Capitolo
8 – Le
temps des cerises
Vista
l’ora, il locale era ancora deserto, ciononostante
l’atmosfera che si respirava era molto accogliente e il
profumo che giungeva
dalla cucina troppo irresistibile per i loro stomaci affamati. La
cameriera che
stava finendo di sistemare i tavoli gli rivolse un sorriso gentile che
si
allargò ancora di più alla richiesta di Nathan se
avevano posto per due. Aveva
infatti capito che erano stranieri, ma la pronuncia quasi perfetta
dell’uomo
l’aveva messa subito di buonumore. Eh sì, da buona
francese era sempre felice
di vedere che gli ospiti si sforzavano di esprimersi
nell’idioma nazionale. Li
invitò pertanto ad accomodarsi dove volevano e, una volta
scelto un tavolo un
po’ appartato, portò loro i menù e
sparì in cucina.
“Questo
posto è adorabile!” commentò Stana
guardandosi
intorno e osservando con attento interesse l’allestimento
della stanza.
“Ehm..
sì… vero. Adesso però pensiamo a
nutrirci” rispose
Nathan in modo pragmatico, senza sollevare lo sguardo
dall’elenco, assai
promettente, delle prelibatezze che quel piccolo ristorante sembrava
poter
offrire.
“Nate,
così uccidi la poesia!” lo rimbrottò
bonariamente
la donna, ma quando anche il proprio stomaco volle intervenire nella
diatriba
dovette arrendersi e concentrarsi sul soddisfare i bisogni primari. Ci
sarebbe
stato tempo, più tardi, per studiare con attenzione il
locale.
Dalla
cucina uscì un’altra donna, che si
avvicinò al loro
tavolo e si presentò: “Buonasera, sono
Aurélie Bredin e sono felice di darvi il
benvenuto nel mio ristorante. Posso prendere la vostra
ordinazione?”
“Per
me une salade
de chèvre chaude, per favore” chiese
educatamente Stana.
“E
per lei signore?” disse Aurélie rivolgendosi a
Nathan.
Quando lui sollevò lo sguardo verso di lei per comunicarle
la sua scelta e i
loro occhi si incrociarono, Aurélie trasalì e
impallidì, come se avesse visto
un fantasma.
“Madame, tutto
bene?” si informò Nathan, stupito da quella
reazione.
“Sì,
mi scusi, è che i suoi occhi e il suo sorriso mi
ricordano una persona che pensavo di conoscere e invece era tutta una
finzione.
Sa, era uno scrittore inglese che aveva ambientato parte del suo
romanzo in
questo posto, poi invece è venuto fuori che a scrivere quel
libro era stato un
francese, però mi aveva fatto credere che la storia non
fosse sua bensì di
quell’inglese che invece era solo un dentista. Oh il vero
autore è una persona
deliziosa a dir la verità, l’ho persino sposato,
però…” farfugliò
Aurélie. Poi
si schiarì la gola, consapevole di poter passare per una
pazza che parla a
vanvera e infastidisce i clienti, e continuò in modo
professionale ma cortese:
“Oh, scusatemi, non vi volevo tediare. Cosa desidera
ordinare?”
“Prenderò
il bœuf
bourguignon, grazie” le rispose, corrugando la
fronte e decidendo poi di
non indagare oltre per non mettere in difficoltà quella
poveretta. Anche se
dovette ammettere che la storia che aveva accennato sembrava intrigante
e non
gli sarebbe dispiaciuto saperne di più.
“Posso
portarvi del vino? Magari del rosso?” chiese la
proprietaria del ristorante e, alla loro risposta affermativa, si
congedò da
loro e fuggì in cucina, dalla quale decise non sarebbe
più uscita per almeno
una settimana. Anzi, facciamo fino a Natale.
“Bè,
hai sempre un grande effetto sulle donne” lo
canzonò
Stana appena madame Bredin si
allontanò da loro.
“Non
su tutte, per mia sfortuna…” rispose lui, evitando
di guardarla negli occhi. “Piuttosto, affascinante la storia
di quella libreria
dove siamo stati oggi, vero?” continuò, spostando
la conversazione su un
argomento decisamente meno intimo e compromettente.
Chiacchierarono
in modo amabile per qualche minuto,
finché la cameriera, quella che stava sistemando i tavoli al
loro arrivo, portò
loro le pietanze ordinate e entrambi ci si tuffarono, intervallando i
bocconi
con grandi apprezzamenti per il cibo che stava deliziando le loro
papille
gustative. La cucina francese sapeva regalare grandi soddisfazioni, con
i
sapori avvolgenti delle sue salse, la spinta fornita dalle spezie e
dalle erbe
aromatiche e l’ottima qualità delle materie prime.
Spazzolarono in breve tempo
il contenuto dei loro piatti e optarono entrambi per una crêpe
Suzette come dessert.
Un
uomo uscì dalla cucina e si avvicinò al loro
tavolo,
presentandosi come Jacquie, il cuoco. Sbucciò a vivo le
arance sotto i loro
occhi, le tagliò a fette, aggiunse il Grand Marnier alle
crepes e lasciò
divampare le fiamme per qualche minuto nella padella di rame, con un
grande
effetto scenografico che colpiva sempre i clienti. Stana
osservò rapita i gesti
eleganti e sicuri di quella liturgia, mentre l’uomo al tavolo
con lei si
concentrò su quanto fosse diventato luminoso il volto della
donna davanti a
quel gioco e capì di essere ormai un caso disperato. Ci
doveva essere qualcosa
nell’aria di Parigi. Forse le sue particelle contenevano gli
ingredienti
segreti dell’amore? Qualunque fosse la ragione, di una cosa
era ormai certo:
era perdutamente e irrimediabilmente innamorato di lei.
Altri
commensali raggiunsero il ristorante, ma
trattandosi di un giorno feriale l’atmosfera rimase raccolta
e piacevole: il
servizio era impeccabile e l’ambiente era arredato con
semplicità e
raffinatezza. I piatti che avevano gustato, poi, erano stati davvero
eccellenti. E non solo perché entrambi stavano morendo di
fame! In breve
terminarono la loro cena ed uscirono dal locale. Stana si
offrì di pagare la
sua parte, ma Nathan fu irremovibile: disse che suo padre non gliela
avrebbe
mai perdonata se non si fosse comportato da cavaliere. Ripresero a
camminare
nella direzione dell’hotel di Stana, ancora a braccetto come
avevano fatto per
gran parte della giornata, parlando del più e del meno, in
un clima di grande
serenità e complicità. Ripercorsero molti
aneddoti avvenuti durante le riprese,
passando da un “ti ricordi quella volta che
Seamus….” a “e poi, quando stavamo
girando quella scena, Jon e Tamala hanno cominciato a ridere e non
c’è stato
verso di portare avanti la registrazione…” Avevano
lavorato insieme per tanti
anni, come un gruppo affiatato e coeso. Esclusa l’ultima
stagione,
naturalmente. Lì tutto era precipitato. Al riemergere
prepotente e doloroso di
quel ricordo, Stana si fermò all’improvviso, gli
si parò davanti e disse:
“Perché non può essere sempre
così?”
“Così
come?” le chiese Nathan, perplesso, anche se temeva
di aver capito benissimo a cosa si stesse riferendo.
“Perché
non siamo riusciti a mantenere questo rapporto
anche negli ultimi mesi in cui abbiamo lavorato insieme?” gli
domandò a chiare
lettere, non schiodando gli occhi da quelli dell’uomo. Quel
tarlo le stava
mangiando l’anima da troppo tempo e i giorni trascorsi
insieme a Parigi, nei
quali Nathan era stato meraviglioso nei suoi confronti, le avevano
creato
ancora più confusione, portandola a credere che lui avesse
una pericolosissima,
seppur affascinante, doppia personalità.
Nathan
sospirò. Il momento tanto temuto era arrivato. Doveva
dirle la verità. O almeno una parte. Glielo doveva.
“Ehm… sì… hai ragione.
E’
colpa mia, Stana, è solo colpa mia. Tu… non hai
niente da recriminarti. Io,
invece… lo so, sono stato un lurido bastardo… e
non capisco come tu mi abbia
permesso di starti accanto in questi giorni…
però, credimi, sono felicissimo
che tu sia stata così generosa con me... non pensavo che
Parigi mi avrebbe
regalato tanti momenti splendidi in tua compagnia… non me li
meritavo proprio…
ma vedi… io…”
Stana
abbassò lo sguardo, infastidita da quel farneticare
senza senso che lui le stava propinando e determinata a giungere in
fondo a
quella storia. Prese un respiro profondo e, senza sollevare la testa,
gli
domandò a bruciapelo: “Perché mi hai
trattato così male?” Fece una piccola pausa,
confidando in una reazione da parte dell’uomo, che invece
rimase in silenzio,
così riprese, tentando di controllare il tremito della voce:
“Nate, accidenti,
mi hai ferito! Nemmeno tu mi considerassi il tuo peggior nemico! Gli
ultimi
mesi sul set sono stati un inferno! Sai quante volte ho pianto per il
modo in
cui ti rivolgevi a me?”
“Mi…
mi dispiace davvero… non posso rinnegare quello che
è stato, ma non sono certo fiero di me. E’
che… tu eri… avevi
tutto quello che volevo. Sul set tutti ti stimavano, ti eri
appena sposata, la tua casa di produzione andava alla grande, avevi
raggiunto
tutti gli obiettivi e io invece… lo so, è stato
un comportamento infantile. Mi
mollerei un ceffone se servisse a qualcosa. Però, credimi,
non sono più così,
Stana. Io… non vorrei mai che tu stessi male per causa
mia.” Con l’indice le
sollevò il mento, cercando di incrociare il proprio sguardo
con quello della
donna di fronte a lui. Si trovavano in una strada poco illuminata, ma
sperò con
tutto il cuore di riuscire a farle vedere la sua, almeno parziale,
sincerità.
Non era ancora pronto, infatti, a dirle qual era la vera ragione per
cui
l’aveva trattata tanto duramente l’anno prima.
“So di chiederti tanto, ma ti
prego, prova a perdonare quell’imbecille e pensa
all’uomo nuovo che hai davanti
adesso. Quello che è persino andato al Louvre, e a cui
è piaciuto tanto da
starci dentro una giornata senza nemmeno accorgersene! Vorrà
pur significare
qualcosa, no?” aggiunse, per cercare di sdrammatizzare la
situazione, spostando
la mano fino ad accarezzarle teneramente una guancia. Facendo quel
movimento,
il pollice le sfiorò le labbra e si dovette imporre di non
pensare neanche
lontanamente a quanto dovesse essere meraviglioso poterla baciare.
Il
tempo sembrò cristallizzarsi, mentre il cuore di
entrambi batteva all’impazzata, da una parte alla ricerca di
un immeritato
perdono e dall’altra in bilico fra la voglia di credere al
cambiamento e il
dubbio che, un domani, lui avrebbe potuto infliggerle di nuovo quel
dolore.
“Non
lo so, Nathan… in questo momento non so cosa
pensare. Non hai idea di come sia stato difficile portare a termine le
riprese.
E non era niente in confronto a quello che mi è successo
dopo, con la storia di
Kris… io… ho bisogno di tempo”
sussurrò, abbassando di nuovo il volto.
L’uomo
allontanò la mano dal viso di lei e sospirò, con
un misto di delusione, tristezza e consapevolezza di non meritarsi
altro che
disprezzo per come erano andate le cose. Poi le disse:
“Andiamo, ti accompagno
in albergo”
Stana
annuì e per il resto del tragitto nessuno dei due
aprì bocca né sfiorò
l’altro. Si salutarono con un cenno del capo, senza alcuna
promessa di rivedersi il giorno successivo e senza augurarsi nemmeno
buonanotte.
Dopo
una notte di sonno agitato e inquieto, Stana decise
di recarsi nel negozietto di Rosalie. Non sapeva perché
sentisse il bisogno di
aprirsi proprio con lei: in fin dei conti, avevano solo preso un
tè insieme e
chiacchierato per un po’ di tempo. Eppure, qualcosa dentro di
lei le diceva che
quella donna avrebbe potuto comprenderla e aiutarla a dipanare il
groviglio di
sensazioni che albergavano nel suo cuore.
Appena
arrivata davanti al piccolo laboratorio dei
desideri, Stana la scorse dietro il bancone, mentre serviva un cliente.
La
campanella della porta ne annunciò l’ingresso,
sottolineato dal borbottio del
cane accovacciato nella cesta proprio accanto all’uscio e
Rosalie le rivolse un
sorriso sorpreso ma sincero e accogliente, che la rassicurò:
era nel posto
giusto. Gironzolando nella minuscola cartoleria, Stana non volendo
ascoltò
parte della conversazione fra la sua nuova amica e
l’acquirente.
“Allora,
monsieur,
come posso esserle d’aiuto?” gli chiese gentilmente
la proprietaria del Luna
Luna.
“Vede,
madame…
ho avuto un incarico professionale a Parigi, ma mia moglie è
rimasta in
Provenza insieme a nostra figlia Mathilde di due anni e a me mancano
entrambe
tantissimo… ci vediamo via Skype ogni giorno, ma
comprenderà bene che non è la
stessa cosa…” le spiegò brevemente.
Rosalie
lo osservò per un breve momento e percepì la
profonda nostalgia dell’uomo per la propria famiglia e la
terra di origine.
Nella sua mente si dipinse un paesaggio di lavanda, nel quale un uomo,
una
donna e una bambina correvano nel sole tenendosi per mano, mentre una
nuvola
nel cielo azzurro riportava “questa mattina mi sono svegliato
e avrei voluto
essere lì”, scritto con una delicata calligrafia
in corsivo. Annuì a sé stessa
e gli disse: “Sarà pronto domani, monsieur.
Si fidi di me!”
Il
cliente la guardò con attenzione e poi decise che
valeva la pena riporre la propria fiducia in quella bella persona
davanti a
lui. Si congedò da lei e uscì dal negozio.
“Sono
impressionata!” le disse Stana, con sincera
ammirazione.
“Faccio
solo il mio lavoro” le rispose Rosalie, modesta.
Poi aggiunse: “Sono contenta di vederti, come
stai?”
Stana
prese un sospiro profondo e le rispose: “Posso
dirti che non lo so? Vedi, io sono sempre stata una donna forte.
Però… certi
giorni proprio non ho voglia di essere una roccia.” Rosalie
annuì e commentò:
“La fragilità è un sacrosanto diritto,
amica mia”. Approfittando della mancanza
di clienti, Stana le raccontò degli ultimi giorni,
dell’incontro fortuito al
cinema, del delizioso pomeriggio al café
Le Procope, di quanto fosse stato
bello, naturale, piacevole, giusto
chiacchierare per ore senza nemmeno rendersi conto del tempo che
passava,
dell’intera giornata che avevano trascorso insieme e di
quello che lui le aveva
detto la sera precedente. Ma le spiegò anche come erano
andate le cose quando
avevano lavorato insieme e le accennò anche alla storia che
avevano avuto in
passato. “Insomma, non vorrei continuare a rincorrere
emozioni per poi finire a
collezionare cicatrici” concluse con un sospiro addolorato.
Rosalie
la ascoltò con pazienza e con autentico
interesse, guardandola negli occhi per cercare di leggere anche quello
che la
sua amica non diceva a parole, per pudore o perché lei
stessa non lo aveva
ancora compreso. Al termine di quel fiume di ricordi e sensazioni, la
proprietaria della cartoleria dei desideri le disse soltanto:
“Se riconosci che
è cambiato, lascia la rabbia dietro di te e concentrati sul
presente”
Un
debole sorriso spianò l’espressione corrucciata di
Stana. Poi si rattristò di nuovo e disse: “Sai,
Rosalie, una parte del mio
cervello continua a ripetermi che non ci si può fidare di
Nathan. E temo che in
questo momento non ci sia da fidarsi tanto nemmeno di me stessa... la
ferita
per la separazione dal mio ormai ex marito è ancora troppo
recente e io mi
sento vulnerabile.”
La
proprietaria della cartoleria annuì comprensiva, poi
le chiese: “Cosa pensi di fare adesso? Lo rivedrai?”
L’attrice
scrollò le spalle e rispose: “Non lo so. Non ci
siamo dati nessun appuntamento. Ho ancora dieci giorni di vacanza prima
di
ritornare in Bulgaria per ricominciare le riprese, vorrei trascorrerli
nel modo
migliore, senza ulteriori fonti di stress…”
Una
cliente interruppe la loro chiacchierata e prima che
Stana se ne andasse, Rosalie scrisse il proprio numero di cellulare su
un
delizioso bigliettino azzurro ortensia e le ordinò:
“Chiamami per qualsiasi
cosa, ok? Anche solo per bere un café
crème insieme. Mi farebbe piacere!”
L’attrice
annuì, riconoscente, e la lasciò al suo lavoro.
Nota
dell’autrice
Aurélie
e Jacquie appartengono a Nicolas Barreau: io li ho solo presi in
prestito, con
tutto il ristorante, prelibatezze incluse! Per Stana e Nathan siamo a
una
(parziale) resa dei conti. Spero che continuerete a leggere per sapere
come va
a finire!
Grazie
per avermi regalato il vostro tempo arrivando fino qui,
Deb