Walking the wire [..] close. Oh my, my, my, what you do to me? From the very first time we loved From the very first time we touched To the heavens and stars above
Il professor Kim quel giorno trattenne Jimin per qualche istante in più. Mentre la scuola si svuotava velocemente, lui lo seguiva per i corridoi, fino ad arrivare in una stanza dalle pareti completamente bianche. Gli disse che era a sua completa disposizione; voleva che dipingesse qualcosa come segno del suo passaggio in quella scuola. Era uno dei suoi studenti migliori, non poteva pensare minimamente di lasciarlo andare senza che il ragazzo avesse contribuito con una delle sue creazioni. Jimin dal canto suo sentiva il cuore in gola; batteva così velocemente e non sapeva che cosa dire. Fece un profondo inchino e guardò il professore uscire dalla stanza, prima di voltarsi verso la parete, rimanendo a contemplarla per un momento. Si avvicinò lentamente e posò una mano su di essa; che cosa avrebbe potuto disegnare? L'accarezzò piano, socchiudendo gli occhi e sorrise. Un'immagine gli apparve nitida nella mente e non poté trattenersi dall'appoggiarsi con la schiena contro la parete e mordersi il labbro. "Aish, jinjja" (Ah, davvero) mormorò a sé stesso, scuotendo appena la testa, prima di allontanarsi dal muro e uscire dalla stanza. Una volta arrivato a casa avrebbe buttato giù uno schizzo e non stava più nella pelle ormai. Nella sua mente quell'immagine si faceva sempre più viva. Una volta uscito da scuola, recuperò il telefono dalla tasca dei jeans e rimase per un momento a guardare l'immagine che aveva come sfondo della schermata di blocco. Era la prima foto che avevano fatto lui e Jungkook, in quel locale. Oramai era passato un mese e la felicità di avere lui al proprio fianco lo faceva stare bene, ogni giorno sempre più del primo. Si ritrovò ad arrossire completamente e decise di mandargli un messaggio per avvisarlo che stava per tornare a casa. Jungkook, nel mentre, se ne stava in piedi, tenendo tra le mani una rosa bianca ad aspettare che Jimin arrivasse alla stazione della metropolitana. Aveva da poco ricevuto il suo messaggio e non stava più nella pelle. Alla rosa aveva allegato un piccolo biglietto. Voleva fargli finalmente sapere che cosa provasse veramente per lui. Era da qualche giorno che aveva in mente di farlo, non riusciva più a trattenersi e molte volte avrebbe voluto scriverlo in un messaggio. Ma dirglielo tramite un messaggio gli sembrava non adatto, anche perché si sarebbe perso la sua espressione imbarazzata e le sue guance completamente rosse. Non poteva e non voleva, assolutamente. Si strinse nelle spalle, sentendo un piccolo brivido salire velocemente lungo la sua schiena, non riuscendo a trattenere un sorriso. Jimin aveva ormai raggiunto la fermata quando sentì l'urlo della signora. Si guardò attorno spaesato. Che cosa stava succedendo? Voltò la testa verso la sua destra, nella direzione in cui il binario era più visibile – e anche da cui proveniva la richiesta di aiuto – prima di entrare nella galleria e vide Jungkook e la scena che ne seguì lo lasciò con il fiato sospeso. Non ci misero molto, a quanto pare un'ambulanza era in zona. Una volta caricato con cura il ragazzo sulla barella, Jimin chiese cortesemente a quale ospedale l'avrebbero portato e, ricevuta la risposta, ringraziò con un profondo inchino e lasciò che l'ambulanza partisse verso la sua meta. Stupido Jungkook, che gli era saltato in mente di fare? Scosse la testa tornando nel punto esatto in cui si era accasciato e deglutì a fatica, sentendo migliaia di brividi correre lungo tutto il suo corpo. Non riusciva più a trattenere le lacrime e si lasciò andare; la scena era ancora ben impressa nella sua memoria; ogni singolo dettaglio sempre più nitido e lo spavento che aveva preso tornò a manifestarsi nuovamente, costringendo il ragazzo a sedersi sulla panchina più vicina. Divaricò le gambe e posò i gomiti sulle ginocchia, prendendosi la testa tra le mani. Sarebbe andato a trovarlo quella sera stessa, che fosse rimasto in ospedale o meno. Jungkook cercò di distinguere la scena che si stava svolgendo non troppo lontano da lui, appena fuori la porta della sua stanza. Il dottore stava dicendo ai suoi genitori che lo avrebbero trattenuto all'ospedale per tenerlo sotto osservazione almeno per quella notte per assicurarsi che non avesse altre lesioni. Dal canto suo, il ragazzo non aveva la benché minima voglia di rimanere lì dentro. Erano ormai le nove di sera quando Jimin sgattaiolò all'interno dell'ospedale. Chiese informazioni alla reception, ma gli ricordarono che gli orari per le visite stavano per terminare. Lui sorrise, ringraziando e, con passo spedito, cercò di raggiungere il più velocemente possibile il reparto in cui si trovava Jungkook, tenendo lo sguardo fisso sul numero delle camere lungo il corridoio. Novantotto, novantanove.. cento, era arrivato. Si distese sul letto accanto a lui, cercando di mettersi comodo su quel letto d'ospedale. Non avrebbe dovuto piangere così tanto per tutto il pomeriggio; sentiva gli occhi gonfi e la gola bruciare. Alzò gli occhi verso il suo volto dai lineamenti rilassati e non riuscì a fare a meno di sorridere davanti ad una visione perfetta come quella. Jungkook si mosse appena senza però svegliarsi e sprofondò maggiormente con la testa nel cuscino. Il fatto che stesse fingendo di dormire e che le sue guance, lo sentiva, stavano prendendo colore, non giocava per nulla a suo favore. Cosa fare? Prese un respiro profondo, trattenendo un sorriso, ed alzò il braccio sinistro lasciando a Jimin uno sguardo di sorpresa. Il ragazzo non trovò la forza di muoversi e così Jungkook si avvicinò a lui e lo avvolse, stringendolo a sé. Il volto di Jimin premette contro il petto di lui e ne approfittò per strofinare il naso contro di esso, inspirando quanto più profumo gli fosse possibile. Appoggiato a lui, tra le sue braccia, si sentiva completamente al sicuro, si sentiva a casa. Jimin rimase a guardare la parete per un tempo che sembrava infinito, mentre contemplava la sua stessa opera con profonda ammirazione. Se c'era una cosa che gli riusciva bene, era proprio esprimere sé stesso attraverso i propri lavori e quello, in particolare, sarebbe stato per sempre uno dei migliori. Sorrise, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Gli ci era voluto quasi un mese per completare il tutto. Aveva sacrificato un po' del tempo che avrebbe potuto passare con gli amici, con Jungkook, ma era sicuro che avrebbe recuperato. "Nal mideuseyo" (Fidati di me) mormorò Jimin accanto al suo orecchio, prima di portarsi nuovamente davanti a lui e afferrare entrambe le sue mani per guidarlo lungo i corridoi della scuola. Non c'era alcuna fretta, camminava lentamente all'indietro per stare attendo che Jungkook non incappasse in nessun ostacolo. Si fidava talmente tanto da farsi guidare, bendato. Jimin si morse il labbro inferiore svariate volte. Che cosa mi hai fatto?, domandò silenziosamente, non riuscendo a fare a meno di guardarlo. Una volta arrivati nella stanza, Jimin si ritrovò a lasciare andare un sospiro di sollievo, forse troppo presto. Inciampò nel suo stesso zaino, cadendo all'indietro e portando con sé anche Jungkook che, d'istinto, portò in avanti le braccia, andando a posare le mani ai lati della testa di Jimin, evitando così di cadere a peso morto sul corpo del ragazzo. Il più grande rimase a guardare davanti a sé, massaggiandosi lentamente la testa con una mano. Jungkook era lì, a qualche centimetro di distanza che gli chiedeva se stesse bene e, non ricevendo risposta da parte del ragazzo, si tolse la benda per verificare con i suoi stessi occhi, andandoli ad incastrare con quelli di lui. Rimasero sdraiati su quel pavimento per ore a guardarsi negli occhi, a baciarsi, a sussurrarsi "ti amo" sorridendo nel vedere le guance prima dell'uno e poi dell'altro prendere più colore, mentre il disegno, completato, capeggiava su di loro. |