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Autore: _ki_    29/06/2009    2 recensioni
Allora: tre parti importanti della vita di Rosalie. Da umana, da vampira e da madre. Le sue impressioni, i suoi pensieri, i suoi rimpianti. Tre capitoli intrisi di sentimenti contrastanti e pensieri che sorprendono anche l'autrice di tali.... spero di avervi incuriosito almeno un po' ^^ ricordate che accetto tutti i consigli di questo mondo... ^_^
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rosalie Hale
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
Capitoli:
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Due vite, un unico sogno

Non può finire così

 

Sono a casa di Vera, la mia migliore amica. Sto guardando il suo figliolo, Henry. È adorabile. Ha delle dolci guance sempre rosee, che quando sorride si piegano in due fossette tremendamente adorabili. Quasi lo venero, questo bambino benedetto. I suoi riccioli neri sono la cosa più bella che abbia mai visto. Non vedo l’ora di sposarmi con Royce e avere anche io dei bambini così. Non sopporto più di vedere Vera insieme al suo Henry e sentirmi gelosa. Voglio sposarmi subito. Voglio avere un figlio. Voglio essere come Vera.

Che strano pensare queste cose. Infondo io non sono mai stata gelosa di nessuno... ma non importa. Presto avrò quello che voglio e nessuno me lo potrà togliere.

«Rosalie, cara. Non sarebbe il caso di tornare a casa? Si sta facendo tardi e non vorrei mai che tu avessi dei brutti incontri», dice in quel momento Vera, distogliendomi dal mio attimo di venerazione di Henry. Prima un po’ spaesata, annuisco. Sì, sarà il caso che torni a casa, o i miei non mi lasceranno più venire a trovare la mia amica. Ieri ci ho perfino litigato, con mamma e papà. Dicono che frequentare una persona come Vera mi fa perdere la reputazione, ma non mi interessa. Vera è mia amica e non è una disgraziata. Non mi rovinerò la reputazione con lei, anche perché sono fidanzata con la persona più importante della città.

Dopo aver salutato il bambino con un gran bacio pieno d’affetto, mi avvio verso la porta. Vera mi segue, tenendo il suo piccolo in braccio. Accanto a lei, Luis le cinge la vita con un braccio.

In un momento in cui evidentemente pensano che non guardi, lui le bacia la guancia con un affetto tremendo. Questo mi infastidisce non poco. Royce non mi bacia con così tanta dolcezza. Lui è più appassionato, focoso... ma non ci devo pensare. Lui è il mio principe. Presto diventerò regina.

Con questa consapevolezza, esco all’aria fredda della notte e mi avvio verso casa. L’aria è stranamente pungente, più pungente di ieri. In effetti siamo già a fine aprile e non dovrebbe essere così... da inverno.

Fuori è già buio, i lampioni sono accesi. Caspita, non mi ero accorta di quanto fosse tardi.

Mentre cammino per queste strade fredde, penso al tempo. Già, al tempo. Non ho assolutamente voglia di festeggiare il matrimonio al chiuso. E manca solo una settimana.

Al massimo lo rinviamo, non voglio proprio restare al chiuso a maggio. Non dovrebbe fare così freddo, dannazione.

Immersa nei miei pensieri, nemmeno mi accorgo che sono quasi a casa.

Sto per svoltare un vicolo e poi sarò davanti casa, quando li vedo. Anzi, sarebbe meglio dire li sento. Sono talmente chiassosi che non si può fare a meno di sentirli. Sono quattro uomini ubriachi. Stanno bevendo sotto un lampione rotto e ridono come degli idioti. Mi sbarrano la strada verso casa.

Forse dovrei chiamare papà e dirgli di farmi venire a prendere, ma mi sembra così vicina casa che non ne vale davvero la pena. Si arrabbierebbe e basta. E poi magari neanche mi notano.

Cercando di essere silenziosa, riprendo a camminare.

Ma poi un urlo mi blocca.

«Rose!» resto scioccata. Mentre mi volgo verso di loro, capisco chi sono. Non mi ero accorta che erano tutti ben vestiti. È Royce, il mio amore, quello che mi chiama. Non capisco. Non l’ho mai visto bere così, prima. Be’, eccetto qualche drink alle feste, ma lui dice che odia lo champagne. Forse... mentre lo dice intende che gli piace qualcosa di più forte.

«Ecco la mia Rose!» urla ancora. Non mi sento tanto tranquilla. Ma non ne ho motivo, sono insieme al mio principe e nessuno mi farà male. Certo, però, che lui è ubriaco...

«Sei in ritardo. Abbiamo freddo, ci hai fatto aspettare tanto»

Sono in quattro, oltre a Royce. Sono tutti figli di ricchi, si può ben vedere. Non ne conosco nessuno. Ma non sembrano avere delle buone intenzioni. Inizio seriamente a preoccuparmi.

Più mi avvicino, più noto particolari di queste nuove persone. Uno è alto e robusto, uno è mingherlino, un altro, invece, sembra essere una palla di ciccia e basta. Poi c’è n’è uno alto e magro, i capelli scuri e molto, molto abbronzato. Non mi piace per niente.

Il mio amore mi tira a sé quasi con violenza. «Cosa ti ho detto, John» il suo tono di voce è beffardo, diverso da come di solito lo sento. John è proprio l’ultimo uomo, l’abbronzato. Questi mi guarda come fossi un cavallo da comprare.

«Non è forse molto più attraente di tutte le tue bellezze della Georgia?», dice ancora Royce, stingendomi la vita con un braccio. Incomincia a farmi male e non lo sopporto. Vorrei andarmene subito a casa, non voglio stare con loro. Insomma, sono ubriachi, non ragionano con la testa.

Gli occhi di John brillano alla poca luce dei lampioni. Le nuvole coprono interamente il cielo e nessuna stella sfugga alla loro vastità, un po’ come io non riesco a fuggire da questi uomini.

«Difficile da dire», mentre parla, strascica le parole come se si fosse appena svegliato e avesse la bocca impastata dal sonno. Deve aver bevuto parecchio, soprattutto perché riesco a sentire la puzza di alcol che esce dalla sua bocca anche se sono abbastanza distante da lui. Mentre lo guardo, impaurita, lui mi sorrise. «È tutta coperta» aggiunge in fine, strizzando gli occhi per vedere di più. E allora capisco che non hanno davvero buone intenzioni.

Ridono, prede dell’alcol. Non sembrano affatto nobili, in quest’istante. Royce soprattutto, ha uno sguardo che mi mette davvero paura. Vorrei essere restata da Vera, vorrei essermi fatta venire a prendere da mio padre. Maledizione.

In quest’istante, Royce scioglie l’abbraccio e mi guarda, bramoso di cose che non posso dargli. Quello sguardo mi mette in soggezione. Maledetta la mia cocciutaggine. Vorrei essere a casa, cavolo.

Si avvicina a me con lentezza causata dalla sua bevuta, quindi mi strofina le mani unticce e fredde sul corpo, coperto da una giacchina delicata che mi ha regalato lui. Uno dei suoi tanti regali.

Seguo i suoi movimenti con circospezione, pronta a tirarmi indietro appena si fa violento. Ma lui è ancora dolce, mi accarezza il viso e mi bacia la mano. Poi, improvvisamente, stringe la presa sulla stoffa pregiata della giacca e la strappa, facendo saltare i bottoni di metallo, che si sparpagliano per la strana semi buia. Un bottone mi prende un braccio e mi faccio male. Vedo quasi con piacere che un altro bottone a preso in pieno la faccia di quel John. Non sono mai stata così crudele ma sono contenta che gli abbia fatto male. Lo vedo che si massaggia la guancia distrattamente, mentre il mio Royce scoppia ancora a ridere.

«Fa’ vedere come sei fatta, Rose!», dice, strappandomi il cappello dal capo. Le forcine che fermano una delle mie solite complicate acconciature saltano e mi strappano i capelli. E fa male, tanto male.  E piango. Scoppio in lacrime come una bambina, perché la paura è tremendamente tanta e lo è anche il dolore. Non voglio più restare con loro, voglio tornare a casa. Vorrei urlare, chiamare papà, o uno dei miei fratelli. Maledizione, non voglio più stare con loro!

E loro ridono ancora. Ma come possono essere così insensibili?

Mi nascondo il viso tra le mani, non li voglio più vedere. Da come esultano e strillano sembra che ci godano a vedermi soffrire. Non lo sopporto, non li sopporto. Voglio andare a casa.

Intanto loro ancora ridono. John urla qualcosa come: «Avanti Royce, dacci dentro!», ma io non capisco, strascica troppo le parole, un po’ come fanno tutti. E poi non voglio ancora guardarli. Ho le mani davanti al viso e quasi mi faccio male, da quanto le stringo. Non voglio vedere niente, non voglio sentire niente, voglio solo scomparire. Ritornare a casa, senza questi cinque ubriaconi. Non voglio stare neanche più con Royce. Non mi fido di lui, ora.

Ma purtroppo non posso tornare indietro, e loro certo non se ne andranno senza avermi fatto del male.

Per una volta, odio essere così bella.

Violento, Royce mi sussurra un «Sta’ ferma. Faremo velocemente», poi incomincia a togliermi il vestitino azzurro che questa sera mi ero messa per andare a trovare la mia amica.

Lo toglie lentamente, facendo gesti sensuali e canticchiando qualcosa che non capisco e che fa sbellicare dalle risate i suoi quattro compari. Ho capito cosa mi vuole fare e non voglio assolutamente. Mi ribello, anche se così so che sarà ancora più eccitato e ci proverà ancora più gusto. Sono terrorizzata, vorrei sparire dalla faccia della terra in questo preciso istante, ma so benissimo che non mi è possibile.

Quando incomincio ad urlare e a scalciare per liberarmi dalla sua presa, lui incomincia a ridere più forte. Non capisco cosa ci sia da ridere, a me viene solo da piangere. Ma è ubriaco, mi pare ovvio che gli venga in continuazione da ridere.

Mi maledico per questi pensieri, perché comunque continuo a difenderlo anche se è in procinto di violentarmi.

Dopo qualche secondo, riesco ad infliggergli un bel calcio dritto nello stinco destro. Urlando, mi tira uno schiaffo in viso.

I singhiozzi mi travolgono e incomincio a piangere come una fontana. Fa male, terribilmente male questo schiaffo.

La guancia pulsa e brucia in una maniera pazzesca, ma non ho tempo per curarmene. Royce mi sta strappando il vestito con foga, e fa ancora più male.

Non voglio demordere, quindi ricomincio a scalciare. Un altro colpo al viso mi fa male. Non è stato Royce, è stato uno dei suoi compari.

«Grazie Jack. Tienila, ferma, non ne posso più di sentirla urlare» è l’omone alto che avevo notato per primo. Mi stringe le braccia con forza e mi tappa la bocca con un panno sporco.

Non ne posso più, mi sento come morire. L’odore acre della stoffa di quel fazzoletto mi fa venir da vomitare. In più Royce è ancora intento a fare il suo lavoretto.

Ormai il vestito è stato strappato in vari punti ed i suoi resti giacciono sparpagliati per il marciapiede buio.

Continuo a menare le gambe all’aria e questo fa imbestialire i ragazzi che si sono stufati di assistere senza far nulla.

Quello che si chiama John mi prende le gambe e me le apre, mentre un altro mi butta atterra, mentre ancora Jack, l’omone, mi tiene salde le braccia nella sua morsa d’acciaio. Provo ancora ad urlare, ma il panno sporco soffoca la mia richiesta d’aiuto e di nuovo gli uomini ridono.

Provo a liberarmi dalle strette che mi bloccano, ma sono troppo forti per me. E Royce si fa sempre più violento, così come gli altri. A turno, mi molestano. Ed io non posso che stare ferma, inerme, a soffrire.

E chiudo gli occhi, dopo che l’ultimo di quei bastardi ha finito il suo lavoro.

Mi sento morire dentro. Le braccia che prima mi stringevano il corpo si staccano da me, lasciando alle loro spalle dei lividi che sicuramente non mi andranno via facilmente. Certo, sempre che riesca a sopravvivere a quest’esperienza. Ma io spero di no, non voglio ritrovarmi con questo ricordo per il resto della vita. Voglio morire, ora, su questo marciapiede sporco del mio sangue e del sudore di quei porci. Voglio morire qui, ad un passo da casa, dove il mio futuro marito mi ha violentata con altri quattro ubriachi. Voglio addormentarmi, e mai più svegliarmi.

Le ferite pulsano e fanno un male tremendo. Le sento tutte, come se fossero state impresse con il fuoco.

Quella che sento allo stomaco è quella più grave. Credo che mi abbiano tagliato con un coltello, perché il sangue scorre ancora copioso e sembra buttare fuori con lui anche le viscere del mio corpo.

Lividi che bruciano come ferite ricoprono tutte le gambe e le braccia, mentre un taglio abbastanza profondo mi attraversa la nuca. Quando mi hanno fatto cadere, ho sbattuto la testa contro un sasso -o contro il cemento, non c’è molta differenza, ormai.

Le guancie sono gonfie, così come le labbra e il basso ventre. Sento che pulsano con insistenza, così come il mio povero cuore, che cerca di sopravvivere a quello scempio. Spero che non ce la faccia, non voglio vivere ancora. Voglio morire, e lasciarmi tutto alle spalle.

L’unica nota dolente di tutto questo è che non potrò mai realizzare il mio sogno. Non potrò mai avere una famiglia, dei bambini. Non sarò mai vecchia e mai mi siederò sotto il portico con mio marito, circondata di nipotini e abbracciata da figli già grandi. Mai potrò vedere davanti ai miei occhi, se non nei miei sogni, quest’immagine che ora mi scorre davanti, quasi fosse reale. E questa è l’unica cosa di cui mi dispiaccio, mentre il freddo mi penetra nelle ossa ed esalo i miei ultimi respiri.

Il cuore mi batte all’impazzata, quasi volesse uscirmi dal petto. Ma non dovrebbe frenare, a questo punto? Non capisco.

Il freddo della notte mi punge le guancie e mi fa lacrimare. Due cose strane. Uno, non credevo che il dolore mi avrebbe fatto sentire questo piccolo dettaglio, mentre per secondo credevo di non aver più lacrime da versare dato che la mia riserva l’ho esaurita pochi attimi fa.

Si dice che quando si ste per morire si veda davanti agli occhi tutta la propria vita che passa come un fulmine. Ma io non vedo niente, solo i fiocchi di neve che pian piano scendono dal cielo scuro e si posano accanto a me, su di me.

Voglio morire, ora. Non voglio più soffrire. Non voglio più sentire quelle risate che mi sono rimaste impresse nella mente. Le loro parole, la loro violenza. Il dolore. Non voglio più sentire niente. Voglio andarmene da questo mondo il più presto possibile. Ma perché non sono ancora morta? Perché il mio cuore batte ancora così veloce? Perché ci vuole così tanto? Non capisco...

E lo sento. Li sento. Dei passi che delicatamente si avvicinano a me, con eleganza e precisione. Quando il suo viso entra nel mio campo visivo, mi infastidisco. È Carlisle Cullen,

Mi guarda con dolcezza, con compassione. Non ho bisogno della sua compassione. E non voglio che mi salvi. Non mi è mai piaciuto, questo dottor Cullen. Come nemmeno sua moglie, e neanche suo fratello. Mi sono sempre stati molto antipatici. Forse anche questa è una forma d’invidia. Insomma, sono tutti così tremendamente belli... più di me! E questo no, io non l’accetto!

Lui mi guarda ancora, il terrore dipinto in volto, ma anche la decisione. Incredibile come, in un momento come questo, riesco a notare dettagli così poco rilevanti. Riesco anche a vedere com’è vestito. Porta un giaccone pesante, nero come la notte che ci circonda, da cui spunta una camicia bianca. In basso, i pantaloni neri mettono in risalto le sue gambe robuste.

«Oddio. Basta, non ripetere più quel nome...». Lo sto dicendo ad alta voce? Eppure mi sembra solo di pensarlo, quel maledetto di Royce.

«Ora ti porto con me... » sussurra ancora, l’angoscia fatta a persona. Non capisco ancora.

Quando mi alza, mi sembra di essere finalmente morta. Il respiro si sta facendo più debole ed il cuore ha smesso di tentare di uscirmi fuori dal petto. Però il dolore no, quello non si è alleviato. Forse devo ancora morire, infondo. O forse anche da morta soffrirò per sempre, all’inferno. Ma non capisco perché. Che ho fatto di male nella mia vita? Forse ho invidiato un po’ Vera e i Cullen? Solo per questo piccolo dettaglio passerò l’eternità immersa nelle fiamme dell’inferno? Non mi sembra possibile. Eppure il dolore c’è, presente e costante, ed io sono terrorizzata.

Intanto Carlisle si alza con me in braccio ed incomincia a correre. Tutto mi appare più sfocato. E mi sembra di volare. Perché il vento si fa forte e, mentre il dottore corre, mi sento leggera e veloce come un felino. Sì, devo essere proprio morta. Ma questo dolore...

Non passa molto prima di ritrovarmi al caldo. Avevo chiuso gli occhi, nella speranza di riuscir a morire più velocemente, e mi ero addormentata. Ora sono qui, in questa stanza luminosa e calda, a guardare i muri chiari e la finestra chiusa. Un lampadario illumina l’intero posto, creando luci strane che non voglio neanche guardare. Ancora mi stupisco per il mio spirito d’osservazione. Insomma, mentre si muore non si dovrebbero notare questi particolari, o sbaglio?

Però ora sono sicura che sto per spegnermi. La mia vita sta giungendo al termine, perché il dolore si affievolisce sempre di più.

Sorrido quasi inconsciamente, perché è quello che aspetto. Certo, mi piacerebbe davvero tanto avere una seconda possibilità per ammazzare quei bastardi che mi hanno ridotto così, però... magari aspetterò la prossima vita. Se sempre avrò l’occasione di averne una prossima.

Sto quasi per chiudere gli occhi, quando un rumore quasi impercettibile me li fa spalancare. Da quando il mio udito si è fatto così fino?

Cerco di alzarmi, ma i muscoli dolgono come non mai. Sta ritornando il dolore. Non ci posso credere, avevo creduto che presto sarebbe finita, invece ancora sto qui a soffrire.

Poi, mentre raccolgo le ultime forze per tenere aperti gli occhi e scorgere la fonte del rumore che mi ha fatto insospettire, li sento. Dei tagli, profondi, procurati da qualcosa di terribilmente affilato. Prima alla gola, e sento chiaramente come due lame che mi entrano nelle vene e che fanno uscire una quantità impressionante di sangue, poi sui polsi, come se mi avessero strappati dal resto del corpo, e poi sulla caviglie. Urlo, urlo come mai prima d’ora ho fatto. Ed ora sono certa che Carlisle, quel dottore troppo bello, è un sadico maniaco e mi ha portata in questa stanza solo per torturarmi ancora, e ancora. Ed io gli urlo contro. Lo insulto, gli chiedo di uccidermi, lo aggredisco con la poca voce che mi è rimasta in corpo.

Poi, mentre vedo con la coda dell’occhio la sua espressione apparentemente affranta, sporco ai lati della bocca da una sostanza scura che assomiglia terribilmente al sangue, inizio a bruciare. Brucio dentro, come se avessero appiccato il fuoco ai miei organi. E lo supplico di uccidermi, perché non mi importa più di niente. Voglio solo morire, non chiedo altro. Mentre il fuoco prende il sopravvento, io continuo ad urlare e lo supplico, così tanto che resto quasi senza voce. Mentre il mio cuore si affatica per resistere alle fiamme, io continuo ad urlare.

Poi, non capisco quanto tempo dopo, sento che si avvicina qualcun altro. Mi meraviglio di riuscir a sentire ancora qualcosa tra le urla ed il dolore. E scorgo i visi di Esme ed Edward, la moglie ed il fratello del dottor Cullen. Supplico anche loro, poiché quel dottore non mi ha accontentato. Ma, come il loro parente prima, non mi ascoltano. E vedo sorpresa e pietà nei loro sguardi. E non li sopporto.

Carlisle, quel medico sadico, mi resta accanto per tutto il tempo in cui urlo. Non mi pare possibile, vorrei che se ne andasse subito e mi lasciasse in pace. O che cercasse di mettere fine al mio dolore, se l’altra ipotesi non gli garba. Ma non fa niente di tutto ciò. Mi resta accanto, mi stringe la mano come se lui non sentisse il fuoco che mi sta divorando, o non lo patisse, quindi incomincia a parlarmi.

«Mi dispiace molto, Rosalie» ed urlo, ancora. Non mi interessano le sue scuse, lui mi ha fatto patire ancora più a lungo quest’insostenibile dolore! «Stai tranquilla, presto tutto finirà. Mi dispiace così tanto...» quasi mi fa pena, con quegli occhi scuri così profondi che mi attraggono come calamite. Voglio dirgli che mi dispiace, che non è colpa sua, ma le urla me lo impediscono. Soffro così tanto che non riesco a parlare.

Ancora mi chiede scusa, quindi incomincia a parlarmi di qualcosa che inizialmente non capisco. Lo ascolto solo a tratti, perché il dolore è talmente tanto forte che a volte non sento cosa dice.

Incomincia dicendomi qualcosa riguardo ad una trasformazione. Dice che mi sto trasformando. In cosa non lo capisco, un altro grido mi travolge. E ancora lui mi chiede scusa. Sembra sia pentito del dolore che ancora mi fa patire. Ma io non ho intenzione di perdonarlo facilmente. E, dato che sento che fra un po’ morirò, non lo perdonerò mai.

Mi spiega qualcosa della sua famiglia. Dice che sono dei vampiri, o una cosa del genere. Non capisco. Mi sta prendendo in giro? Se è così, non ho intenzione di ascoltarlo. E poi non può essere vero. Vampiri? Ma i vampiri non esistono, sono solo delle leggende.

Mi spiega qualcosa di questi vampiri. Dice che non sono come gli altri, che sono qualcosa tipo “vegetariani”. Non riesco a capire bene cosa farnetica, anche perché le mie urla coprono le sue parole e ad ogni grido lui ripete: «Scusa. Scusa. Fra poco passerà». Ormai ho smesso di credergli. Forse questo è l’inferno. Forse il dottor Cullen mi ha portato all’inferno, ed ora mi sta torturando. Forse è il diavolo. O forse è davvero un vampiro. Non lo capisco.

Mi dice che anch’io sto diventando come loro. Che presto sarà tutto finito. Il dolore è tropo forte, non riesco a seguire i suoi discorsi.

Non so quanto tempo è che sono così. Mi sembra che siano passati anni, o solo un secondo.

Ho smesso di urlare, ormai. Non che il dolore sia diminuito, anzi, sembra ancora più forte. Ma non ne vale più la pena. Nessuno verrà a salvarmi, a questo punto. Spero solo di morire presto.

Sento il fuoco che ancora mi avvolge il corpo. Riesco perfettamente a sentire ogni singolo centimetro di pelle che brucia ed arde come dentro ad un falò. Non riesco quasi a respirare, tanto fa male. La testa mi gira, faccio fatica a seguire quello che succede al di fuori del mio corpo.

Sento il dottor Cullen discutere con suo fratello.

«Cosa ti è saltato in mente, Carlisle?» dice Edward. Lo capisco solo sforzandomi. Mi interessa sapere che cosa hanno ancora in serbo per me, quei maniaci. Eppure Esme, la moglie del dottore, mi è sembrata così gentile e disponibile le poche volte che l’ho incrociata... non capisco. Non pensavo fossero così... sadici. È l’unica parola che mi sebra appropriata, per delle persone che fanno del male ai loro simili e poi li lasciano morire tra atroci dolori. «Rosalie Hale?» il suo tono irritato mi mette i brividi. Non capisco perché, con questo caldo non credevo si potesse avere i brividi. Ma è paura. Chissà perché questa paura solo ad udire la sua voce.

Il tono con cui pronuncia il mio nome, comunque, mi dà i nervi. Sembra che in me ci sia qualcosa che non vada, dal modo in cui mi nomina. Non mi piace per niente. È irritante. Odio Edward Cullen.

«Non potevo lasciarla morire» risponde il dottore. Ha un tono calmo, mi fa quasi sentire a casa. Sì, casa...

«Era troppo... troppo orribile, uno scempio tremendo» sembra quasi supplicante, ora. E inorridito. Per fortuna che capisce la gravità della cosa. Ma in che senso non poteva lasciarmi morire? Non sta facendo lo stesso, ora? Ah, no, giusto. Lui crede di essere un vampiro e che mi sta trasformando anche a me. Povero illuso, chissà se i suoi famigliari sanno che è pazzo. Dovrebbero rinchiuderlo in un manicomio. Non mi salverà. Il fuoco mi avrà divorato fra poco, ed io non sarò che un mucchietto di cenere. Spero che ora suo fratello gli apra gli occhi e gli spieghi che io non mi sto trasformando in un vampiro.

«Lo so» il suo tono mi fa ancora irritare. Ma mi lascia anche abbastanza interdetta. Che sia anche lui pazzo come suo fratello? Magari è una malattia di famiglia... spero che almeno sua moglie non sia come lui, se no sono davvero finita in una gabbia di matti, in tutti i sensi. Però, Edward non mi convince. Insomma, quelle due parole, le ha dette come se volesse liquidare con fretta la faccenda. Come se sapesse già tutto. Come se avesse visto...

Forse, in un momento in cui ancora gridavo, il dottor Cullen gli ha raccontato tutto. Probabile, infondo non sono sempre stata attenta a tutto quello che si dicono questi due pazzi.

«Era uno scempio. Non potevo lasciarla lì» ripete ancora Carlisle, quasi in un sussurro, tanto che faccio fatica a capire bene le parole. Fortuna che sembra parlino proprio accanto a me, o davvero non sentirei nulla.

«Certo che no» annuisce la voce di Esme. Oh, no, forse anche lei è pazza! Spero di no, forse sta solo dando corda al marito. Lo spero... ma tanto fra un po’ morirò, non importa che sia in una casa di pazzi.

«Con tutta la gente che muore» questa è la voce fredda e dura del fratello minore dei Cullen. Mi sembra così distaccato che mi vien voglia di alzarmi e prenderlo a pugni. Ma non ne ho la forza.

Questo pensiero, inconsciamente, mi fa rabbrividire. Non sono mai stata così violenta, non capisco cosa mi succede. È il fuoco, è il dolore. Sì. O forse sto impazzendo anch’io.

Cerco di scacciare questi pensieri, perché le persone accanto a me ancora parlano.

«A ogni modo, non ti pare un po’ troppo riconoscibile? I King attraverseranno mari e monti per ritrovarla, anche se nessuno sospetterà di quel maniaco», prosegue Edward. Il suo tono sembra il ruggito di una tigre. Dev’essere abbastanza arrabbiato. Per fortuna che sanno chi è stato ad uccidermi, magari lo possono denunciare...

Forse potrebbe finire in prigione. Ma io sarò morta, mai lo saprò.

«Cosa ne faremo?» questo tono non mi piace. Sembra... disgustato. Prova disgusto per me, la ragazza più bella della città? Ancora la voglia di alzarmi e prenderlo a pugni mi assale. Così inizio a sentire il dolore che mi scivola via dal corpo e si concentra nel petto. Sembra quasi che il fuoco sappia cosa mangiare, sappia cos’è più buono da divorare. E ha scelto il cuore, perché così mi ucciderà. Meglio, finalmente non patirò più le pene dell’inferno.

Sento Carlisle sospirare. «Dipende da lei, ovviamente. Potrebbe volersene andare per conto suo» e, dal suo tono triste ed abbattuto, capisco infine che non sono pazzi. Che non mi hanno mentito. Che sono vampiri. E la mia fine è prossima. Diventerò come loro, berrò sangue come loro, non sarò più quella di prima. Mai potrò riabbracciare i miei genitori, i miei fratelli. Mai mi sposerò. Mai... oddio, mai avrò un figlio! E capisco che sarò sola. Nessuno mi aiuterà, nessuno mi amerà. Mi lasceranno da sola, questi vampiri. E sono terrorizzata, perché mai più potrò tornare indietro...

Continuano a confabulare, ma ormai io non li ascolto più. Sono troppo concentrata su quello che diverrò, su cosa farò, cosa succederà. La mia vita ormai è condannata, ora lo sento.

Dopo un tempo che mi sembra essere di giorni interi, finalmente apro gli occhi. Non mi ricordo più quando li ho chiusi, forse ce li ho sempre avuti così.

Quando mi ritrovo davanti i tre vampiri pazzi che mi hanno salvata, loro mi sorridono. Be’, tutti tranne Edward. Lui sembra arrabbiato, scocciato. Forse non gli vado a genio.

Vedo tutto incredibilmente bene. Di nuovo queste strane persone mi spiegano cosa sono. E capisco. Capisco perché lo sento. Sento la sete che mi rode la gola, la voglia di sangue. Sento il mio corpo duro, la mia forza e, per ultimo, mi guardo allo specchio e mi vedo. Apparte gli occhi -che sono di un rosso acceso che non mi ispira- sono meravigliosa. La pelle è bianca e quasi splende alla luce della lampada. La stessa di... tre giorni fa, a sentire i vampiri.

Sono davvero passati tre giorni da quella serata? Sono tre giorni che non vedo i miei genitori, Vera, la città? Sembra molto di più.

Mi sento meglio, ora. Perché almeno sono molto più bella. Più bella degli altri tre vampiri, più bella di tutti. E sarò così per... sempre.

*

Sono passati due giorni. Sono andata a caccia, ma i Cullen mi permettono solo di bere sangue animale. Be’, in un certo senso gliene sono grata. Non vorrei mai uccidere qualcuno. Ma so che sarà difficile, almeno per il primo anno, come hanno detto loro. Quindi devo restare chiusa in casa sempre, solo di notte posso andare fuori, ogni tanto. Anche perché i miei occhi sono ancora così rossi... non vedo l’ora che diventino dorati come quelli degli altri, sarò ancora più affascinante. Tutti cadranno ai miei piedi, anche quell’Edward, che sembra continuare a nutrire un certo odio per me. Non m’importa, lo farò desistere.

Certo, però, che questa mia bellezza mi è costata davvero tanto! Insomma, se non fossi stata sempre così bella... forse adesso sarei umana, adesso sarei sposata con un bell’uomo che mi ama sul serio e avrei tanti figli dagli occhi chiari e i capelli color del grano. Lo vorrei tanto... vorrei essere... non dico brutta, ma normale. Come Vera. Fare una vita normale e avere dei figli. Sì, voglio tanto dei figli... ma non potrò mai averli...

Non li avrò mai. Ora sono immortale, ora sono per sempre. Mai potrò cambiare, mai potrò crescere un bambino dentro di me. Sarò sempre così... magra. Troppo, adesso. Insomma, però, non mi sembra di chiedere così tanto. Solo un bambino... ma, lo so bene, è evidentemente troppo. So che anche Esme è triste per questo, ma ormai considera me ed Edward come figli, e si accontenta. Ma io non avrò mai dei figli, me lo sento.

Così, mentre ancora l’immagine di Henry che cerca di camminare mi assale la mente, incomincio a progettare la morte di quelle persone che mi hanno tolto la vita. Almeno una cosa la posso fare, e c’è una parola molto chiara per descriverla: vendetta.

Eccomi qua con un’altra storia... allora, cosa dire...?

Beh, prima di tutto mi sento in dovere di ringraziare le persone che hanno recensito: ringrazio NoeOffilth per i complimenti, e spero che se leggerai questa storia ti piaccia ugualmente.

Poi ringrazio Ale24, che mi ha chiarito i dubbi sulla sua storia e mi ha fatto dei complimenti davvero molto graditi ^_^ grazie...

Infine ringrazio Uchiha_chan per la recensione, per i complimenti ed il bellissimo consiglio. Come puoi vedere, ho seguito anche questa volta la tua idea. Questo è solo il primo di tre capitoli sulla vita di Rosalie, spero che ti piacciano ^_^

 

Ed ora basta, smetto di stressarvi... alla prossima ^^

 

Bacini... _ki_

   
 
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