù e lo aprì sotto gli occhi di Jenny.
-Cosa prendi da bere?-
-Non so… acqua?-
-Scherzi? Questo ristorante ha la selezione di vini migliore di Torino!-
Le sventagliò davanti la carta dei vini e Jenny la prese. Scorse rapida i prezzi e si sentì mancare. Sessanta euro il più economico, poi centoquaranta, centottanta, duecentocinquanta… Sperò che Mark non l’avesse a portata di mano, sarebbe stato capace di alzarsi e andarsene, o peggio farsi venire un infarto. Continuò a leggere gli importi: quattrocentocinquanta, seicentoquaranta, milleseicento, tremilatrecento… La chiuse di botto e la restituì a Carol.
-Non capisco niente di vino.-
Carol la guardò prima interdetta, poi divertita.
-Neanch’io.- alzò gli occhi su Salvatore che le osservava, desideroso di prendere in qualche modo parte ad una conversazione in giapponese che non capiva -Pensa tu al vino, visto che te ne intendi.- tornò a rivolgersi a Jenny -Concentriamoci sui primi. Cosa vuoi?-
Jenny abbassò gli occhi sull’altro menù e studiò i prezzi accanto alle pietanze. Neanche lì si sarebbero salvati. Altro che ristorante italiano a Tomamu, dove aveva prestato cinquemila yen a Mark. Qui ogni piatto costava dai venti ai quaranta euro. Lanciò un’occhiata all’amico: fissava sgomento le due pagine che teneva aperte davanti agli occhi. Era diventato cinereo, probabilmente stava per venirgli davvero un colpo.
-È scritto tutto in italiano…- temporeggiò Jenny. Lanciò un’occhiata a Mark, quasi a chiedergli aiuto, ma lui continuava a tenere gli occhi fissi sul menù, attonito, e non la guardava. Sentì Gentile sfiorarle una mano e si volse.
-Jenny, che vuoi mangiare?-
Gli dedicò il suo sorriso migliore.
-Scegli tu per me.-
Carol seguì il loro botta e risposta, poi sorrise.
-È proprio preso… e sentiti fortunata! È pieno di ragazze che gli sbavano dietro e che darebbero qualsiasi cosa per essere al tuo posto.-
-Anche tu?-
-No, per fortuna io no.- lanciò un’occhiata al biondo -Non è il mio tipo, per niente. Uno così ha troppe tentazioni, va a finire che te lo sfilano subito. Meglio lasciarlo direttamente alle altre. Comunque Rob mi ha detto che sei qui da settimane. Se non l’avessi saputo solo ieri, sarei venuta a conoscerti molto prima. Sono sicura che ti sei annoiata da morire, con Mark.- gli lanciò un’occhiata -Rob mi ha detto che non ti ha portata da nessuna parte.-
-Aveva da fare, ho girato da sola.-
Lei la guardò scandalizzata.
-Ma ci sono posti in cui non puoi andare da sola! Pub, ristoranti, locali, discoteche… Ti stai perdendo tutto il meglio!- sospirò -Fortuna per te che adesso ci sono io. Domani ti passo a prendere e ti faccio conoscere i miei amici.- ci pensò -No, domani no perché lavoro. Va bene dopodomani?-
-Quando vuoi.- figuriamoci, lei di tempo libero ne aveva a bizzeffe e non sapeva come occuparlo -Che lavoro fai?-
Carol le sorrise. Iniziava ogni frase con un sorriso che era una gioia per l'umore.
-Mi adatto a fare tutto quello che capita.- le strizzò un occhio -Ho studiato per diventare estetista a domicilio…- abbassò la voce -In nero… sai, di questi tempi… E poi lavoro saltuariamente in un centro benessere. Cosa si fa per campare.- allungò verso di lei le sue unghie perfettamente curate e decorate da disegni e brillantini. Jenny le guardò ammirata -Insomma, mi attrezzo come posso. I soldi non bastano mai.-
-A chi lo dici.-
Lei la scrutò e le si accostò.
-Hai bisogno di soldi?-
-Come dici tu, non bastano mai.-
Carol si guardò intorno guardinga. Nessuno faceva caso a loro e proseguì, scrutandola con attenzione. Le scostò una ciocca di capelli dal viso e gliela passò dietro l’orecchio.
-Sei carina, graziosa.- prese atto, facendola arrossire -Se vuoi posso mostrarti un modo per guadagnare bene in poco tempo…- lasciò in sospeso la frase, poi le si avvicinò così tanto che Jenny percepì il suo profumo solleticarle le narici e riuscì a individuare pagliuzze dorate nelle iridi marroni -Ti interessa?-
La giovane guardò Rob che rideva con Dario di qualcosa. Mark le stava osservando ma era dall’altra parte del tavolo, troppo lontano per udirle. Salvatore le lanciava delle occhiate curiose, ma lei e Carol parlavano in giapponese e non poteva capire nulla di ciò che si dicevano.
Arrivò il cameriere a prendere le ordinazioni.
-Potrebbe interessarmi.- le disse in un sussurro -Che genere di lavoro?-
Carol non le rispose. Si volse e ficcò una mano nella borsetta appesa alla spalliera della sedia in cerca del cellulare.
-Dammi il tuo numero, ti chiamo e te lo spiego con calma. Questo non è il momento adatto per parlarne.-

Philip frugò tra le sue cose alla disperata ricerca del gioco della playstation che Peter Shake gli aveva prestato mesi e mesi prima. Doveva ripescarlo alla svelta e ripartire per Sapporo al più presto o sarebbe arrivato in ritardo agli allenamenti che iniziavano alle tre.
Era chino ormai da troppo tempo su uno scatolone riesumato dall’armadio della sua camera da letto di Furano, nel quale aveva finito per ammucchiare tutto ciò che non sapeva dove mettere, insieme a qualsiasi cosa che lo riportasse con la mente ad un passato scomodo da ricordare. Aveva accantonato a terra da una parte tutto quello che gli era capitato sotto mano, persino un vecchio zaino che era convinto di aver buttato da tempo. Trovò addirittura un biglietto dell’autobus vecchio di dieci anni, ma del gioco di Peter nessuna traccia.
Si lasciò cadere seduto sul pavimento e si volse a guardare l’ora. Era quasi l’una, doveva darsi una mossa.
-Philip! Il telefono!- la voce squillante di sua sorella riuscì ad oltrepassare persino la porta chiusa.
Si alzò sospirando e si affacciò nel corridoio, rispondendo a Kate che lo chiamava di nuovo. Scese le scale, afferrò l’apparecchio e riconobbe la voce di Tom dall’altra parte del filo.
“Tutto bene?”
Se Philip non avesse saputo che l’amico non era al corrente dei più recenti sviluppi della sua esistenza, avrebbe pensato che con quella domanda lo stesse sfottendo. Ultimamente erano tutti preoccupati per lui. Prima Julian, ora Tom. Ci mancava solo Mark e avrebbe fatto bingo. Sperò che l’elenco finisse lì. Rispose leggermente scanzonato.
-Perfettamente.-
“Ti ho disturbato?”
-Sto per uscire, devo tornare a Sapporo.-
“Ho provato a chiamarti al cellulare ma ce l’hai spento. Hai ricevuto la telefonata di Marshall?”
-Sì.-
Con Freddie aveva parlato giusto quella mattina e, senza troppi preamboli, il mister gli aveva ordinato di presentarsi domenica a casa di Benji, a Fujisawa, dov'era in programma una riunione della nazionale. Marshall l’aveva beccato in un momento poco opportuno (era in compagnia di Julie), e non era stato ad ascoltarlo con troppa attenzione, ma pur non cogliendo la ragione di quell'incontro, aveva acconsentito subito. L'improvviso cambio di programma gli avrebbe permesso di sganciarsi dalla ragazza almeno per un paio di giorni. Frequentare Julie per troppi giorni di seguito gli diventava pesante e quando ciò accadeva, non vedeva l'ora di staccare la spina. Marshall gli aveva fornito la scusa perfetta per mollarla a Sapporo e tagliare la corda.
Obiettivamente a volte Philip proprio non la sopportava. Gli diveniva impossibile riuscire ad adattarsi alla sua leggerezza e alla sua superficialità. Stava ore a parlargli di niente, annoiandolo a morte senza rendersene conto, segnale di quanto fosse concentrata su se stessa. Loro due non avevano nulla in comune, nessun argomento di conversazione, e a volte Philip si trovava a chiedersi perché continuasse a frequentarla. Forse unicamente per sentirsi meno solo. Eppure c’erano giorni in cui rimpiangeva di non esserlo davvero, soprattutto quando gli telefonava per raccontargli tutto quello che succedeva sul set, cose che a lui non interessavano minimamente. Restava ad ascoltarla in un silenzio ostile, sperando che finisse presto. Del resto era anche vero che Julie si mostrava disponibile e accogliente ogni volta che la cercava. Abitava da sola in un appartamentino in affitto a Sapporo, dove Philip si rifugiava quando gli faceva comodo e quando ricominciava a pensare al passato. Lei lo riceveva sempre a braccia aperte, sorvolando sulle volte in cui non si faceva sentire per giorni interi. Il tono interrogativo di Tom lo riscosse, riportandolo alla realtà.
“Vieni anche tu?”
Philip si rese conto che non era stato ad ascoltarlo.
-Scusa Tom, non ti ho seguito.-
“Holly e Patty arrivano a Fujisawa venerdì. Benji torna appositamente. Abbiamo pensato di vederci un giorno prima per stare un po’ insieme. Nicole si è offerta di ospitare Julian, Amy, te e Jenny. Venite o no?”
Philip tacque, colto alla sprovvista da una proposta che assolutamente non si aspettava. Che poteva fare se non metterlo al corrente? L’unica cosa positiva era che, una volta avvertito Tom, lui lo avrebbe sicuramente detto agli altri risparmiandogli di dar loro la notizia. Era bene che, prima di incontrarli, gli amici avessero il tempo di digerire la novità.
-Jenny ed io non stiamo più insieme.-
Tom ci mise un po’ a riordinare le idee.
“Non lo sapevo. Mi dispiace.”
-Verrò domenica mattina insieme a Peter, abbiamo già prenotato l’aereo. Scusa ma si sta facendo davvero tardi. Ciao.-
Dopo aver riagganciato, l’umore di Philip, che era già all’altezza delle ginocchia mentre frugava nell’armadio, ora gli calò sotto i piedi. Risalì stancamente le scale e si richiuse in camera, facendo finta di non udire le domande di una sorella troppo curiosa che lo incalzavano lungo i gradini. Si sedette sul letto e rimase a fissare gli oggetti sparpagliati sul pavimento.
Per l’ennesima volta si chiese cos'era che nella sua vita non andava. Era stanco di quell’apatia che gli toglieva la voglia di fare tutto, di quei mal di testa che lo assalivano all’improvviso e lo svegliavano la notte. Era stanco della sua irascibilità, a cui non riusciva a dare una ragione e per la quale non trovava soluzione. Si passò una mano sul viso e poi tra i capelli. Un raggio di sole, spuntato all’improvviso dal cielo nuvoloso e carico di neve, si incanalò attraverso i vetri e andò a colpire gli oggetti ammucchiati a terra alla rinfusa, riflettendosi su una superficie lucida che spuntava da sotto un libro. Quel luccichio gli finì negli occhi e attirò la sua attenzione. Si alzò e si chinò, trovando finalmente il gioco che cercava. Che fortuna sfacciata! Peter l’avrebbe finita di assillarlo. Lo gettò sul letto e tornò a fissare la superficie lucida che continuava a brillare, ferendogli gli occhi. Riconobbe la foto sua e di Jenny che fino a qualche mese prima era stata in bella mostra sulla scrivania. Erano ancora dei bambini e gliel’aveva scattata Peter a scuola, il primo anno del liceo. Jenny era tornata dall’America da tre settimane e si erano appena messi insieme. La felicità che traspariva dai loro volti gli fece male. Si affrettò ad allungare la mano, afferrare la cornice e lanciarla dentro lo scatolone. La seguirono tutti gli altri oggetti che erano rimasti fuori, seppellendola sotto uno spesso strato di cianfrusaglie. Ripose la scatola nell’armadio e si lasciò cadere sul letto. Scostò il gioco di Peter che gli si era conficcato dolorosamente tra le costole e chiuse gli occhi, coprendoseli con un braccio. Poi si ricordò che alle tre doveva essere a Sapporo per gli allenamenti, allora scattò in piedi e uscì di corsa.

A conti fatti Jenny aveva assaggiato almeno tre tipi di vini, che Salvatore da una parte e Carol dall’altra, le avevano versato nel bicchiere, rimasto sempre mezzo pieno durante tutta la serata. Carol aveva monopolizzato la conversazione per una buona mezz’ora, chiedendole vita-morte-e-miracoli e lei si era destreggiata come meglio aveva potuto, dicendo il meno possibile senza essere scortese. Fortunatamente Carol non si era dimostrata troppo curiosa e aveva risposto a tutte le domande che le aveva rigirato, dilungandosi molto sulla sua infanzia metà italiana e metà giapponese con un fratello maggiore che la viziava più dei suoi genitori.
Poi, ad un certo punto, Gentile si era stancato di essere ignorato. Ogni sorriso seducente che rivolgeva a Jenny veniva appena notato, ogni tentativo di conversazione cadeva nel vuoto. Era quasi un’ora che ascoltava le inutili chiacchiere dei compagni che gli sedevano davanti a quel tavolo rotondo e lussuoso mentre la ragazza che intendeva conquistare era girata dall’altra parte, a parlare in giapponese di qualcosa che non avrebbe mai potuto né capire né condividere. A cosa era servito portarla in quello spettacolo di ristorante se poi lei neppure lo notava? Quando non ne poté più, si alzò per andare in bagno e lì decise che avrebbe messo a tacere Carol una volta per tutte. Tornò verso il tavolo attirando ancora parecchi sguardi, arrivò alle spalle della giovane, si chinò su di lei e accostò le labbra al suo orecchio. Il respiro caldo di Salvatore le solleticò il collo facendola rabbrividire.
-Se non smetti immediatamente di parlare con Jenny, ritiro l'offerta e dovrai pagarti la cena da sola.-
Carol si volse di scatto, incrociando un lampo azzurro di fastidio. Salvatore era serio, fin troppo. Si fece veloce due conti e capì sgomenta che se lui avesse messo in atto la minaccia, per quella cena avrebbe speso l’equivalente di cinque giorni di lavoro. Così, mentre il ragazzo tornava a sedersi al suo posto, a lei non rimase altro da fare che sorridere a Jenny, dirle ancora qualcosa giusto per concludere la conversazione, e voltarsi verso Rob che sedeva dall’altro lato, per scherzare e ridere con lui.
Fu quando Jenny si alzò che si rese conto che la testa le girava. Neppure il freddo delle Alpi riuscì a schiarirle le idee. Così, quando uscirono dal locale, si accostò a Mark e gli si aggrappò al braccio.
-Credo di aver bevuto troppo vino.- più che crederlo, in realtà ne era convinta. Alzò gli occhi su di lui e tentò un sorriso, ma il ragazzo non ricambiò.
Mark era furioso, ce l’aveva a morte con Gentile per aver scelto quel ristorante. Non aveva mai speso così tanto per una cena. Con l’equivalente della sua parte, quando era ancora alle medie, lui, sua madre e i suoi fratelli erano andati avanti per un mese. Non poteva davvero credere di aver speso tanto per aver mangiato due stronzate di tonno, una foglia di radicchio con quattro chicchi di riso tinti di vino rosso, un involtino alla salsa di mela e pepe, una specie di muffin alle carote e formaggio e un dolce al cucchiaio non ben identificato. Aveva evitato il vino per protesta, perché le bottiglie costosissime che Gentile s’era fatto portare a tavola se le sarebbe pagate da solo. Ma tanto, anche andando avanti per tutta la cena con l’acqua, il conto era stato stratosferico. E lui aveva una fame da lupi. Lanciò un’occhiata a Jenny, che non aveva tirato fuori un euro perché Gentile aveva pagato per entrambi e pure Carol. Stizzito allungò il passo e lei vacillò per stargli dietro. Quando inciampò su un sampietrino, la sostenne.
-Mi gira la testa.-
-Tra mezz’ora ti ficcherai a letto e la testa non ti girerà più.-
-Dici?-
Mark non le rispose. Non lo sapeva e in fondo non gliene fregava niente. In fin dei conti, la colpa del salasso era la sua. Aoi li superò lanciando loro un’occhiata divertita, poi raggiunse Gentile che stava salendo in macchina. Belli s’era già accomodato davanti al posto del passeggero, rabbrividendo al freddo di quella prima metà di febbraio.
-Speriamo che non nevichi.-
Salvatore annuì distratto, osservando Mark e Jenny che si avvicinavano e lanciando al ragazzo un’occhiata infastidita. Le stava appiccicato, non la mollava un attimo. Ora che s’era tolta di torno Carol, ci si era messo lui. Perché non si levava dai piedi una buona volta?
Rob seguì il suo sguardo e sorrise.
-Mark t’aveva detto di smettere di versarle da bere.-
L’altro fece spallucce.
-Tu piuttosto avresti dovuto riaccompagnare Carol a casa.- erano in troppi ad essere rimasti. Se voleva concludere qualcosa, doveva restare solo con Jenny. Ma come poteva con Landers sempre intorno come un mastino da guardia?
-Non andava a casa ma a lavorare in discoteca.-
-E allora dovevi andare in discoteca con lei.-
Aoi scosse la testa ed entrò in macchina.
-Sono a pezzi! Stamattina abbiamo fatto un superallenamento con i fiocchi, vero Dario? Pensa che non volevo neppure venire, stasera.-
-Allora potevi restartene a casa.-
-Carol ha insistito parecchio.-
-Lo immagino.-
Attraverso lo specchietto retrovisore, Salvatore vide Jenny e Mark salire finalmente in macchina. Lo stronzo le si era incollato addosso come un adesivo. Spostò gli occhi su di lei, indugiando sulle guance arrossate dallo sbalzo di temperatura, sugli occhi resi brillanti dal vino e sulle labbra tinte di nuovo da un rossetto, di sicuro opera di Carol che, prima di lasciare il ristorante, l'aveva trascinata in bagno.
-Mark…- un filo di voce carico di imbarazzo uscì dalle labbra della giovane -Sono in uno stato pietoso, vero?-
-No, e poi comunque non è colpa tua. Non avresti bevuto tanto se qualcuno non avesse insistito in maniera indecente a riempirti di continuo il bicchiere.-
Mentre Gentile s’infilava nel traffico del venerdì sera, Jenny si accostò di più a Mark perché sentiva freddo e il calore del suo corpo era gradevole. Sospirò esausta. Era stanca e non vedeva l’ora di arrivare a casa.
Quando la macchina si fermò lungo il marciapiede, l’italiano spense il motore. Attese che Rob, Mark e Jenny scendessero e si volse verso Dario.
-Visto che non possiamo dormire tutti da Landers, se tra dieci minuti non torno puoi andare da me.- si frugò nelle tasche e gli consegnò le chiavi di casa. Poi smontò e corse a raggiungere Jenny.
Entrarono in casa insieme, dietro Mark che li precedeva accendendo le luci e Aoi che si trascinava dietro la borsa. Se l’era portata fin nel ristorante, perché quella notte Landers aveva promesso di ospitarlo. Rob raggiunse in cucina il padrone di casa, mentre si versava un bicchiere d’acqua.
-Dove dormo?-
-Sul divano. La camera degli ospiti l’ha occupata Jenny.-
-Posso avere dell’acqua anch’io?-
Mark annuì, prese un bicchiere dallo scolapiatti e glielo porse, lasciando che Rob se lo riempisse dal rubinetto.
-Sono pieno come un uovo.-
Bastò la sua ingenua constatazione per rinfocolare il malumore di Landers.
-Maledetto bastardo, sono sicuro che l’ha fatto apposta!-
-Chi?-
-Quel pallone gonfiato di Gentile!-
-Ha fatto cosa?-
-Ha scelto il ristorante più caro di Torino, porco mondo!-
A Rob sfuggì un sorrisetto.
-Sicuramente voleva far colpo su Jenny!-
-Il colpo per poco non l’ha fatto prendere a me!- si appoggiò al lavello -Ti rendi conto quanto abbiamo speso per cenare? E oltretutto ho ancora fame! I piatti erano mezzi vuoti, tutti assaggi e stuzzichini!-
-Io ho mangiato bene e pure troppo.-
-Quello stronzo! Mi dovrà restituire fino all’ultimo centesimo! E con gli interessi!-
Il telefono di casa squillò improvviso. Gli occhi di Mark corsero all’orologio appeso sulla parete d’ingresso della cucina. Erano passate le undici quindi in Giappone erano quasi le otto del mattino. Uscì nel corridoio, incrociò Jenny e Salvatore fermi ai piedi delle scale a parlare e ridere di qualcosa, e si affrettò a rispondere.
“Mark, stai dormendo?” era sua madre.
-No, sono appena rientrato.-
“Sei stato a cena fuori?”
Sbuffò.
-Non farmici pensare, ma’…-
“Tua sorella stamattina parte per la gita scolastica.”
-Dov’è che va?-
“Kyoto, Osaka e Nara. Ti voleva salutare.”
-Passamela.- distolse gli occhi da Gentile e Jenny che parlottavano, i volti vicinissimi che quasi si sfioravano e appoggiò la fronte contro il muro, affranto, perché con il prezzo della cena avrebbe potuto comprare una valanga di cose per i suoi fratelli e per sua madre. Forse il fatto che la sua famiglia lo avesse chiamato proprio in quel momento era un segno. Serviva a non fargli dimenticare che aveva gettato al vento tutti quei soldi.
Salvatore lo vide voltarsi verso la parete, così coinvolto dalla telefonata da non far caso a loro. Si chinò su Jenny e le sorrise. Gli occhi erano socchiusi e brillanti come stelle, e profumava di buono. Aveva sentito, baciandola qua e là sulle labbra e sul viso, il sapore e la fragranza del suo corpo e non quella del fondotinta, della cipria, del fard, come avveniva di solito. Jenny non si era coperta di strati e strati di trucco. La sua pelle era vellutata come pesca, la grana fine e liscia come la porcellana. Baciarla, posare le labbra su di lei, era un piacere.
-Saliamo?-
Jenny annuì, aveva sperato che glielo chiedesse. I baci di Gentile le piacevano, anche il suo odore le piaceva. Le piaceva come la guardavano i suoi occhi, le piaceva affondare le dita tra i suoi capelli d’oro, morbidi come la seta sulla nuca e induriti in ciocche dal gel sulla fronte. Quella sera desiderava follemente che l’abbracciasse e la baciasse. Il ragazzo le infondeva tranquillità e lei voleva sentirsi protetta e coccolata, soprattutto voleva sentirsi amata. Voleva provare di nuovo la piacevole sensazione di braccia forti che le circondavano la schiena, il calore e la sicurezza che poteva infonderle un corpo maschile. Voleva provare di nuovo il sapore e l’eccitazione dei baci, di qualsiasi bacio. Era la prima volta dopo molti mesi che qualcuno la prendeva tra le braccia e lei aveva disperatamente bisogno di non sentirsi più sola. Mentre salivano le scale, sollevò il viso verso di lui. Era così vicina che se avesse fatto un altro minuscolo movimento, lo avrebbe sfiorato. Scorgeva il suo bel viso attraverso il chiarore che veniva da giù, dalle luci del salotto, il lampo azzurro dei suoi occhi e l’oro dei capelli. Obiettivamente Salvatore Gentile era bellissimo.
Entrarono insieme in camera da letto, Jenny accese la luce e fu contenta di averla sistemata quella mattina, prima di uscire di casa. I libri sul tavolino erano disposti in bell’ordine e il copriletto era stirato e teso, pronto ad essere stropicciato da loro. Salvatore riaccostò la porta tendendo indietro un braccio, senza neppure voltarsi. Poi la prese tra le braccia e unì le proprie labbra alle sue.
Jenny si perse, nei suoi baci. Non si accorse che lui le sbottonava impaziente il cappotto finché non se lo sentì scivolare giù dalle spalle. Lasciò che cadesse a terra, non gliene importò. Gli circondò il collo con le braccia per accostarlo a sé. I baci di Salvatore le piacevano, così come le piacevano le sue carezze. Le piacevano i suoi occhi azzurri ombreggiati da ciglia dorate, i suoi capelli del colore del grano, il suo profumo, la sua pelle calda, i suoi muscoli. Le piaceva il suo sorriso, il suo sapore, le sue mani che le percorrevano il corpo delicate. Le piaceva la sua voce, le sue attenzioni, la sua allegria. Soprattutto non avrebbe mai creduto che qualcun altro che non fosse Philip sarebbe stato in grado di risvegliare il suo corpo in modo così eccitante. Eppure lui, con i suoi baci e le sue carezze, le stava stimolando tutti i sensi in un modo così inatteso da renderla incapace di controllarsi.
Mark li osservava in silenzio dalla soglia già da un paio di minuti e l’idea di essere di troppo non gli attraversò la mente neppure un istante. Li guardava baciarsi e rifletteva, perché non riusciva a farne a meno. Il conto salato che aveva pagato a cena gli ribolliva nel sangue, ma il pensiero che lo angustiava di più era Philip. Lo conosceva da quasi dieci anni e dopo il burrascoso primo incontro alle elementari avevano imparato a sopportarsi, poi a intendersi, soprattutto in campo. Da quando si erano ritrovati insieme in nazionale l’iniziale rivalità era scomparsa, lasciando il posto alla collaborazione e alla stima. Quante volte Philip gli aveva passato degli splendidi assist per permettergli di segnare? Quante volte Philip l’aveva appoggiato durante le innumerevoli discussioni che con il suo carattere poco incline alla diplomazia si era tirato addosso in campo, negli spogliatoi, durante i ritiri? Pensò che nascondendogli la presenza di Jenny a casa sua aveva tradito la sua fiducia. Fu costretto ad ammettere che aver deciso di ospitarla senza dirgli niente non era ciò che avrebbe fatto un amico. Decise che se voleva rimediare in qualche modo, doveva fermare quella pazza della sua fidanzata (o ex, come tanto insisteva a dire lei) e impedirle di lasciarsi conquistare dal primo arrivato. Soprattutto poi se si trattava di quel cretino di Gentile, che la seduceva dopo averla fatta bere.
-Vattene.-
Jenny sussultò e Salvatore si volse. Lo videro in piedi, appoggiato sullo stipite della porta socchiusa, le braccia incrociate al petto. Gentile si irrigidì, poi si scostò dalla giovane esasperato.
-Sono stanco di te, Landers! Della tua gelosia, o invidia, o come diavolo vuoi chiamarla! Togliti dalle palle una buona volta!-
Mark si staccò dal muro e avanzò verso di loro.
-Sei tu che devi toglierti dalle palle! Sei tu che devi tornartene a casa!-
Parlò di nuovo in italiano ma per Jenny il messaggio fu chiaro lo stesso, perché lui indicò la porta con il braccio teso.
-Mark…- cercò di avvicinarsi per placarlo, per dirgli che non doveva intromettersi, che doveva lasciarli soli e uscire dalla sua camera. La testa le vorticò in modo spaventoso e barcollò. Il fatto di non riuscire a tenersi in piedi in un momento simile non le piacque e maledisse il vino che aveva mandato giù durante la cena. Sentì Salvatore continuare a parlare, in italiano. Non capì nulla.
-Pensi di farle del bene, intromettendoti nella sua vita privata?-
-Penso di farle del bene tenendola lontana da te!-
-Cos’è che ti dà fastidio se stiamo insieme?-
-Tutto! Tu non vai bene per lei! Non sei affidabile, non sei serio, non sei maturo! Troppe ragazze ti ronzano intorno! Per non parlare dei giornalisti, che se vi scoprissero insieme non le darebbero più pace!- fece una pausa -Jenny non ha bisogno di te né di tutto il corredo di presunzione, di arroganza, di notorietà e di ricchezza che ti porti dietro! Possibile che tu non lo capisca?-
Salvatore lasciò che quelle parole gli scivolassero addosso.
-E allora di chi ha bisogno? Di uno come te?- vide gli occhi di Mark lampeggiare e rise -Tu sei solo capace di impedirle di divertirsi, la controlli come se fosse una bambina di sei anni. Non ti va bene se esce la sera, se torna tardi, se lavora, se va a fare shopping… Le stai impedendo di vivere! La tua casa è una prigione!- abbassò gli occhi sulla ragazza che lo fissava sgomenta, come al solito esclusa da una conversazione che non capiva. Tornò a rivolgersi a Mark -Jenny è in grado di decidere da sola cosa fare e con chi! E sono sicuro che te lo dirà non appena me ne sarò andato!-
Sentirsi prendere in causa continuamente alla giovane non piacque, ma ancora meno ciò che leggeva sui loro volti. Si sarebbero azzuffati? Lei non voleva, non voleva assolutamente. Assistere al loro litigio, di cui era la causa, la faceva stare male. L’atteggiamento prepotente di Mark nei confronti di Salvatore era inaccettabile. Immaginava che si comportasse in questo modo perché era preoccupato per lei, ma non doveva permettersi di fare una piazzata simile in un momento così intimo. Ricacciò indietro le lacrime che premevano per uscire e cercò di nuovo di salvare il salvabile.
-Mark, cosa gli hai detto?-
Lui la ignorò, non le prestò attenzione. Si comportò come se non avesse parlato, come se non fosse presente, come se non esistesse.
-Credi davvero che Jenny sia in grado di scegliere cosa sia meglio per lei dopo tutto il vino che le hai fatto bere? O magari tu le tue donne le seduci solo dopo che le hai fatte ubriacare?-
Fu un’insinuazione meschina e bruciante. Le dita di Salvatore cominciarono a prudere. Serrò e aprì i pugni un paio di volte e lo guardò furente, troppo tentato di scagliarglisi addosso. Capì che Landers sarebbe uscito da quella stanza soltanto dopo di lui. Pessima serata, maledetto stronzo! Raccolse la giacca da terra e si volse verso Jenny, che allungò una mano e strinse la sua, cercando di trattenerlo. Ma l’occhiata che lui le rivolse la intimidì e non riuscì a trovare le parole per farlo restare.
-Ci vediamo domani.- la salutò brusco.
Uscì urtando la spalla di Mark. Imboccò le scale di corsa in preda ad un'ira feroce. Non aveva bisogno di farle bere, lui, le donne, per conquistarle. In genere gli cadevano ai piedi senza che muovesse un dito. Sbatté la porta d’ingresso con violenza, uscì sulla strada e raggiunse la macchina. Dario fu contento di aver aspettato ancora un po’.
-È andata male?-
-Quel bastardo di Landers! Lo detesto!-
Jenny guardò l’amico pallida come un cencio, le mani strette nervosamente una nell’altra. Incredula, umiliata.
-Mark… Perché lo hai fatto?-
-Perché stava approfittando di tutto il vino che ti ha versato nel bicchiere.-
-Non è vero!-
-Jenny, l’ho fatto per te!-
Lei lo fissò, gli occhi spalancati, e non gli credette. Indietreggiò, urtò il letto con le gambe e finì seduta sul materasso.
-No, lo hai fatto per vendicarti della cena.-
-Be’ sì, anche.-
Le salirono le lacrime agli occhi.
-Hai rovinato tutto.-
-Tutto cosa? Non c’era nulla da rovinare. Tu e Gentile non state insieme! Tra un mese e mezzo ti scadrà il visto e dovrai andartene. Che senso ha perdere tempo con lui?-
-Non puoi capire…- come dirgli che quella era la prima volta che qualcuno la baciava in quel modo, la toccava in quel modo dopo David? Philip non si era più azzardato a farlo, scavando una voragine tra loro che a lungo andare li aveva allontanati per sempre -Che accidenti te ne importa se mi diverto con qualcuno? Lui non lo sta forse facendo?-
-Vorresti andare a letto con Gentile solo perché Callaghan esce con un’altra? Solo per questo? Solo per ripicca?- tentò un’ultima strada -A Gentile non interessi, gli serve soltanto una ragazza per andare in giro, per farsi vedere alle feste. Con te vuole divertirsi e svagarsi, ora che è da solo. E dopo che lo avrà fatto non ricorderà neppure come ti chiami!- la fissò -Ti piacciono i tipi così?-
-Sì!- replicò polemica -Sono proprio i tipi così che cerco!-
Mark si irrigidì come se lei lo avesse schiaffeggiato. Poi decise di non crederle. Fortunatamente la settimana successiva era in programma la partita contro Holly a Barcellona. Grazie al breve ritiro e al viaggio in Spagna della Juventus, Jenny avrebbe avuto qualche giorno di tempo per togliersi dalla testa Gentile e quella stupida convinzione.
   
 
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