Eren
stava rientrando, dopo essere
stato assente da casa per quasi tre anni.
Aveva studiato all'estero e conseguito
un master in economia internazionale, al contrario di sua sorella
che si era accontentata di un semplice diploma.
Non era il tipo a
cui piaceva studiare, ma si era accorto che gli riusciva bene e che
gli permetteva al contempo di spassarsela alla grande in giro per il
mondo. Il tutto praticamente spesato.
In realtà non gli
piaceva approfittarsi dei genitori, ma, visti i tutto sommato buoni
risultati, suo padre era stato più che favorevole nel
continuare a
permettergli di fare quella vita.
Grazie a
quell'esperienza assolutamente fantastica aveva scoperto di avere
un'innata abilità linguistica; e rientrava più
pronto che mai ad
affrontare l'ardua impresa nell'inserimento nel mondo del lavoro, non
sapeva di preciso cosa voleva fare, ma non si sarebbe precluso nulla!
Controllò
l'orario; l'aereo stava per atterrare; la cosa che gli era mancata
maggiormente coincideva anche con quella che aveva meno voglia di
incrociare. Il loro Era un rapporto di amore e odio.
Sospirò.
A chi stava
pensando? A quella scapestrata di sua sorella Isabel.
Erano molto simili, fin troppo a volte, e l'unico modo per poter andare
d'accordo era stando a molti kilometri di distanza.
Si erano chiamati
quasi tutti i giorni durante quel distacco, però sapeva bene
che a
casa non sarebbero durati un minuto nella stessa stanza!
Di lei odiava l'eccessivo entusiasmo, non che lui fosse da meno. Quando si metteva in testa qualcosa la doveva ottenere con le buone o con le cattive e vi si buttava a testa bassa distruggendo tutto ciò che trovava sul suo cammino. Il problema era che lei era uguale a lui in questo e quindi regolarmente si trovavano a desiderare la stessa cosa e a discutere animatamente per averla! Non era colpa sua, ovvio, era lei che doveva lasciar perdere.
Poi odiava come, dopo la propria conquista nell'ottenere ciò che si era prefissato, che fosse un giocattolo, un biglietto per un concerto o chissà cosa non aveva importanza, a lei bastasse un flap-flap di ciglia per riuscire ad ottenere altrettanto da mamma e papà!
Non era fottutamente giusto! Lui aveva lottato con onore per averlo e a lei bastava sbattere quei suoi occhioni verdi per mandare in fumo ore e ore di scontro?
Ci
aveva provato anche lui con quella tecnica, ma aveva ottenuto solo di
farsi prendere in giro dai genitori.
Sbuffò a quei
ricordi.
Odiava Isabel!
Però gli mancava come sapesse sempre capirlo con uno sguardo, ah quando i loro occhi si incontravano era la fine. Bastava un'occhiata per sapere esattamente cosa pensava l'altro e aiutarlo per poi condividere il bottino.
Quelli
erano i rari
casi in cui andavano d'accordo, se c'era qualcosa da spartire erano i
migliori fratelli del mondo! Non erano venali, però tutti e
due
erano interessati ad un tornaconto che potesse soddisfare le
necessità di entrambi.
Era stato in quel
modo che da mocciosi urlanti erano diventati adolescenti esigenti,
sapevano ciò che volevano e anche tutti i loro mezzi a
disposizione
per ottenerli, e la cosa valeva sia con gli estranei che nei
confronti del proprio personalissimo e unico gemello.
Adorava Isabel!
Non
erano molto
diversi neanche fisicamente erano alti uguale, non si capiva se fosse
Eren ad essere un pelo basso per essere un maschio o Isabel ad essere
un tantino troppo alta per essere una femmina, la carnagione ambrata
faceva da sfondo a due paia di vispi occhi smeraldini dalle mille
sfumature.
Di nuovo non si
capiva se fosse Eren a essere poco mascolino o Isabel a esserlo
troppo.
Erano identici
eppure unici a loro modo.
Quando
uscì dall'aeroporto trovò una raggiante Isabel ad
attenderlo, c'era
solo lei, ma si sbracciava come se potesse essere facile non notarla.
«EREEN!
NON MI VEDI!» Cercò di farle cenno di abbassare la
voce oppure
tutta la città avrebbe saputo del suo arrivo; ci
pensò sopra, di
sicuro tutta
la città sapeva
del suo rientro conoscendo la rossa. Rossa in quanto Isabel aveva
degli sgargianti capelli rossi che teneva raccolti in due code basse.
Aveva superato i ventitré anni, ma sarebbe rimasta sempre
una
ragazzina. «EREEEN! SONO IO ISABEL, TUA SORELLA!»
Si passò una
mano sul viso, già non la sopportava più.
Le
rispose solo quando le fu vicino, la sua presenza aveva oscurato
anche quella dei suoi due migliori amici d'infanzia, Mikasa e Armin
che se ne stavano dietro all'ingombrante presenza della rossa a
sospirare.
«Ciao
Isa» Fu tutto ciò che riuscì a dirle
prima di essere avvolto in un
abbraccio stretto stretto.
«MI SEI
MANCATO EREN!» Gli urlò direttamente nelle
orecchie, non aveva
perso l'abitudine di usare quei tacchi vertiginosi nei tre anni in
cui non si erano visti e lo superava di un po'. «Anche
tu»
Ricambiò l'abbraccio, dopotutto per quanto cercasse di fare
il
duro, sua sorella era la persona che gli era mancata più di
tutti.
Non
appena lasciò l'abbraccio i suoi amici si fecero avanti
Mikasa; era
sempre la solita ragazza che ricordava, occhi freddi e seri, che
però
non appena incontravano i suoi sembravano addolcirsi.
Sapeva che la
ragazza aveva un debole per lui da tempo immemore, però era
anche
riuscito a chiarire come non fosse interessato in alcun modo, in
quanto i loro interessi non
coincidevano.
Fortunatamente
dopo un lieve distacco iniziale era riuscito a salvare l'amicizia che
era tutt'ora inattaccabile.
Se
con Isabel, nell'infanzia, era riuscito a mantenere una briciola di
orgoglio ottenendo sempre di prenderle dai bulletti per
l'aggressività con cui rispondeva agli insulti; con
Mikasa era andato tutto a rotoli, lei era più forte di lui e
finiva
sempre con il salvarlo dalle risse in cui finiva per essere
coinvolto, su richiesta di Armin che correva sempre a chiamarla
allarmato.
Anche
Armin era suo amico da tanto tempo, era diventato più alto
di lui e
teneva i capelli, lunghi fino alle spalle, raccolti in una coda dietro
al capo.
Era il
cervello e oratore del quartetto, sapeva sempre come raggirarsi tutti
con la dialettica di cui nessuno era a conoscenza dell'origine. Fin
da bambino era riuscito a pararsi il culo con numerosi giri di
parole, -molte delle quali erano tutt'ora sconosciute ad Eren- mentre
lui si
limitava a guardare in cagnesco i ragazzi più grandi dal
fianco
dell'amico biondo e annuire con «Lo hai sentito
vero?» e «Ah hai
proprio ragione» ed era in quel momento che mentre rischiava
di
prendersi un pugno in faccia -e molte volte l'aveva ottenuto-
arrivava Mikasa a difenderlo. Tutte le volte si arrabbiava
però
sapeva anche che senza di lei sarebbe potuta andare molto peggio
tutta la sua adolescenza.
Salutò i suoi amici finalmente era a casa, e aveva intenzione di restarci per un po', anche se non era poi tanto sicuro di aver saziato la sua voglia di viaggiare, di libertà.
Era
rientrato da un paio di giorni e faticava a riprendere i ritmi della
convivenza con la problematica sorella
nel piccolo appartamento che condividevano da quando avevano deciso
di lasciare la casa dei genitori.
Isabel
aveva continuato a vivere da sola e ora era più che disposta
-anche
troppo- ad ospitarlo nuovamente.
Erano
così reiniziate le discussioni per il bagno alla mattina
alle
sette perché, ovviamente, entrambi dovevano andare in bagno
a quell'ora; Eren
perché gli piaceva essere mattiniero e quello era l'orario
perfetto
per fare tutto con calma in vista dell'uscita quotidiana delle nove
alla ricerca di un fantomatico lavoro e Isabel
perché era l'unico modo per approfittare della compagnia del
suo
letto fino all'ultimo secondo della mattina. Continuava a dire che
quando usciva al gelo e al freddo voleva farlo consapevole di aver
fruito il più a lungo possibile della compagnia del suo
amato
materasso.
Fatto
sta che a mattine alterne si sentiva la voce urlante dell'uno e
dell'altra accompagnare dei battiti furiosi sulla povera porta del
bagno, porta a cui sicuramente non era mancato per niente Eren.
Una
settimana dopo sembrava essere tutto tranquillo, fu un
venerdì
mattina che Eren realizzò come sua sorella si svegliasse
prima per
lasciargli libero accesso al bagno alle sette.
Non ci
aveva fatto caso da subito -dal mercoledì se non sbagliava-,
era
così che doveva andare e quindi non sarebbe dovuto essere
strano, e
invece era tutto fottutamente strano!
Isabel
che gli lasciava addirittura la stufa accesa per scaldargli
l'ambiente un po' rigido del mattino, gli asciugamani puliti e
morbidi sul mobile.
Quando
arrivava in cucina c'era già una bella tazza di
caffè fumante come
piaceva a lui e gli immancabili biscotti al burro che tanto amava.
Quella
mattina addentò un fiore
ancora caldo di forno.
Era tutto troppo strano
e poco ordinario per
non farci caso.
Il
biscotto era ancora a mezz'aria e gli occhi di Isabel erano puntati
sul suo viso raggianti.
Ripose
il biscotto sul piattino, doveva ancora masticare le briciole che
aveva rubato dalla leggera frolla.
«Tu
hai bisogno di
qualcosa» Non
era una domanda, ma una sentenza, perché lui sapeva che quel
diavolo
di sua sorella, voleva qualcosa da lui.
«Maddai!
Sono solo felice di avere il mio fratellone a casa!»
Squittì
eccitata.
Non sapeva dirlo con certezza ma gli sembrava proprio che
il labbro superiore fosse arricciato come il musetto di un gatto, ed
era altrettanto sicuro di poter vedere una coda ciondolare dietro la
sorella. Sembrava un gatto pronto a fare una malefatta, o meglio,
pronto a rivelare la malefatta che aveva combinato pieno di orgoglio.
«Isabel?»
Sperò che scandendo bene il suo nome capisse che doveva
sputare il
rospo.
«Uffa!
Una cerca di essere carina e tu subito a pensar male!»
Sbuffò
irritata rubandogli la frolla mezza smangiucchiata e facendola
sparire in un sol boccone. «Kyaa! Ma sono
bravissima!»
Era ufficiale, doveva chiedergli qualcosa di molto grosso e scomodo per essere arrivata a usare gli stampini che le aveva regalato diversi anni prima per fare un regalo di San Valentino all'allora ragazzo, com'era che si chiamava? Merlo? Marlo? Bah poco importava non aveva avuto la sua approvazione e infatti erano finiti con il lasciarsi poco dopo.
«Isabel?»
Provò di nuovo e con un sonoro sbuffo la sentì
iniziare a mugugnare
qualcosa. «Non ti
capisco» Iniziava a preoccuparsi.
Un
sospiro più forte e proruppe con la richiesta più
strana che avesse
mai potuto fargli. «Mi sostituiresti a lavoro?»
«Isa,
non- come? Li hai avvisati dell'eventualità?» Non
era un problema,
con la sua qualifica didattica sarebbe stato un gioco da ragazzi
sostituirla nella semplice mansione di segretaria dell'azienda in cui
lavorava ormai da un annetto.
«Ehm
c'è un problema» Eccola che stava prendendo la
classica posa
pre-occhioni tentatori. Occhioni che con lui non potevano avere
effetto, lui stesso li possedeva! Quando prese a picchiettare gli
indici abbassando il capo capì che la questione era tremendamente
seria.
«Ecco-
vedi- la mia idea era un'altra»
Sorseggiò
il caffè depositandovi una nuvola di latte, era meglio
alleggerire i
toni della caffeina quella mattina e la sorella gli suggerì
di
“aggiungere anche un paio di cucchiaini di zucchero, per
addolcirsi
la bocca”.
Fece
come detto prendendo a girare il cucchiaino con un movimento lento e
continuo.
«Vedi
se dicessi che il mio fratellone prende il mio posto potrebbero
pensare che sono una scansafatiche e non è così!
È che- ricordi la
mia amica Sasha?»
Negò
con la testa e lei prese a descrivere la suddetta amica, spiegando
come fossero amiche da sempre e di come l'avesse scelta per farle da
damigella d'onore! Aggiungendo un concitato «Ti rendi conto!?
Io
damigella!». Voleva fare la damigella d'onore a quanto pare.
Sapeva
che sua sorella era contorta, ma non riusciva a trovare l'inghippo in
tutto quel fiume di parole.
«Chiedi
le ferie allora» Spiegò tranquillo, arricciando il
naso al sapore
troppo dolce della bevanda, si era fatto distrarre e aveva messo
troppo zucchero.
«Ecco-
Non è possibile, avrei finito le ferie per quest'anno, hai
presente
che ti ho detto che ho vinto quel viaggio tutto spesato? Quello di
quest'estate-» Quel dettaglio lo ricordava bene, la sorella
era
famosa per la sua fortuna sfacciata e aveva vinto un viaggio all
inclusive in
una meta esotica,
dove aveva passato ben quindici giorni nel lusso più
sfrenato.
«Cosa
devo fare io?» Buttò giù tutto di colpo
il caffè ormai freddo e
decisamente troppo zuccherato.
«Io e
te siamo molto simili, lo sai vero? I nostri occhi sono praticamente
uguali!»
«No»
Aveva intuito dove volesse andare a parare, ma finché era un
gioco
fatto a scuola per far impazzire i professori o per
prendere in giro i genitori era una cosa,. Ora acquisiva tutta un'altra
connotazione.
«Eddaiiiiii!
Non ti chiederei mai di indossare l'abito da damigella! Quello lo
voglio mettere io!» Spiegò imbronciata.
«Ma
ci mancherebbe!» Replicò con decisione, per quanta
fantasia potesse
avere non era arrivato a valutare a quell'eventualità.
«Eren-»
Cercò di replicare la rossa supplichevole.
«No»
La questione si era delineata a grandi linee nella sua mente ed era
sì più semplice, ma molto più
raccapricciante.
«Ti
ricompenserò lautamente» A quelle parole ebbe un
attimo di
esitazione, ma negò nuovamente.
«Si
da il caso che abbia vinto un altro viaggio all
inclusive
ai Caraibi, per 2»
Lui adorava le mete estive, il caldo! Aveva vissuto gli ultimi tre anni a Berlino che per quanto multiculturale e internazionale, restava Berlino: nulla a confronto con i cazzo di Caraibi! Mare, spiagge, caldo e ancora Mare.
Forse
esitò un po'
troppo perché se la ritrovò al collo esultante.
«Hey! Non ho
accettato!»
«Ma non hai
rifiutato!» Il sorriso sul viso della sorella era radioso.
Chi era
lui per impedirle di indossare l'abito da damigella che tanto
desiderava?
Sbuffò, un cazzo
di uomo che doveva prendere i suoi panni, ecco chi.
«Ma che dici?! E poi sarà solo per una settimana! Che vuoi che succeda in una settimana?»
«Sai
che queste sono le classiche ultime parole famose?
Ora che le hai dette andrà tutto di merda».
Ed era
così, succedeva ogni volta che qualcuno diceva la fatidica
frase!
«Ecco,
inizia a parlare più come me! Certe parole non le
dico!»
Fu il
suo turno di prorompere in una fragorosa risata. «Ma per
piacere! E
chi sono gli sfigati che ci credono?!» Era piegato a
metà dal
ridere. «I miei colleghi della Sina and Roze s.r.l.»
«Ah
certo, come ho fatto a scordarlo»
Eren
sapeva che era una pessima idea, ma di quelle tremende che sarebbero
diventate un piacevole ricordo solo davanti a un camino con i nipoti
attorno, ah già, peccato che lui non
avesse intenzione di
fare figli.
Cercò
di ponderare i rischi e la peggiore delle ipotesi era che Isabel
potesse giocarsi il posto di lavoro, glielo fece presente e lei
scrollò le spalle. «Si vive una volta sola e io voglio
indossare
quell'abito» Alzò le
mani in segno di resa e annuì, l'importante era che ne fosse
cosciente, a lui male che andava avrebbe fatto la sua vacanza ai
Caraibi pagata.
«C'è qualcosa di particolare che devi dirmi?» La sorella gli aveva mostrato tutti i possibili capi di abbigliamento che gli era consentito e che lei era solita indossare nell'ufficio, non poteva cambiare look dall'oggi al domani! Cercò di farle notare come si sarebbe slogato una caviglia coi suoi tacchi, ma lei era stata irremovibile e poi tra le righe aveva capito che c'era un tizio un tale, Farlan- che le interessava e che voleva cercare di attirare la sua attenzione con tutte le armi che aveva a disposizione.
«Sei
tu che vuoi attirarlo, non io!» A quell'inutile
osservazione
lei sventolò una
mano portandogli davanti agli occhi un paio di tronchetti neri
scamosciati, relativamente bassi per gli standard della sorella.
«Ti
concedo questi» In quel momento si rese conto della fortuna
sfacciata
della sorella, avevano
anche lo stesso numero di scarpe, il 40, forse troppo piccolo per un
uomo, o forse troppo grande per una donna, non lo sapeva di preciso.
«Dai
dai dai prova questi!» Un strana luce animò quelle
iridi feline e
gli sorse spontanea la domanda se anche le sue brillassero
così
malignamente quando qualcosa lo animava con altrettanta passione.
Sapevano essere davvero pericolosi i loro occhi con quella luce.
Borbottando e sbuffando prese a indossare i jeans chiari aderenti, la maglia a collo alto verde scuro, e quei tronchetti che a detta sua dovevano essere l'ottava meraviglia del mondo “da tanto che sono comodi!”.
Si
guardò allo specchio, e notò come un dettaglio
non
indifferente facesse la sua comparsa. «Ehm, Isa, per quanto
tu possa
essere entusiasta della tua idea, quello non si nasconde di
certo»
Indicò il lieve rigonfiamento in mezzo alle gambe, la
sorella portò
le mani al viso imbarazzatissima.
«Cazzo
è vero me n'ero scordata!» Esclamò
mettendosi a frugare nel
cassetto della biancheria.
«Eh
appunto proprio lui» Commentò esasperato
trovandosi un paio di- cos'erano
mutande? «Sono
Gaff, le
usano le drag queen»
Ringraziò per la spiegazione che aveva dato
un'identità a quello che gli era stato
sbattuto in faccia, li afferrò guardandoli inorridito.
«Ma- Tu
avevi già pianificato tutto!?»
«Eh eh forse» Squittì sempre sorridendo allacciandogli le braccia al collo. «Sei il fratello più migliore di tutti!» Ed eccola che sruffianava come sempre con quell'espressione infantile che usava da tempo immemore.
Afferrò
con due dita quelle maledette mutande coprenti, soffriva già
all'idea di quanto avrebbe tirato quell'elastico.
«Isa,
no» Il viso della gemella era contratto in un lieve broncio
che le
arricciava il delicato mento, il labbro inferiore leggermente proteso
e gli occhi grandi languidi e spalancati. «...no».
Il
labbro inferiore tremò leggermente.
«Caraibi» Sussurrò
tentatrice.
Doveva imparare anche lui la tecnica di quei maledettissimi occhi, e che cazzo!
Andò
in bagno ripetendosi Caraibi allo sfinimento e lottando con quella
trappola mortale... Scoprì che non bastavano quelli ma che
c'erano
altri dettagli ma
nulla che WikiHow insieme a un rasoio non riuscissero a chiarire.
I
Caraibi dovevano essere all'altezza delle sue aspettative e anche di
più!
Quando
uscì la fulminò. «Non dire una parola
diversa da Caraibi»
La vide portarsi le mani al viso e squittire eccitata battendo le mani
per poi afferrarlo per un braccio e trascinarlo vicino
all'anta-specchio del grande armadio.
Anche se non voleva ammetterlo erano uguali. «E adesso
lezione di Make-up!»
A cosa aveva acconsentito di partecipare!? «Isa-»
Provò a supplicarla ma lei aveva già afferrato
pennelli,
trucchi e chissà-che altro. Deglutì mentre il
terrore si
faceva strada dentro di sé.
Sarebbe stata una settimana molto lunga!