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Autore: _Pulse_    18/02/2018    2 recensioni
«Adesso ne ho abbastanza», mormorò a mezza voce e si avvicinò alla finestra per chiuderla, quando delle familiari fauci nere gli sfrecciarono accanto all'orecchio sinistro.
Con un balzo finì in piedi sulla scrivania lì accanto, ma la testa di Rashomun non lo seguì: precisa e veloce, affissò qualcosa alla parete e si ritirò prima ancora che Atsushi potesse attaccare.
Era già ritornata dal suo padrone quando il ragazzo-tigre si affacciò alla finestra, incrociando lo sguardo metallico di Akutagawa per un breve attimo. Aprì la bocca per chiamarlo, ma non aveva alcun senso: l'oscurità del vicolo in cui si era infilato l'aveva già inghiottito e non ne sarebbe riemerso per lui.
Il ragazzo dai capelli argentati chiuse la finestra, certo che ormai la previsione di Dazai e Ranpo si fosse avverata (e stupendosi come sempre delle loro capacità quasi divinatorie), e sospirando si diresse a strappare dal muro il messaggio della Port Mafia. Lo lesse, più e più volte, poi lo buttò nel sacco della spazzatura e tornò a pulire l'ufficio: in qualche modo doveva ingannare il tempo prima del suo appuntamento con Akutagawa.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsushi Nakajima, Ryuunosuke Akutagawa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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(Quindi, alla fine l'ho fatto davvero?)

Buonasera! Eccomi qui - anche qui, perché non ne ho mai abbastanza di fangirlare in giro - a presentarvi la mia prima OS su Bungo Stray Dogs.
Con grande onore posso dire di essere stata io a scoprirlo e proporlo a mio fratello (il mio spacciatore di anime/manga), e siccome stavo troppo in fissa dopo la fine della seconda stagione ho deciso di mettere giù questa cosa dal punto di vista di Atsushi e Akutagawa, i miei patatini *^* Ho cercato di restare fedele a ciò che è successo nell'anime, ignorando i capitoli successivi del manga, e se c'è stato qualche mescolamento tra le due cose vi chiedo perdono. Così come vi chiedo umilmente scusa nel caso in cui i personaggi non siano perfettamente IC (ho fatto del mio meglio, sob).
Come sempre tutti i commenti sono ben accetti 8-)
Vi auguro una buona lettura ricordando che i personaggi e le ambientazioni non mi appartengono e che questo scritto non ha alcuno scopo di lucro.
Alla prossima!

_Pulse_



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MESSAGING



La festa organizzata per Kyouka, ora membro effettivo dell'Agenzia dei Detective Armati, era durata più del previsto sia per via dell'alcool scorso a fiumi che per colpa del rivale di Ranpo, Poe.
Il detective col procione infatti li aveva spediti tutti all'interno del suo ultimo romanzo giallo con la sua abilità e un irriconoscibile Kunikida ubriaco si era messo in testa di poter riuscire a risolvere il mistero senza l'aiuto del vero ed unico investigatore. Mortalmente offeso, Ranpo aveva incrociato le braccia ed era rimasto a guardare, incurante delle suppliche di tutti gli altri.
Non ne sarebbero mai usciti se Dazai non avesse finalmente deciso di presentarsi alla festa, trovandoli tutti svenuti sul pavimento ed annullando gli effetti di "Gatto nero nella Rue Morgue". Una volta venuto a conoscenza dei dettagli, l'ex-membro della Port Mafia si era fatto una grassa risata, pensando a come si sarebbe divertito il giorno seguente a tormentare un Kunikida in pieno post-sbronza. Per questo si era offerto di portarlo a casa, evitando così che la dottoressa Yosano potesse metterci su le mani e farlo tornare come nuovo dopo essersi divertita.

«Atsushi-kun», aveva richiamato la sua attenzione mentre si metteva un braccio del partner intorno al collo. «Mi raccomando, non andare via fino a quando non sarà tutto pulito».
Il ragazzo-tigre aveva sgranato gli occhi ed era impallidito nel constatare in quali condizioni fosse ridotto l'ufficio.
«Che cosa?! Perché io?!».

Il sorriso che Dazai gli aveva rivolto, malizioso e al limite del diabolico, lo aveva fatto rabbrividire, ma Kyouka lo aveva distratto prendendogli un lembo della camicia.
«Ti darò una mano io», aveva detto, col suo solito tono di voce pacato.
Atsushi aveva incrociato i suoi grandi occhi azzurri e un moto di rabbia gli era rimbombato nel petto come un ruggito.
«Non se ne parla neanche! Tu sei la festeggiata, non è giusto! Vedrai che si fermerà qualcun altro!».

Alla fine nessuno si era fermato, ovviamente. Accampando varie scuse, tutti i membri dell'Agenzia se n'erano andati seguendo l'esempio di Dazai. L'ultima ad avviarsi verso la porta era stata Yosano, la quale nonostante avesse bevuto così tanto da reggersi a malapena in piedi aveva preso Kyouka per mano e affermato che l'avrebbe portata a casa. Atsushi era sicuro che sarebbe accaduto l'inverso e la ragazzina gliene aveva dato conferma abbozzando un sorriso e rassicurandolo che non le sarebbe successo nulla di male, ora che aveva sotto controllo - o quasi - il Demone Biancaneve.
Nakajima era stanco, tanto che era certo che si sarebbe addormentato anche sul pavimento, ma sapeva che non l'avrebbe mai fatto: tremava al solo pensiero di essere svegliato a calci da un Kunikida irritato e, soprattutto, per via di quello che Dazai e Ranpo non gli avevano detto. Perché sì, ormai aveva capito che quei due non facevano mai nulla per caso ed era convinto che doveva esserci un motivo se l'avevano costretto a rimanere lì a pulire nonostante non fosse ancora guarito del tutto dalle ferite riportate nello scontro contro il capo della Guild. In particolare lo avevano messo in allerta le parole del detective, il quale gli aveva raccomandato di tenere una finestra aperta per far arieggiare l'ambiente.
Sbuffò irritato quando il cumulo di coriandoli e briciole così faticosamente formato venne spazzato via dall'ennesima folata di vento.
«Adesso ne ho abbastanza», mormorò a mezza voce e si avvicinò alla finestra per chiuderla, quando delle familiari fauci nere gli sfrecciarono accanto all'orecchio sinistro.
Con un balzo finì in piedi sulla scrivania lì accanto, ma la testa di Rashomun non lo seguì: precisa e veloce, affissò qualcosa alla parete e si ritirò prima ancora che Atsushi potesse attaccare.
Era già ritornata dal suo padrone quando il ragazzo-tigre si affacciò alla finestra, incrociando lo sguardo metallico di Akutagawa per un breve attimo. Aprì la bocca per chiamarlo, ma non aveva alcun senso: l'oscurità del vicolo in cui si era infilato l'aveva già inghiottito e non ne sarebbe riemerso per lui.

Il ragazzo dai capelli argentati chiuse la finestra, certo che ormai la previsione di Dazai e Ranpo si fosse avverata (e stupendosi come sempre delle loro capacità quasi divinatorie), e sospirando si diresse a strappare dal muro il messaggio della Port Mafia. Lo lesse, più e più volte, poi lo buttò nel sacco della spazzatura e tornò a pulire l'ufficio: in qualche modo doveva ingannare il tempo prima del suo appuntamento con Akutagawa.

*

«Akutagawa-senpai, ho sentito che il boss l'ha convocata. Di che si tratta?».
Higuchi l'aveva intercettato subito dopo il suo breve colloquio con Mori e per quanto lo infastidisse il suo comportamento da cagnolino ammaestrato, non sarebbe mai stato in grado di allontanarla da sé: lei era l'unica oltre a sua sorella a preoccuparsi davvero per lui, tanto da prendersi due pallottole e rischiare la vita pur di difenderlo quand'era in coma. Coma causato dallo stesso Atsushi Nakajima, la tigre mannara con cui si era ritrovato ad avere un appuntamento. Il solo pensiero lo disgustava, ma si trattava di un ordine e non poteva in alcun modo ignorarlo.
Aveva tuttavia provato a chiedere spiegazioni al vertice della Port Mafia, il quale però sembrava più interessato al catalogo di case delle bambole che stava sfogliando per trovarne una da regalare a Elise. Akutagawa non si era arreso e alla sua insistenza il boss aveva finalmente alzato gli occhi e con tono divertito aveva esclamato: «È stato deciso che, volenti o nolenti, tu e la tigre lavorerete ancora insieme, perciò questo incontro è puramente una formalità. Nemmeno lui avrà scelta».
Akutagawa aveva stretto i pugni lungo i fianchi, tanto forte da sentire le unghie conficcarsi nei palmi. «E se io lo uccidessi, a questo incontro?».
Il boss aveva ridacchiato a bocca chiusa. «Non lo farai. L'idea è del nostro caro Dazai, il quale ha un'interessante teoria in merito a ciò che è successo alla Moby Dick. Lui non è più un nostro esecutivo, è vero, ma questo non mi impedisce di avere totale fiducia nelle sue intuizioni e sfruttarle a mio vantaggio. Per questo la tregua tra le nostre organizzazioni è stata prolungata. Sei il primo a saperlo, sei contento?».
Akutagawa era stato raramente "contento" in vita sua - si potevano davvero contare sulle dita di una mano, i momenti che l'avevano reso tale - e quello non lo era stato. La rabbia gli aveva fatto ribollire il sangue nelle vene e un attacco di tosse più forte del solito l'aveva costretto ad uscire dall'ufficio del boss senza aggiungere altro. Non voleva lavorare con quello là, ma non aveva scelta e odiava che fosse così.
«Senpai?».
Higuchi stava ancora aspettando la sua risposta. La guardò con la coda dell'occhio, poi sospirò brevemente e ammise, lugubre: «Mi è stato detto che non avrei ricevuto alcuna punizione per la mia insubordinazione, dato che avevo contribuito alla vittoria contro la Guild, ma era una bugia».
La bionda sobbalzò. «Una punizione?».
Akutagawa si fermò davanti all'ascensore dalle porte dorate e premette il tasto della chiamata.
«Qualunque sia, la merito anche io. È colpa mia, in fondo. Se non le avessi dato quelle informazioni...».
Con un delicato ding le porte dell'ascensore si aprirono e Akutagawa entrò, evitando accuratamente di specchiarsi e ricambiando per la prima volta lo sguardo della sottoposta. La ragazza arrossì vistosamente e questo provocò al corvino il solito senso di inadeguatezza. Perché, perché lo ammirava tanto? Che aveva fatto per meritarsi il suo affetto?
Con la fronte aggrottata come se fosse infastidito - una delle sue espressioni più frequenti - esclamò: «Questa punizione non è condivisibile».
«Però...!».
«Grazie, Higuchi», la interruppe bruscamente, dicendo finalmente a voce alta quello che aveva rimandato da quel giorno.
La bionda rimase letteralmente a bocca aperta, mentre il rossore sulle sue guance aumentava e delle lacrime iniziavano a formarsi agli angoli dei suoi occhi.
Akutagawa sentì un'altra fitta al petto e ringraziò silenziosamente le porte che si chiusero prima che lei potesse dire qualcos'altro. Solo nell'ascensore, il proprietario di Rashomun abbandonò le spalle contro uno degli specchi e si portò la mano destra alla bocca, tossendo piano.
Se non avesse sfruttato le informazioni di Higuchi e l'odio che provava nei confronti del nuovo allievo di Dazai non avrebbe mai sentito le parole che tanto aveva desiderato che il suo maestro pronunciasse.
Quel momento sì che l'aveva reso contento e prima o poi - in un futuro lontano - avrebbe ringraziato Atsushi Nakajima per averlo aiutato ad arrivare fino a lì.


*

Atsushi arrivò al luogo dell'appuntamento mezz'ora prima dell'orario stabilito.
Finite le pulizie, aveva deciso di avviarsi per contrastare il sonno e in quel senso il vento l'aveva aiutato a rinfrescarsi le idee. Il messaggio lasciato da Akutagawa era sintetico e ben poco esplicativo, un semplice "ora e luogo", perciò aveva ipotizzato due possibili scenari: il primo, nel quale il cane della Port Mafia aveva deciso finalmente di porre fine alla loro rivalità; e il secondo, quello che riteneva più probabile, per cui si sarebbe trattato di un semplice incontro deciso da persone sopra di loro, tra cui senza ombra di dubbio Dazai.
Atsushi sospirò afflitto e, incapace di trattenere la curiosità, chiamò il mentore col proprio cellulare. L'uomo rispose dopo appena uno squillo, come se attendesse quella chiamata.
«Ehilà, Atsushi-kun! Hai già finito di pulire?».
«Sì», rispose. «E ho ricevuto un invito da parte di Akutagawa».
«Ah!».
«Non finga di essere sorpreso. Lei sapeva che sarebbe successo. Come ha fatto?».
«Mi hai scoperto, eh?».
Atsushi capì che non avrebbe risposto alla domanda, perciò ne pose un'altra: «Di che cosa si tratta? Devo prepararmi a combattere?».
«Non ce ne sarà bisogno. Anzi, ti dirò di più: l'Agenzia e la Port Mafia non si metteranno i bastoni tra le ruote ancora per un po'».
«Sta dicendo che la tregua...».
«... non è ancora cessata, esatto».
Una folata di vento gli portò dei ciuffi di capelli negli occhi e Atsushi se li spostò con la mano, trovandosi improvvisamente sollevato all'idea di non dover lottare con altri possessori di abilità, o almeno non quelli della Port Mafia, ancora per un po'. Il silenzio prolungato di Dazai però non lo rassicurò, così come il tono improvvisamente serio che adottò quando riprese a parlare.
«Atsushi-kun, la verità è che presto ci troveremo di fronte ad un avversario ben più forte della Guild. Ne ho parlato col Presidente e si è trovato d'accordo con me, quando gli ho proposto che tu e Akutagawa...».
«No».
«No?».
Atsushi sentì il sangue scaldargli il volto. La lingua era stata più veloce del cervello, direttamente collegata al cuore. Aveva capito quello che Dazai stava per dire e l'aveva interrotto, orripilato.
L'uomo fissato coi suicidi si lasciò andare ad una risata leggera. «Perché sei andato all'incontro, allora? Atsushi-kun... guarda davanti a te».
L'oceano brillava delle luci della città, riflettendo la forma della ruota panoramica e il bagliore rossastro dei grattacieli che squarciavano le nubi e toccavano le stelle.
Quel panorama era talmente bello che Atsushi l'avrebbe guardato per ore. Non avrebbe permesso a niente e a nessuno di distruggerlo, anche a costo della sua stessa vita.
Dazai pose fine alla comunicazione: non aveva nient'altro da dire. Atsushi chiuse a sua volta il cellulare e lo ripose nella tasca dei pantaloni.
«La città che abbiamo protetto...», disse quando ormai non c'era più nessuno ad ascoltarlo. O almeno così credeva.
Dei colpi di tosse lo costrinsero a voltarsi e alla sua destra vide Akutagawa, sferzato dal vento tanto quanto lui.
«Che inutile sciocchezza», affermò arcigno, gli occhi metallici che brillavano alla luce della luna piena.
Se non fosse stato per il Presidente dell'Agenzia, Atsushi non sarebbe mai riuscito a controllare la tigre che ruggiva nel suo petto, desiderosa di manifestarsi, e gli ci volle il doppio dello sforzo quando quelle parole raggiunsero le sue orecchie.
Si voltò verso il corvino, fissandolo, e si chiese se davvero quello fosse l'unico modo per affrontare il nemico che a detta di Dazai stava già pianificando il prossimo attacco su Yokohama. Probabilmente era così, se sia il Presidente che il boss della Port Mafia avevano dato la loro approvazione.
«Questa città, con tutti i suoi abitanti, è finalmente diventata la mia casa», ruppe il silenzio Atsushi, sentendo un piacevole calore riempirgli il petto mentre si convinceva di quelle parole. Persino la tigre si acquietò e la sua espressione si fece più serena, davanti a quella stizzita di Akutagawa.
«Farò di tutto per proteggerla, persino combattere al tuo fianco».
Il corvino strinse forte i pugni lungo i fianchi. «Sei davvero senza pudore, jinko».
«E perché? Riconosco che senza di te non sarei mai riuscito a battere Fitzgerald e che mi hai salvato la vita, per ben due volte. Per questo ti ringrazio, Akutagawa-kun».
Due teste di Rashomun si conficcarono fulminee sul cemento, a pochissimi centimetri dagli stivali di Atshusi, il quale non si era mosso di un centimetro. Il suo sorriso si ampliò e Akutagawa sentì il cuore esplodergli nel petto senza una ragione.
«Non ti azzardare a chiamarmi in quel modo. Noi non siamo amici, né ti rispetto. Se sono qui, è solo perché mi è stato ordinato. Mi viene da vomitare al solo pensiero, ma devo farlo».
«Che cosa devi fare?», domandò con quel suo tono ingenuo, davvero inconsapevole di come girasse il mondo.
Stupido gatto troppo cresciuto.
Akutagawa tossì ancora, sentendo del veleno corrodergli le pareti della gola mentre quelle parole gli raggiungevano la bocca: «Vorresti allearti alla Port Mafia e diventare mio partner?».
«Come scusa? Non capisco nulla se parli mentre tossisci. A proposito, penso dovresti vedere un dottore. Scommetto che Yosano-sensei riuscirebbe a fartela sparire in un baleno...».
«Stai zitto!», gridò Akutagawa, attaccandolo ancora con le fauci di Rashomun. Questa volta però non si trattenne e se Atsushi non avesse trasformato le proprie gambe nelle zampe posteriori della tigre per spiccare un balzo, di certo sarebbe stato morso.
Il corvino aspettò il contrattacco, ma il ragazzo-tigre si limitò ad appollaiarsi sulla ringhiera che impediva l'accesso diretto alla spiaggia, osservandolo con espressione esausta.

«Dazai-san non sarebbe per niente contento se ti uccidessi», bofonchiò.
A quelle parole, Rashomun sparì all'interno del suo cappotto sferzato dal vento. «Allora è vero che è stata un'idea di Dazai-san».
«Sì, a quanto pare. Secondo lui, se lottiamo insieme siamo più forti. Ed è vero, come ti dicevo prima. Quando Rashomun ha avvolto il mio pugno per quel colpo combinato... l'hai sentita anche tu, quella sensazione?».
Akutagawa quasi trasalì, ricordando fin troppo bene come si era sentito quando le loro due abilità si erano fuse in una. Per la prima volta da che aveva memoria, il suo corpo non gli era più sembrato debole e fragile. Invece che un ammasso di pelle e ossa sempre sul punto di lacerarsi e crollare, l'aveva sentito perfettamente in grado di sostenere il suo spirito e proteggerlo dalla forza spaventosa di Rashomun.
Deviò i suoi occhi dal colore indefinibile, ben deciso a non dargli la soddisfazione di aver avuto ragione, ma Atsushi non si demoralizzò, tutt'altro. Saltò giù dalla ringhiera e si avvicinò, i piedi di solito impacciati guidati dalla tigre.
«Per la prima volta in vita mia, ho attaccato senza avere alcuna incertezza. Ero sicuro che ce l'avrei fatta e non ho avuto paura, nemmeno per un attimo».
Lentamente, Akutagawa incrociò di nuovo il suo sguardo, rilassando le spalle. Ora finalmente capiva perché Dazai pensava che insieme avrebbero formato una squadra perfetta: le mancanze dell'uno venivano colmate dall'altro.
Il corvino si domandò quando se ne fosse reso conto, se avesse addirittura previsto tutto quanto fin dall'inizio. Le informazioni ottenute da Higuchi... forse era stato lui stesso a fare in modo che trapelassero.
«Ciò nonostante...», riprese Atsushi, abbassando il capo per portarsi una mano sulla nuca. «Ci vorrà del tempo prima che io possa perdonarti per tutto ciò che hai fatto e considerarti il mio partner. Non so nemmeno se posso fidarmi».
«Non si tratta di fiducia, ma di ciò che è più conveniente», replicò Akutagawa, nonostante le sue parole l'avessero punto più di quanto avrebbero dovuto. «E non mi scuserò per aver cercato di ucciderti, jinko. Tu stesso non ti sei risparmiato, se non ricordo male».
Il ragazzo dai capelli argentati esibì un nuovo sorriso. «Hai iniziato tu però».
«Facevo solo quello che...».
«... che ti è stato ordinato? Non ne sono del tutto convinto». Atsushi avanzò di un altro passo e Akutagawa ebbe l'istinto di arretrare, ma non lo fece. Mantenne anche il contatto visivo fino a quando il movimento della sua mano destra non attirò la sua attenzione: la stese tra loro, in attesa della propria.
«Da qualche parte dovremo pure cominciare», spiegò il ragazzo-tigre, scrollando le spalle.
Riluttante, Akutagawa grugnì ed afferrò la sua mano, la quale, nonostante il palmo coperto dal guanto di pelle nera, era tanto calda che ebbe paura di scottarsi. Atsushi invece rabbrividì, ma si morse il labbro ed imitò il suo silenzio composto.
Com'era successo la prima volta, toccarlo senza avere l'intenzione di ferirlo fece stringere lo stomaco di Akutagawa, il quale conosceva abbastanza bene i morsi della fame per capire che non si trattava della stessa sensazione. Era simile a quella che provava quando si trovava accanto ad Higuchi e lei lo trattava con gentilezza, solo d'intensità centuplicata.
Per questo si sottrasse bruscamente dalla stretta e gli diede le spalle, stringendosi la mano al petto. Lì, sotto gli strati dei vestiti, il suo cuore sembrava di nuovo sul punto di esplodere. Che diavolo gli stava succedendo? L'agitazione gli causò un violento attacco di tosse.
«Va tutto bene, Akutagawa?».
«Non fingere che ti importi, jinko».
«Atsushi. Il mio nome è Atsushi».
«E quindi?».
Il ragazzo-tigre sospirò, arrendendosi all'evidenza: non sarebbero mai andati d'accordo e Akutagawa non ci avrebbe nemmeno provato.
«Hai ragione, per quello che mi interessa puoi anche soffocare. Adesso sono stanco, vado a casa».
Akutagawa sgranò un poco gli occhi a quelle parole. Non poteva permettergli di andarsene in quel modo, come se fosse stato lui ad invitarlo e non viceversa. Inoltre, non aveva ancora ricevuto la risposta da riportare al boss della Port Mafia.
«Chi ti ha dato il permesso di andartene?!», gridò e senza pensarci su due volte allungò una mano per fermarlo. Avrebbe potuto usare Rashomun, però... imbarazzato, si scoprì a voler sentire ancora una volta il suo calore sulla pelle. Anziché afferrargli la mano però finì per stringere il palmo intorno a qualcosa di molto più soffice e peloso. Atterrito, abbassò gli occhi e scoprì di avergli preso la coda.
Atsushi si immobilizzò, il collo stretto tra le spalle e il corpo scosso dai brividi.
Akutagawa sapeva di doverlo lasciare andare, ogni fibra del suo corpo glielo stava dicendo, eppure esitò: accarezzò la pelliccia bianca e nera, godendosi il tepore in grado di riscaldargli la pelle e trovando quella morbidezza estremamente confortante.
Ciò che lo fece tornare alla realtà fu una specie di morbido ruggito, il quale venne subito soffocato dalle mani che Atsushi si portò alla bocca mentre si voltava per guardarlo con le guance in fiamme e gli occhi lucidi. La sua espressione, un misto di imbarazzo e malcelato desiderio, costrinse Akutagawa a lasciarlo finalmente andare e a voltarsi verso il mare, il vento a spingergli una ciocca di capelli dalle punte bianche negli occhi.
Cos'era quel verso? si domandò, mentre il cuore gli batteva furiosamente nella cassa toracica. Sembrava quasi che fosse sul punto di fare le... fusa.
Atsushi si schiarì la gola e prendendosi la coda tra le mani se la strinse al petto, incapace anche solo di posare gli occhi sul corvino.
«Devi dirmi qualcos'altro?», riuscì a chiedergli alla fine, spezzando quell'imbarazzante silenzio.
«Sei tu che non hai risposto alla mia domanda», grugnì. «Conosco la risposta, ma devo sentirla da te per poter considerare la missione completata».
«Se voglio unirmi alla Port Mafia? No, grazie».
«Bene», sospirò Akutagawa, sollevato. Non avrebbe sopportato di averlo tra i piedi tutti i giorni. «Adesso puoi tornare nella tua gabbia».
«Akutagawa».
Il corvino osò fissarlo con la coda dell'occhio, trovando sul suo volto un'espressione quasi confusa.
«Perché non hai seguito Dazai-san quando ha lasciato la Port Mafia?».
Il silenzio che cadde su di loro fu tanto profondo che Akutagawa temette che il ragazzo-tigre potesse sentire i battiti del suo cuore ferito. Inoltre, ebbe come la sensazione che la temperatura si fosse abbassata di almeno cinque gradi all'improvviso.
«Non me l'ha chiesto», confessò alla fine, senza nemmeno sapere perché. «Un giorno sparì e basta, senza lasciare traccia».
«E tu non lo cercasti?».
«Certo che lo cercai!», urlò, la rabbia a graffiargli la gola. «Spesi ogni minuto libero alla sua ricerca, ma fu tutto inutile. Quando scoprii che si era unito all'Agenzia dei Detective Armati, solo allora... capii che ero stato lasciato indietro perché non ero abbastanza forte». Si guardò le mani, per poi stringerle nuovamente in pugni. «E poi Rashomun, capace solo di distruggere e uccidere nell'oscurità, non avrebbe mai trovato posto all'Agenzia».
«È la stessa cosa che pensava Kyouka, e guarda com'è andata a finire», affermò Atsushi, tornando a comportarsi come il fiero possessore del potere de "La bestia al chiaro di luna": il suo sguardo era un concentrato di forza e determinazione, due caratteristiche di quel felino potente quanto regale.
«Tu hai abbandonato la speranza di poter vivere nella luce, ma la verità è che non ci hai mai provato. Forse è per questo che Dazai-san...».
«Stai zitto», lo interruppe bruscamente, la fronte increspata e i denti stretti nella bocca. Il ragazzo-tigre però lo ignorò.
«Ti presterò la mia forza, Akutagawa».
Il corvino impiegò diversi secondi di troppo per voltarsi e gridare con tutto il fiato che aveva nei polmoni: «Non te l'ho mai chiesto!».
«Hai ragione, ma lo farò lo stesso. Adesso siamo partner, giusto? Dobbiamo fare del nostro meglio per essere all'altezza delle aspettative di Dazai-san».
A quel punto Akutagawa non trovò nulla di abbastanza intelligente da dire e, ferito nell'orgoglio, gli diede definitivamente le spalle per andarsene.
«Forse dovremmo... scambiarci i numeri di telefono», disse ad un tratto Atsushi, con tono di nuovo incerto. Quando il corvino gli lanciò uno sguardo tagliente, aggiunse: «È semplicemente più comodo».
Aveva ragione, ma non l'avrebbe mai ammesso. Akutagawa chiamò a sé una delle teste di Rashomun, la quale estrasse fulminea il cellulare del ragazzo-tigre dalla tasca dei suoi pantaloni, facendolo arrossire nuovamente.
Si scrisse rapidamente il suo numero e poi se lo lanciò alle spalle, costringendo Atsushi ad uno scatto per poterlo prendere al volo prima che cadesse sull'asfalto.
Steso a pancia in giù, il giovane dai capelli argentati lo sentì vibrare tra le sue mani e lesse il messaggio che gli era appena arrivato da parte di un numero sconosciuto.
"Non osare cercarmi a meno che non sia assolutamente necessario o te ne pentirai, jinko."

Atsushi sollevò gli occhi per rispondere a voce, ma Akutagawa era già lontano, il lembo inferiore del cappotto nero che gli svolazzava dietro le gambe.
Col solo scopo di innervosirlo, il giovane scrisse velocemente: "Hai salvato il mio numero con quel nomignolo, vero?"
Non ricevette riscontro, ma nemmeno si vide tranciare uno degli arti per aver risposto al suo SMS.
Sorridendo, si alzò da terra e dopo essersi spolverato i vestiti, a piedi nudi si diresse nella direzione opposta a quella di Akutagawa.

Non poteva lontanamente immaginare che il mastino infernale della Port Mafia avesse la sua stessa espressione in volto. 


   
 
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