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Autore: esmoi_pride    19/02/2018    0 recensioni
Il Gran Regno di Saab è stato rifondato dalle sue antiche rovine, e adora il dio Saab. L'Imperatore scelto dal Dio ha accolto i reietti della società e li ha resi il popolo della città. Ma adesso i signori rivogliono indietro i loro schiavi e creano un'Alleanza, formata dalle sette città più importanti della regione, per annientare il loro piccolo avversario. Quella che scoppierà sarà una lotta tra gli uomini... e qualcosa di ben più grande di loro. | Storia fantasy. Cosa c'è dentro: guerra, drow, omosessualità latente, dettagli truculenti, drow, omosessualità sfacciata, morte, drow, slash, comandanti bboni, ho già detto drow?, pseudoincesto, scoperte molto boh, qualche umano, poteri psionici/cineti, una minoranza di altre razze, cose improvvisamente sci-fi ve lo ggiuro, e... drow, principalmente.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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Ciao a tutti! Perdonate la settimana di ritardo, sono stata rapita dalla famiglianza per una vacanza di carnevale di cui non posso lamentarmi ohoho. Ecco a voi il nuovo capitolo! Buona lettura <3
AH!
Dimenticavo: in questo capitolo c'è una scena rossa (siii finalmenteeeeeeeeeeeee...). Per rispettare il regolamento di EFP, la scena rossa continuerà su di un link esterno che apparirà cliccando i tre asterischi rossi all'inizio della scena (***) o andando su questo link: http://nuvianvaughan.altervista.org/refevd.html.








Saab: Down to Earth
Capitolo 5 - Re'fevd
*derubato




 
“Cinquemila anni fa, il popolo di Fajjar Saeb emerse dal nulla assoluto. Si trattava di un popolo derivato dalla razza drow che era riuscito non solo a sviluppare la tolleranza al sole, ma persino dei poteri psionici.
Le prove della mia tesi sono nei ritrovamenti delle rovine del regno: alcuni scritti emersi dagli scavi […]

Fajjar Saeb era quindi un popolo aggressivo e pericoloso, capace di riversarsi sul resto del mondo con la sola forza del pensiero. Cosa, dunque, li ha portati al disastro? […] La verità che nessuno osa rivelarvi è una sola: il giusto genocidio delle terre di Saab fu compiuto ad opera di una sola divinità, e quella divinità è Lolth. […]

Ma se il potere che Saab era capace di donare a queste creature era così grande, perché non è stato in grado di salvarli? Forse perché lui non ne era capace. Vi siete mai chiesi quale fosse il motivo per cui non aveste mai sentito parlare prima di allora di quella divinità? Perché gli altri dei non hanno relazioni con Saab, a parte l’adiratissima Lolth? Io so darvi la risposta:

Saab non è ciò che crediamo che sia. Si tratta di qualcosa di diverso, di più infimo e viscido, che giunse qui a un determinato punto della nostra storia, non prima. […] Alla luce di questa scoperta, si rimette in discussione la generosità di questa creatura. Cosa desidera dai nostri fuggiaschi? Perché manipola il corpo di chi abbindola, convincendolo di migliorarlo, e gli dona poteri estranei? […]

A parer mio, illustre lettore, noi siamo il suo esperimento. Veramente magnanimo sarà invece chi, anche con i mezzi più impietosi, libererà i suoi schiavi dal giogo della menzogna.”
 
“Il falso profeta della pace: la verità vera su Saab e il suo Regno”, Vanzel Dan Domehrsein
d.h.377
 

***




“Quindi sei delle Nuove Terre, uh?”

Alla domanda, Lupo di Neve distolse lo sguardo dalla gente che passava e sorrise a So’o. Il mannaro era grosso. Aveva finito per occupare tutta la panca del chiostro. Accanto a lui, i due ragazzi erano appollaiati sul muretto del porticato, poggiati con la schiena sulle colonne.

“Sì. Sono arrivato qui con gli altri branchi.”
Vilya cercò So’o.
“Tu lo sapevi che papà ha degli accordi con i mannari?”
So’o scosse il capo.
“Mi sembra strano. Non ha mai parlato di mannari.”
“Neanche a me.”
“Ci sono mannari, a Hyst?”, chiese il fratello.
“Non saprei. Forse ne ho incontrato qualcuno senza saperlo.” Vilya si rivolse a Lupo di Neve. “Sono tutti grossi come te?”
La risata del mannaro fu strana. Per ridere tendeva le labbra in una smorfia che, più che umana, ricordava lo snudare di denti di una bestia.
“No, alcuni sono piccoli come tuo fratello.” Con un cenno del capo indicò So’o. “Altri invece sono ancora più grossi di me. E di solito ci riuniamo in branchi,” spiegò, “è difficile, per un mannaro, sopravvivere da solo. Siamo molto più forti quando siamo uniti.”
Vilya zittì e scrutò l’altro, colpito.
“Anche il tuo branco è qui?”, chiese So’o, curioso.
Lupo di Neve scosse il capo.
“Ho… lasciato il mio branco da molto tempo,” ammise, “ho dovuto viaggiare.”
“Oh. Perché?”
“Stai cercando qualcosa?”, si intromise Vilya.
Lupo di Neve distolse di nuovo lo sguardo, distrattamente, verso chi attraversava il giardino.
“Sì,” rispose.
“È per questo che sei venuto qui?”
Il mannaro tornò a guardare i ragazzi, con il sorriso sulle labbra.
“Sì, credo di sì,” rise. “E per aiutare chi ne ha bisogno.”
Vilya inarcò le sopracciglia, nuovamente colpito.
“Credi che lo troverai?”, continuò So’o.
Il sorriso di Lupo di Neve si spense, in un’espressione riflessiva.
“Non saprei. Non ne sono sicuro.”
“Possiamo aiutarti, se vuoi.”
Vilya annuì. Il sorriso tornò sulle labbra del mannaro.
“Grazie, lo state già facendo,” disse loro, incrociando i loro sguardi con gratitudine. Sulle bocche dei ragazzi spuntò un sorriso incerto, ma rincuorato.

“Ad ogni modo,” l’espressione dell’altro si inasprì improvvisamente in un fermo biasimo, “siete stati dei veri incoscienti ad affrontare vostro padre in quel modo.”
“Uhhhhh…” gli occhi di Vilya rotearono verso l’alto e lui piegò il capo all’indietro in una smorfia di noia.
So’o sbuffò dalle narici.
“Sì, e cosa avremmo dovuto fare? Lasciarlo sterminare degli innocenti?”
Lupo di Neve scrutò negli occhi del ragazzo, verdi come i suoi. Il tono cedette appena.
“Capisco quello che dici, ma non credo che Un- che vostro padre fosse lucido in quel momento.”
Inarcò le sopracciglia, preoccupato. Vilya invece lo guardò in modo strano.
“Sarebbe potuta finire male.”
Il drow si strinse nelle spalle.
“E invece no. Invece Saab mi ha… uhm… protetto?”
“Credo che ti abbia dato un potere,” So’o lo scrutò. “Avevi la pelle strana quando sei stato colpito.”
Vilya si scrutò le mani, corrugando la fronte.
“Beh… dovrei… ringraziarlo, credo.”
Poi tornò a guardare Lupo di Neve, serio.
“Tu conosci papà,” mormorò.

Lupo di Neve sgranò gli occhi a quella affermazione. Le guance scure si colorirono di una tonalità più rosea.
“No- cioè, sì… eravamo... nella stessa resistenza,” sospirò.
“Che fatti,” commentò So’o monocorde, trattenendo gli occhi su di lui.
“Resistenza?”, chiese Vilya perplesso.
“Sì,” confermò Lupo di Neve in un annuire. “Combattevamo insieme. Ma… conoscerlo è una parola grossa!”, esclamò, in una risata nervosa, distogliendo di nuovo lo sguardo, “S-sapevo il suo nome, ecco…”, borbottò.
“Non è il suo nome,” lo interruppe Vilya.
“Cosa?”, il mannaro cercò il drow.
“‘Undome*’. Non è il suo nome.”
“… già,” ammise Lupo di Neve, in un sospiro. “Lo chiamav… chiamavano così, allora,” spiegò.
So’o si illuminò improvvisamente, drizzandosi a sedere.
“Puoi raccontarci delle storie di papà!”
Lupo di Neve rise ancora, arrossendo.
“Uhm, non saprei! Cosa potrei raccontarvi?”
“Una cosa divertente?”
“Uh… va bene,” assentì il mannaro. “Vediamo...”
Corrugò la fronte. Si incupì.
“Non… saprei.”
“Chissà com’era,” disse Vilya, giocherellando con la propria maglia.
“Hm…” Lupo di Neve sembrò riprendersi. “Beh, si lamentava,” sorrise. “Del clima, e del fatto che non ci fossero locande. O rum.”
Il drow rise, gettando il capo all’indietro.
“Tipico di lui,” commentò, con un sorriso sulle labbra.
Il mannaro rimase a guardare il sorriso del ragazzo, trattenendo il proprio, un sorriso genuino, quasi ingenuo.
“Poi però ha smesso,” continuò, con voce soave, “credo che avesse iniziato ad apprezzare quel posto.”
“E perché se n’è andato?”, chiese So’o.
Lupo di Neve smise di sorridere all’improvviso. Voltò il capo verso la gente che attraversava il giardino, evasivo. La tristezza lo afferrò.
“Non è finita bene,” mormorò.
“Oh,” commentò So’o, a disagio.
“Mh,” replicò il mannaro.

Vilya spezzò il pesante silenzio che si era posato sui tre.
“Beh, se sei qui per aiutare sarai molto utile. Sei bello grosso e… sai fare incantesimi. Credo. Vero?”
“Sì!”, esclamò Lupo di Neve, illuminandosi di nuovo, “aiuterò volentieri.”
“In realtà potresti anche andare,” osservò So’o. Vilya cercò il fratello minore, confuso. So’o incrociò il suo sguardo, prima di tornare al mannaro. “Il tuo compito è finito qui, i branchi devono essere già al porto. Tu devi proseguire la tua ricerca, no?”
“Mi farà bene restare qui ancora per un po’,” spiegò Lupo di Neve, sorridendo al ragazzo.
“Chi lo sa, magari troverò quello che cerco.”









* = ‘crepuscolo’, in lingua elfica.

***





Azul Goldsmith osservava distrattamente una parete della stanza. Con il dorso dell’indice si tormentava il labbro inferiore, mentre la mano sinistra carezzava l’animale che aveva sul grembo. L’animale strisciava pigramente sulle cosce e premeva sul ventre magro dell’uomo. Il muso della bestiola gli cozzò contro il gomito in una protesta.
Azul riemerse dai suoi pensieri per abbassare lo sguardo verso la creatura.
“Sì, piccolo,” sospirò, lisciandole il muso, “sta arrivando.”
Le rivolse un premuroso sorriso.

Un rombo bussò, turbando la quiete, prima che la porta venisse aperta e poi richiusa.

Il Mastro Mercenario Lyghenar entrò in una stanza i cui spazi, persino i più remoti, erano stati occupati dalla mole di un gigantesco serpente. Dal soffitto, il sole illuminava i muscoli striscianti del rettile, che si spostavano dove la luce colpiva il pavimento per sostituirvisi.

Le dita di Azul si racchiusero attorno al mento e lo sollevarono verso il mercenario.
“Eccoti,” disse.

Lyghenar venne attirato dalla voce dell’Imperatore. Avanzò verso di lui.
“Mi hai mandato a chiamare. Cosa vuoi?”

“La domanda più opportuna, a dire la verità, è cosa vuoi tu,” replicò l’Imperatore. In uno schiocco di lingua e un’ultima carezza al serpente si alzò, facendoselo scivolare di dosso. La creatura emise un sibilo e proseguì, scavalcata da Azul. Dietro di lui, lei succedeva con squame ad altre squame, senza che se ne vedesse la fine.

“Ti avevo promesso tutto quello che volevi,” ricordò Azul, cercando gli occhi del mercenario.
Lyghenar scrutò gli occhi dell’uomo.
“Hai un serpente bello grosso.”
Azul si fece sfuggire una risata goliardica. Si portò una mano al cuore.
“Non te l’avevo già presentato?”
Lyghenar inarcò un sopracciglio.
“Ah! Stai parlando di questo serpente,” il drow indicò la creatura dietro di sé, divertito. Si voltò un istante, lanciandole un’occhiata prima di tornare all’umano. “Si chiama Thir’ku-waess. È un mio bottino di guerra, ti piace?”
“Non ne sono sicuro,” replicò Lyghenar, diffidente.
“Guarda che meraviglia,” sorrise Azul, intrecciando le mani sul davanti e scrutando il mercenario. “Adoro i bottini di guerra. Mi sa che abbiamo qualcosa in comune.”
Lyghenar spostò lo sguardo confuso sull’Imperatore, e lo scrutò per un momento. Poi si sciolse e avanzò di un passo. A separare i due era una parte del lungo corpo del serpente, che li divideva come una linea.
“Sei saggio, Azul. Dai agli uomini ciò che è loro di diritto, dopotutto.”
“Sempre,” il drow socchiuse gli occhi, sfidando l’uomo.
“Bene,” sorrise Lyghenar. Scavalcò il serpente con un piede. Il corpo del serpente si inarcò, piano. L’uomo si interruppe e cercò di indietreggiare, ma la mano pronta di Azul lo trattenne, afferrando il suo polso. Il drow inchiodò gli occhi in quelli dell’uomo che li cercò quasi subito.
“Non devi avere paura del mio serpente, vuole solo giocare,” lo rassicurò, raggiungendo l’altro. La presa si allentò. Lo sguardo del drow si sottrasse all’altro quando si voltò per scavalcare il serpente con una gamba, dando le spalle all’uomo. Chinando il capo, tese le mani sotto di sé. Il serpente lo raggiunse, scorrendo su di esse.
“La Ilharess che ho ucciso cavalcava questo serpente”, mormorò. Piegò il capo, morbidamente, accarezzando le squame della creatura che lentamente si inarcò di più, finendo per premere tra le cosce del drow. Azul socchiuse gli occhi in un sorriso sottile e si appoggiò piano all’animale. Le mani di Lyghenar avvolsero i fianchi di Azul. Li strinsero piano, e li spinsero all’indietro. La patta tesa e calda dei suoi pantaloni premette tra le natiche del drow.
“Chissà come dev’essere, cavalcarne uno…” Lyghenar si fece sfuggire un sospiro roco.
Azul rise tra le labbra chiuse.
“Già,” concordò, chiudendo gli occhi. Inspirò rilassandosi. L’erezione del mercenario strusciava sull’altro. Azul premette le palpebre e contrasse la mascella. Strinse una mano sul muscolo del serpente, forte, fino a farla fremere, e vi affondò le unghie. Il respiro di Lyghenar si appesantì, mentre si sporgeva in avanti e sfiorava la schiena altrui. Piegò il capo in avanti, sospirando sul suo collo. Azul piegò il capo all’indietro, sospirando di rimando, in un movimento che gli abbassò il petto. Il respiro dell’altro si fece più intenso. Lyghenar si chinò sul collo del drow, schiuse le labbra e si sporse per catturarlo in un morso. Ma morse l’aria. Il drow gli sfuggì abilmente dalle mani, scavalcando con l’altra gamba.

“Ho mentito,” rise piano Azul, una volta fuori dalla portata del mercenario. Si spiegò meglio: “ho già cavalcato questo serpente.”
Lyghenar fece una smorfia contrariata. Il corpo del serpente, ora privo del calore di Azul, si sollevò per raggiungere il bacino del mercenario, finendo per premere su di esso. L’uomo, interdetto, guardò giù.
“Ma tu dovresti assolutamente provare,” considerò l’Imperatore, inarcando le sopracciglia.
“Perché non gli dai un’occasione? Ma stai attento,” disse, in un’altra risata sottile a farne vibrare la voce, “è pur sempre un animale selvatico.”
Lyghenar cercò Azul senza convinzione. Quando sollevò una gamba per smontare dal serpente, la creatura si sollevò più in alto. In un gemito di sorpresa il mercenario si spalmò sul corpo di Thir’ku-waess e vi si aggrappò per cercare di non cadere. Scaturì una risata da parte dell’Imperatore, che portò una mano alle labbra per coprirsele in un gesto educato.
“Mi sa che ti ci vorrà un po’ per imparare.”
Si voltò, dando le spalle alla scena. Camminò verso la porta.
“Sarò gentile, te lo presterò finché non sarai diventato bravo.”
“Che cazzo stai facendo, Azul?” urlò Lyghenar, in un moto di panico e rabbia.
Interdetto, l’Imperatore si voltò verso di lui e cercò il suo sguardo.
“Ti sto dando quello che volevi, no? Il mio serpente,” sorrise divertito, prima di sgranare improvvisamente gli occhi. “Non esagerare. Non gli piacciono i rumori forti.”
“Fammi scendere, brutta troia. Fammi scendere!” urlò più forte l’altro. Un sibilo aggressivo echeggiò nella stanza.
Azul si strinse nelle piccole spalle, guardando altrove.
“Mi dispiace, devo dare agli uomini ciò che è loro di diritto…” si voltò di nuovo, verso la porta.
Lyghenar urlò nuovamente, ma zittì quando il muso dell’enorme serpente si sollevò da terra per puntarlo.
“Potrei averlo lasciato digiuno per qualche giorno,” proseguì l’altro, “e sarà meglio chiudere la porta, non vorrei che scappasse…”

Azul si soffermò sull’uscio, voltando il capo verso l’interno.
“Ti augurerei buona fortuna, ma sarebbe inutile. Saab sa già cosa fare di te.”
Si fece sfuggire un sorriso, prima di sparire dietro la porta.


Imesah incrociò le braccia e si passò una mano sul mento, accarezzando la barba incolta in un suono ruvido. Gli occhi verdi puntavano una pergamena poggiata al tavolo a cui era seduto.
Il rosso emise un sospiro.
“Valentino,” si lamentò.

La porta si spalancò all’improvviso e si richiuse con la stessa violenza, in un fragore. Azul si fermò davanti al letto e si levò di dosso, in fretta, il copricapo e i gioielli. Gettò un’occhiata a Imesah, che lo stava fissando confuso, poi alla pergamena.
“Che fai?”, ringhiò.
“… niente”, rispose Imesah, intimidito.
“Bene.”

Il drow lo raggiunse. Afferrò il colletto dell’armatura leggera che indossava e lo tirò a sé, insistendo finché l’altro non fu prontamente in piedi davanti a lui in uno sguardo smarrito, che l’altro incrociò, deciso, finché la sua faccia non fu nascosta dagli abiti che si stava togliendo di dosso.
Una volta a petto nudo, Azul spinse Imesah contro di sé per un fianco. Tirò di nuovo il colletto, in basso, e lo catturò in un bacio affamato. Imesah sgranò gli occhi. Poi, ricambiando, lo prese per i fianchi e lo premette contro di sé. Azul soffiò un sospiro appesantito dalle narici; afferrò la stoffa dell’armatura e spinse via l'altro, con violenza, allontanandosi da lui.

Il respiro affannato di Imesah affiorò dalle labbra quando mollarono quelle del drow. A occhi sgranati cercò quelli dell’altro, paralizzato, mentre il petto si sollevava e abbassava. Aveva sviluppato un gonfiore nei pantaloni.
Azul fulminò Imesah, infuriato. Anche il suo respiro era appesantito. Era nella sua stessa condizione, ma fremeva di rabbia. Con un cenno del capo gli indicò il letto, in un ordine. Imesah guardò il letto, poi di nuovo lui. Camminò verso il letto, si slacciò brevemente gli stivali e vi entrò dentro.

Dopo averlo visto obbedire, anche Azul salì sul letto e lo raggiunse carponi. Con una mano premette sul suo petto e lo spinse, facendolo stendere. Imesah si fece piegare ai suoi gesti. Sopra di lui, il drow fece scorrere la mano dal petto lungo il suo corpo. Il rosso prese un sospiro di impazienza, inarcandosi piano al suo tocco. Azul lo guardava. Il respiro del drow si regolarizzò piano, in un ritmo più tranquillo.
Si fermò giù, dove incontrò i lacci dell’armatura. Li prese nella mano e tirò in uno strattone, facendo sussultare il compagno in un gemito. Imesah chiuse gli occhi e si lasciò andare a un sospiro di piacere. Azul si sistemò su di lui e con gesti fermi e calmi iniziò, piano, a slegarlo.





 
***






Vilya scrutava il soffitto, steso sul letto del fratello.
“Ci pensi?”
So’o alzò interrogativo lo sguardo dal libro che stava leggendo.
“Quel tipo conosce papà da prima di me,” spiegò il drow. “Dev’essere veeeeeecchio.”
“Ma sembra solo grande.”
So’o sbatté le palpebre, perplesso. Poi tornò a guardare il libro.
“Forse i mannari ci mettono molto più tempo per crescere.”
“Se papà non me ne ha mai parlato, comunque, dev’essere come ha detto lui. Altrimenti me ne avrebbe parlato.”
Poi si accigliò.
“Solo alcune cose che ha detto… mi hanno fatto pensare.”
“Cosa?”, chiese So’o, cercando l’altro.
“Quella cosa del branco,” rispose Vilya. “Mi ricorda quello che papà ci dice sempre.”
So’o osservò il libro, ma all’improvviso sgranò gli occhi.

Afferrò lo schienale della sedia e si gettò verso di esso, per incrociare lo sguardo allarmato di Vilya.
La sua conclusione fu drammatica.
“Un gruppo di mannari deve averlo catturato e avergli fatto il lavaggio del cervello!”
Entrambi assunsero un’espressione allucinata, continuando a fissarsi negli occhi.

Scoppiarono a ridere.
“Comunque è il suo tipo.”
“La smetti di essere geloso di tuo padre?” So’o, esasperato, chiuse il libro e si voltò verso il fratello maggiore. “È inquietante.”
“Non sono geloso!” esclamò Vilya, geloso, alzandosi a sedere per guardare l’altro. So’o si alzò dalla sedia e raggiunse l’altro gattonando sul materasso. “Sto solo dicendo che…”
Tu sei il mio tipo,” lo corresse So’o, tentando un sorriso ammiccante.
Riuscì a zittire Vilya. Il ragazzo non replicò, serrando le labbra in una smorfia sedotta. So’o si sporse verso di lui e chiuse gli occhi per premere le labbra sulle sue.

Il drow chiuse gli occhi a sua volta e, sciogliendosi, sospirò dalle narici. Alzò una mano per infrangere le dita tra i morbidi capelli biondi del fratello minore.
So’o si fece sfuggire un mugolio compiaciuto e piegò il capo, lasciando che Vilya catturasse la sua nuca e lo spingesse ad approfondire il bacio. Il respiro di entrambi si affannò, facendosi rumoroso. Le labbra erano serrate, impegnate in un bacio man mano più intenso.
So’o si sporse verso Vilya e agganciò una mano alla maglia color sabbia che indossava. Il drow gli cinse i fianchi stretti e lo premette contro di sé. Il più giovane gli cadde sopra in un gemito. Allacciò le braccia attorno al collo del maggiore per tirarsi su, strofinandosi sul suo corpo.

“Mh…”, Vilya gemette tra le labbra dell’altro. So’o era finito a strusciare sul gonfiore dei suoi pantaloni.
So’o si separò dal bacio, ansimando sul viso del drow. Il viso rosso si chinò a osservare i loro corpi caldi, uniti.
“So’o…”, lo chiamò Vilya. Gli sollevò il mento. Perdendo gli occhi nei suoi, saggiò le sue labbra con il pollice.
So’o ricambiò lo sguardo. Fremente, un po’ incerto. Fece di nuovo forza sulle braccia e catturò le labbra del ragazzo una seconda volta.
Le mani di Vilya si posarono sui lombi del biondo e risalirono piano lungo la stoffa, mentre il drow si stendeva del tutto sul letto. Ridiscese, per poi infilarsi sotto la stoffa e tracciare la sua schiena nuda. So’o trattenne un gemito nelle labbra dell’altro e premette le palpebre, rabbrividendo al tocco. Vilya tornò ai lombi e infilò le mani sotto i pantaloni del più piccolo. So’o gemette con più chiarezza e si aggrappò alle spalle del maggiore. Il drow si fermò alle sue natiche e le strinse, saldamente, premendolo contro di sé. Spinse il bacino contro il suo. Il bacio si interruppe ed entrambi gemettero.


 




 
***






Raccolto tra le braccia del fratellastro, So’o aveva affondato la faccia contro il suo petto ed era immerso in un sonno profondo. Anche Vilya, tenendo il ragazzo a sé, stava dormendo profondamente.

Un attimo prima dell’esplosione la notte era silenziosa, se non per il frinire degli insetti. Un freddo senza neve copriva le mura del Palazzo Imperiale come un lenzuolo, posandosi su ogni superficie. La luna illuminava i giardini e le pareti dorate in una luce fredda e d’alabastro, quasi sinistra.

Poi un boato squarciò il silenzio. Riempì le loro orecchie. Si alzarono a sedere in un sussulto. Presto furono afferrati dal panico. Il pavimento iniziò a tremare con violenza. Si dissestò. Sul soffitto si crearono delle crepe, che poi divennero dei buchi. Dei pezzi di muro caddero sul letto insieme alla polvere. Il letto si muoveva con il pavimento. Aveva iniziato a inclinarsi. So’o alzò gli occhi sgranati su Vilya. Vilya guardò il fratello minore, lo afferrò per il polso e lo tirò con sé giù dal letto. I piedi nudi di So’o premettero su una crepa del pavimento. Lo abbandonarono poco prima che crollasse. So’o e Vilya si gettarono fuori dalla stanza: Vilya sbatté sulla porta, la aprì e cadde davanti ad essa, sul freddo pavimento del porticato scricchiolante. So’o urlò.

“Via! Via!”

Prese il braccio di Vilya e cercò di tirarlo su. Il moro si alzò e corse verso il giardino insieme all’altro. Alcune delle colonne cedettero. I due ragazzi si fermarono al centro del giardino e Vilya catturò So’o tra le braccia per stringerlo forte, affondando la faccia tra i suoi capelli. Il Principe si nascose contro l’altro, ansante.

Quando la terra smise di tremare, i ragazzi si osservarono attorno. Altre persone si erano accalcate nel giardino. Vilya chiuse il mezzodrow nella sua vestaglia e si staccò velocemente da lui, per scappare sotto il porticato.

“Vilya!”

So’o si strinse nel lembo di stoffa che lo copriva, rabbrividendo, e cercò invano il ragazzo che era sparito tra le macerie, quando le mani di Asia lo afferrarono da dietro.

“Principe!”

Il ragazzo sussultò e si voltò verso la Gran Maestra. Gli occhi rossi di Asia erano sgranati mentre scrutavano il giovane, analizzandolo scrupolosamente.

“Siete ferito?”
“Cosa è successo?”, replicò So’o.
“Niente di cui dobbiate preoccuparvi,” tagliò corto la donna, iniziando a tastarlo. So’o le scostò le mani di dosso.
“Cosa – è – successo?”, insistette.
La Gran Maestra si ritirò, osservando l’allievo livida.

“Un’esplosione nei sotterranei, con ogni probabilità,” bisbigliò a denti stretti. Il Principe la aggirò per incamminarsi oltre il giardino. La donna si voltò per inseguirlo.
“Aspettate!”, gli ordinò, “Non potete andare…”
“Levati dalle palle, Asia!”
Asia raggelò. La sua pelle già diafana divenne totalmente bianca.
Osservò l’allievo allontanarsi, con sguardo allucinato.
“So’o!”
Il Principe si fermò per voltarsi verso la voce che lo aveva chiamato.
“Scusami…”
Un altro ragazzo superò Asia. La Gran Maestra, dopo aver posato lo sguardo su di lui, dovette indietreggiare verso la statua per sostenersi. Vilya raggiunse l’altro, in un sorriso impacciato.
“Avevo bisogno di un paio di pantaloni.”
So’o gli sorrise. Vilya, ora con dei pantaloni indosso, prese la sua mano e si allontanò con lui oltre il chiostro.



“Tu lo sapevi che c’erano dei sotterranei?”, chiese Vilya, ansante per la corsa.
“No,” rispose So’o, guardandosi attorno. “Non so neanche come ci si arrivi…”
Vilya tirò la mano di So’o, costringendolo a fermarsi. Quando So’o lo cercò, confuso, lo vide indicare davanti a loro.
“Credo che ci si arrivi da lì.”

Un buco occupava metà della stanza, aperto nel pavimento.

Delle scale di pietra, ridotte in condizioni miserabili, avrebbero portato verso il basso se fossero state ancora integre. Un curioso alone celeste, però, le ricopriva, ricostruendole là dove erano state distrutte.

Vilya e So’o incrociarono i loro sguardi.
“Valentino,” disse Vilya, confuso.
So’o trattenne gli occhi in quelli del fratello maggiore, poi strattonò la sua mano e camminò verso le scale.
“Andiamo.”

“Aspetta!”, esclamò Vilya, trattenendolo.
“No.”
So’o si voltò verso Vilya, sostenendo il suo sguardo. Il drow tirò un sospiro e annuì.
“Va bene. Andiamo.”
Seguì il fratello minore lungo le scale, ed entrambi le percorsero.

A metà percorso si interruppero.
Nella sala che stavano raggiungendo, buia se non fosse stato per la luminosa staffa di Valentino, l’incantatore era affiancato da Ra’shak e Imesah. Guardavano, tutti e tre, nello stesso punto al centro della sala. Vuoto.

Un tonfo echeggiò nella stanza. Più in disparte, Azul era caduto in ginocchio e si era seduto sui talloni. Guardava nella stessa direzione.

So’o scese gli ultimi scalini.

“Cosa è successo?”
I tre si voltarono subito verso il ragazzo, sorpresi.
Valentino sgranò gli occhi e schiuse le labbra.
Ra’shak distolse lo sguardo.
Imesah sospirò silenziosamente, guardando il figlio.

“L’hanno rubato,” mormorò Azul.

So’o guardò il padre in ginocchio. Contrasse il viso, contrariato.

“Cosa? Cosa hanno rubato?”, insistette alzando la voce.
Azul premette le labbra, restando a fissare il punto vuoto.
Valentino prese un respiro.

“Saab,” rispose.
“Hanno rubato Saab.”




 
   
 
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