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Autore: mido_ri    15/02/2018    0 recensioni
Due ragazzi completamente diversi entrano in contatto in un apparente contesto scolastico.
Alessio: il solito ragazzo disordinato e "piantagrane" che reputa la sua vita una noia, così come la scuola e qualsiasi tipo di legame con le altre persone.
Riccardo: un ragazzo, meglio definito "ragazzino", che sembra fin troppo piccolo per poter frequentare il secondo anno di liceo; al contrario del suo fisico, la sua mente è grande.
Così come ci si aspetterebbe da un ragazzo del genere, Riccardo nasconde a tutti, perfino alla sua famiglia, la vera vita che conduce ogni giorno, difficile e sconvolgente.
Un inaspettato incontro spingerà Alessio a porsi sempre più domande su quello strano ragazzo.
Come si svolgerà la storia dei due incompatibili compagni di banco?
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mar, 21 novembre, sera

- C-cosa ci fa lei qui? -

- Dammi del tu, per favore. Vorrei parlarti, ma prima... mi sembri sconvolto, cos'è successo?-

Tentai di darmi una sistemata e assumere un'espressione normale.

- Nulla, ho discusso con un amico. Una cosa da niente -

- D'accordo, allora... possiamo metterci comodi da qualche parte? -

- Be'... io, ecco... -

Mi frugai automaticamente in tasca.

- Non ho le chiavi -

- Oh! Ma fa freddo qui... che ne dici di andare in macchina? -

- V-va bene... -

Lo seguii diligentemente e lo osservai mentre attivava l'aria condizionata.

- Di cosa dobbiamo parlare? -

- Ho saputo delle informazioni che avete dato tu e Riccardo all'investigatore oggi -

- R-riguardo a quella macchina? -

- Sì, esattamente. Mi sono permesso di comunicarti alcune cose che ho pensato. Ovviamente nulla di certo... -

Nonostante nulla fosse ancora sicuro, non stavo nella pelle all'idea di poter ottenere informazione direttamente da parte di qualcuno facente parte del corpo investigativo.

- Ne ho parlato anche con il capo e sembrava abbastanza convinto, quindi ha preso in considerazione le mie analisi. Non posso dirti le cose in modo dettagliato, anche perché non c'è un filo conduttore che si ricolleghi a tutti gli avvenimenti... -

Tutte quelle prefazioni mi entravano da un orecchio e uscivano dall'altro: non vedevo l'ora che arrivasse subito al punto, anche se ero terrorizzato da ciò che avrebbe potuto svelarmi.

- Per farla breve, pensiamo che il padre di Noemi c'entri in negativo con tutta questa storia -

Rimasi interdetto.

- I-il padre di Noemi? Ma lui... io non lo conosco neanche e... e sono sicuro che sia una bravissima persona, proprio come sua figlia -

- Ci sono tante persone che hanno un vero e proprio talento naturale nell'ingannare gli altri... -

- Stai... stai insinuando che Noemi abbia potuto prendermi in giro? Non mi ha mai fatto niente! -

- Ma cerca di avvicinarsi a te il più possibile, o sbaglio? -

Deglutii.

- E tu come lo sai? -

L'uomo chiuse gli occhi per qualche attimo e inspirò rumorosamente.

- Controllarti è il mio incarico principale -

- C-controllarmi... o seguirmi? -

Appoggiai una mano sulla maniglia dello sportello, ma l'uomo premette il tasto per bloccare tutte le uscite.

- Alessio, ascolta... -

- No! Tu... tu non sei un normale poliziotto... tu mi nascondi qualcosa! -

- Cosa stai dicendo? Se non ti avessi appoggiato, allora perché avrei dovuto dirti queste cose? -

- Per spingermi a fidarmi di te... -

L'altro scosse la testa e mi sfiorò un braccio, ma mi scostai all'istante.

- Calmati. Perché non provi ad ascoltarmi invece di reagire d'impulso? So che sei molto scosso per tutto quello che è successo... e anche per le cose che ti ho detto... -

- Sta' zitto! Non voglio ascoltarti! -
- So anche che ci tieni alla tua compagna di classe. Non è certo che lei e suo padre c'entrino qualcosa, non l'ho mai detto... -

- Ma ne sei convinto, e ne hai parlato anche con il tuo capo! -

Scossi la testa e tentai nuovamente di aprire lo sportello, invano.

- Soltanto perché per il momento questa è la pista più sensata da seguire! -

- Quindi... questo vuol dire che prima che io e Riccardo vi comunicassimo quelle cose... -

- Esatto, eravamo in alto mare -

- E appena vi abbiamo detto quelle cose, non avete potuto fare altro che inventarvi un colpevole, giusto? Avrei preferito essere incolpato io! Almeno faccio direttamente parte del casino che si è creato dal fottuto giorno in cui quel bastardo mi si è presentato davanti! -

Stavolta l'uomo non mi rispose, ma rimase in silenzio a meditare sulle mie parole.

- Sono sicuro al 100% che il padre di Noemi sia innocente. Perché invece non vi date da fare per trovarlo? Sua figlia sta malissimo... e poi, quale assassino lascerebbe la sua macchina nella casa in cui ha ucciso delle persone? Eh?! -

- Hai ragione, non avrebbe senso. Ma allora perché proprio la sua macchina? Questo ci dà conferma del fatto che sia coinvolto... e non a caso è scomparso dalla circolazione. Per quanto mi riguarda, potrebbe essersela data a gambe o potrebbe star escogitando un nuovo piano... -

- Infatti la cosa non ti riguarda! Lui è innocente, Noemi è innocente, Riccardo è innocente, io sono innocente... vorrei solo sapere chi... perché... -

- Sarà proprio questo tuo modo di pensare a farti soffrire sempre di più -

- Che vuoi dire? -

- Dubiti delle persone che ti sembrano più sospette, mentre dovresti prestare attenzione anche a coloro di cui ti fidi -

- Secondo il tuo ragionamento non dovrei fidarmi di nessuno. E poi... se una persona mi sembra sospetta ci deve essere un motivo, tipo te -

- Perché dovresti dubitare di me? -

- Perché stai cercando di farmi cambiare punto di vista in tutti i modi e hai cambiato argomento -

L'uomo incrinò il capo e mi guardò confuso.

- A cosa ti riferisci? -

- Vuoi farmi credere che il padre di Noemi sia il colpevole e non vuoi dirmi perché non stai in mezzo a una cazzo di strada a controllare il traffico invece di tenermi bloccato in questa macchina di merda! -

- Hai frainteso... devi calmarti... -

Il suo respiro si fece affannoso e i suoi occhi vagavano da un angolo all'altro dell'auto.

"Ha paura di me. Questa volta ho io il coltello dalla parte del manico, è divertente! Chissà come reagirebbe se..."

- Alessio... -

Non avevo idea di come apparissi ai suoi occhi, ma a giudicare dalla sua espressione, dovevo essere davvero spaventoso. Non mi importava.

In uno scatto guidato dall'irrazionalità mi avventai su di lui e afferrai la pistola agganciata alla sua cintura, gliela puntai contro e sorrisi.

- Ora capisci come mi sento ogni maledetto giorno? Non mi interessa sapere chi tu sia, a patto che muovi il culo e mi tiri fuori da questa situazione -

Spostai il dito sul grilletto e feci un po' di pressione.

- F-fermo... sono stato semplicemente ingaggiato dal capo perché mi hai rivelato delle c-cose importanti... -

- Vuoi dirmi solo questo? -

- S-sì... è tutto quello che ho da dire -

- E perché non l'hai detto prima? -

Mi piegai ancora di più sul suo corpo rannicchiato in quello spazio ristretto.

- Doveva essere un segreto... dovevo sembrarti un semplice poliziotto interessato a questo caso... -

Aggrottai le sopracciglia e lui alzò le mani all'istante in segno di difesa.

- S-solo un segreto professionale... tutto qui -

Deglutì e spostò lo sguardo altrove; continuava a respirare affannosamente e a gemere di tanto in tanto, con le tempie umide di sudore.

"Allora è così che sono io quando mi faccio sopraffare dal terrore... che spettacolo orribile, che schifo!"

Mi venne voglia di premere il grilletto per ammazzare quella perfetta versione di me, sperando di poter scomparire con essa, ma gli occhi lucidi e il corpo fragile di Riccardo mi riportarono alla realtà: mi avrebbe odiato se avessi fatto una cosa del genere.

Lasciai cadere la pistola sul sedile del passeggero e sbloccai gli sportelli, poi uscii di corsa con le guance ricoperte di lacrime fin troppo calde a dispetto dell'aria gelida che mi colpiva in viso come uno schiaffo.
La macchina che poco prima mi aveva ospitato, partì immediatamente, lasciandomi solo e immerso nell'oscurità di un vialetto che non mi apparteneva. Volevo tornare a casa, chiedevo forse troppo? Ma alla fine, cosa ci sarei tornato a fare? Per sentirmi ancora più solo?

Mi destai quando una luce mi colpì dritta in viso e un rombo di motore riecheggiò in lontananza: i genitori di Matteo erano tornati a casa e io non mi ero accorto di aver chiuso gli occhi ed essermi addormentato contro il portone di casa, seduto sulle scalette umide. Mi rialzai e mi diedi una sistemata, tentando di assumere l'aria di uno che era appena arrivato, ma la testa mi girava vorticosamente e rischiai di cadere un paio di volte.
Uno degli sportelli posteriori si aprì e ne uscì Matteo, che mi corse incontro e quasi mi saltò addosso.

- Da quanto tempo sei qui? Mi hai fatto preoccupare! -

Volevo rispondere in modo sarcastico, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono. Dovevo sembrare abbastanza sorpreso, perché l'altro mi prese il viso fra le mani e mi chiese se andasse tutto bene. Mi scostai e mi piazzai davanti alla porta, aspettando che Rosanna mi raggiungesse con le chiavi in mano.

- Alessio! Non ti sei fatto vedere per tutta la giornata, che fine avevi fatto? -

Mi appoggiò una mano sulla nuca e mi accarezzò dolcemente, ma il suo calore non mi arrivò affatto.

- Abbiamo incontrato Matteo per strada e siamo andati a mangiare una pizza. Abbiamo provato a chiamarti, ma non rispondevi! -

Il suo tono preoccupato mi faceva sentire a disagio.

- E Matteo ha detto che neanche lui ti ha visto per tutto il giorno! Cosa combini? Ci fai preoccupare... -

Mi voltai verso Matteo e alzai le sopracciglia, come a fargli una domanda che non potevo pronunciare. Il ragazzo abbassò lo sguardo e si scusò sottovoce.

Quella sera mi rifiutai di cenare e mi gettai sul letto a pancia in giù, senza neanche svestirmi. Premetti la faccia sul cuscino e, per quanto tentassi di non ripensare a tutto ciò che era successo quel giorno, la mia mente ripercorreva ogni istante di quello che era accaduto in macchina e, maggiormente, agli avvenimenti successivi: ero troppo nervoso e angosciato, in che modo avrei potuto addormentarmi? Non ricordavo neanche di essermi seduto lì, né capivo perché la testa mi pulsasse così forte da sembrare in procinto di scoppiare. Fui assalito da una paura incontrastabile; mi alzai di scatto dal letto e spalancai un'anta dell'armadio per potermi specchiare. Mi tolsi la maglia e mi avvicinai il più possibile alla mia figura riflessa. Niente. Mi abbassai anche i pantaloni, ma non c'era alcun segno. Evidentemente ero molto stressato, perciò negli ultimi tempi ero piuttosto paranoico. Non feci in tempo a tirare un sospiro di sollievo ché la porta si aprì ed entrò Matteo con un piatto coperto da un tovagliolo.

- Hey! O-oh... scusami -

Diventò rosso in viso e per poco non fece precipitare il piatto a terra.

- Ti ho portato un po' di pasta e...-

Si guardò intorno, spaesato.

- Volevo chiederti scusa... per quello scherzo. Sono un cretino -

Non riuscivo a rivolgergli un tono arrabbiato o quantomeno scontroso, perché sarei risultato ancora più ridicolo di quanto non fossi già.

- Allora... te lo lascio qui -

Sgranò un po' gli occhi prima di chinarsi e appoggiare il piatto sulla scrivania.

- Non hai aperto la busta che ti ho dato? -

- No, e non mi interessa -

Mi sorpresi di quanto la mia voce suonasse fredda e scontrosa.

- Be', dovresti -

Fece per girare i tacchi e andarsene, ma si bloccò nuovamente. Sbuffai, prevedendo che avrebbe detto un'altra stupidaggine.

- Quelle mutande sono mie -

- Erano nel mio cassetto -

- Ridammele -

- Ma erano nel mio cassetto -

- Senti, domani ho il compito di matematica e quelle sono le mie mutande portafortuna -

- Non è colpa mia se tua madre le ha messe nel mio cassetto -

Strinse le palpebre e mi rivolse uno sguardo d'odio puro.

- Se non le togli, te le strappo di dosso -

- Dubito che poi potresti metterle-

- Muoviti! -

Fece un passo in avanti, io indietreggiai.

- Toglile! -

- Oh ma dai, le metteresti dopo che le ho usate io tutto il giorno?-

- Sono disposto a tutto per prendere almeno un cinque in matematica -

- Non ci pensare neanche, mi schifo io per te. Solo a pensarci mi vengono i brividi -

- Che t'importa? E poi, non ti lavi? -

- Certo che mi lavo, ma potrei avere qualche malattia -

Afferrai i pantaloni e mi coprii il bacino.

- Oh andiamo! Non dobbiamo mica fare sesso, muoviti a darmi quelle mutande! -

Sbuffai arreso, mi scoppiava la testa e non avevo proprio voglia di sentirlo nelle orecchie per chissà quanto tempo. Entrai nel piccolo bagno e mi cambiai velocemente, poi gli cedetti le sue tanto agognate mutande portafortuna.

- Almeno sciacquale -

Il ragazzo non mi rispose e si dileguò all'istante.
Mi balzò in mente l'espressione irritata di Riccardo mentre ammetteva di essere geloso e sorrisi, almeno c'era qualcuno a cui importava realmente di me. Pensai che gli avrebbe dato molto fastidio sapere che Matteo mi aveva visto nudo per l'ennesima volta, forse sarebbe stato meglio non dirglielo mai.

Ven, 24 novembre, mattina

Come ogni mattina, Riccardo mi attendeva sorridente al nostro banco, con un libro fra le mani e le penne sparse ovunque.

- Hey, Ale! Sei arrivato giusto in tempo... -

Per poco non mi sbattè il quaderno di chimica in faccia e si scusò di fretta.

- Ieri non ho fatto in tempo a fare i compiti, ma pensavo di poterli fare stamattina... invece non ho capito niente -

Mi sedetti accanto a lui e osservai la sua scrittura arricciata.

- Perché mi parli come se io avessi fatto i compiti? -

- Eddai... ma che hai fatto ieri? -

- Ti ti ho pensato -

Gli feci l'occhiolino, ma lui alzò gli occhi al cielo, sicuramente pensando a me che giocavo con la PlayStation di Matteo mentre lui era all'allenamento di calcio.

Prima che potessi tuffarmi nei meandri della chimica (di cui a malapena conoscevo la formula dell'acqua), il professore varcò la soglia e lanciò una fredda occhiata alla sedia vuota di Noemi. Abbassai il capo sotto lo sguardo indagatore di Riccardo e mi scandii la voce tossicchiando, poi la noiosa lezione cominciò.

- Hey, come va... con quella cosa?-

Mi arrestai su due piedi mentre l'ampio flusso di studenti si dimenava nel corridoio principale dopo il suono dell'ultima campanella.

- Intendi quello che è successo in macchina l'altra sera? -

- Già... stai bene? -

- Potrei stare meglio -

Tirai su con il naso e mi adeguai alle gomitate degli altri studenti che desideravano uscire al più presto.
Riccardo prese un bel respiro a testa alta, come a fare mente locale, poi mi afferrò una mano e cominciò a tirarmi e a urlare svariati "levati!" di qua e di là.

- R-Ro... dove cavolo vai? -

- Usciamo di qui, no?! -

"Be', sì... mi sembra ovvio"

Sbucammo nel cortile sotto gli occhi sorpresi e curiosi degli altri ragazzi; mi sentii rimpicciolire a tal punto che pensai di essere diventanto più basso di Riccardo. Tutti quegli sguardi puntati addosso mi mettevano a disagio e allo stesso tempo non potevo fare a meno di sorridere come un ebete davanti alla faccia falsamente fiera ma imbarazzata dell'altro.

- Ro... non credo sia il caso -

Mi grattai la nuca e continuai a lasciarmi trascinare per una mano da quel piccoletto determinato a fare chissà cosa.
Giungemmo in una stradina malandata e ci fermammo accanto a una staccionata traballante. L'altro si voltò di scatto e mi fissò impaziente.

- Be'? -

- Cosa...? -

- Ora non stai meglio? -

- Uhm... s-sì insomma, diciamo che mi hai messo un po' in imbarazzo -

- Allora starai meglio dopo questo... -

Si leccò le labbra con la punta della lingua e si alzò sulle punte. Indietreggiai per riflesso, con il viso sicuramente più rosso del cartello stradale che mi stava di fronte. Il ragazzo percepì il perché di quell'azione e, incredibilmente deciso, si protese nuovamente in avanti sorridendo con malizia; appoggiò le sue labbra umide sulle mie e non mi lasciò opzioni, se non quella di rispondere al suo bacio e sospirare come se quella fosse la prima volta. Ero impacciato, non sapevo neanche dove mettere le mani; se sui suoi fianchi, fra i suoi capelli, sul suo viso, ma una cosa era certa: non sui suoi glutei, ossia laddove i miei ormoni impazziti guidavano le mie braccia. Riccardo si allontanò di poco, lasciano un filo d'aria tra le nostre labbra schiuse; alzò le sopracciglia e mi scrutò divertito, poi mi baciò di nuovo e mi afferrò i polsi con decisione, conducendo le mie mani sul suo fondoschiena. Non mi aspettavo una mossa del genere.
Mi ricordai di quella volta in camera sua, quando chissà per quale assurdo motivo stavamo andando oltre; a quel pensiero mi feci rosso fino alle punte dei capelli, non riuscendo a capire dove avessi trovato il coraggio di fare quelle cose a quel tempo, quando invece in quel momento mi stavo comportando come se non avessi mai toccato un altro essere umano.

"Okay Alessio, devi stare calmo. Forse non hai mai toccato il sedere di un ragazzo, ma non dovrebbe essere molto diverso da quello di una ragazza"

Presi un respiro profondo e osai scendere un po' più giù con le dita che a malapena sfioravano il tessuto aderente dei suoi jeans.

"Aspetta... non ho mai toccato il sedere di una ragazza"

Stavo per andare di nuovo nel panico e a causa dell'ansia morsi un labbro al più piccolo che, fraintendendo, mi diede una spinta sul petto e sorrise, per poi far aderire il suo corpo al mio più di prima.

"Devo stare calmo. Non è difficile, è solo un sedere. Un sedere. U n sedere..."

Continuai a ripetere quelle parole, mentre l'altro, ignaro del gran casino che c'era nella mia testa, continuava a baciarmi con foga.

"Cazzo, cazzo! Così non va... devo concentrarmi di più.... di più..."

- A-Ale... -

"Oh, mamma... non così tanto"

  
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