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Autore: Yoshiko    08/02/2018    6 recensioni
È trascorso molto tempo dal viaggio dei ragazzi a Kyoto. Era autunno, la città li aveva accolti nella sua splendida cornice di aceri rossi, promettendo un soggiorno piacevole tra visite ai giardini e ai templi, colloqui per nuovi ingaggi e prove per uno spot televisivo. La spensieratezza di quei giorni si era infranta di colpo e gli strascichi di quei tragici avvenimenti continuano tuttora a segnare le loro vite.
Holly e Patty sono a Barcellona, Benji ad Amburgo, Mark è atterrato in Italia inaspettatamente accompagnato, e il resto del gruppo si trova in Giappone finché un’amichevole contro l’Italia di Salvatore Gentile e Dario Belli li riunisce tutti, ancora una volta.
Rain è il sequel di Leaves che a sua volta è il continuo di Snow. Per capire la storia e seguirne l’andamento è consigliabile avere un po’ di pazienza e cominciare dall’inizio, anche per la presenza di personaggi out of character, già presentati nelle precedenti fanfiction.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Kojiro Hyuga/Mark, Salvatore Gentile, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Time'
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Primo capitolo



Philip camminava pensieroso accanto a Julie Pilar lungo il viale principale di Sapporo. Quando indossava i tacchi, la ragazza era alta quasi quanto lui. Teneva i capelli legati in una coda che le ricadeva su una spalla e aveva sul volto un’espressione soddisfatta. Sembrava davvero assai felice, ma con quella felicità Philip non aveva nulla a che fare. La sua gioia era legata al contratto appena firmato con uno studio televisivo che le aveva assegnato la parte di protagonista in una serie tv. Non vedeva l’ora di aprire il copione che teneva in borsa e cominciare a studiarne le battute. Recitare, essere al centro degli obiettivi delle telecamere e delle macchinette fotografiche era ciò che amava di più al mondo e finalmente, dopo tanti sacrifici, era riuscita a ottenere un ruolo importante. Sarebbe stato un ottimo punto di partenza per arrivare sul grande schermo. Fino a Hollywood, perché no?
-Andiamo a festeggiare?-
Philip annuì, cercando di ignorare le prime fitte di un mal di testa che stava per scoppiare. Lei sorrise raggiante e quando lui non ricambiò, Julie si chiese, e non era la prima volta, perché fosse sempre così serio, perché non si godesse la vita. Erano giovani, accidenti! Giovani, famosi e anche ben pagati! Potevano permettersi qualsiasi cosa, togliersi ogni sfizio! Eppure Philip era imbronciato per la maggior parte del tempo, pure quando tutti gli altri intorno a lui si divertivano. Non riusciva assolutamente a capirne il perché. Sospirò e osservò i minuti che scorrevano sull’orologio digitale dell’antenna tv di Sapporo. Era una bella giornata di sole, il cielo splendeva d’azzurro ma faceva molto freddo. Intorno a loro la neve ricopriva ogni cosa. Nel viale che stavano percorrendo erano iniziati i lavori di costruzione delle immense sculture di ghiaccio del Festival della Neve che avevano reso Sapporo famosa in tutto il mondo. Lei assisteva allo spettacolo da quando era bambina, suo padre aveva fatto parte di uno dei comitati, ed era così abituata all’evento che ora l’attività che ferveva intorno a lei non la incuriosiva più.
Tornò ad osservare Philip di sottecchi, poi gli prese una mano e intrecciò le dita con le sue. Lui si volse e accennò un sorriso, il massimo che gli riuscì di fare. Non serrò la stretta ma non ritirò neppure il braccio, continuando a camminare tenendola per mano. Ogni tanto qualcuno li riconosceva e si fermava a guardarli, se non arrivava addirittura a chiedere un autografo o una foto. Julie era orgogliosa di lui. Obiettivamente Philip era molto più decorativo del suo ultimo fidanzato e anche se a volte la trascurava, formavano una bella coppia che non passava inosservata. Sulle copertine delle riviste avrebbero fatto una splendida figura se solo lui si fosse prestato a lasciarsi fotografare insieme. Succedeva di tanto in tanto che la sua apatia le desse sui nervi, ma era lo stesso convinta che doveva tenerselo stretto, almeno finché non avesse ricevuto una proposta migliore.
-Ti dispiace se invito alcuni amici?- chiese ad un tratto, l’improvviso e vago timore che se l’umore di Philip non fosse migliorato, la loro cena romantica si sarebbe rivelata di una noia mortale. Quella sera aveva voglia di divertirsi e gli unici due momenti dove Philip risultava più attivo, era in campo e sotto le lenzuola.
-No. Invita chi ti pare.-
-Perfetto…- Julie tirò fuori il cellulare dalla borsetta. Senza mollargli la mano prese a fare una serie di telefonate.

Amy quella mattina si era alzata alle cinque e aveva accompagnato in bicicletta Julian a correre lungo il fiume. A quell’ora faceva freddo, non era ancora completamente giorno e banchi di nebbia si levavano dall’acqua che scorreva placida e silenziosa nel canale, ma era il momento migliore perché in giro non c’era nessuno. Aveva pedalato dietro al fidanzato con la sciarpa che le svolazzava sulle spalle e le guance arrossate dal freddo, ripassando mentalmente il programma della giornata. La mattina era libera, ma Julian doveva andare all’università quindi lei lo avrebbe raggiunto all’ora di pranzo per mangiare insieme da qualche parte. E il pomeriggio sua madre le aveva chiesto di accompagnarla a fare la spesa. A cena era stata invitata al compleanno di sua zia e probabilmente lo avrebbe rivisto solo il giorno successivo.
Erano rientrati da poco a casa di Julian, e il ragazzo era appena uscito dalla doccia spargendo negli ambienti profumo di shampoo e bagnoschiuma. I coniugi Ross erano al lavoro e Amy si era appropriata della cucina per preparare la colazione ad entrambi. Riempì le tazze di caffè, imburrò due fette di pane alla zucca che la madre di Julian aveva sfornato la sera prima, travasò la frutta tagliata in piccoli pezzi in una ciotola di media grandezza, recuperò il barattolo del miele, le uova sode, il filetto di salmone e, riempito un capiente vassoio, lo raggiunse nel salotto dove avrebbero mangiato spaparanzati sul più comodo divano.
Julian sedeva tra i cuscini, nelle mani una delle riviste che avevano comprato poco prima di rientrare. Era così immerso nella lettura che non si accorse del suo arrivo.
-Cosa stai leggendo?-
Lui alzò il viso, voltò il giornale e le indicò una foto.
-Guarda qui.-
Amy appoggiò il vassoio sul tavolino e si avvicinò. I suoi occhi si spalancarono di sconcerto.
-È Philip!- non si accorse di strappargli la rivista dalle mani perché ciò che stava osservando era qualcosa di così sconvolgente da risultare assurdo. Lo incalzò sconvolta -Julian! Chi è questa? Cosa significa? Dov’è Jenny?-
-Amy non ne ho idea…-
Gli occhi di lei si socchiusero indagatori, quasi sospettosi.
-Si sono lasciati? Tu lo sapevi?-
-Assolutamente no! Sono sorpreso quanto te!-
-Io non sono sorpresa! Sono furiosa!- gli restituì la rivista nello stesso modo brusco in cui gliel’aveva tolta e si precipitò fuori dal salotto. Nell’ingresso recuperò la borsa appoggiata come al solito sulla bella panca in legno, accanto all’appendiabiti, e cercò il cellulare. Non credeva ai propri occhi, non voleva credere a quello che aveva appena visto. Doveva esserci un errore. Sentì la voce del fidanzato che la chiamava dall'altra stanza.
-Amy, che stai facendo?-
-Sto telefonando a Jenny!- tornò da lui col cellulare incollato al viso. Lo lasciò squillare per un tempo infinito, rispose la voce automatica della segreteria telefonica, poi cadde la linea. Riprovò al fisso senza successo e fissò affranta il fidanzato -A casa non c’è e il telefonino è spento.-
-È presto, forse sta ancora dormendo… Riprova più tardi. -
Amy annuì, si sedette accanto a lui, e riprese la rivista che giaceva sul tavolino. Sfogliò le pagine e recuperò la foto.
-Lei…- indicò Julie confusa -Devo averla già vista da qualche parte…- eppure il suo nome in quel momento non le diceva nulla.
Julian le si accostò e i capelli della fidanzata gli sfiorarono il mento.
-Non ricordi? È la modella che stava facendo un servizio fotografico negli studi di Kyoto.-
Amy si volse scioccata.
-Hai ragione! È proprio lei!- posò di nuovo gli occhi sulla pagina e sospirò. Appoggiò la testa contro la spalla del fidanzato e il suo sguardo indugiò oltre i vetri della grande finestra del salotto, da cui si scorgeva il giardino. Gli alberi erano spogli, scheletrici, i rami innalzati verso il cielo brumoso di quella mattina di gennaio, a supplicare il ritorno della bella stagione -L’ultima volta che siamo andate insieme a Fujisawa, Jenny mi ha detto che con Philip era tutto a posto!- -Forse te lo ha detto per non farti preoccupare, o forse era tutto a posto davvero. È passato un sacco di tempo.-
Amy richiuse il giornale e lo lasciò sul tavolino. Julian aveva ragione. Erano passati mesi da quando aveva accompagnato l’ultima volta l’amica a incontrare Nicole a Fujisawa. Si accoccolò contro Julian che profumava di buono, mentre un brivido di dispiacere le faceva pizzicare gli occhi -Vorrei tanto sapere se si sono lasciati o se Philip si è fatto beccare a provarci con un’altra. Jenny ha già sofferto così tanto…-
Lui le prese una mano e intrecciò le dita alle sue.
-Ecco spiegato il motivo per cui non è voluta venire a Tokyo quando ho giocato contro Philip.-
-Era prima di Natale.- lo guardò -Pensi che si fossero già lasciati?-
-Forse sì, visto che non è venuta.-
-A me ha detto che stava preparando un esame all’università.- le sue labbra presero una piega di disappunto. Non poté accettare che l’amica le avesse mentito, non dopo tutto ciò che avevano passato insieme. O forse le aveva mentito proprio per questo… Alzò gli occhi su Julian -Perché non provi a chiamare Philip per chiedergli di Jenny?-
Lui scosse piano la testa.
-Non voleva parlarne prima, figuriamoci adesso se non stanno più insieme.- le circondò le spalle con un braccio e l’attirò contro di sé -Oggi studiamo da me?- le propose accantonando l’argomento. Non aveva davvero il tempo di angustiarsi per loro, era troppo occupato a proteggere la propria, di relazione. Il suo rapporto con Amy aveva cominciato a scricchiolare dal maledetto giorno in cui, a forza di rimuginare su un esame che stava per sostenere, pressati dall’adrenalina dell’ansia i pensieri avevano vorticato per un istante nella direzione sbagliata, facendogli perdere tutta la concentrazione. Così, da un momento all’altro, invece di ripassare mentalmente il programma d’esame, si era ritrovato a chiedersi se Amy si fosse offerta di accompagnare Jenny a Fujisawa da Nicole per tutte quelle volte perché era davvero preoccupata per l’amica o se l’avesse spinta la speranza di poter incontrare Price, con cui aveva dimostrato, l’ultima volta che si erano visti, di andare sempre più d’accordo.
-Julian, non possiamo studiare insieme. Oggi pomeriggio devo andare da mia madre. E poi tu devi preparare l’esame di anatomia, io quello di sociologia. Sono due cose completamente diverse.-
-Allora facciamo così. Visto che io tra una settimana ho l’esame e tu ce l’hai tra un mese, stasera aiutami a ripassare gli schemi.-
-Stasera sono a cena con i parenti.-
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. A lei sfuggì un sorriso, poi il cellulare le squillò. Si scostò da Julian e lo prese. Ascoltò in silenzio l’interlocutore, l’espressione improvvisamente seria e tesa ad incassare la notizia, poi disse un’unica frase.
-Arrivo subito, mandami l’indirizzo…-
Julian la fissò.
-Che succede?-
-Evelyn ha avuto un incidente. È qui a Tokyo, in ospedale. La raggiungo.-
*

Poco oltre la dogana, davanti alle porte a vetri che si aprivano e chiudevano di continuo lasciando uscire i passeggeri del loro stesso volo, camminando accanto a Mark, Jenny notò cinque o sei giornalisti armati di macchinette fotografiche. Si fermò bruscamente al centro del corridoio e una coppia anziana che procedeva alle sue spalle per poco non la travolse. Anche se non era colpa loro, i due si scusarono, poi la superarono e varcarono l’uscita. Lei neppure li notò, gli occhi sui giornalisti.
-Sono qui per te?-
Mark fece spallucce.
-Immagino di sì.-
Jenny si diede della stupida per non aver pensato che a Torino, come in Giappone, la stampa sarebbe stata ad aspettarlo. Da quel poco che ne sapeva (una volta con Amy aveva spulciato il suo fan club), anche in Italia Mark aveva un sacco di fan. Lui continuò a camminare ma Jenny non lo seguì. Aveva deciso che nessuno doveva sapere che lei era a Torino, quindi bisognava impedire in tutti i modi che li fotografassero insieme. Ritirò fuori il cappellino dalla borsa, si sciolse i capelli e se lo calcò bene in testa. Poi si guardò intorno alla disperata ricerca di una via di fuga. La trovò più avanti.
-In bocca al lupo, Mark.-
Le porte automatiche si aprirono e Landers finì in pasto agli obiettivi dei fotografi, voltato indietro, gli occhi sgomenti su Jenny che fuggiva via.
-Dove vai?-
-Non voglio passare per la tua fidanzata! Ci vediamo dopo!- agitò la mano in un saluto frettoloso e imboccò un’altra uscita.
Colto di sorpresa Mark non ebbe neppure il tempo di fermarla. Circondato dai reporter che scattavano e dai flash che lo accecavano, si accorse sconcertato che nella fretta di tagliare la corda Jenny gli aveva lasciato persino la valigia.
-Mark!-
Il richiamo lo fece sussultare. Si girò di scatto verso la calca dell’uscita, mentre la sua mente dava un volto a quella voce. Rob Aoi si teneva in equilibrio sulla balaustra. Con una mano sollevata in aria, si sbracciava per attirare la sua attenzione. Mark non riuscì a capacitarsi della sua presenza lì e quando si accorse che non era solo, si chiese se fosse ancora in tempo a darsela a gambe. Poi si ricordò di Jenny e si rassegnò, non troppo ma abbastanza da caricarsi i bagagli e andare verso quel bel comitato di accoglienza. Abbozzò un sorriso stentato agli obiettivi e raggiunse scontento Rob Aoi, Dario Belli e Salvatore Gentile, chiedendosi quale malefica congiuntura astrale li avesse condotti all’aeroporto di Caselle.
Salvatore Gentile lo accolse con gli occhi azzurri colmi di ironia e le mani ficcate nelle tasche di quella che doveva essere sicuramente una costosissima giacca a vento griffata. Come al solito il suo abbigliamento era impeccabile, sembrava appena uscito dalla pubblicità di una rivista di moda. Maledetto esibizionista del cazzo.
-Bentornato Landers… Com’è andato il viaggio?-
-Come al solito.- lo odiava. Odiava quell’insopportabile biondo quasi quanto odiava Price. Detestava la sua esuberanza, la sua sicurezza, il suo egoismo, la sua superbia, il suo protagonismo, il suo voler essere sempre al centro dell’attenzione, la sua maledetta arroganza da bambino viziato. Non lo sopportava, era un borioso pallone gonfiato che si credeva chissà chi e siccome era nella Juventus da più tempo di lui, si divertiva a ricordarglielo in continuazione in qualsiasi modo. Lo fissò scontento. Era sicuro che l’antipatia fosse reciproca. E allora, come accidenti gli era saltato in mente di presentarsi all’aeroporto? Poi capì. Gentile era lì soltanto per il piacere di lasciarsi fotografare dai giornalisti riuniti per accogliere lui, non quel coglione di biondo ossigenato che non poteva bearsi della gloria dei rientri, visto che giocava in patria.
E infatti Gentile ora sorrideva ai fotografi che, seguendo Mark, lo avevano raggiunto e individuato. Fissò appagato gli obiettivi, scostandosi con un gesto molto glamour i capelli biondi come l’oro dagli occhi azzurri come il cielo che, solo per essere fatti in quel modo, mandavano in visibilio il novanta percento della popolazione femminile del pianeta. Dopodiché si staccò dalla balaustra.
-Non ti sei fatto fotografare abbastanza, Landers?- ebbe persino la faccia tosta di chiedergli, come se fosse Mark e non lui a bearsi di tanta attenzione.
Landers soffocò un insulto, poi pensò a Jenny scomparsa chissà dove e il desiderio di rispondergli a tono, come faceva di solito, si dissolse all’improvviso, scalzato dalla preoccupazione. Si guardò intorno. Dove accidenti era finita? Non la vedeva da nessuna parte.
-Ti serve una mano?- gli chiese Dario Belli indicando le valigie.
Landers non ci pensò due volte. Gli affibbiò il bagaglio dell’amica e tornò a guardarsi intorno sempre più in ansia. Nessuna traccia della ragazza. Possibile che neanche fosse arrivato e già l’avesse persa?
-Come mai così carico stavolta, Mark?-
Rob gli parlò in italiano per non escludere Salvatore e Dario dalla conversazione. L’altro sospirò e gli rispose nella stessa lingua.
-Quella valigia non è mia.-
Gentile scoppiò a ridere.
-L’hai rubata?-
Landers lo insultò in giapponese, afferrò il proprio trolley e s’incamminò nella direzione in cui aveva visto sparire Jenny. Dario seguì pensieroso il suo percorso, chiedendosi se fosse stata davvero una buona idea, quella di Rob, di venire a prenderlo. Non sembrava per niente contento di vederli. Lo richiamò.
-Dove vai? L’uscita è dall’altra parte.-
-Lo so!-
Mark proseguì testardo nella direzione sbagliata, rimediandosi un’occhiata scettica da parte di Salvatore.
-è scemo o cosa?-
Belli scosse la testa.
-Stavolta il fuso orario deve averlo rincoglionito parecchio.- guardò Aoi che trotterellava fiducioso dietro Mark, lasciandoli soli -Che facciamo?-
Salvatore alzò le spalle.
-E che vuoi fare? Ormai siamo qui…- borbottò -Chi cazzo ce l’ha fatto fare di venire?-
-Rob…-
-Ricordami di prenderlo a sberle la prossima volta che cerca di trascinarmi da qualche parte!-
Superarono tre o quattro uscite, vari bar e negozietti di souvenir e due stand di Rent a Car. Landers si fermò soltanto quando raggiunse il banco delle informazioni turistiche. Dario e Salvatore si guardarono stupiti ma comunque sollevati che quella via crucis nei corridoi dell’aeroporto a dribblare i viaggiatori avesse trovato una fine. Nessuno dei due notò la ragazza ferma a parlare in inglese con l’impiegata, ma videro perfettamente Mark raggiungere di corsa lo stand delle informazioni.
-Non fare mai più una cosa simile!-
Sotto gli occhi stupiti dell’impiegata e quelli ancor più sbigottiti di Jenny, Landers le premette una mano sulla spalla e la voltò facendole fare una piroetta.
-Mark, mi hai fatto prendere un colpo!-
-Come t’è saltato in mente di allontanarti? E se ti fossi persa?- era così ovvio che se Jenny fosse sparita, o fosse stata rapita, Philip l’avrebbe ucciso che lui non si sentiva di rischiare.
-E quella chi è?-
Fermo accanto a Gentile, Dario Belli fece spallucce.
-Sicuramente sua sorella…-
-Sua sorella ha quattordici anni!- Salvatore lo sapeva bene perché in casa di Mark aveva adocchiato le foto della sua famiglia. Sgomento, incapace di darsi una risposta e in preda ad una curiosità bruciante, abbassò gli occhi su Rob che li fissava ancor più strabiliato -Quella è la sua ragazza? Si è portato dietro la fidanzata?-
-Non lo so!-
-La conosci?-
-È la prima volta che la vedo!-
-Giura!-
-Giuro!-
Belli e Gentile si scambiarono un’occhiata apertamente sorniona. Lo sgomento stava lasciando il posto ad un profondo divertimento condito di viscerale curiosità.
-Landers s’è trovato finalmente una ragazza! E pure carina…-
La esaminarono curiosi come mai lo erano stati. Che Mark si fosse portato dietro una donna rappresentava un avvenimento. Jenny era distrutta dal viaggio e si vedeva. Era pallida, gli occhi stanchi, senza un filo di trucco, i capelli divisi in ciocche disordinate. La camicetta e i jeans si erano sgualciti a forza di stare seduta sull’aereo e avvolgevano il suo corpo sottile senza valorizzarne neppure una curva. Non era molto alta, ma per essere una giapponese neanche eccessivamente piccola. La prima cosa che attrasse la loro attenzione furono i suoi capelli scuri, lisci e lunghi sulla schiena. Erano una cascata corvina, un po’ spettinata ma stupenda, dello stesso colore del cioccolato fondente. Salvatore Gentile non riuscì a staccarle gli occhi di dosso. Il suo sguardo si spostò sul suo viso, sui suoi tratti orientali, minuti, da bambola. Sulla pelle rosea e vellutata, di porcellana, sugli occhi castani, splendenti, sulle ciglia lunghe e scure. Bella. La ragazza di Mark era decisamente attraente.
-Siamo appena arrivati e già sparisci senza dirmi niente! Cominciamo proprio bene!-
-Non arrabbiarti Mark. Non era mia intenzione farti preoccupare.- Jenny tentò di placarlo con un sorriso che avrebbe incantato chiunque e che ebbe il suo effetto immediato sui tre ragazzi immobili a fissarla -Mi seccava che ci fotografassero insieme.- infilò volantini e depliant dentro la borsa, rendendosi conto di averne presi così tanti da non riuscire più a richiuderla.
Mark non seppe cosa replicare, improvvisamente costretto a riconoscere con se stesso che Jenny non aveva tutti i torti. Era meglio se nessuna foto che li ritraesse insieme arrivasse in Giappone.
-Sì va bene, ma la prossima volta avvertimi!-
-L’ho fatto!-
-Non all’ultimo momento!-
-D'accordo.- gli sorrise ancora, conciliante -Dov’è la mia valigia?-
Landers si volse e gliela indicò. Jenny individuò i ragazzi poco discosti e tornò a fissare l’amico, gli occhi spalancati dalla sorpresa. Si aggrappò al suo braccio, improvvisamente intimorita.
-Mark, chi sono quelli?-
-Non volevi conoscerli, i miei amici?- la schernì.
Jenny gli lanciò un’occhiata, poi riconobbe Aoi. Si irrigidì. Era la prima volta che lo incontrava di persona e di questo doveva essere grata alla mania di Philip di tenerla lontana dai compagni di squadra. Ma se lui avesse visto una sua foto? Se l’avesse riconosciuta? Quasi tremava quando il giovane si avvicinò.
-Benvenuta in Italia, mi chiamo Rob.- le porse una mano che Jenny strinse titubante, senza lasciare la felpa di Mark a cui era rimasta attaccata. Si sforzò di sorridergli.
-Jenny… piacere…-
-Siamo felicissimi di conoscerti, finalmente!- e la felicità trasparì davvero, dal suo sorriso.
Mark lo guardò perplesso.
-“Finalmente” cosa?-
-Finalmente conosciamo la tua ragazza!- Rob sprizzava gioia da tutti i pori -Perché non c’era da nessuna parte la notizia che ti sei fidanzato?-
-Perché non è la mia ragazza!-
Gli occhi di Aoi si spostarono da lui a lei confusi, incerti, chiaramente delusi. Si rivolse a Jenny.
-Davvero non sei la sua ragazza?-
-No, non lo sono.-
-E allora come mai siete arrivati insieme?-
-Cosa te ne frega? Jenny è un’amica. È venuta a Torino per studiare l’italiano e la ospiterò solo per qualche giorno! E poi fatti gli affaracci tuoi, Aoi!-
Jenny confermò le parole di Mark annuendo convinta, poi lanciò un’occhiata ai due italiani che li avevano raggiunti.
-Benvenuta in Italia.-
La giovane si volse. Il ragazzo che aveva parlato era indubbiamente Dario Belli, riconobbe i suoi capelli tendenti al ramato e gli occhi verdi con bagliori di smeraldo. Notò che dal vivo era molto meglio che in tv piantato tra i pali della porta. Ad Evelyn avrebbe fatto piacere saperlo, lei le notava, queste cose. Gli sorrise e si presentò in un inglese perfetto, stringendo la mano che Dario le porgeva. L’altro ragazzo, quello biondo, continuò invece a fissarla con un misto di curiosità e apprezzamento. Lampi di luce illuminavano a tratti i suoi occhi grigio-azzurri e Jenny credette di scorgervi bagliori di malizia. Era affascinante tanto quanto Belli, se non di più, ma di una bellezza diversa, forse più virile. Si sporgeva dietro l’amico, perfetto nel suo silenzio così carico di aspettative e illuminato solo da sguardi ed espressioni. Jenny era sicura di averlo già visto ed era certa che anche lui giocasse a calcio, ma non riusciva a ricordare il suo nome.
Mark era stanchissimo e voleva andare a casa, ma notò perfettamente lo sguardo insistente e interessato con cui Gentile stava studiando l’amica. I suoi occhi non l’avevano mollata un attimo. Gli diede fastidio, più di quanto fosse normale. Parlò in italiano a tutti e tre.
-Trovarvi qui è stata una piacevole coincidenza, ma visto che Jenny ed io siamo stanchi, ora ce ne andiamo a casa. Ci vediamo un altro giorno.-
Gentile si irrigidì e distolse malvolentieri gli occhi dalla ragazza, per posarli sulla faccia da schiaffi di Landers. Era andato fino all’aeroporto solo perché Belli e Aoi avevano insistito fino alla nausea. A lui non interessava scarrozzarlo a casa. E ora che era lì, quel deficiente senza speranza si permetteva addirittura di scacciarlo.
-Non hai bisogno di un passaggio?- domandò ostile -Ho la macchina qui fuori.-
-In divieto di sosta.- precisò Belli con un misto di divertimento -Speriamo che non te la portino via o ci tocca tornare a piedi.-
-A cosa dovrebbe servirmi un passaggio se esistono i taxi?- rispose secco Mark cercando di togliere la valigia di Jenny dalle mani di Dario.
Belli non glielo permise, fece un passo indietro e lo fissò dritto negli occhi.
-È la tua ragazza, Landers?-
-Assolutamente no! Jenny muoviti.- la spronò.
-Se non è la tua ragazza perché è con te?-
Mark si volse imbestialito, incrociando lo sguardo curioso di Gentile.
-Saranno fatti miei, che dici?!- fremette impaziente. Non vedeva l’ora di togliersi di torno quelle tre piattole.
-Fatti tuoi o no, prima o poi lo scopriremo. E non è una promessa, sappilo!-
Jenny avrebbe voluto capirci qualcosa, ma quelli parlavano in italiano e a lei il senso della conversazione sfuggiva completamente. Incrociò per un istante gli occhi insistenti di Gentile e si ritrovò ad arrossire. Quando distolse lo sguardo dal biondo, ebbe un flash. Si volse verso Mark.
-È lui che hai preso a pugni in campo?-
L’amico trasalì.
-Ti pare il momento?-
-L’hai preso a pugni o no?-
Mark sbuffò.
-Ti assicuro che se lo meritava!-
-Ma gioca con te nella Juventus!-
-E allora? Se lo meritava lo stesso!-
Gentile approfittò dell’esitazione di Mark per farsi avanti.
-Se non ti dispiace, Landers, vorrei presentarmi.- con un lampo azzurro sorrise a Jenny e le tese la mano.
Un secondo prima che le loro dita si sfiorassero, Mark lo scostò con una spinta e si piantò tra loro.
-Tieni le tue zampacce lontano da lei!- la tirò dietro di sé, fuori dalla sua portata.
A Gentile il suo gesto non andò giù.
-Cos’è Landers? Sei geloso? Eppure hai appena detto che non è la tua ragazza…-
-Il fatto che non sia la mia ragazza non ti autorizza a fare il cascamorto con lei!-
-Mi stavo presentando!-
-Con quella faccia da deficiente? Ma chi vuoi prendere in giro?- si caricò i bagagli, strappando dalle mani di Dario la valigia dell’amica, e si diresse insieme a lei verso l’uscita e il parcheggio dei taxi. Gli sarebbe costato un patrimonio tornare a casa con l’autista invece che con l’autobus, ma non ne poteva davvero più di quei tre.
-Perché stiamo scappando?-
-Non stiamo scappando, Jenny. Stiamo andando a casa.- rispose senza rallentare -Non sei stanca? Non vuoi riposare?-
Uscirono dal terminal e percorsero un buon tratto di marciapiede. Mark sbuffava a raffica ed era così scontento che Jenny rinunciò a rivolgergli la parola e lo seguì docile. Non capiva ma non importava, quello che contava era che l’amico la ospitasse a casa sua. Dopo alcune decine di metri di silenzio, raggiunsero i taxi. Una macchina spuntò dal nulla con un'accelerata e frenò bruscamente mentre attraversavano le strisce pedonali. Balzarono indietro spaventati.
-Sicuro Landers che non vuoi venire con noi?-
Mark ammutolì. Dario Belli sorrideva dietro al finestrino spalancato del passeggero di un’alfa romeo molto rossa e molto lucida. La riconobbe subito. Era la maledetta Giulietta di Gentile. Jenny improvvisamente capì, si aggrappò al giubbotto dell’amico e lo scosse.
-Ci stanno offrendo un passaggio?-
Fu Aoi a risponderle, affacciato dietro, un gomito sull’intelaiatura del finestrino.
-Proprio così, ma lui non vuole. Testardo...-
-Jenny, prendiamo un taxi.- tentò ancora Landers, cercando di evitare l’inevitabile.
Lei per la prima volta puntò i piedi. La sua irragionevolezza la urtò nel profondo.
-Accetta, per favore. Sono stanca.-
Quando udì la traduzione di Rob, Gentile tirò bruscamente il freno a mano, spalancò lo sportello e scese in mezzo alla strada inveendo contro Mark.
-Maledetta testa dura! Sei più cocciuto di un mulo!- costeggiò la macchina, aprì il portabagagli e ficcò dentro la valigia di Jenny. Poi si fermò davanti a Landers, le mani sui fianchi -Se la mia offerta ti fa schifo, vacci da solo col taxi! La tua Jenny te la portiamo a casa in macchina.-
-Primo: non è la mia Jenny…-
Dietro di loro un taxi strombazzò perché la Giulietta, ferma in mezzo alla strada, bloccava il traffico. Salvatore volse le spalle a Mark senza aspettare che quello finisse il suo elenco.
-Vuoi darti una mossa?- gridò l’autista sporgendosi dal finestrino.
-Me ne sto andando, sei cieco?- gridò Gentile verso il taxi. Poi rimontò al posto di guida -Aoi, fai salire la ragazza.-
Rob annuì perché stavolta la testardaggine di Mark aveva superato ogni limite. Scese dalla macchina, prese Jenny per la giacca e la tirò verso lo sportello aperto.
-Vieni, ti accompagniamo a casa.-
Lei esitò, lanciando a Landers un’occhiata indecisa.
-Per favore, Mark… Non essere ostinato.- lo implorò di nuovo. Poi montò accanto a Rob, troppo stanca per continuare ad assecondare l’amico nelle sue assurde fissazioni. Lo guardò colpevole, chiedendosi quanto la stesse odiando per quel tradimento.
Alla seconda strombazzata, Mark capì di aver perso. Serrò i pugni e si decise. Infilò con un moto di stizza le borse nel portabagagli e salì dall’altro lato. Gentile partì accelerando stizzito e il segnale sonoro della cintura di sicurezza ferì i loro timpani finché non se l’allacciò.
-La tua cocciutaggine è sconvolgente! E più hai torto e più ti intestardisci!-
-Sei tu che sei testardo! Ti ho detto che non ci serviva un passaggio!-
Si guardarono in cagnesco attraverso lo specchietto retrovisore, poi gli occhi di Salvatore si spostarono su Jenny.
-La tua ragazza è distrutta, non lo vedi?-
-Non è la mia ragazza!-
Voltata ad osservare la strada al di là del vetro, la voce di Jenny arrivò pacata, esausta e bassissima.
-Piantala Mark, mi sembra di sentirti litigare con Benji.-
Rob si volse di scatto meravigliato. Ciò che udì lo lasciò di stucco.
-Conosci Benji? Benji Price?-
-Poco… L’ho incontrato giusto una volta.-
Jenny si sforzò di sorridergli e Rob ne rimase incantato. Porca miseria quanto era carina… La osservò con rinnovato interesse, mentre una miriade di domande gli vorticavano nella testa. Ne scelse una a caso.
-Quanto pensi di fermarti a Torino?-
Jenny lo guardò incerta. Non ne aveva idea. Non riusciva neppure a pensare che prima o poi sarebbe dovuta tornare a casa, soprattutto dopo aver visto la foto di Philip e Julie Pilar che si baciavano.
-Non lo so.-
-Resterai da Mark?-
Lei alzò gli occhi su Landers e gli sorrise.
-Speriamo!-
-Se non ti ospita lui puoi stare da me! Io abito a Milano, sono sicuro che ti piacerebbe, come città.-
Mark sbuffò.
-Spegni la lingua, Aoi. Siamo stanchi.-
Quando arrivarono a destinazione, Salvatore spense il motore e smontarono tutti. Mentre frugava nello zaino in ricerca delle chiavi, Landers lanciò loro un’occhiata. Doveva liberarsi degli amici, ma in che modo? Era troppo stanco, non riusciva a pensare. Aprì la porta, accese la luce dell’ingresso e si scostò per lasciar passare Jenny. Come aveva temuto, anche gli altri tre s’imbucarono.

Philip si svegliò perché un raggio di sole gli batteva sul viso. Filtrando prepotente e luminoso da una fessura tra le tende, aveva finito per disturbagli il sonno. Alzò una mano per ripararsi dalla luce, l’ombra di un mal di testa gli aleggiava tra le tempie perché la sera prima aveva esagerato con la birra. Si sollevò leggermente e si accorse che Julie giaceva nuda, rannicchiata contro di lui. Sospirò e chiuse gli occhi. Quando lasciò ricadere la testa sul cuscino, fitte lancinanti gli trapanarono il cervello.
-Philip?-
Era bastato un piccolissimo movimento per svegliarla. Julie aveva il sonno decisamente troppo leggero, non riusciva mai a tagliare la corda di nascosto. Si girò, la giovane lo stava fissando. Si liberò da quel corpo morbido e caldo aggrovigliato al suo, lanciò un’occhiata all’orologio e si alzò.
-È tardi.- radunò in fretta i propri vestiti sparpagliati un po’ ovunque senza ricordare né quando né come se li era tolti, e sparì nel corridoio per infilarsi in bagno.
Julie sbadigliò, afferrò il copione dal comodino e cominciò a sfogliarlo. Quando Philip si riaffacciò in camera ormai vestito e pronto per andarsene, gli lanciò appena un’occhiata, presa com’era dalle proprie battute.
Lui la salutò altrettanto distrattamente mentre afferrava il cellulare dal comodino accanto al letto. L’aveva dimenticato acceso per tutta la notte e ora la batteria era da ricaricare. Aveva ricevuto cinque messaggi e non ne aveva sentito arrivare neppure uno. Leggendoli lasciò la stanza.
S’infilò le scarpe e uscì di casa. Julie abitava all’undicesimo piano ma Philip non chiamò l’ascensore. Aveva bisogno di muoversi, aprì la porta di sicurezza che immetteva sulle scale e le imboccò con gli occhi sul display del telefonino. Cancellò tre messaggi pubblicitari. Ne trovò uno di sua sorella, voleva invitarlo a cena quella domenica. Le scrisse subito di no. Un altro era di Julian che gli chiedeva come stava. Ross si faceva sentire raramente, occupato com’era tra Amy, le partite della J-League, le lezioni e gli esami all’università. Gli rispose che stava una favola e si ficcò il cellulare in tasca. Raggiunse in fretta la macchina che Julie aveva parcheggiato dall’altra parte della strada. Era stata lei a guidare, al ritorno dalla birreria. Philip glielo aveva lasciato fare perché durante la cena aveva mandato giù una birra dietro l’altra fin quando aveva cominciato a vederci doppio. A quel punto si era fermato ma non si era sentito lo stesso abbastanza sobrio da mettersi al volante.
Ripensò all’amica di Julie che gli era rimasta appiccicata tutta la sera e che gli aveva riempito di continuo il bicchiere. Era anche grazie a lei se quando era uscito dal locale era brillo. Le aveva prestato così poca attenzione che ricordava a mala pena il suo volto. L’unica cosa che gli era rimasta impressa, oltre la sua voce, erano stati i tentativi di attirare i suoi sguardi, prima accostando di più la sedia alla sua e poi mettendogli addirittura una mano sulla gamba. Ripensò alla piacevole sensazione di quelle carezze. Prima di versargli da bere con tanta sollecitudine, lei gli aveva lasciato il suo numero di telefono e magari poteva provare a chiamarla, una volta. Tirò fuori le chiavi, fece scattare la chiusura della macchina e prima di salire gettò il telefonino sul sedile del passeggero.
Era una fortuna che quella mattina si trovasse a Sapporo perché gli ci sarebbe voluto del tempo per tornare a Furano e guidare lo rilassava. Dopo una sera e una notte passate con Julie Pilar, dopo ore a fingere di divertirsi ma con il cervello intasato da tracce di sensi di colpa che non avevano nessuna intenzione di abbandonarlo, cercando di dimenticare Jenny e non riuscendo a farlo, aveva bisogno di non pensare a niente. Forse doveva provare a sballare come facevano ogni tanto i suoi compagni di squadra. Anche lui e Peter erano stati invitati ai loro festini nell’appartamento di Daniel Baird, l’attaccante del Sapporo, ma finora avevano sempre rifiutato. Eppure una volta voleva provare ad andare. Ne aveva sentito parlare spessissimo negli spogliatoi, con gran divertimento e risate. Dalle mezze frasi e dagli accenni prudenti dei compagni, che raramente si lasciavano sfuggire una parola di troppo davanti a chi non partecipava, pareva che durante quei raduni girasse un sacco di roba. Philip non aveva idea di cosa, finora non gli era mai interessato saperlo ma adesso si trovò a pensare che quella fosse l’occasione buona per provare ciò di cui tanto si parlava, almeno una volta nella vita, visto che si sentiva proprio una schifezza.

Alle spalle di Mark, Aoi sgusciò in casa come un’anguilla e subito dopo di lui avanzò Gentile che piazzò una mano sulla porta per tenerla aperta quando Landers tentò invano di richiudergliela in faccia.
-Non ci inviti ad entrare?-
-No!-
-Non ci offri neppure da bere?-
-Non c’è niente, né da bere né da mangiare.-
-Allora dovremo andare a fare la spesa.-
-Dovremo?-
Jenny fece finta di non udire il tono polemico che trasudava di nuovo dalla voce di Mark. Tanto avevano ripreso a parlare in italiano e neanche volendo avrebbe capito. Si guardò intorno. La casa era ben arredata, nuovissima e straordinariamente ordinata. Chi accidenti faceva le pulizie lì dentro?
Lui la vide imbucarsi nel salotto, afferrò la sua valigia lilla e la chiamò.
-Vieni, ti faccio vedere la tua stanza.- lanciò un’occhiata torva agli altri e proseguì in italiano -Non muovetevi da qui!-
-Quindi possiamo restare? Perfetto!-
Mark strinse le dita intorno maniglia della valigia per reprimere l’istinto di saltare addosso a Gentile e strozzarlo. Salì le scale e precedette l’amica nella camera degli ospiti. Ospiti che finora non aveva mai avuto. Jenny l’avrebbe inaugurata.
Le pareti erano verde mela, il parquet era quasi completamente nascosto da un tappeto grigio chiaro. Il letto matrimoniale era accanto alla finestra, carico di cuscini di tutte le misure. Le tende erano bianche con decorazioni di foglie verdi. Tra il letto e la finestra c’era un tavolino di legno con un paio di cassetti, un lume sul ripiano e uno sgabello ricoperto da un cuscino. Di fronte al letto, un piccolo mobile di bambù bianco era sovrastato da due mensole su cui erano impilate in bell’ordine alcune scatoline di cartone colorato e qualche soprammobile insignificante. Sull’ultima parete, quella in cui si apriva la porta, era accostato un armadio di legno scuro a quattro ante.
-Il bagno è in fondo al corridoio.-
Lei si lasciò cadere su quel letto morbido e così pieno di cuscini. Annuì guardandolo raggiante.
-Molto meglio di un hotel!-
La felicità di Jenny lo colpì nel profondo, era da più di un anno che non la vedeva così. E di momenti simili Jenny ultimamente doveva averne vissuti davvero pochi, soprattutto se lei e Philip si erano lasciati. Ora ce l’aveva davanti, poteva constatare con i propri occhi che l’amica era in qualche modo sopravvissuta a Kyoto. Ma a che prezzo? Non poteva capirlo, addirittura immaginarlo, ma per la prima volta da più di dodici ore fu contento di aver deciso di ospitarla. Se solo non ci fossero stati quei guastafeste ad aspettarlo all’aeroporto e ora dentro casa, al piano di sotto… Uscì dalla stanza mentre lei si guardava ancora intorno e rientrò dopo pochi minuti con una pila di asciugamani. Jenny era in piedi davanti alla finestra, osservava case ed edifici che la circondavano. Oltre i tetti di tegole rosse si innalzavano imponenti le Alpi, ricoperte di neve sulla cima. Il sole stava tramontando e i ghiacciai riflettevano l’aria dorata.
Mark appoggiò gli asciugamani sul letto e tornò verso la porta.
-Cercherò di liberarmi di quei rompicoglioni.- aveva già una mezza idea -Mi faccio accompagnare a fare la spesa, poi li mando al diavolo.-
Dario Belli osservò Gentile che camminava su e giù davanti alla porta d’ingresso, lanciando alle scale occhiate insistenti e interessate. Sembrava in preda alla forte tentazione di seguire Landers di sopra. Gli si avvicinò, gli serrò un braccio e arrestò il suo andirivieni, fissandolo indagatore.
-Senti un po’… Hai mica intenzione di provarci con la ragazza di Landers?-
Sul volto del biondo comparve un sorrisetto divertito.
-Non è la sua ragazza, l’ha detto lui.-
-E tu gli credi?-
-Certo!-
-Solo perché ti fa comodo.-
Gentile fece spallucce e lui lo incalzò.
-Se non è la sua ragazza, allora che ci fa qui?-
-Questo non lo so. Ma se continua a dire che non stanno insieme, ho tutto il diritto di provarci.-
-Lei ti interessa solo per fargli un dispetto.-
Salvatore gli rispose con un sorriso furbo.
-Non è graziosa?-
-Certo che lo è…-
-E ti risulta che io mi lasci scappare le belle ragazze?-
-Landers le sta addosso, finirete per litigare.-
Gentile fece spallucce.
-E allora? Lo facciamo sempre.-
Mark comparve sul pianerottolo e Dario accantonò il discorso con un ultimo assennato consiglio.
-Lasciala perdere, è meglio per tutti.-

Il traffico era pazzesco e Philip impiegò quasi tre ore a raggiungere Furano. Durante la notte tra le montagne aveva nevicato e in alcuni tratti, dove il manto stradale continuava ad essere ghiacciato, si procedeva a passo d’uomo tra granelli di sale chimico gettati dagli addetti alla manutenzione delle autostrade. Il sole splendeva su tutto quel bianco accecante e il riverbero gli feriva gli occhi. Il mal di testa alla fine era scoppiato e lui non vedeva l’ora di arrivare a casa, gettarsi sul letto della sua stanza e aspettare che passasse.
Aveva approfittato di quel giorno di riposo dagli allenamenti per tornare a Furano e portare a sua madre i panni da lavare. Dormiva spesso dai suoi, ultimamente. Fare il pendolare tra Sapporo e Furano a lungo andare era stancante, ma da quando Jenny aveva portato via tutte le sue cose dal loro bell’appartamento in centro ed era sparita, non era stato più capace di rimetterci piede. Il pensiero di dormirci anche solo per una notte lo raggelava.
Avevano trovato la loro casa ideale circa un anno prima dopo giorni e giorni di ricerche: un attico che il suo nuovo stipendio di calciatore professionista gli consentiva di permettersi senza problemi. Dava sulla strada principale di Sapporo, quella stessa che il giorno prima aveva percorso a piedi con Julie, dalle ampie vetrate delle stanze si vedeva la torre dell’orologio di acciaio rosso e bianco svettare nel cielo azzurro. Il panorama sulla città era fantastico. Il grande viale su cui si affacciava il balcone che correva per tutta la lunghezza dell’appartamento era pieno di giardini e fontane. Era il luogo più animato e frequentato di tutta la città e in quei giorni d’inverno stava diventando uno spettacolo bellissimo con le enormi sculture del Festival della Neve. I grandi cumuli di ghiaccio erano lì pronti ad essere modellati dalle squadre delle associazioni. Li aveva visti il giorno prima, ma non con Jenny, come aveva immaginato che sarebbe successo, con Julie. E non dalla loro casa, ma dalla strada. Jenny non c’era più e lui aveva disertato l’appartamento, continuando a pagarne l’affitto perché prima o poi doveva tornarci. Le sue cose erano ancora lì e non poteva continuare a fare il pendolare all’infinito. Non era coerente. Per la sua smania di star lontano da quel luogo così pieno d’angoscia, che trasudava sofferenza persino dalle pareti, al campo arrivava sempre tardi, finiva per saltare gli allenamenti, le riunioni, i raduni. E se avesse cambiato casa? Se avesse traslocato in un monolocale in qualche altro quartiere della città? Ci pensava da giorni, gliel’aveva suggerito persino Peter, ma non riusciva a decidersi. Un trasloco significava tornare nell’attico a preparare scatoloni ed era molto più facile evitare di metterci piede.
Tenendo una mano sul volante si passò l’altra indietro tra i capelli, lasciandola indugiare per un attimo sulla nuca. Se il mal di testa gli avesse consentito di prendere sonno, a casa dei suoi si sarebbe ficcato a letto. L’indomani lo aspettava un’alzataccia all’alba per fare il tragitto inverso, con la speranza che la neve non bloccasse le strade e riuscisse ad arrivare per una volta puntuale all’appuntamento con i compagni di squadra.
Parcheggiò davanti casa all’ora di pranzo. Infilò la chiave nella serratura e quando aprì la porta si trovò faccia a faccia con sua sorella. Gli prese un colpo e la fissò ostile.
-Che ci fai qui?-
Non esisteva un solo motivo per cui Kate dovesse trovarsi in casa. Sua sorella era felicemente sposata con il dirigente di un’agenzia immobiliare. Abitavano ad Asahikawa ed era raro che tornasse dai genitori. Piuttosto erano loro ad andare da lei, togliendosi di torno per intere e rilassanti giornate durante le quali Philip aveva la casa a sua completa disposizione. Si guardò intorno e tirò un sospiro di sollievo non vedendo traccia di Willy, il suo piccolo e petulante nipote. O era rimasto a casa sua con il padre, oppure era con i suoi a far spese da qualche parte, o magari al cinema o chissà dove.
-Questa è anche casa mia.- rispose Kate infastidita -Mamma ha detto che non ha tue notizie da tre giorni. Che fine hai fatto?-
-Ho avuto da fare.- Philip imboccò le scale trascinandosi dietro la borsa piena di panni da lavare.
-Perché hai spento il cellulare? Peter Shake ti sta cercando da ore!-
-Si è spento da solo, ho la batteria scarica. Che vuole?-
-Vuole avvertirti che oggi pomeriggio è in programma una seduta straordinaria di allenamenti e alle quattro ti aspetta al campo.- lo seguì sulle scale, lo osservò infilarsi in bagno e svuotare la borsa nel cesto dei panni sporchi -Ovviamente non ci andrai, visto che sei qui…-
-Sei perspicace, come al solito.- la schernì lui. Riprese stizzito la borsa praticamente vuota, e le passò accanto urtandole un braccio. Non si scusò.
-Deficiente…-
Kate lo seguì fin dentro la sua camera e lo vide in piedi, davanti all’armadio, a rinfilare nella borsa dei panni puliti senza fare troppa attenzione che non si spiegazzassero. La donna si guardò intorno. Era quasi un anno che non metteva piede nella stanza del fratello, ma notò subito un unico, grande cambiamento.
-Dov’è finita la foto tua e di Jenny?-
-Non c’è.-
-Vi siete lasciati?-
Lui fece finta di non sentirla, sforzandosi di concentrarsi su ciò che stava facendo. Kate scosse la testa incredula, perché quel silenzio non poteva che essere un assenso. Un moto di dispiacere le serrò lo stomaco. Erano stati insieme per anni, lui e Jenny, ed era convinta che si sarebbero sposati. Anche la mamma e il papà ne erano convinti. Loro lo sapevano? Sicuramente no, altrimenti l’avrebbero avvertita. Fissò il fratello. Philip non aveva reagito alla domanda, non aveva cambiato espressione. Solo gli occhi, per un attimo, avevano scintillato di dolore. Evidentemente la ferita era ancora aperta e sanguinava.
-Il pranzo è quasi pronto.- disse prima di lasciare la stanza -Mangi?-
Lui scosse la testa e chiuse la borsa. Era stato uno stupido a tornare a casa. A fare cosa poi? A lasciare che Kate s’impicciasse della sua vita? La sua assurda frenesia di fuggire da Sapporo l’aveva riportato a Furano quando invece avrebbe dovuto essere lì. Adesso non gli restava altro da fare che ripartire di corsa e presentarsi agli allenamenti del pomeriggio, prima che il mister si stancasse di lui e lo scacciasse dalla squadra, convincendo la società a non rinnovare il suo contratto.

Erano le otto quando la serratura della porta d’ingresso scattò. Mark la spalancò con il piede, le mani cariche di pacchi.
-Jenny! Dove sei?-
-Di sopra!-
-Vieni giù! Ho portato la pizza! E non solo, purtroppo.-
Fuori Rob e Dario scaricarono sul vialetto il resto della spesa, compresa una cassa piena di bottiglie di birra. Gentile entrò in casa a mani vuote, il cellulare tra le dita, gli occhi abbassati sul display che gli illuminava il viso di una tenue luce azzurra. Stava rispondendo ad un messaggio, e a dare una mano non ci pensava proprio.
Jenny spuntò sul pianerottolo del primo piano gocciolante, appena uscita dalla doccia. A coprirla solo l’asciugamano che si teneva stretto al petto e le arrivava a metà coscia. Una cascata di capelli ancora bagnati le ricadeva intorno al viso.
-Non ho capito…- cercò Mark con gli occhi e lo vide sollevare la testa di scatto, fissandola incredulo. Poi, accanto a lui, mise a fuoco anche Gentile.
Salvatore alzò il viso dal cellulare, attirato dalla sua voce, e le parole del messaggio si confusero perdendo significato. Nel suo sguardo trapelò dapprima meraviglia poi, dopo un secondo, divertito apprezzamento. Non disse nulla ma le dedicò un sorriso formato-privato, di quelli che promettevano un rapporto unico e speciale. Sotto i suoi occhi Jenny divenne paonazza. Fece un passo indietro, stringendosi addosso l’asciugamano mentre Gentile, lo sguardo su quella pelle nuda che l’asciugamano non poteva nascondere, inviò il messaggio senza neppure finire di comporlo.
Mark spintonò l’italiano verso la cucina mentre quello puntava i piedi per impedirglielo. Poi si volse furibondo verso Jenny piantata lì, immobile come una statua.
-Vai subito a vestirti!-
Lei sobbalzò al rimprovero.
-Mi hai chiamata tu!- gli gridò addosso, un secondo prima di sparire oltre l’angolo del muro. S’infilò in camera furiosa e richiuse la porta con una tale violenza da far risuonare il tonfo per tutta casa. Poi, immobile al centro della stanza, si portò incredula le mani alle guance. Le sentì bollenti. Si volse e si guardò nello specchio appeso alla parete. Era arrossita, anzi, era paonazza. Davanti a Mark, davanti a Gentile, aveva appena fatto una madornale figura di merda.
Ancora piantato nell’ingresso, Salvatore s’infilò il cellulare in tasca, incapace di credere a tanta fortuna.
-Va sempre in giro per casa così, Landers?-
-Perché invece di dire stronzate non dai una mano?-
-Scherzi? Prima mi inviti e poi mi fai sgobbare?!-
-Io non ti ho invitato, sei tu che ti sei imbucato!-
-Vorrei vedere! Ti sto facendo l’autista da ore! E poi la pizza l'ho offerta io!-
Mark sbuffò.
-Era il minimo che potessi fare.-
-Il minimo che potessi fare per riuscire a dare un’occhiata più da vicino alla tua amica.- e cacchio se c’era riuscito -Non penserai mica di tenerla chiusa in casa, lontana dal resto del mondo? E per di più mezza nuda? Non è giusto che te la godi solo tu!-
Mark divenne scarlatto.
-Non mi godo proprio niente!- lanciò un’occhiata a Rob e Dario che portavano in cucina spesa e birre -E poi il resto del mondo chi sarebbe? Tu?-
-Certo che sono io! Non ti fidi di me?-
Mark lo fissò ostile.
-No, ma mi fido di lei. A Jenny non interessano i palloni gonfiati.-
Salvatore s’irrigidì a quel mezzo insulto.
-Che ne sai?-
-Lo so, la conosco da anni.- Mark non sapeva nulla dei gusti di Jenny, ma quel borioso italiano era distante anni luce da Philip e l’amica non avrebbe mai potuto provare interesse per lui.
Dario si affacciò nel corridoio, imbronciato.
-La smettete di bisticciare? La pizza si fredda e la partita comincia.-
Jenny comparve sulla porta della cucina titubante, guardinga, ancora piena di imbarazzo, portando con sé un profumo di bagnoschiuma ai fiori. I capelli, asciugati in fretta e in furia e ancora umidi, le ricadevano sciolti sulle spalle, un velo di trucco nascondeva la stanchezza del viaggio. Gli occhi guizzarono timorosi nella stanza in cerca del biondo italiano e quando lo trovò non ebbe il coraggio di incrociare il suo sguardo. Abbassò il viso e arrossì. Lui se ne accorse e si volse verso Dario, ridendo lusingato.
-Hai visto? Ho già fatto colpo!-
-E ti pareva…-
Mark li udì e sussultò. Lasciò perdere i cartoni della pizza e si volse. Scorse Jenny immobile sulla soglia, una mano sullo stipite, le guance arrossate, gli occhi luccicanti e un’aria imbarazzata che la rendeva estremamente graziosa. Come se ciò non bastasse, per i gusti di Mark l’amica indossava una camicetta troppo scollata e una gonna troppo corta. La guardò mentre gli si accostava.
-Non avevi detto che ti saresti liberato di loro?-
-Avevo dimenticato la partita.- lui represse la stizza, prese tre birre per il collo e spinse Gentile fuori dalla cucina. Lei li seguì per un tratto, curiosa.
-Che partita?-
-Barcellona contro Amburgo.- Mark le rispose dal salotto mentre Gentile si lasciava cadere su una poltrona.
-Sai una cosa Landers? Non ho mai avuto una ragazza giapponese.-
-E non l’avrai.-
Gli occhi azzurri di Salvatore brillarono di divertimento.
-Il caso vuole che in questo momento sia libero come l’aria.-
-Davvero? Che fine ha fatto Clarissa?-
Lo sguardo dell’italiano si oscurò.
-Ci siamo lasciati.-
-E perché?- ecco un’altra coppia scoppiata! Che accidenti stava succedendo in quel periodo? Gentile si irrigidì, nei suoi occhi passò un lampo di scontento che non riuscì a mascherare.
-Non sono affari tuoi. E comunque sono sicuro che Jenny non ha mai avuto un ragazzo italiano.-
-E allora? Jenny non colleziona fidanzati.-
Lui e Dario si scambiarono un’occhiata d’intesa, pronti a metterlo in imbarazzo.
-È vergine?-
-No che non lo è!-
-Come fai a saperlo? Continui a insistere che non è la tua ragazza…-
Mark li fulminò. Afferrò la birra e ne mandò giù una sorsata risentita.
-Sai che ti dico, Dario?- insistette Gentile -Landers ci ha provato ma non c’è riuscito.-
-Stavolta la penso esattamente come te.-
-Non ci ho provato, razza di cretini! Jenny per me è come una sorella!-
-Tranquillo, la tratterò bene la tua “sorellina”.- rise Salvatore.
-Tu non devi neanche provarci!-
-Perché no? Lascia che sia lei a decidere, è grande abbastanza.-
Jenny li osservò curiosa dalla cucina, decidendo che Gentile aveva una bella voce. Profonda, melodica come l’acqua che scorre, l’acqua dei suoi occhi. Ascoltava a tratti una conversazione che non riusciva a capire. Li sentiva ridere, Mark rispondere a tono, e temeva fortemente che stessero parlando di lei perché aveva udito più volte pronunciare il proprio nome. Poi Salvatore sollevò lo sguardo dalla birra e la scorse attraverso il corridoio. Le sorrise cordiale, lei arrossì e fece un passo indietro, nascondendosi dietro l’angolo per evitare i suoi occhi. Si diede della stupida. Stava reagendo come una quindicenne e non riusciva a capire il perché. Si riscosse, si disse che non poteva restare tutta la sera in cucina da sola, pure se Gentile l’aveva vista mezza nuda. Si fece coraggio ed entrò nel salotto. Per fortuna almeno Dario e Rob le lanciarono un’occhiata distratta, tornando a spartirsi la pizza. Si avvicinò titubante al divano e si appollaiò sul bracciolo accanto a Mark, tesa come una ragazzina. Lui le porse uno spicchio di pizza.
-Perché non mi hai detto che giocava Holly?-
-L’avevo dimenticato.-

Philip giaceva bocconi sul divano. Nel silenzio dell’ampio salone della villa percepiva ancora il rombo dei bassi della musica che gli aveva martellato il cervello per tutta la serata. Non sapeva di cosa si fosse intontito. Un po’ incerto e dubbioso aveva attinto a caso tra quello che gli avevano proposto, confezioni di pasticche così illegali che chi tra i ragazzi le aveva procurate, aveva rischiato non solo l’arresto ma anche il posto in squadra e lo sputtanamento pubblico. Il leggero senso di colpa che l’aveva assalito mentre allungava la mano verso il tavolo, tra anfetamine, nitrito di amile, rush, acido salicilico ed ecstasy, era stato spazzato via dall’occhiata ironica che Daniel Baird aveva scambiato con gli altri, sicuri che Philip non avesse le palle per mandar giù quella roba. Uno stupido orgoglio e la voglia di dimostrare che lui non valeva meno di loro, l’aveva spinto ad afferrare una pasticca e a inghiottirla insieme alla birra. Sapeva perfettamente che il fatto di non aver mai voluto partecipare a quelle feste lo aveva fatto diventare, insieme a Peter Shake, lo zimbello della squadra.
Convinto che l’effetto sarebbe stato immediato, era rimasto immobile per alcuni minuti, seduto ad aspettare che succedesse qualcosa sotto gli occhi divertiti dei ragazzi che gli stavano intorno. Invece la prima mezz’ora non aveva provato niente, nemmeno un leggero stordimento. Solo ad un certo punto della serata, il battito del suo cuore aveva cominciato ad andare a tempo con i bassi e la musica gli era entrata dentro. Vampate di calore lo avevano avvolto, tanto che si era sfilato la felpa restando in maglietta. Il suo malumore era stato scalzato da un’euforia inspiegabile e una voglia irresistibile di divertirsi, che lo aveva spinto tra gli ospiti che ballavano, nel mucchio in mezzo agli altri. Una ragazza con uno striminzito vestitino fucsia e i capelli legati in una coda si era messa a ballare accanto a lui, sempre più vicina fino a strusciarglisi addosso. Ad un certo punto Philip le aveva posato le mani sui fianchi e lei gli aveva circondato il collo con le braccia. Avevano cominciato a baciarsi e si erano spostati a poco a poco ai lati della pista. Nelle ore successive si erano dati alla pazza gioia in una stanza al piano di sopra. Poi ad un certo punto la giovane era scomparsa, Philip era andato in bagno, aveva vomitato anche l’anima ed era tornato nel salotto privo di forze, dove si era lasciato cadere bocconi su uno dei divani, sotto gli occhi divertiti e un po’ fatti dei compagni.
Ora si sentiva come se il suo corpo si fosse spaccato in due. Lo stomaco era sottosopra, protestava per la nausea e lo stimolo a vomitare gli arrivava a ondate nel cervello. Ma non aveva più niente da espellere, s’era già completamente svuotato. La testa, la mente, i pensieri, tutto era sprofondato in una nebbia da cui ogni tanto emergeva un ricordo vago, un pensiero inutile. L’intontimento lo avvolgeva con un piacevole torpore, tenendogli lontano dalla mente ogni idea e ogni concetto. Anche sforzandosi, e non gli andava certo di farlo, non riusciva a pensare a nulla. Il vuoto assoluto. Neppure ricordava la ragazza con cui si era divertito quella notte. Neppure si rendeva conto, a tratti, di dove si trovasse e di cosa ci facesse lì, se non fosse stato per la nausea che lo assaliva e lo riportava sul confine della consapevolezza.
Se ne stava riverso su quel divano un po’ appartato da almeno due ore, il viso girato verso la spalliera, l’altra guancia incollata alla tela spessa dei cuscini. A parte le proteste del suo stomaco scombussolato, finalmente stava bene ed era felice. Sul suo volto aleggiava l’ombra di un sorriso, quella notte aveva soddisfatto tutti i sensi.
D’un tratto qualcuno gli sollevò un braccio e glielo lasciò ricadere brusco. La mano urtò dolorosamente contro l'intelaiatura del bracciolo del divano, la fitta gli raggiunse il cervello, poi si dissolse nel nulla.
-Callaghan è andato.- rise una voce maschile. Forse era Daniel.
-Per essere la prima volta ha reagito bene.-
-Tocca invitarlo di nuovo. È stato uno spasso!-
Una risata gli rimbombò nelle orecchie. Un moto di fastidio lo invase e la nausea lo assalì ancora. Forse non l'avrebbe più abbandonato. Si chiese chi lo stesse sfottendo, cercò di aprire gli occhi ma non ci riuscì, continuò a vedere nero e dopo quello sforzo, abbandonò ogni tentativo di riscuotersi.
-Chiamate Shake così se lo viene a riprendere.-
Quella frase lo fece riemergere di nuovo, e stavolta in modo ancora più brusco, dagli spessi strati di ovatta che gli avvolgevano il cervello. No, non Peter. Non voleva assolutamente che qualcuno che lo conosceva da anni lo vedesse ridotto in quello stato. Tentò di sollevare il braccio che pendeva inerte a terra, ma non riuscì ad agitare neppure le dita che sfioravano il pavimento.
Aveva bisogno di tempo. Un minuto, due, tre… qualche istante ancora per riuscire a connettere, per riallacciarsi addosso gli arti che erano finiti chissà dove. A forza di provare tornò gradualmente padrone della sua mano. Agitò le dita e un formicolio fastidiosissimo gli salì su per la spalla, fin sulla nuca e sul cuoio capelluto. Fece un altro sforzo e spostò la gamba. La lasciò scivolare a terra e appoggiò un ginocchio sul pavimento. Quei semplici, stupidissimi movimenti lo sfiancarono. Si prese del tempo per riposare. Volarono altri minuti, dieci, quindici, poi un trillo prepotente e improvviso gli risuonò nelle orecchie, seguito subito da alcune voci concitate che si avvicinavano.
Peter entrò nel salone guardandosi intorno. Come posò gli occhi sul volto sfatto dell’amico, la preoccupazione lasciò il posto all’ira.
-Cosa gli avete dato?-
Baird rispose stizzito.
-Callaghan si è servito da solo!-
Shake scostò bruscamente Richard Hall che era sul suo percorso, si avvicinò a Philip e si chinò su di lui. Doveva portarlo via da lì e farsi promettere che non ci avrebbe più rimesso piede.
-Vieni, ce ne andiamo.- gli afferrò un braccio e cercò di tirarlo su -Ce la fai a camminare?-
Philip non credeva di avere la forza di rispondere, ma invece assentì, chinando appena la testa. Aiutato da Peter si mise in piedi, malfermo sulle gambe, gli occhi offuscati.
Uscirono in strada e l’aria gelida della mattina lo riscosse. Aggrappato al compagno per non scivolare sul ghiaccio, barcollò fino alla macchina. Peter aprì lo sportello e l’aiutò a infilarsi dentro. Poi gli agganciò la cintura di sicurezza, perché Philip da solo non era in grado di farlo. Richiuse sbuffando lo sportello, salì dall’altro lato e si sedette al suo fianco.
-Che cazzo combini, Philip? Che ci facevi lì con loro?-
Lui si volse e gli lanciò un’occhiata stanca, confusa.
-Niente…-
-Niente?- alzò la voce, furioso -Il loro “niente” non ti è mai piaciuto! Ora invece ci sei andato. Perché?-
Philip chiuse gli occhi e posò la nuca contro il poggiatesta, continuando a restare in silenzio.
-Hai provato anche tu? Anche tu hai mandato giù quelle schifezze, vero? Come hai potuto farlo? Hai sempre disapprovato… Abbiamo sempre disapprovato.- tacque un istante e abbassò lo sguardo sul contachilometri fermo a zero. Poi si volse di scatto -Se ti vedesse Jenny! Se lo sapesse!-
Philip fu scosso da un fremito e si volse, cercando di mettere a fuoco quel volto che conosceva da quando erano bambini.
-Non c’entra niente lei! Non voglio che la nomini!-
-Perché? Altrimenti che fai? Mi prendi a pugni?-
La sua provocazione cadde nel vuoto. Philip non aveva la forza neppure di rispondergli. Fremente di indignazione, Peter lo riempì d’insulti finché non si fu sfogato abbastanza. Poi puntò gli occhi sulla strada, mise in moto e partì.
Dopo quel barlume di lucidità che gli aveva richiesto lo stesso sforzo che gli ci era voluto per trasferirsi dal divano alla macchina, Philip scivolò di nuovo nel torpore. Ma adesso non era più tanto piacevole. Immagini di Jenny si accavallavano nella sua testa una dietro l’altra e non aveva abbastanza energie per scacciarle. Le parole di Peter non finivano di riecheggiargli nella mente, rimbalzando impazzite come le palline di un flipper. L’amico aveva ragione, Jenny non avrebbe mai voluto e proprio per questo era valsa la pena. Ce l’aveva ferocemente, furiosamente e disperatamente con lei, avrebbe fatto qualsiasi cosa che lei avesse disapprovato. Il tempo e la sofferenza avevano cancellato molti particolari dei loro litigi e Philip aveva finito per dimenticare fino a che punto e quante volte le sue parole l’avessero ferita. Quando l’ira dell’ultima discussione era evaporata, ne era rimasto come inaridito, con un vuoto dentro che aveva sentito subito la necessità di riempire. Allora aveva provato e riprovato a chiamarla sia al cellulare e che a casa, per fare la pace, per scusarsi, per riavvicinarla a sé. Lei non aveva mai risposto, né all’uno, né all’altro telefono. Così, dopo un paio di giorni di tentativi, era salito in macchina ed era tornato a Furano, arrivando fin sotto casa sua. Aveva parcheggiato lungo il marciapiede, era sceso ed era rimasto sgomento ad osservare a naso in su porte e finestre completamente sbarrate. Il panico l’aveva assalito. Si era avvicinato al cancello e aveva suonato. Nessuno aveva risposto. La cassetta della posta traboccava di volantini, nessuno la ritirava più. Aveva lanciato un’altra occhiata alla casa e aveva capito che Jenny non c’era, non c’era più da giorni. Era risalito in macchina e se n’era andato. Il giorno dopo non era tornato a Sapporo e aveva saltato gli allenamenti per restare per buona parte della giornata seduto in macchina davanti casa di lei. Non l’aveva vista. Era ritornato il giorno dopo e quello dopo ancora per tutta la settimana, intervallando le sue visite ad inutili telefonate. Poi Peter lo aveva chiamato e gli aveva detto chiaro e tondo che se avesse continuato a saltare gli allenamenti, avrebbe rischiato il posto in squadra. Così era ripartito, con la certezza che la casa era vuota e che Jenny se n’era andata. La delusione e l’angoscia si erano tramutate in collera e con il passare dei giorni l’ira verso chi l’aveva abbandonato senza neppure una parola, aveva distorto i ricordi. Adesso non era più lui ad averla lasciata nei corridoi dello stadio di Sapporo durante il loro ultimo litigio, ma lei ad essere sparita senza avvertirlo e senza dargli spiegazioni, senza neppure dargli il tempo di scusarsi, di chiederle perdono. La nuova versione dei fatti aveva attenuato lo shock dell’abbandono e il dolore del distacco, lo aveva giustificato quando aveva deciso di distrarsi con un paio di ragazze amiche di amici. Era rimasta radicata dentro di lui mentre chiamava Julie per la prima volta al cellulare, quando aveva cominciato a vedersi con lei. Aveva continuato a credere per giorni che la colpa di tutto fosse di Jenny, ne era rimasto convinto fino a quel momento. Uscito dalla villa di Daniel, dopo le parole di Peter, gli erano tornate davanti agli occhi chiare e nitide le finestre sprangate della bella casa alle pendici di Furano. E ora nella macchina dell’amico, seduto accanto a lui, intontito dalle anfetamine, Philip capì finalmente che la colpa era sua. Solo ed esclusivamente sua. Era lui ad aver sbagliato tutto. Con un tuffo al cuore si rese conto che forse non l’avrebbe più rivista, che probabilmente l’aveva persa per sempre.
Peter guidò in silenzio. Era furioso e non sapeva che fare. Non gli andava di portare Philip da lui (Grace si era fermata, quella notte) ma non si fidava neppure a riaccompagnarlo a casa. L’amico non metteva piede nel suo appartamento da mesi e non se la sentiva a lasciarcelo da solo, così all’improvviso e per di più in quello stato. Mentre era fermo ad un semaforo si frugò nelle tasche, tirò fuori il cellulare e spinse il tasto invio.
-L’ho preso, è qui con me.- disse quando Grace gli rispose -Cosa faccio?-
Le parole di Peter si fermarono nel limbo in cui la mente di Philip continuava a galleggiare e persero di significato prima di assumere un senso.
-Non mi fido a lasciarlo da solo...- un’altra pausa -Va bene.- Peter chiuse la comunicazione e posò il cellulare sul sedile, tra le gambe. Lanciò un’occhiata a Philip che teneva gli occhi chiusi. Scosse la testa e tornò a seguire la strada.
Si fermò nel parcheggio riservato al condominio, smontò e suonò al citofono. Mentre aspettava che Grace rispondesse, osservò il compagno che aveva lasciato in macchina, immobile sul sedile. Teneva gli occhi chiusi, la testa abbandonata contro il vetro del finestrino, forse dormiva. Probabilmente non si era neppure accorto che erano arrivati.
La ragazza comparve avvolta nel cappotto. Sotto l’orlo spuntavano i pantaloni del pigiama. Erano le sei di mattina, stava appena cominciando a fare giorno, era domenica e in giro non si vedeva nessuno.
-Allora?- il suo fiato si condensò in tante gelide nuvolette. Stringendosi una mano nell’altra si fermò accanto a Peter e lanciò un’occhiata malevola alla macchina. Non restava praticamente mai a dormire lì e per una volta che lo faceva, Philip le aveva rovinato la festa -Come sta?-
-Puoi vederlo da te. Non si muove neppure.-
-Sta dormendo?-
-Non ne ho idea. L’ho trovato così.-
-Portiamolo su.- sospirò la ragazza aprendo lo sportello.
Philip crollò sul divano, su cui lo spinsero neppure troppo gentilmente. Si rannicchiò su se stesso, sprofondò il viso tra il bracciolo e lo schienale e rimase così, immobile. Non aveva detto una parola mentre erano nell’ascensore, né mentre percorrevano il corridoio, Grace che lo sosteneva da una parte, Peter dall’altra. Non li aveva neppure ringraziati, forse non si rendeva neanche conto di dove fosse.
Grace gli gettò una coperta addosso, poi si accostò a Peter e lo prese per mano, restando a guardarlo perplessa.
-Cos’ha mandato giù?-
Il ragazzo scosse la testa.
-Non voglio neppure saperlo.- si staccò da lei e si lasciò cadere su una poltrona -Baird ha detto che si è servito da solo e probabilmente non lo sa neppure lui.-
Grace lo guardò, poi tornò ad osservare Philip e sospirò abbattuta.
-Perché si comporta così?- le venne quasi da piangere per la stizza -Se ci fosse Jenny lei saprebbe… Non glielo permetterebbe… E lui non lo farebbe…- gemette lasciando tutte le frasi a metà -Non lo farebbe mai!- lo guardò ancora un istante, affranta, poi sentì il cellulare squillare. Lo aveva lasciato in camera da letto e corse a recuperarlo.
Non riconobbe il numero che comparve sul display.
“Grace.”
-Jenny?- la sorpresa fu immensa, non sentiva l’amica da giorni.
“Grace, sei sola? Ti disturbo?”
-C’è Peter, di là…- e c’è anche Philip, avrebbe voluto aggiungere ma non lo fece -Alla buonora! Sai da quanti giorni ti sto cercando? Mi hai fatta preoccupare.- la sentì sospirare e le sembrò lontanissima -Dove sei?-
“Devi promettermi che non lo dirai a nessuno.”
-E a chi vuoi che lo dica?- si affacciò nel corridoio e vide Philip disteso sul divano, gli occhi chiusi, profondamente addormentato. O forse svenuto, collassato, per quanto ne sapeva. Peter gli aveva sistemato meglio il plaid sulle spalle perché non prendesse freddo.
“A Peter, per esempio.”
-Se non devo dirglielo, non glielo dirò. Sai che mantengo sempre le promesse.-
Jenny udì un rumore e si volse. Salvatore Gentile era fermo sulla porta della cucina, la guardava e le sorrideva.
-Non vieni di là?-
-Arrivo subito.- gli indicò il telefono, lui capì e si ritrasse.
“Jenny, chi è con te?” l’aveva sentita parlare in inglese “Sei di nuovo a New York?”
-No, sono in Italia.-
“In Italia?” lo sgomento la portò quasi ad urlare. Abbassò subito la voce, il timore che Peter l’avesse udita. Per sicurezza chiuse la porta “Come accidenti ci sei finita, in Italia?”
-Con l’aereo, Grace.- non voleva perdersi in chiacchiere, voleva solo rassicurarla che stava bene -Senti, scusa, ti devo lasciare. Mi stanno aspettando.-
“Questo è il tuo numero, Jenny? Posso chiamarti qui?”
-No, non lo è. Ti chiamerò io.- la salutò, riagganciò e ripose il cordless di Mark nell’ingresso, sperando che l’amico non si accorgesse che aveva fatto una telefonata intercontinentale con i suoi soldi.
Tornò in salotto e si sedette sul divano accanto a Mark, fissando lo schermo della tv, sentendo i ragazzi parlare ma pensando a Grace, a quello che l’amica stava facendo. A cosa avrebbe pensato della voce di Salvatore che aveva udito, se sarebbe davvero riuscita a mantenere il segreto. Aveva dovuto chiamarla per forza, Grace, o si sarebbe preoccupata sul serio e lei non voleva. Succedeva troppo spesso, ultimamente, che l’amica fosse in pena per lei. Non riuscì a concentrarsi sulla partita e la conversazione in italiano si confuse presto nella sua mente stanca. Si addormentò tra i cuscini senza accorgersene e non fu l’unica a farlo.
-Mark, la partita è finita.- Rob gli mise una mano su un ginocchio e lo scosse.
Lui aprì gli occhi, intontito dal sonno.
-Chi ha vinto?-
Il ragazzo lo guardò con un sorrisetto di scherno.
-Non te lo dico, così impari a dormire mentre gioca Holly.-
-Vaffanculo Aoi.- soffocò uno sbadiglio, riemergendo goffamente dai cuscini. Si tirò su e si guardò intorno. Dopo il risultato della partita, il secondo pensiero fu per Jenny. La cercò con lo sguardo e se la ritrovò accanto, anche lei profondamente addormentata. Si era raggomitolata su se stessa e poggiava la fronte contro il suo braccio. La gonna le era salita un po’ sulle gambe e dalla scollatura della camicetta si scorgeva il merletto bianco del reggiseno. Distolse immediatamente gli occhi.
-Il fuso orario è una brutta bestia, eh?- gli sorrise Dario tornando dalla cucina dove era andato a gettare i cartoni della pizza.
Mark si alzò a fatica, si sentiva distrutto. Si chinò su Jenny che continuava a dormire indisturbata, le posò una mano sulla spalla e la scosse. La giovane si rannicchiò su se stessa, i capelli le scivolarono davanti nascondendole il viso.
-Jenny?-
Si girò dall’altra parte, così insonnolita da dimenticare la presenza degli altri ragazzi. Mark la fissò interdetto, poi accompagnò gli amici nell’ingresso. Fu con un sospiro che richiuse la porta dietro di loro. Tornò nel salotto e si caricò Jenny tra le braccia. Lei non fece una piega. Era uno scricciolo, leggera come una piuma. La portò di sopra senza sforzo, la depositò sul letto, la ricoprì e finalmente, dopo una giornata distruttiva che era cominciata in Giappone ed era finita in Italia ventisei ore dopo, riuscì finalmente a ficcarsi sotto le coperte.
Alle quattro Jenny si svegliò di soprassalto. Aveva sognato Philip e una versione più soft del loro ultimo litigio. Si mise seduta sul letto, si passò una mano sugli occhi umidi, accese la luce del comodino e si guardò. Era ancora completamente vestita. Fece mente locale, ricordò la cena in salotto e la pizza con Gentile, Belli e Aoi. Non riuscì a spiegarsi come avesse fatto ad arrivare in camera. Si alzò per andare in bagno e quando tornò esitò davanti al tavolino, gli occhi puntati sul cassetto chiuso. Voleva vedere di nuovo la foto che aveva ritagliato dalla rivista di Mark quando lui era uscito per fare la spesa insieme agli altri. L'aveva nascosta lì dentro ma adesso voleva averla ancora sotto gli occhi, il desiderio che la vista di Philip e Julie, oltre a farla soffrire, la riscuotesse e le desse la forza di andare avanti in un momento in cui la sua vita sembrava essersi fermata, che la spingesse a dimenticarlo. Doveva smettere di sperare che prima o poi lui sarebbe tornato. Se avesse avuto intenzione di farlo lo avrebbe già fatto, non avrebbe lasciato che trascorresse tutto quel tempo. E sicuramente non si sarebbe lasciato fotografare con un’altra. Jenny allungò una mano per aprire il cassetto, poi sentì bussare alla porta. Sussultò, si scostò dal tavolino e si lasciò cadere sul letto.
-Jenny?- Mark fece capolino nella stanza -Non dormi?-
-Non ci riesco.-
-Neanch’io, maledetto fuso orario.- il ragazzo si sedette sul letto e Jenny si scostò per fargli spazio.
-Sono andati via?-
-Da un bel pezzo ormai.-
-Come sono arrivata qui?-
-Ti ho portata in braccio.-
Le guance di lei si colorirono di rosso.
-Maniaco!-
Lui la fissò incredulo.
-Maniaco? Come puoi darmi del maniaco? Ho provato a svegliarti ma ti sei girata dall’altra parte!-
-Non è vero!-
-Sì che lo è!-
Jenny si portò le mani al viso.
-Non ci posso credere… Non posso essermi addormentata davanti a tutti.- non davanti a Gentile, a Belli, ad Aoi. Forse aveva addirittura russato!-
-Che problema c'è? Anch'io mi sono addormentato. Non ho neppure visto com'è finita la partita!-
Lei cambiò argomento, pur di scacciare l’imbarazzo.
-Benji non aveva firmato il contratto col Bayern? Perché gioca con l’Amburgo? Non lo sapevo.-
Certo che non lo sapeva. In quell’ultimo anno era stata troppo concentrata a dedicarsi a se stessa, a cercare di superare il trauma della violenza di David e a ricostruire con Philip un rapporto lacerato. Non sapeva niente del contratto di Benji così come non era andata al matrimonio di Patty e Holly, l’unica a mancare. E non solo era mancata. Quando quella sera Philip era rientrato da Fujisawa, non gli aveva chiesto nulla. Soffriva troppo per riuscire ad essere felice della gioia degli altri. E così, tra le altre cose, aveva perso anche la notizia della rinuncia di Benji a quella che avrebbe potuto essere l’occasione della sua vita.
-Perché?- ripeté sgomenta.
Mark fece spallucce.
-Lo stai chiedendo alla persona sbagliata. Se Price ha un dubbio non viene certo a confidarsi con me. Probabilmente qualche clausola del contratto non gli è piaciuta e ha deciso di rinunciare. O forse puntava ad un’altra squadra… Vallo a sapere.-
-Eppure a Kyoto mi era sembrato entusiasta.- s’interruppe di colpo e non riuscì a continuare. Abbassò gli occhi sulle dita spasmodicamente serrate tra le pieghe del lenzuolo. Deglutì e ingoiò il disagio.
Era la seconda volta quel giorno che finivano per accennare prima a David, poi a Kyoto. Due parole che erano sinonimi e Mark sapeva bene quali traumatici ricordi scatenassero. Eppure, nonostante la tensione che aveva irrigidito il suo corpo, Jenny riusciva a parlarne. Era un bel passo avanti da quando l’aveva vista a Furano l’ultima volta.
-Perché tu e Philip vi siete lasciati?-
La ragazza si volse di scatto e lo guardò tesa. Esitò un secondo, prima di rispondere.
-Non mi va di parlarne.-
-Non andrei a dirlo a nessuno.-
-Mi fido, Mark… Ma non voglio parlarne, davvero.- le faceva troppo male e soprattutto sarebbe dovuta scendere in particolari troppo privati e intimi.
-Chi sa che sei qui?-
-I nonni. E poi Ed ma soltanto perché avevo bisogno dei dettagli del tuo volo.-
-Potevi chiamare me.-
-Mi avresti chiesto notizie di Philip.-
Mark seppe che lei aveva ragione, lo avrebbe fatto. Sospirò.
-Ai tuoi non hai detto niente?-
-No.-
-Saranno sicuramente preoccupati.-
-No, pensano che sia a Shintoku. La nonna mi terrà il gioco ancora per qualche giorno. E poi per mio padre un posto vale l’altro. Che sia qui con te o a casa non fa nessuna differenza.- tirò su il cuscino e se lo ficcò dietro le spalle per appoggiarsi contro la spalliera del letto -Ci sentiamo sì e no una volta ogni tre-quattro mesi. Persino mia madre non mi chiama quasi mai.-
Mark l’ascoltò in silenzio, pieno d’interesse, perché non sapeva praticamente nulla della famiglia di Jenny. Aspettò che continuasse.
-Mio padre adora il suo lavoro e mia madre, nient’altro.- distolse gli occhi da lui e continuò con una sfumatura di amarezza -Guadagna parecchio e mi ha sempre dimostrato il suo affetto con un cospicuo versamento mensile sul mio conto in banca. Da quando sono tornata in Giappone e sono diventata indipendente, cioè praticamente dal liceo, i soldi che mi invia sono quasi raddoppiati. E sai perché? Perché ho finito di essere un peso per lui. Per anni a mio padre veniva assegnato un nuovo incarico ogni sei mesi. In prima e seconda elementare ho cambiato quattro volte scuola.- abbassò gli occhi sulle coperte che stringeva tra le mani -Poi a mia madre hanno detto che a quell’età così tanti cambiamenti rischiavano di rendermi psicologicamente instabile. Allora ha avuto l’idea geniale di parcheggiarmi a Shintoku dai nonni.- la sua voce s’incrinò -In terza media mio padre ha fatto un errore ed è stato retrocesso. La sua punizione è stata un anno in Giappone, a Furano. I momenti più belli della mia vita. Sistemati i suoi affari, appena ha potuto, se n’è tornato a New York.- di nuovo un sorrisetto ironico le incurvò le labbra e concluse, per rassicurarlo -Li avvertirò che sono in Italia ma domani, con calma.-
-E a Philip non dirai nulla?-
-Credi che gli interessi saperlo? Ha altro per la testa, hai visto anche tu.-
Mark capì che si riferiva alla modella.
-Secondo me gli interessa lo stesso.-
Lei non si lasciò convincere.
-Non sono tenuta a dirglielo. Non stiamo insieme.- lo fissò negli occhi -E poi vorresti davvero che lui sapesse che sono qui, ospite a casa tua?-
Mark valutò la domanda e decise di no. Era meglio che l’amico ne restasse all’oscuro. Presto avrebbe cominciato a tentare di convincere Jenny a tornare in Giappone e se ci fosse riuscito quell’assurda convivenza si sarebbe risolta. Le sorrise rassicurante.
-Vedrai che tutto si sistemerà.-
Lo disse perché ci credeva davvero. Si alzò, le diede la buona notte e la lasciò, richiudendosi la porta alle spalle. Non tornò in camera. Doveva approfittare che in Giappone fosse già mattina per fare una cosa che gli premeva. Scese al piano di sotto stringendo tra le dita il telefonino, entrò in cucina e richiuse la porta dietro di sé, per essere sicuro che Jenny non lo udisse.
-Ed, sei uno stronzo bastardo! Come hai potuto farmi una cosa simile?-
Warner dall’altra parte del mondo rimase senza parole. La sorpresa di vedere il cellulare squillare con il nome di Mark sul display in una costosissima telefonata intercontinentale fu niente rispetto allo sgomento prodotto dalle brusche parole che il suo ex capitano gli rivolse così, all’improvviso.
-Io mi fidavo di te! Mi fidavo ciecamente di te! E tu che hai fatto? Mi hai mollato questo immenso, incommensurabile casino tra capo e collo, come se io qui non avessi già abbastanza rogne! Ma che ne sai tu di cosa significhi vivere all’estero e giocare in una squadra con un difensore che è uno stronzo pallone gonfiato?-
“Mark…” tentò inutilmente di arginarlo.
-E se lo venisse a sapere Callaghan? Se qualche giornalista ficcanaso ci beccasse insieme e la foto arrivasse in Giappone? Se Callaghan scoprisse che mi sono portato Jenny a Torino, sarebbe capace di uccidermi! Lo sai, vero?-
“Mark, non credo che…”
-E poi che accidenti significa che si sono lasciati? Chiama Philip e chiediglielo! Io non posso, mi costerebbe una fortuna, come mi sta costando una fortuna parlare con te!-
Ed avrebbe voluto fargli presente che finora aveva detto sì e no tre parole, ma non ci riuscì. Mark sembrava un fiume in piena.
-Devi assolutamente scoprire cos’è successo. Sguinzaglia Harper e quell’impicciona della sua fidanzata e richiamami immediatamente appena scopri qualcosa. Non posso tenermi Jenny in casa, se quei deficienti della mia squadra la individuano non la finiranno più! E poi c’è quel coglione di Gentile che ha già iniziato a ronzarle intorno.- fece una pausa per riprendere fiato -Era all’aeroporto! È venuto a prenderci. Non glien’è mai fregato un cazzo di me, potevo anche crepare e lui avrebbe fatto i salti di gioia, e all’improvviso è venuto all’aeroporto per accompagnare me e Jenny a casa. È trapelata qualche notizia in Giappone? A Narita qualcuno ci ha fotografati? Hai controllato?-
“Non mi pare…”
-Non è questione “che ti pare”! Devi controllare, devi esserne sicuro! Il problema non è solo Callaghan! Qui succede un casino anche se lo scoprono gli altri! Nessuno di loro me la perdonerebbe. Né Tom, né Holly! E quel cretino di Price non mi lascerebbe più campare!-
“Va bene Mark, controllerò.”
-Perfetto. Se scopri qualcosa fammi sapere. Anzi, mandami una mail con le prove. Ci sentiamo.- e riagganciò.
   
 
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