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Autore: weareonmars    16/02/2018    0 recensioni
AU!
Do you feel the same when I'm away from you?
Do you know the line that I'd walk for you?
We could turn around and we could give it up
But we'll take what comes
Oh, the storm is raging against us now
If you're afraid of falling, then don't look down
But we took the step, oh, we took the leap
And we'll take what comes
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Walking the wire

[..] close.

 

Oh my, my, my, what you do to me?
Like lighting when I'm swimming in the sea

From the very first time we loved

From the very first time we touched
Walking on wires and power lines
You put your body on top of mine
Every time that you lift me up

To the heavens and stars above 

 

Il professor Kim quel giorno trattenne Jimin per qualche istante in più. Mentre la scuola si svuotava velocemente, lui lo seguiva per i corridoi, fino ad arrivare in una stanza dalle pareti completamente bianche. Gli disse che era a sua completa disposizione; voleva che dipingesse qualcosa come segno del suo passaggio in quella scuola. Era uno dei suoi studenti migliori, non poteva pensare minimamente di lasciarlo andare senza che il ragazzo avesse contribuito con una delle sue creazioni.

Jimin dal canto suo sentiva il cuore in gola; batteva così velocemente e non sapeva che cosa dire. Fece un profondo inchino e guardò il professore uscire dalla stanza, prima di voltarsi verso la parete, rimanendo a contemplarla per un momento. Si avvicinò lentamente e posò una mano su di essa; che cosa avrebbe potuto disegnare? L'accarezzò piano, socchiudendo gli occhi e sorrise. Un'immagine gli apparve nitida nella mente e non poté trattenersi dall'appoggiarsi con la schiena contro la parete e mordersi il labbro.

"Aish, jinjja" (Ah, davvero) mormorò a sé stesso, scuotendo appena la testa, prima di allontanarsi dal muro e uscire dalla stanza. Una volta arrivato a casa avrebbe buttato giù uno schizzo e non stava più nella pelle ormai. Nella sua mente quell'immagine si faceva sempre più viva.

Una volta uscito da scuola, recuperò il telefono dalla tasca dei jeans e rimase per un momento a guardare l'immagine che aveva come sfondo della schermata di blocco. Era la prima foto che avevano fatto lui e Jungkook, in quel locale. Oramai era passato un mese e la felicità di avere lui al proprio fianco lo faceva stare bene, ogni giorno sempre più del primo. Si ritrovò ad arrossire completamente e decise di mandargli un messaggio per avvisarlo che stava per tornare a casa.

Jungkook, nel mentre, se ne stava in piedi, tenendo tra le mani una rosa bianca ad aspettare che Jimin arrivasse alla stazione della metropolitana. Aveva da poco ricevuto il suo messaggio e non stava più nella pelle. Alla rosa aveva allegato un piccolo biglietto. Voleva fargli finalmente sapere che cosa provasse veramente per lui. Era da qualche giorno che aveva in mente di farlo, non riusciva più a trattenersi e molte volte avrebbe voluto scriverlo in un messaggio. Ma dirglielo tramite un messaggio gli sembrava non adatto, anche perché si sarebbe perso la sua espressione imbarazzata e le sue guance completamente rosse. Non poteva e non voleva, assolutamente. Si strinse nelle spalle, sentendo un piccolo brivido salire velocemente lungo la sua schiena, non riuscendo a trattenere un sorriso.
La calma di quel momento venne spezzata da un urlo. Jungkook si voltò per vedere da dove provenisse; cosa stava succedendo? E poi lo vide. Era un ragazzo, non doveva essere tanto più grande di lui con una borsetta tra le mani che correva nella sua direzione per raggiungere l'uscita più vicina. Dietro di lui un uomo della sicurezza presente all'interno della stazione.
Dentro di lui sentì uno strano istinto di fare qualcosa e aiutare per fermare quel ragazzo. Ma non ebbe il tempo di pensare. Gli andò incontro, cercando quasi di caricarlo per rallentare la sua corsa, accorgendosi troppo tardi che aveva una forza superiore alla sua. Ma non poteva lasciarlo andare. Non lo vide nemmeno in volto, non ci riuscì, un sinistro e poi un destro lo colpirono talmente forte da fargli prima perdere il senso dell'orientamento e poi farlo cadere a terra, quasi privo di sensi.

Jimin aveva ormai raggiunto la fermata quando sentì l'urlo della signora. Si guardò attorno spaesato. Che cosa stava succedendo? Voltò la testa verso la sua destra, nella direzione in cui il binario era più visibile – e anche da cui proveniva la richiesta di aiuto – prima di entrare nella galleria e vide Jungkook e la scena che ne seguì lo lasciò con il fiato sospeso.
"Jungkook-ie" sussurrò a sé stesso mentre lo guardava accasciarsi lentamente al suolo. Gli occhi di Jimin si spalancarono completamente e cominciò a correre verso di lui, urlando ai diversi passanti di chiamare al più presto aiuto. Si inginocchiò accanto al ragazzo e stese verso di lui le mani che, in quel momento, tremavano più delle foglie lasciate in balia del vento d'autunno.
Rimase a guardare in silenzio mentre aspettava che qualcuno facesse qualcosa. Perché nessuno stava chiamando un'ambulanza? Dovette raccogliere fino alle ultime briciole, la poca lucidità che gli era rimasta per chiamare lui stesso i soccorritori. Li pregò di raggiungerli al più presto, spiegando loro che Jungkook ancora non si era ripreso. Pensò di fare qualcosa, ma non essendo un esperto, non voleva peggiorare la situazione. La sensazione di inutilità lo pervase più di quanto avesse voluto. Sentì un certo prurito alla punta del naso, cominciando poi a pregare sé stesso di non mettersi a piangere in quel luogo. Jungkook ce l'avrebbe fatta, non era successo niente di grave, ma perché era ancora incosciente? Che fosse stato lo shock indotto dall'adrenalina una volta terminato l'effetto? Sapeva poco o niente di quelle cose, non poteva fare altro che aspettare l'arrivo dei soccorsi.

Non ci misero molto, a quanto pare un'ambulanza era in zona. Una volta caricato con cura il ragazzo sulla barella, Jimin chiese cortesemente a quale ospedale l'avrebbero portato e, ricevuta la risposta, ringraziò con un profondo inchino e lasciò che l'ambulanza partisse verso la sua meta.

Stupido Jungkook, che gli era saltato in mente di fare? Scosse la testa tornando nel punto esatto in cui si era accasciato e deglutì a fatica, sentendo migliaia di brividi correre lungo tutto il suo corpo. Non riusciva più a trattenere le lacrime e si lasciò andare; la scena era ancora ben impressa nella sua memoria; ogni singolo dettaglio sempre più nitido e lo spavento che aveva preso tornò a manifestarsi nuovamente, costringendo il ragazzo a sedersi sulla panchina più vicina. Divaricò le gambe e posò i gomiti sulle ginocchia, prendendosi la testa tra le mani. Sarebbe andato a trovarlo quella sera stessa, che fosse rimasto in ospedale o meno. 
Aveva bisogno di vederlo, stringerlo tra le braccia e dirgli quanto stupido fosse stato a fare una cosa del genere. Scosse la testa, riaprendo gli occhi e vide il gambo di un fiore. Che ci faceva un fiore lì? Si allungò per raggiungerlo e rimase a guardare la rosa bianca, prima di puntare gli occhi sul bigliettino che pendeva da un piccolo cordoncino color argento. Leggerlo o non leggerlo? Insomma, era una cosa comunque privata, anche se la rosa era stata abbandonata. Sospirò, e aprì il biglietto.

Jungkook cercò di distinguere la scena che si stava svolgendo non troppo lontano da lui, appena fuori la porta della sua stanza. Il dottore stava dicendo ai suoi genitori che lo avrebbero trattenuto all'ospedale per tenerlo sotto osservazione almeno per quella notte per assicurarsi che non avesse altre lesioni. Dal canto suo, il ragazzo non aveva la benché minima voglia di rimanere lì dentro. 
Sospirò, posando la testa sul cuscino; si sentiva completamente esausto. L'occhio sinistro gli pulsava parecchio e sentiva un po' di bruciore dove l'altro pugno l'aveva colpito, ma sopravviveva. In quel momento l'unica cosa a cui stava pensando era Jimin. L'ultimo ricordo che la sua mente gli rammenda è quello di Jimin che corre verso di lui, con gli occhi pieni di paura. Non avrebbe mai voluto vedere un'espressione del genere dipinta sul suo volto.
Bloccato su quel letto si sentiva estremamente impotente, avrebbe dovuto abbracciarlo e dirgli che stava andando tutto bene, che non sarebbe successo niente di grave e che in un batter d'occhio sarebbe passato tutto. Voleva vederlo.

Erano ormai le nove di sera quando Jimin sgattaiolò all'interno dell'ospedale. Chiese informazioni alla reception, ma gli ricordarono che gli orari per le visite stavano per terminare. Lui sorrise, ringraziando e, con passo spedito, cercò di raggiungere il più velocemente possibile il reparto in cui si trovava Jungkook, tenendo lo sguardo fisso sul numero delle camere lungo il corridoio. Novantotto, novantanove.. cento, era arrivato.
Prese un respiro profondo, aprì la porta della stanza e vi entrò senza alcuna fretta. Richiuse alle due spalle l'uscio, rimanendo lì per un istante, tenendo lo sguardo sul ragazzo che, nella penombra, stava riposando. Stupido Jungkook, mormorò tra sé e sé, avvicinandosi lentamente. L'occhio gonfio gli diede un lieve senso di nausea, era sensibile a quelle cose, ma avrebbe fatto un'eccezione. Per lui quello e molto altro.

Si distese sul letto accanto a lui, cercando di mettersi comodo su quel letto d'ospedale. Non avrebbe dovuto piangere così tanto per tutto il pomeriggio; sentiva gli occhi gonfi e la gola bruciare. Alzò gli occhi verso il suo volto dai lineamenti rilassati e non riuscì a fare a meno di sorridere davanti ad una visione perfetta come quella.
"Jungkook – sussurrò con voce talmente tanto bassa che non lo si poté nemmeno definire un mugolio – Jungkook, nado.. nado saranghae" (anche io.. anche io ti amo).

Jungkook si mosse appena senza però svegliarsi e sprofondò maggiormente con la testa nel cuscino. Il fatto che stesse fingendo di dormire e che le sue guance, lo sentiva, stavano prendendo colore, non giocava per nulla a suo favore. Cosa fare? Prese un respiro profondo, trattenendo un sorriso, ed alzò il braccio sinistro lasciando a Jimin uno sguardo di sorpresa. Il ragazzo non trovò la forza di muoversi e così Jungkook si avvicinò a lui e lo avvolse, stringendolo a sé. Il volto di Jimin premette contro il petto di lui e ne approfittò per strofinare il naso contro di esso, inspirando quanto più profumo gli fosse possibile. Appoggiato a lui, tra le sue braccia, si sentiva completamente al sicuro, si sentiva a casa.
Jungkook non poté trattenere un sorriso che andava da un orecchio all'altro mentre il ragazzo gli regalava quelle attenzioni. Aveva bisogno di lui più che mai, aveva bisogno solamente di stare con lui.

Jimin rimase a guardare la parete per un tempo che sembrava infinito, mentre contemplava la sua stessa opera con profonda ammirazione. Se c'era una cosa che gli riusciva bene, era proprio esprimere sé stesso attraverso i propri lavori e quello, in particolare, sarebbe stato per sempre uno dei migliori. Sorrise, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Gli ci era voluto quasi un mese per completare il tutto. Aveva sacrificato un po' del tempo che avrebbe potuto passare con gli amici, con Jungkook, ma era sicuro che avrebbe recuperato.
Primo tra tutti, desiderava che fosse proprio il ragazzo a vederlo, quasi volesse il suo parere. Si portò una mano sul cuore, temendo volesse scappare prima del previsto, sentendolo sussultare più del dovuto al solo pensiero di Jungkook. Smettila di sorridere come un idiota, si disse scuotendo la testa.
Si voltò verso la porta e fremette, non riuscendo più a trattenere la sua agitazione e prese il telefono dai jeans, chiamando Jungkook, chiedendogli di raggiungerlo a scuola, intimandogli di fare in fretta perché non vedeva l'ora di rivederlo. Si era ripreso bene da quell'episodio, decidendo anche di iscriversi ad un corso di autodifesa. Jimin gli era stato accanto praticamente in ogni momento, fortificando maggiormente il loro rapporto.
Lasciò la stanza così com'era e si diresse verso l'entrata dell'edificio, portando con sé una benda che si era premurato di infilare dentro il proprio zaino prima di uscire di casa. Aveva pianificato tutto e sperò, con ogni singola cellula del suo corpo, che Jungkook non facesse di testa propria come al solito, ma si attenesse a quella parte di piano che prevedeva il "fargli una sorpresa" senza lamentarsi.
Quando lo vide arrivare, il suo cuore prese a battere sempre più forte ad ogni passo che il ragazzo faceva verso di lui. E quando gli sorrise per salutarlo, si sentì sciogliersi. Stupido Jungkook, pensò subito. Lo salutò con un piccolo bacio sulla guancia – alzandosi lievemente sulle punte per raggiungerla – e gli disse di voltarsi perché voleva che indossasse la benda. Jungkook lo guardò con un sorriso, alzando un sopracciglio e si voltò senza dire nulla, abbassandosi appena per permettergli di bendarlo.

"Nal mideuseyo" (Fidati di me) mormorò Jimin accanto al suo orecchio, prima di portarsi nuovamente davanti a lui e afferrare entrambe le sue mani per guidarlo lungo i corridoi della scuola. Non c'era alcuna fretta, camminava lentamente all'indietro per stare attendo che Jungkook non incappasse in nessun ostacolo. Si fidava talmente tanto da farsi guidare, bendato. Jimin si morse il labbro inferiore svariate volte. Che cosa mi hai fatto?, domandò silenziosamente, non riuscendo a fare a meno di guardarlo.

Una volta arrivati nella stanza, Jimin si ritrovò a lasciare andare un sospiro di sollievo, forse troppo presto. Inciampò nel suo stesso zaino, cadendo all'indietro e portando con sé anche Jungkook che, d'istinto, portò in avanti le braccia, andando a posare le mani ai lati della testa di Jimin, evitando così di cadere a peso morto sul corpo del ragazzo. Il più grande rimase a guardare davanti a sé, massaggiandosi lentamente la testa con una mano. Jungkook era lì, a qualche centimetro di distanza che gli chiedeva se stesse bene e, non ricevendo risposta da parte del ragazzo, si tolse la benda per verificare con i suoi stessi occhi, andandoli ad incastrare con quelli di lui.
Jimin portò la mano libera sul petto di Jungkook e cominciò a risalire lentamente verso il suo volto. Con l'indice accarezzò lentamente il suo collo, la mascella ed il mento, fino ad arrivare alle sue labbra, soffici e piene al tatto, un capolavoro per gli occhi. Jungkook, in risposta, socchiuse appena gli occhi, sentendo i brividi correre lungo la sua schiena. Baciò con dolcezza il polpastrello ancora posato sulle sue labbra e, a mo di flessione, si abbassò lentamente verso il ragazzo, annullando completamente la distanza che li separava. 
Posò le labbra sulle sue, respirando il suo profumo che – con la vicinanza – si era fatto più consistente e lo mandò completamente in tilt. Sembrava quasi fossero frammenti mancanti di uno stesso puzzle quale erano loro e che, per essere completato, non dovevano far altro che lasciare che i pezzi combaciassero, lasciando che i brividi esplodessero in un'ondata d'amore e felicità, che in quel momento fece sorridere entrambi mentre i loro respiri si mescolavano, i loro corpi si avvicinavano e le loro gambe si intrecciavano, quasi a voler diventare un unico essere. Jungkook prese il labbro inferiore di Jimin tra i denti, mordendolo con dolcezza, tastandone la morbida consistenza. Non sarebbe mai riuscito a fare a meno di tutto ciò. Il più grande, a quel gesto sorrise, sente dosi le guance andare completamente a fuoco.

Rimasero sdraiati su quel pavimento per ore a guardarsi negli occhi, a baciarsi, a sussurrarsi "ti amo" sorridendo nel vedere le guance prima dell'uno e poi dell'altro prendere più colore, mentre il disegno, completato, capeggiava su di loro. 
Jimin pensò che quella parete meritava un pezzo del suo cuore, aveva quindi deciso di creare una versione più grande del primo disegno che fece a Jungkook, quel giorno sulla metropolitana. Non avrebbe potuto pensare di farne un altro e, per quanto lo riguardava, non voleva. E' stato uno dei giorni più belli di tutta la sua vita. E, alla fine, con un po' di indecisione, ne scrisse il titolo in un angolo, in piccolo: "Geugeos-eun cheosnun-e banhan salang-ieossda" (E' stato amore a prima vista).


 
   
 
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