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Autore: tixit    17/02/2018    3 recensioni
Una ragazzina torna a casa e cerca di adeguarsi alla vita in famiglia.
Breve storia minore su personaggi minori che non è diventata originale.
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorelle Jarjeyes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sigyn la rossa'
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Ogni tanto però c'è qualcuno

Erano nella Cucina Piccola, una volta destinata alla preparazione dei dolci, ma ormai, da moltissimo tempo, il regno quasi segreto della ragazzina, l'unica tra le Jarjayes che non sarebbe mai morta di fame se le cuoche avessero abbandonato in massa il Palazzo.
La stanza era tutta dipinta di toni di blu, sulle mensole erano disegnati dei fiori, mazzi di erbe essiccate erano appesi a testa in giù e sotto la luce della finestra più ampia era stata piazzata una serra per delle piantine - era opera dello zio Antoine-Benoit ed era stata costruita in un modo in cui in giro non se ne vedevano proprio: struttura in metallo, pannelli in legno e vetro, e delle carrucole in miniatura. Una cosa bislacca, perché tutte le serre che si rispettavano, al momento, erano fatte di pietra e ospitavano dei larghi camini.
Una cosa bislacca ma di cui la piccola diceva meraviglie.

André, con gran cura, stava incollando la copertina di un libro di preghiere su uno dei romanzi di Sigyn.

“Ma come fanno, poi, a piacerti queste storie?” borbottò sdegnoso . 

“Ne hai mai letta una?”

“Non ce n’è bisogno, il Generale ha già detto a me e ad Oscar tutto quello che c’era da sapere sull'argomento: l’eroina femminile è un pessimo esempio di mancanza di virtù, di solito. ”

“E sapendo questo, tu davvero non ne hai mai letta una?” Sigyn lo guardò da sotto in sù, divertita, distogliendo lo sguardo dal suo lavoro, simmetrico rispetto a quello del ragazzo. 

André arrossì nella penombra bluastra della Cucina Piccola e la ragazzina proseguì, evitando di sottolineare il fatto che lui non aveva affatto risposto: “Comunque il Generale sbaglia, nelle storie che dice lui l’Eroina è molto virtuosa, così virtuosa che non è toccata minimamente dal male del mondo e vive costantemente ignara, in un posto dove non ha contatti con nessuno." scosse la testa, "Un po’ come Oscar.” rifletté a voce alta. "Proprio un pochino come Oscar, a pensarci bene."

“Perché? La solitudine intendo, perchè?”

“Non lo so. Forse perché quando conosci qualcuno prima o poi una discussione ci scappa, e non so quanto una possa rimanere così virtuosa, dopo. Non so te, ma certe persone mi fanno diventare gelosa, irritata, altre tirano fuori il peggio da me. Altre, invece, mi fanno diventare triste… E ad altre scopri di non piacere e vuoi sapere perché. Più gente conosci, meno diventi buona. ” Sigyn socchiuse gli occhi - le tornavano in mente le parole di Alo, di una sera di tanto tempo prima, che certe bugie erano come dei rammendi ben fatti: funzionavano, ma a patto di non guardare troppo da vicino. Era per quello che Oscar doveva stare isolata, anzi, era per quello che doveva detestare la compagnia degli altri.

“Quindi l’Eroina ha un carattere moralmente superiore a quello della gente comune?”

“In un certo senso.” La vocetta di Sigyn sembrava dubbiosa, ma, comunque, annuì. “E’ una specie di ispirazione per gli altri, mettiamola così - una pietra di paragone.”

“E cosa sa fare? Suona qualche strumento?” André arrossì, imbarazzato “si allena con la spada, magari?”

“L’Eroina? Ma no!” Sigyn lo guardò scandalizzata, “L’Eroina non deve imparare proprio niente di niente, perché se si impegnasse ad imparare qualcosa vorrebbe dire che ha perso la sua fede nella bontà come sua unica arma. Ma pensaci su un attimo, se una è innocente, e pensa che tutti siano in fondo buoni e non è mai stata corrotta dal male del mondo, ma perché mai dovrebbe voler imparare ad usare una spada?”

“Perché è di moda?” suggerì André. 

“Ah! Adesso uccidere è di moda?”

André si grattò la fronte pensieroso. “Potrebbe non essersene resa conto… Vederlo come una abilità tecnica... o una tradizione?”

“Una Eroina che si rispetti non pensa alle spade, forse ad uno strumento si, potrebbe, ma ad un’arma no! Escluso! E non sa cucinare, né cucire, né organizzare una dispensa! Né sparare o tirare con l’arco, o andare a cavallo alla francese e nemmeno all’inglese! Non sa riconoscere la caratura di un diamante! E non conosce i Sette Re di Roma e nessuno ne fa una questione di Stato!” Sigyn era davvero irritata ora. 

“Ed è per questo, allora, che non piace al Generale?” Il Generale metteva molta enfasi nell’istruzione, rifletté André, e non avrebbe apprezzato una Eroina con delle evidenti lacune in storia. Ed anche l'equitazione... era importante, cosa è un uomo senza il suo cavallo? Dove mostra la sua fierezza, l'eleganza, l'attitudine al comando? 

“Guarda, io questo proprio non lo capisco.” sussurrò Sigyn con tono complice, spalancando gli occhi “In realtà al Generale dovrebbe piacere moltissimo: è il suo ideale di figlia femmina, se ci pensi bene. Una da mandare via in un convento da piccola in un posto isolato, così, quando torna a casa, dirà sempre di sì perché tanto non capisce niente di quello che le chiedono. Deve solo essere carina, sorridere, vestirsi bene, saper usare le posate giuste a tavola ed essere obbediente. E l’Eroina è proprio così, tutta grazia, eleganza e bontà. E per farle fare tutte queste cose non la devi nemmeno frustare... ”

“Non mi sembra una tipa molto interessante questa tua Eroina, però.” André le lanciò uno sguardo dubbioso. Non che il discorso di Sigyn non avesse una sua logica: in effetti il Generale metteva tutta la sua enfasi nell’istruzione solo quando si trattava di Oscar… anche se pure a Sigyn toccava la sua parte di bacchettate. Forse le bacchettate erano una iniziativa del Precettore? Forse perché Oscar era la sola tra le sei sorelle a essere quello che non era? Ma Sigyn cosa era allora?

“Ma certo che l'Eroina è interessante!” lo sdegno di Sigyn interruppe il corso dei pensieri di André, “Se c’è una botola, lei ci cade dentro, se c’è un oggetto che non deve assolutamente perdere, lei lo perde, se c’è una cosa che non deve toccare, la tocca, se le tendono una trappola, lei ci va di corsa! Senza l’Eroina non succederebbe nulla di interessante. Senza di lei, sai che vita noiosa?”

André sorrise con benevolenza “Hai ragione, l'Eroina è un pochino come Oscar… a parte la spada s’intende… Però non capisco, che ci trovi tu in queste storie?”

“Cosa vorresti insinuare?" Sigyn gli scoccò un'occhiata gelida.

“Niente, niente... era solo una curiosità...”

“Alcune sono belle e poi spesso io…” Sigyn arrossì e abbassò lo sguardo sul suo libro, sistemando con cura i margini. “C’è la storia d’amore, per esempio, che è bellissima...” sospirò. “Lui la ama sempre così tanto, mica la rimprovera se si è persa qualche forcina, che ti credi? Per lui, lei è sempre perfetta... magari non perfetta perfetta, nessuno è perfetto, ma giusta. E quando la bacia... non so se puoi capire... sento lo stomaco che mi si stringe ed il cuore che batte... oh ma cosa ne vuoi capire tu?”

André la guardò perplesso e la ragazzina proseguì imbarazzata, senza guardarlo “E poi… a volte... Io a volte… non sempre sempre, solo a volte… Io a volte tengo per il cattivo, ecco. E per i personaggi secondari.”

André la guardò esterrefatto. Ma si astenne da ogni commento. 


Victor Clément de Girodelle osservava con interesse le pareti del Salottino Piccolo, dove lo avevano relegato - un delizioso ambiente rocaille, progettato da Madame Marguerite, tutto curve sinuose e colori pastello. 

Arti decorative, arti innocue, arti femminili, mormoravano alcuni, sottintendendo che alla Académie Royale de Peinture et de Sculpture gli intellettuali non avrebbero mai esposto i quadri con cui, nel frattempo, le loro donne adornavano le loro case. 
Sfuggiva che le donne potevano disporre di denaro, alcune potevano accedere ad una istruzione, e di certo molte erano diventate arbitre del gusto - puoi accettare di esporre chi ti pare al Salon e puoi rifiutare chi vuoi (Boucher però c’era, alla faccia di Diderot), ma, alla fine, ciò che resta è ciò che la gente vuole vedere tutti i giorni e mostrare orgogliosa agli amici più cari. Gli scavi di Pompei, che lui moriva dalla voglia di visitare, oltre ai templi, portavano alla luce i salottini delle Madame Marguerite di quasi 17 secoli prima, accolti con religioso stupore. 

Oziosamente si chiese se a Mademoiselle Violaine sarebbe piaciuto vedere alcune riproduzioni - quelle castigate s’intende. O andare con lui al Salon - con Sigyn era fuori questione: il Generale non avrebbe mai approvato. 
Violaine aveva gli occhi di una donna; anche l’istinto - difendeva il suo territorio - forse dentro quella ragazza c’era anche una guerriera, forse oltre agli occhi aveva anche la testa di una donna?

Violaine Charlotte de Rambures-Brizambourg… assaporò il nome, sperando in un bacio lungo almeno quanto le sillabe del suo nome e che si rivelasse in grado di sciogliere la neve; aveva un gran desiderio di perdersi in quei capelli color del lino, per scompigliarne - solo un poco - la perfetta simmetria. 

Era un ragazzo - gli sarebbe piaciuto prendere quello che gli piaceva e scoprire se quello che poteva prendere gli sarebbe piaciuto davvero - ma era troppo razionale per non capire che l’inesperienza stava scalpitando molto, ma molto più del cuore. 



 “E’ la pazienza che fa vincere gli assedi, lo dice sempre il Generale!” disse André con voce sussiegosa, mostrandole il lavoro perfetto che aveva appena terminato con il suo libro. 

La ragazzina alzò lo sguardo, e sorrise. “Io sono molto paziente.” disse, calcando la voce sulla parola molto

Molto non direi.” André si grattò la testa pensoso, “Forse potresti giocartela con un abbastanza.” Poi aggiunse con voce comprensiva, “Non è colpa tua, sai? Sono quei capelli. ”

“Insisto per il molto.” ribatté piccata Sigyn, “Guarda che io so benissimo chi ha preso la lettera eppure non mi sono affatto arrabbiata.”

André cercò di incollarsi sul viso una maschera di impassibilità (con un successo a malapena passabile), poi chiese con indifferenza studiata: “E chi pensi sia stato?”

“André per piacere, in questo Palazzo siamo quattro gatti.” sbuffò Sigyn. “Io non penso, io deduco!”

“Magari una delle ragazze che spolverano potrebbe averla trovata in terra e messa da qualche altra parte per errore…”

“Se lo dici tu. ”

“Io non dico proprio niente! Anche perché non so nulla.”

“Io invece dico che devi farla sparire.” tagliò corto la piccola. 

Il ragazzino la osservò come se fosse stata un mostro a due teste “Ma se non so nemmeno di cosa stai parlando!” esplose. “E poi io cosa c’entro?”

“Sai cosa succede se la scoprono? Sai quante frustate?”

Il ragazzo abbassò gli occhi, a disagio, poi bofonchiò “Chi dovrebbero frustare?”

“Moralmente? Te.” la ragazzina socchiuse gli occhi irritata. ”E infatti potrai sfuggire alla frusta del Generale, ma non al mestolo di tua nonna.”

“Io non ho preso proprio nulla!”

La ragazzina alzò gli occhi al cielo “Ma tu mi prendi per scema? Lo so! lo so benissimo che tu non hai preso proprio nulla.” La ragazzina lo colpì ripetutamente sul braccio con l’indice, “Perché tu non ne avresti avuto il fegato, non con il Generale, un tradimento!” lo prese in giro, ma con gentilezza “Ma non hai protetto l’unica cosa preziosa di questa casa, che non solo ha il fegato, ma pure l’incoscienza. E questo lo sappiamo benissimo tutti e due. Stai aspettando che ci arrivi anche Joséphine? Non dirmi che non gliela hai già presa e che non l’hai ancora nascosta in un posto che lei non sa!”


Oscar entrò in camera sua a passo di carica - si sarebbe cambiata d’abito, decise.
L’ospite era decisamente inopportuno e avrebbe fatto meglio a starsene a casa propria, invece di intrufolarsi a casa degli altri senza essere invitato, ma in quanto padrone di casa non poteva farglielo notare, se non in modo sottile. In fondo lui era il futuro Conte de Jarjayes - noblesse oblige - era suo dovere ricevere l’ospite secondo la tradizione e la grandezza dei Jarjayes e l’avrebbe fatto. L'ospitalità era sacra.

Ma cosa diavolo era venuto a portare poi? Cosa era questa cosa di cui non potevano occuparsi i rispettivi servitori, magari domattina presto? Qualcosa da dover dare solo di persona? Oro? Argento? Diamanti? Elefanti? Ghepardi con collari di zaffiri? Il Generale non avrebbe affatto gradito - sugli elefanti non era sicuro, ma i ghepardi spaventavano i cavalli. 

Se era un amico di Joséphine era di sicuro qualche cretinata che non valeva la pena di guardare una seconda volta. E avrebbe voluto scroccare l’Armagnac del Generale, l’illuso. 

Quanto agli amici di Sigyn, era un pezzo che non si facevano vivi ed era molto meglio se continuavano così, a lasciarla in pace. I Girodelle avevano una sorella pure loro, quella smorfiosa di Cassandra, che se la facessero bastare! Ma era mai andato lui, Oscar François de Jarjayes, nei Palazzi degli altri per portarsi via le loro sorelle? Così, tanto per giocare un poco? Ammesso ci fosse del gusto a giocare con una femmina! A parte Sigyn s'intende, quando non faceva la smorfiosa.
Una cosa che non avresti osato fare con un cavallo! Prenderlo senza chiedere il permesso!
Dei selvaggi senza un briciolo di educazione! L’unico motivo per cui ancora li si tollerava era che accompagnavano a teatro Joséphine, che altrimenti avrebbe smaniato per giorni. 
  


I due ragazzini sgattaiolarono per le scale immerse nell’ombra, riconoscendo ogni scalino a memoria. 

“Dove la nasconderesti tu?”

“In camera tua, ovvio: sei nato per fare la vittima.”

Il ragazzino inciampò ed emise una imprecazione soffocata

Poi si acquattarono fuori dalla porta di servizio, socchiudendola appena - Oscar si stava cambiando e non sembrava contenta per niente. 


Victor si alzò in piedi ed osservò da vicino il marmo del camino.
Apprezzava il gusto di Madame de Jarjayes, decise, leggerezza, ma non frivolezza - il Generale era un uomo fortunato, a suo modo, ma avrebbe dovuto essere un poco più fermo con la Comtesse: dove diavolo era finita? Non aveva la minima idea di quando fosse iniziato o di quando sarebbe finito il suo quarto di anno a servizio della Regina, ma gli sembrava che mancasse da Palazzo da un po’ troppo tempo. 

Non che una donna dovesse essere relegata in casa come un cane in un canile, per carità, rifletté stizzito, non avrebbe mai preteso tanto, ma al posto del Generale avrebbe chiesto a Madame di dare un bel taglio a tutto questo svolazzarsene in giro. Per Versailles poi! A fare cosa?

Il bello di stare insieme era appunto stare insieme - era talmente ovvio!


“Ma come diavolo si è vestita la peste?” bofonchiò André divertito, mentre tutti e due frugavano la stanza. 

“Come un soldato, indeciso se andare ad una parata o in battaglia.” Sigyn scosse la testa irritata. “Oscar non ha proprio un briciolo di gusto!”

“Questo non è vero.”

“Forse non te ne sei accorto: c’è in giro sempre più scelta e sempre più cose superflue.” la ragazzina corrugò la fronte, “Superflue, ma belle. E le scelte che fai parlano di te.” ripensò al suo peregrinare per Versailles: c’erano margini di libertà, ma l’abito faceva il monaco. E c’erano regole non scritte che dovevi dimostrare di conoscere a menadito, più di quei Sette Re di Roma con cui si erano fissati tutti. 

“E cosa dicevano quelle di Oscar?”

“Che non si sa vestire. ”

André sbuffò. 

“E poi che chiunque debba incontrare non le piace e vorrebbe infilzarlo con la spada. Però ha capito che il Generale non farebbe esattamente dei salti di gioia, se lo venisse a sapere. E poi ha questa fissa di essere il Padrone di Casa quando non c’è il Generale, solo che non le da retta nessuno, a parte te. Così si è vestita da parata - un disastro se me lo chiedi, un vero disastro.”

“Un ammiratore di Joséphine quindi.” tagliò corto André. “Un deficiente venuto qui per parlare dei suoi occhi.”

“Penso anche io. "La ragazzina annuì nella penombra, “e dei gigli e delle rose sulle sue gote... come se non sapesse che usa il fattibello!”

“Un cretino, insomma.”

“Questo non lo possiamo sapere per certo, comunque un suo cicisbeo…” sospirò, “Un amico di famiglia, uno come Clément, per esempio,” la piccola arrossì, “sarebbe passato da qui, prima, come ha fatto Alo, o avrebbe chiesto di me. Proprio di me, capisci?” poi aggiunse, pensierosa “Anche io a casa loro passo direttamente dallo Studio dei Ragazzi, con Cassandra. Cioè passavo. Una volta. ” 

“Avete litigato?”

“Una specie.”

“E chi aveva ragione?”

“E’ importante?” Sigyn alzò un sopracciglio guardando André, bellicosa “Il bello di quando stai bene con qualcuno non sta mica nel fatto che la pensiate per forza allo stesso modo!” 

André si mise a ridere “E allora mi sa tanto che la ragione ce l'aveva Girodelle!”

“Forse sbaglio, ma il bello di stare insieme, di passare del tempo con qualcuno, intendo, come amici... “ Sigyn guardò André incerta, nella penombra, “Il bello è proprio nello stare insieme. Senza nessuno sforzo. ”

André alzò le spalle “Non ci ho mai pensato. ”

Sigyn sbuffò. “Uomini!”

“D'accordo, se dovessi vedere quel tipo che vaga per le cucine cercando di una Mademoiselle Sigyn te lo mando. Così potete passare del tempo insieme senza sforzarvi troppo, anche se secondo me...”

“Ma non cercherebbe mai di una Mademoiselle Sigyn!” sbuffò la ragazzina soffocando una risata, poi aggiunse con un tono come se questo dettaglio spiegasse proprio tutto: “Madame de Girodelle è inglese, possibile che non ti ricordi mai niente?”

“Ma cosa vuoi che mi ricordi? L'avrò vista di sfuggita al massimo cinque volte. E quindi, poi? Si porterebbe appresso i cani da caccia? Per stanarti?” André si mise a riflettere interessato: questo aspetto un po’ selvaggio tutto sommato gli piaceva, anche se non era uno spettacolo adatto per Palazzo Jarjayes - sua Nonna avrebbe avuto parecchio da ridire. Cani nel Salottino Piccolo? E dove si era mai sentito?

“Ma no! In Inghilterra sono molto formali per queste cose: il maschio primogenito non si chiama mai per nome, tutti gli altri si, mentre si chiama con il nome proprio solo la figlia maggiore non sposata tra quelle che abitano nella casa. Se non c’è Horthense, per esempio, Joséphine diventa Mademoiselle Joséphine, ma appena Horthense varcherà di nuovo quella soglia, lei tornerà ad essere Mademoiselle Reynier de Jarjayes, esattamente come me. Una della schiera delle figlie minori di cui non è necessario conoscere il nome.”

“Troppo complicato!”

Sigyn alzò gli occhi al cielo “Ti devi solo ricordare che i maschi contano tutti, con il maggiore che conta più di tutti gli altri. Mentre delle femmine conta solo la maggiore. Le più piccole devono solo tacere e non farsi notare. ”

“Questa è una ottima cosa…” borbottò André, con aria distratta. 

“Cosa hai detto?”

“Niente, niente... quindi tu sarai Mademoiselle Sigyn quando diventerai una zitella… si tratta di avere solo un pochino di pazienza. Il Generale dice che è con la pazienza...”

La ragazzina gli mollò una gomitata nelle costole, senza troppa grazia. 


Irritato, Victor Clément de Girodelle rifletté che la Comtesse non avrebbe mai lasciato un suo ospite solo troppo a lungo.
E Sigyn di solito era molto attenta alla forma, sia pur con quel leggero tocco campagnard, che lasciava trapelare il piacere autentico, quando c’era. La spontaneità che avrebbe dovuto imparare a tenere sotto controllo.
Con gli altri. 

Cosa diavolo stava capitando a Palazzo Jarjayes? Ma il Generale come aveva potuto permettere? Non avrebbe mai dovuto lasciar andar via Madame Marguerite! O sarebbe dovuto andare a riprendersela, accidenti! Le Madame Marguerite di questo mondo non sono così numerose, non lo aveva ancora capito? E si che il padre di Sigyn non era un ragazzino...

Ma, soprattutto, come è che lui non sapeva nulla di questo sfacelo? 

Colpa sua, era stato troppo occupato con lo studio e con la preparazione della maitrise - ci teneva parecchio - e Sigyn aveva scritto poco o nulla sull’argomento: lettere criptiche dove saltellava tra le idee più bislacche come una volpe cucciola in un bosco d’autunno, annusando bacche, cumuli di foglie secche, ciclamini e prede. Un animaletto elegante che evitava accuratamente certi argomenti come fossero trappole - Madame Marguerite per esempio, e il Generale. E in che giorno esatto era tornata e perché. 

Da una certa data in avanti, il silenzio. 

Era arrivato il momento di fare due chiacchiere con la piccoletta e farle capire che c’era un muro, e che era anche ben piantato, proprio dietro le sue spalle - sospettava un lavoro difficile per via dell’orgoglio, ma la volpe non era una Girodelle: aveva i denti aguzzi, ma era anche morbida e calda. 

Sentì la porta che si apriva, e d’istinto si voltò, con un sorriso. 


“Ce l’ho!”

“Sei un genio, André!”

“Modestamente... ”

Nel buio si sentì lo schiocco di un bacio su una guancia e due risatine soffocate. 

   
 
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