Due
vite, un
unico sogno
Non
può
finire così
Sono a
casa di Vera, la mia migliore amica. Sto guardando il suo figliolo,
Henry. È
adorabile. Ha delle dolci guance sempre rosee, che quando sorride si
piegano in
due fossette tremendamente adorabili. Quasi lo venero, questo bambino
benedetto. I suoi riccioli neri sono la cosa più bella che
abbia mai visto. Non
vedo l’ora di sposarmi con Royce e avere anche io dei bambini
così. Non
sopporto più di vedere Vera insieme al suo Henry e sentirmi
gelosa. Voglio
sposarmi subito. Voglio avere un figlio. Voglio essere come Vera.
Che
strano pensare queste cose. Infondo io non sono mai stata gelosa di
nessuno...
ma non importa. Presto avrò quello che voglio e nessuno me
lo potrà togliere.
«Rosalie,
cara. Non sarebbe il caso di tornare a casa? Si sta facendo tardi e non
vorrei
mai che tu avessi dei brutti incontri», dice in quel momento
Vera,
distogliendomi dal mio attimo di venerazione di Henry. Prima un
po’ spaesata,
annuisco. Sì, sarà il caso che torni a casa, o i
miei non mi lasceranno più
venire a trovare la mia amica. Ieri ci ho perfino litigato, con mamma e
papà.
Dicono che frequentare una persona come Vera mi fa perdere la
reputazione, ma
non mi interessa. Vera è mia amica e non è una
disgraziata. Non mi rovinerò la
reputazione con lei, anche perché sono fidanzata con la
persona più importante
della città.
Dopo
aver salutato il bambino con un gran bacio pieno d’affetto,
mi avvio verso la
porta. Vera mi segue, tenendo il suo piccolo in braccio. Accanto a lei,
Luis le
cinge la vita con un braccio.
In un
momento in cui evidentemente pensano che non guardi, lui le bacia la
guancia
con un affetto tremendo. Questo mi infastidisce non poco. Royce non mi
bacia
con così tanta dolcezza. Lui è più
appassionato, focoso... ma non ci devo
pensare. Lui è il mio principe. Presto diventerò
regina.
Con
questa consapevolezza, esco all’aria fredda della notte e mi
avvio verso casa.
L’aria è stranamente pungente, più
pungente di ieri. In effetti siamo già a
fine aprile e non dovrebbe essere così... da inverno.
Fuori
è già buio, i lampioni sono accesi. Caspita, non
mi ero accorta di quanto fosse
tardi.
Mentre
cammino per queste strade fredde, penso al tempo. Già, al
tempo. Non ho
assolutamente voglia di festeggiare il matrimonio al chiuso. E manca
solo una
settimana.
Al
massimo lo rinviamo, non voglio proprio restare al chiuso a maggio. Non
dovrebbe fare così freddo, dannazione.
Immersa
nei miei pensieri, nemmeno mi accorgo che sono quasi a casa.
Sto
per svoltare un vicolo e poi sarò davanti casa, quando li
vedo. Anzi, sarebbe
meglio dire li sento. Sono talmente chiassosi che non si può
fare a meno di
sentirli. Sono quattro uomini ubriachi. Stanno bevendo sotto un
lampione rotto
e ridono come degli idioti. Mi sbarrano la strada verso casa.
Forse
dovrei chiamare papà e dirgli di farmi venire a prendere, ma
mi sembra così
vicina casa che non ne vale davvero la pena. Si arrabbierebbe e basta.
E poi
magari neanche mi notano.
Cercando
di essere silenziosa, riprendo a camminare.
Ma poi
un urlo mi blocca.
«Rose!»
resto scioccata. Mentre mi volgo verso di loro, capisco chi sono. Non
mi ero
accorta che erano tutti ben vestiti. È Royce, il mio amore,
quello che mi
chiama. Non capisco. Non l’ho mai visto bere così,
prima. Be’, eccetto qualche
drink alle feste, ma lui dice che odia lo champagne. Forse... mentre lo
dice
intende che gli piace qualcosa di più forte.
«Ecco
la mia Rose!» urla ancora. Non mi sento tanto tranquilla. Ma
non ne ho motivo,
sono insieme al mio principe e nessuno mi farà male. Certo,
però, che lui è
ubriaco...
«Sei
in ritardo. Abbiamo freddo, ci hai fatto aspettare tanto»
Sono
in quattro, oltre a Royce. Sono tutti figli di ricchi, si
può ben vedere. Non
ne conosco nessuno. Ma non sembrano avere delle buone intenzioni.
Inizio
seriamente a preoccuparmi.
Più
mi
avvicino, più noto particolari di queste nuove persone. Uno
è alto e robusto,
uno è mingherlino, un altro, invece, sembra essere una palla
di ciccia e basta.
Poi c’è n’è uno alto e magro,
i capelli scuri e molto, molto abbronzato. Non mi
piace per niente.
Il mio
amore mi tira a sé quasi con violenza. «Cosa ti ho
detto, John» il suo tono di
voce è beffardo, diverso da come di solito lo sento. John
è proprio l’ultimo
uomo, l’abbronzato. Questi mi guarda come fossi un cavallo da
comprare.
«Non
è
forse molto più attraente di tutte le tue bellezze della
Georgia?», dice ancora
Royce, stingendomi la vita con un braccio. Incomincia a farmi male e
non lo
sopporto. Vorrei andarmene subito a casa, non voglio stare con loro.
Insomma,
sono ubriachi, non ragionano con la
testa.
Gli
occhi di John brillano alla poca luce dei lampioni. Le nuvole coprono
interamente il cielo e nessuna stella sfugga alla loro
vastità, un po’ come io
non riesco a fuggire da questi uomini.
«Difficile
da dire», mentre parla, strascica le parole come se si fosse
appena svegliato e
avesse la bocca impastata dal sonno. Deve aver bevuto parecchio,
soprattutto
perché riesco a sentire la puzza di alcol che esce dalla sua
bocca anche se
sono abbastanza distante da lui. Mentre lo guardo, impaurita, lui mi
sorrise. «È
tutta coperta» aggiunge in fine, strizzando gli occhi per
vedere di più. E
allora capisco che non hanno davvero buone intenzioni.
Ridono,
prede dell’alcol. Non sembrano affatto nobili, in
quest’istante. Royce
soprattutto, ha uno sguardo che mi mette davvero paura. Vorrei essere
restata
da Vera, vorrei essermi fatta venire a prendere da mio padre.
Maledizione.
In
quest’istante,
Royce scioglie l’abbraccio e mi guarda, bramoso di cose che
non posso dargli.
Quello sguardo mi mette in soggezione. Maledetta la mia cocciutaggine.
Vorrei
essere a casa, cavolo.
Si
avvicina a me con lentezza causata dalla sua bevuta, quindi mi strofina
le mani
unticce e fredde sul corpo, coperto da una giacchina delicata che mi ha
regalato lui. Uno dei suoi tanti regali.
Seguo
i suoi movimenti con circospezione, pronta a tirarmi indietro appena si
fa
violento. Ma lui è ancora dolce, mi accarezza il viso e mi
bacia la mano. Poi,
improvvisamente, stringe la presa sulla stoffa pregiata della giacca e
la
strappa, facendo saltare i bottoni di metallo, che si sparpagliano per
la
strana semi buia. Un bottone mi prende un braccio e mi faccio male.
Vedo quasi
con piacere che un altro bottone a preso in pieno la faccia di quel
John. Non
sono mai stata così crudele ma sono contenta che gli abbia
fatto male. Lo vedo
che si massaggia la guancia distrattamente, mentre il mio Royce scoppia
ancora
a ridere.
«Fa’
vedere come sei fatta, Rose!», dice, strappandomi il cappello
dal capo. Le
forcine che fermano una delle mie solite complicate acconciature
saltano e mi
strappano i capelli. E fa male, tanto male.
E piango. Scoppio in lacrime come una bambina,
perché la paura è
tremendamente tanta e lo è anche il dolore. Non voglio
più restare con loro,
voglio tornare a casa. Vorrei urlare, chiamare papà, o uno
dei miei fratelli.
Maledizione, non voglio più stare con loro!
E loro
ridono ancora. Ma come possono essere così insensibili?
Mi
nascondo il viso tra le mani, non li voglio più vedere. Da
come esultano e
strillano sembra che ci godano a vedermi soffrire. Non lo sopporto, non
li
sopporto. Voglio andare a casa.
Intanto
loro ancora ridono. John urla qualcosa come: «Avanti Royce,
dacci dentro!», ma
io non capisco, strascica troppo le parole, un po’ come fanno
tutti. E poi non
voglio ancora guardarli. Ho le mani davanti al viso e quasi mi faccio
male, da
quanto le stringo. Non voglio vedere niente, non voglio sentire niente,
voglio
solo scomparire. Ritornare a casa, senza questi cinque ubriaconi. Non
voglio
stare neanche più con Royce. Non mi fido di lui, ora.
Ma
purtroppo non posso tornare indietro, e loro certo non se ne andranno
senza
avermi fatto del male.
Per
una volta, odio essere così bella.
Violento,
Royce mi sussurra un «Sta’ ferma. Faremo
velocemente», poi incomincia a
togliermi il vestitino azzurro che questa sera mi ero messa per andare
a
trovare la mia amica.
Lo
toglie lentamente, facendo gesti sensuali e canticchiando qualcosa che
non
capisco e che fa sbellicare dalle risate i suoi quattro compari. Ho
capito cosa
mi vuole fare e non voglio assolutamente. Mi ribello, anche se
così so che sarà
ancora più eccitato e ci proverà ancora
più gusto. Sono terrorizzata, vorrei
sparire dalla faccia della terra in questo preciso istante, ma so
benissimo che
non mi è possibile.
Quando
incomincio ad urlare e a scalciare per liberarmi dalla sua presa, lui
incomincia a ridere più forte. Non capisco cosa ci sia da
ridere, a me viene
solo da piangere. Ma è ubriaco, mi pare ovvio che gli venga
in continuazione da
ridere.
Mi
maledico per questi pensieri, perché comunque continuo a
difenderlo anche se è
in procinto di violentarmi.
Dopo
qualche secondo, riesco ad infliggergli un bel calcio dritto nello
stinco
destro. Urlando, mi tira uno schiaffo in viso.
I
singhiozzi mi travolgono e incomincio a piangere come una fontana. Fa
male,
terribilmente male questo schiaffo.
La
guancia pulsa e brucia in una maniera pazzesca, ma non ho tempo per
curarmene.
Royce mi sta strappando il vestito con foga, e fa ancora più
male.
Non
voglio demordere, quindi ricomincio a scalciare. Un altro colpo al viso
mi fa
male. Non è stato Royce, è stato uno dei suoi
compari.
«Grazie
Jack. Tienila, ferma, non ne posso più di sentirla
urlare» è l’omone alto che
avevo notato per primo. Mi stringe le braccia con forza e mi tappa la
bocca con
un panno sporco.
Non ne
posso più, mi sento come morire. L’odore acre
della stoffa di quel fazzoletto
mi fa venir da vomitare. In più Royce è ancora
intento a fare il suo lavoretto.
Ormai
il vestito è stato strappato in vari punti ed i suoi resti
giacciono
sparpagliati per il marciapiede buio.
Continuo
a menare le gambe all’aria e questo fa imbestialire i ragazzi
che si sono stufati
di assistere senza far nulla.
Quello
che si chiama John mi prende le gambe e me le apre, mentre un altro mi
butta
atterra, mentre ancora Jack, l’omone, mi tiene salde le
braccia nella sua morsa
d’acciaio. Provo ancora ad urlare, ma il panno sporco soffoca
la mia richiesta
d’aiuto e di nuovo gli uomini ridono.
Provo
a liberarmi dalle strette che mi bloccano, ma sono troppo forti per me.
E Royce
si fa sempre più violento, così come gli altri. A
turno, mi molestano. Ed io
non posso che stare ferma, inerme, a soffrire.
E
chiudo gli occhi, dopo che l’ultimo di quei bastardi ha
finito il suo lavoro.
Mi
sento morire dentro. Le braccia che prima mi stringevano il corpo si
staccano
da me, lasciando alle loro spalle dei lividi che sicuramente non mi
andranno via
facilmente. Certo, sempre che riesca a sopravvivere a
quest’esperienza. Ma io
spero di no, non voglio ritrovarmi con questo ricordo per il resto
della vita.
Voglio morire, ora, su questo marciapiede sporco del mio sangue e del
sudore di
quei porci. Voglio morire qui, ad un passo da casa, dove il mio futuro
marito
mi ha violentata con altri quattro ubriachi. Voglio addormentarmi, e
mai più
svegliarmi.
Le
ferite pulsano e fanno un male tremendo. Le sento tutte, come se
fossero state
impresse con il fuoco.
Quella
che sento allo stomaco è quella più grave. Credo
che mi abbiano tagliato con un
coltello, perché il sangue scorre ancora copioso e sembra
buttare fuori con lui
anche le viscere del mio corpo.
Lividi
che bruciano come ferite ricoprono tutte le gambe e le braccia, mentre
un
taglio abbastanza profondo mi attraversa la nuca. Quando mi hanno fatto
cadere,
ho sbattuto la testa contro un sasso -o contro il cemento, non
c’è molta
differenza, ormai.
Le
guancie sono gonfie, così come le labbra e il basso ventre.
Sento che pulsano
con insistenza, così come il mio povero cuore, che cerca di
sopravvivere a
quello scempio. Spero che non ce la faccia, non voglio vivere ancora.
Voglio
morire, e lasciarmi tutto alle spalle.
L’unica
nota dolente di tutto questo è che non potrò mai
realizzare il mio sogno. Non
potrò mai avere una famiglia, dei bambini. Non
sarò mai vecchia e mai mi
siederò sotto il portico con mio marito, circondata di
nipotini e abbracciata
da figli già grandi. Mai potrò vedere davanti ai
miei occhi, se non nei miei
sogni, quest’immagine che ora mi scorre davanti, quasi fosse
reale. E questa è
l’unica cosa di cui mi dispiaccio, mentre il freddo mi
penetra nelle ossa ed
esalo i miei ultimi respiri.
Il
cuore mi batte all’impazzata, quasi volesse uscirmi dal
petto. Ma non dovrebbe
frenare, a questo punto? Non capisco.
Il
freddo della notte mi punge le guancie e mi fa lacrimare. Due cose
strane. Uno,
non credevo che il dolore mi avrebbe fatto sentire questo piccolo
dettaglio,
mentre per secondo credevo di non aver più lacrime da
versare dato che la mia
riserva l’ho esaurita pochi attimi fa.
Si
dice che quando si ste per morire si veda davanti agli occhi tutta la
propria
vita che passa come un fulmine. Ma io non vedo niente, solo i fiocchi
di neve
che pian piano scendono dal cielo scuro e si posano accanto a me, su di
me.
Voglio
morire, ora. Non voglio più soffrire. Non voglio
più sentire quelle risate che
mi sono rimaste impresse nella mente. Le loro parole, la loro violenza.
Il
dolore. Non voglio più sentire niente. Voglio andarmene da
questo mondo il più
presto possibile. Ma perché non sono ancora morta?
Perché il mio cuore batte
ancora così veloce? Perché ci vuole
così tanto? Non capisco...
E lo
sento. Li sento. Dei passi che delicatamente si avvicinano a me, con
eleganza e
precisione. Quando il suo viso entra nel mio campo visivo, mi
infastidisco. È
Carlisle Cullen,
Mi
guarda con dolcezza, con compassione. Non ho bisogno della sua
compassione. E
non voglio che mi salvi. Non mi è mai piaciuto, questo
dottor Cullen. Come
nemmeno sua moglie, e neanche suo fratello. Mi sono sempre stati molto
antipatici. Forse anche questa è una forma
d’invidia. Insomma, sono tutti così
tremendamente belli... più di me! E questo no, io non
l’accetto!
Lui mi
guarda ancora, il terrore dipinto in volto, ma anche la decisione.
Incredibile
come, in un momento come questo, riesco a notare dettagli
così poco rilevanti.
Riesco anche a vedere com’è vestito. Porta un
giaccone pesante, nero come la
notte che ci circonda, da cui spunta una camicia bianca. In basso, i
pantaloni
neri mettono in risalto le sue gambe robuste.
«Oddio.
Basta, non ripetere più quel nome...». Lo sto
dicendo ad alta voce? Eppure mi
sembra solo di pensarlo, quel maledetto di Royce.
«Ora
ti porto con me... » sussurra ancora, l’angoscia
fatta a persona. Non capisco
ancora.
Quando
mi alza, mi sembra di essere finalmente morta. Il respiro si sta
facendo più
debole ed il cuore ha smesso di tentare di uscirmi fuori dal petto.
Però il
dolore no, quello non si è alleviato. Forse devo ancora
morire, infondo. O
forse anche da morta soffrirò per sempre,
all’inferno. Ma non capisco perché.
Che ho fatto di male nella mia vita? Forse ho invidiato un
po’ Vera e i Cullen?
Solo per questo piccolo dettaglio passerò
l’eternità immersa nelle fiamme
dell’inferno? Non mi sembra possibile. Eppure il dolore
c’è, presente e
costante, ed io sono terrorizzata.
Intanto
Carlisle si alza con me in braccio ed incomincia a correre. Tutto mi
appare più
sfocato. E mi sembra di volare. Perché il vento si fa forte
e, mentre il
dottore corre, mi sento leggera e veloce come un felino. Sì,
devo essere
proprio morta. Ma questo dolore...
Non
passa molto prima di ritrovarmi al caldo. Avevo chiuso gli occhi, nella
speranza di riuscir a morire più velocemente, e mi ero
addormentata. Ora sono
qui, in questa stanza luminosa e calda, a guardare i muri chiari e la
finestra
chiusa. Un lampadario illumina l’intero posto, creando luci
strane che non
voglio neanche guardare. Ancora mi stupisco per il mio spirito
d’osservazione.
Insomma, mentre si muore non si dovrebbero notare questi particolari, o
sbaglio?
Però
ora sono sicura che sto per spegnermi. La mia vita sta giungendo al
termine,
perché il dolore si affievolisce sempre di più.
Sorrido
quasi inconsciamente, perché è quello che
aspetto. Certo, mi piacerebbe davvero
tanto avere una seconda possibilità per ammazzare quei
bastardi che mi hanno
ridotto così, però... magari aspetterò
la prossima vita. Se sempre avrò l’occasione
di averne una prossima.
Sto
quasi per chiudere gli occhi, quando un rumore quasi impercettibile me
li fa
spalancare. Da quando il mio udito si è fatto
così fino?
Cerco
di alzarmi, ma i muscoli dolgono come non mai. Sta ritornando il
dolore. Non ci
posso credere, avevo creduto che presto sarebbe finita, invece ancora
sto qui a
soffrire.
Poi,
mentre raccolgo le ultime forze per tenere aperti gli occhi e scorgere
la fonte
del rumore che mi ha fatto insospettire, li sento. Dei tagli, profondi,
procurati da qualcosa di terribilmente affilato. Prima alla gola, e
sento
chiaramente come due lame che mi entrano nelle vene e che fanno uscire
una
quantità impressionante di sangue, poi sui polsi, come se mi
avessero strappati
dal resto del corpo, e poi sulla caviglie. Urlo, urlo come mai prima
d’ora ho
fatto. Ed ora sono certa che Carlisle, quel dottore troppo bello,
è un sadico
maniaco e mi ha portata in questa stanza solo per torturarmi ancora, e
ancora. Ed
io gli urlo contro. Lo insulto, gli chiedo di uccidermi, lo aggredisco
con la
poca voce che mi è rimasta in corpo.
Poi,
mentre vedo con la coda dell’occhio la sua espressione
apparentemente affranta,
sporco ai lati della bocca da una sostanza scura che assomiglia
terribilmente
al sangue, inizio a bruciare. Brucio dentro, come se avessero appiccato
il
fuoco ai miei organi. E lo supplico di uccidermi, perché non
mi importa più di
niente. Voglio solo morire, non chiedo altro. Mentre il fuoco prende il
sopravvento, io continuo ad urlare e lo supplico, così tanto
che resto quasi
senza voce. Mentre il mio cuore si affatica per resistere alle fiamme,
io
continuo ad urlare.
Poi,
non capisco quanto tempo dopo, sento che si avvicina qualcun altro. Mi
meraviglio di riuscir a sentire ancora qualcosa tra le urla ed il
dolore. E
scorgo i visi di Esme ed Edward, la moglie ed il fratello del dottor
Cullen. Supplico
anche loro, poiché quel dottore non mi ha accontentato. Ma,
come il loro parente
prima, non mi ascoltano. E vedo sorpresa e pietà nei loro
sguardi. E non li
sopporto.
Carlisle,
quel medico sadico, mi resta accanto per tutto il tempo in cui urlo.
Non mi
pare possibile, vorrei che se ne andasse subito e mi lasciasse in pace.
O che
cercasse di mettere fine al mio dolore, se l’altra ipotesi
non gli garba. Ma
non fa niente di tutto ciò. Mi resta accanto, mi stringe la
mano come se lui
non sentisse il fuoco che mi sta divorando, o non lo patisse, quindi
incomincia
a parlarmi.
«Mi
dispiace molto, Rosalie» ed urlo, ancora. Non mi interessano
le sue scuse, lui mi ha fatto
patire ancora più a
lungo quest’insostenibile dolore! «Stai tranquilla,
presto tutto finirà. Mi
dispiace così tanto...» quasi mi fa pena, con
quegli occhi scuri così profondi
che mi attraggono come calamite. Voglio dirgli che mi dispiace, che non
è colpa
sua, ma le urla me lo impediscono. Soffro così tanto che non
riesco a parlare.
Ancora
mi chiede scusa, quindi incomincia a parlarmi di qualcosa che
inizialmente non
capisco. Lo ascolto solo a tratti, perché il dolore
è talmente tanto forte che
a volte non sento cosa dice.
Incomincia
dicendomi qualcosa riguardo ad una trasformazione. Dice che mi sto
trasformando. In cosa non lo capisco, un altro grido mi travolge. E
ancora lui
mi chiede scusa. Sembra sia pentito del dolore che ancora mi fa patire.
Ma io
non ho intenzione di perdonarlo facilmente. E, dato che sento che fra
un po’
morirò, non lo perdonerò mai.
Mi
spiega qualcosa della sua famiglia. Dice che sono dei vampiri, o una
cosa del
genere. Non capisco. Mi sta prendendo in giro? Se è
così, non ho intenzione di
ascoltarlo. E poi non può essere vero. Vampiri? Ma i vampiri
non esistono, sono
solo delle leggende.
Mi
spiega qualcosa di questi vampiri. Dice
che non sono come gli altri, che sono qualcosa tipo
“vegetariani”. Non riesco a
capire bene cosa farnetica, anche perché le mie urla coprono
le sue parole e ad
ogni grido lui ripete: «Scusa. Scusa. Fra poco
passerà». Ormai ho smesso di
credergli. Forse questo è l’inferno. Forse il
dottor Cullen mi ha portato all’inferno,
ed ora mi sta torturando. Forse è il diavolo. O forse
è davvero un vampiro. Non
lo capisco.
Mi
dice che anch’io sto diventando come loro. Che presto
sarà tutto finito. Il
dolore è tropo forte, non riesco a seguire i suoi discorsi.
Non so
quanto tempo è che sono così. Mi sembra che siano
passati anni, o solo un
secondo.
Ho
smesso di urlare, ormai. Non che il dolore sia diminuito, anzi, sembra
ancora
più forte. Ma non ne vale più la pena. Nessuno
verrà a salvarmi, a questo
punto. Spero solo di morire presto.
Sento
il fuoco che ancora mi avvolge il corpo. Riesco perfettamente a sentire
ogni
singolo centimetro di pelle che brucia ed arde come dentro ad un
falò. Non
riesco quasi a respirare, tanto fa male. La testa mi gira, faccio
fatica a
seguire quello che succede al di fuori del mio corpo.
Sento
il dottor Cullen discutere con suo fratello.
«Cosa
ti è saltato in mente, Carlisle?» dice Edward. Lo
capisco solo sforzandomi. Mi
interessa sapere che cosa hanno ancora in serbo per me, quei maniaci.
Eppure
Esme, la moglie del dottore, mi è sembrata così
gentile e disponibile le poche
volte che l’ho incrociata... non capisco. Non pensavo fossero
così... sadici. È
l’unica parola che mi sebra appropriata, per delle persone
che fanno del male
ai loro simili e poi li lasciano morire tra atroci dolori.
«Rosalie Hale?» il
suo tono irritato mi mette i brividi. Non capisco perché,
con questo caldo non
credevo si potesse avere i brividi. Ma è paura.
Chissà perché questa paura solo
ad udire la sua voce.
Il
tono con cui pronuncia il mio nome, comunque, mi dà i nervi.
Sembra che in me
ci sia qualcosa che non vada, dal modo in cui mi nomina. Non mi piace
per
niente. È irritante. Odio Edward Cullen.
«Non
potevo lasciarla morire» risponde il dottore. Ha un tono
calmo, mi fa quasi
sentire a casa. Sì, casa...
«Era
troppo... troppo orribile, uno scempio tremendo» sembra quasi
supplicante, ora.
E inorridito. Per fortuna che capisce la gravità della cosa.
Ma in che senso
non poteva lasciarmi morire? Non sta facendo lo stesso, ora? Ah, no,
giusto.
Lui crede di essere un vampiro e che mi sta trasformando anche a me.
Povero illuso,
chissà se i suoi famigliari sanno che è pazzo.
Dovrebbero rinchiuderlo in un
manicomio. Non mi salverà. Il fuoco mi avrà
divorato fra poco, ed io non sarò
che un mucchietto di cenere. Spero che ora suo fratello gli apra gli
occhi e
gli spieghi che io non mi sto trasformando in un vampiro.
«Lo
so»
il suo tono mi fa ancora irritare. Ma mi lascia anche abbastanza
interdetta. Che
sia anche lui pazzo come suo fratello? Magari è una malattia
di famiglia... spero
che almeno sua moglie non sia come lui, se no sono davvero finita in
una gabbia
di matti, in tutti i sensi. Però, Edward non mi convince.
Insomma, quelle due
parole, le ha dette come se volesse liquidare con fretta la faccenda.
Come se
sapesse già tutto. Come se avesse visto...
Forse,
in un momento in cui ancora gridavo, il dottor Cullen gli ha raccontato
tutto. Probabile,
infondo non sono sempre stata attenta a tutto quello che si dicono
questi due
pazzi.
«Era
uno scempio. Non potevo lasciarla lì» ripete
ancora Carlisle, quasi in un
sussurro, tanto che faccio fatica a capire bene le parole. Fortuna che
sembra
parlino proprio accanto a me, o davvero non sentirei nulla.
«Certo
che no» annuisce la voce di Esme. Oh, no, forse anche lei
è pazza! Spero di no,
forse sta solo dando corda al marito. Lo spero... ma tanto fra un
po’ morirò,
non importa che sia in una casa di pazzi.
«Con
tutta la gente che muore» questa è la voce fredda
e dura del fratello minore
dei Cullen. Mi sembra così distaccato che mi vien voglia di
alzarmi e prenderlo
a pugni. Ma non ne ho la forza.
Questo
pensiero, inconsciamente, mi fa rabbrividire. Non sono mai stata
così violenta,
non capisco cosa mi succede. È il fuoco, è il
dolore. Sì. O forse sto
impazzendo anch’io.
Cerco
di scacciare questi pensieri, perché le persone accanto a me
ancora parlano.
«A
ogni modo, non ti pare un po’ troppo riconoscibile? I King
attraverseranno mari
e monti per ritrovarla, anche se nessuno sospetterà di quel
maniaco», prosegue
Edward. Il suo tono sembra il ruggito di una tigre.
Dev’essere abbastanza
arrabbiato. Per fortuna che sanno chi è stato ad uccidermi,
magari lo possono
denunciare...
Forse
potrebbe finire in prigione. Ma io sarò morta, mai lo
saprò.
«Cosa
ne faremo?» questo tono non mi piace. Sembra... disgustato.
Prova disgusto per
me, la ragazza più bella della città? Ancora la
voglia di alzarmi e prenderlo a
pugni mi assale. Così inizio a sentire il dolore che mi
scivola via dal corpo e
si concentra nel petto. Sembra quasi che il fuoco sappia cosa mangiare,
sappia
cos’è più buono da divorare. E ha
scelto il cuore, perché così mi
ucciderà. Meglio,
finalmente non patirò più le pene
dell’inferno.
Sento
Carlisle sospirare. «Dipende da lei, ovviamente. Potrebbe
volersene andare per
conto suo» e, dal suo tono triste ed abbattuto, capisco
infine che non sono
pazzi. Che non mi hanno mentito. Che sono vampiri. E la mia fine
è prossima. Diventerò
come loro, berrò sangue come loro, non sarò
più quella di prima. Mai potrò
riabbracciare i miei genitori, i miei fratelli. Mai mi
sposerò. Mai... oddio,
mai avrò un figlio! E capisco che sarò sola.
Nessuno mi aiuterà, nessuno mi
amerà. Mi lasceranno da sola, questi vampiri. E sono
terrorizzata, perché mai
più potrò tornare indietro...
Continuano
a confabulare, ma ormai io non li ascolto più. Sono troppo
concentrata su
quello che diverrò, su cosa farò, cosa
succederà. La mia vita ormai è
condannata, ora lo sento.
Dopo
un tempo che mi sembra essere di giorni interi, finalmente apro gli
occhi. Non
mi ricordo più quando li ho chiusi, forse ce li ho sempre
avuti così.
Quando
mi ritrovo davanti i tre vampiri pazzi che mi hanno salvata, loro mi
sorridono.
Be’, tutti tranne Edward. Lui sembra arrabbiato, scocciato.
Forse non gli vado
a genio.
Vedo
tutto incredibilmente bene. Di nuovo queste strane persone mi spiegano
cosa
sono. E capisco. Capisco perché lo sento. Sento la sete che
mi rode la gola, la
voglia di sangue. Sento il mio corpo duro, la mia forza e, per ultimo,
mi
guardo allo specchio e mi vedo. Apparte gli occhi -che sono di un rosso
acceso
che non mi ispira- sono meravigliosa. La pelle è bianca e
quasi splende alla
luce della lampada. La stessa di... tre giorni fa, a sentire i vampiri.
Sono
davvero passati tre giorni da quella serata? Sono tre giorni che non
vedo i
miei genitori, Vera, la città? Sembra molto di
più.
Mi
sento meglio, ora. Perché almeno sono molto più
bella. Più bella degli altri
tre vampiri, più bella di tutti. E sarò
così per... sempre.
*
Sono
passati due giorni. Sono andata a caccia, ma i Cullen mi permettono
solo di
bere sangue animale. Be’, in un certo senso gliene sono
grata. Non vorrei mai
uccidere qualcuno. Ma so che sarà difficile, almeno per il
primo anno, come
hanno detto loro. Quindi devo restare chiusa in casa sempre, solo di
notte
posso andare fuori, ogni tanto. Anche perché i miei occhi
sono ancora così
rossi... non vedo l’ora che diventino dorati come quelli
degli altri, sarò
ancora più affascinante. Tutti cadranno ai miei piedi, anche
quell’Edward, che
sembra continuare a nutrire un certo odio per me. Non
m’importa, lo farò
desistere.
Certo,
però, che questa mia bellezza mi è costata
davvero tanto! Insomma, se non fossi
stata sempre così bella... forse adesso sarei umana, adesso
sarei sposata con
un bell’uomo che mi ama sul serio e avrei tanti figli dagli
occhi chiari e i
capelli color del grano. Lo vorrei tanto... vorrei essere... non dico
brutta,
ma normale. Come Vera. Fare una vita normale e avere dei figli.
Sì, voglio
tanto dei figli... ma non potrò mai averli...
Non li
avrò mai. Ora sono immortale, ora sono per sempre. Mai
potrò cambiare, mai
potrò crescere un bambino dentro di me. Sarò
sempre così... magra. Troppo,
adesso. Insomma, però, non mi sembra di chiedere
così tanto. Solo un bambino...
ma, lo so bene, è evidentemente troppo. So che anche Esme
è triste per questo,
ma ormai considera me ed Edward come figli, e si accontenta. Ma io non
avrò mai
dei figli, me lo sento.
Così, mentre ancora l’immagine di Henry che cerca di camminare mi assale la mente, incomincio a progettare la morte di quelle persone che mi hanno tolto la vita. Almeno una cosa la posso fare, e c’è una parola molto chiara per descriverla: vendetta.
Eccomi
qua con un’altra storia... allora, cosa dire...?
Beh,
prima di tutto mi sento in dovere di ringraziare le persone
che hanno recensito: ringrazio NoeOffilth per i complimenti, e spero
che se
leggerai questa storia ti piaccia ugualmente.
Poi
ringrazio Ale24, che mi ha chiarito i dubbi sulla sua storia
e mi ha fatto dei complimenti davvero molto graditi ^_^ grazie...
Infine
ringrazio Uchiha_chan per la recensione, per i
complimenti ed il bellissimo consiglio. Come puoi vedere, ho seguito
anche
questa volta la tua idea. Questo è solo il primo di tre
capitoli sulla vita di
Rosalie, spero che ti piacciano ^_^
Ed
ora basta, smetto di stressarvi... alla prossima ^^
Bacini...
_ki_