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Autore: germangirl    19/02/2018    2 recensioni
Un uomo in crisi per il suo lavoro e per la sua vita sentimentale.
Una donna ferita.
Un paio di nuovi amici.
La magia della Ville Lumière.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nathan Fillion, Nuovo personaggio, Stana Katic
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8 – Le temps des cerises

Vista l’ora, il locale era ancora deserto, ciononostante l’atmosfera che si respirava era molto accogliente e il profumo che giungeva dalla cucina troppo irresistibile per i loro stomaci affamati. La cameriera che stava finendo di sistemare i tavoli gli rivolse un sorriso gentile che si allargò ancora di più alla richiesta di Nathan se avevano posto per due. Aveva infatti capito che erano stranieri, ma la pronuncia quasi perfetta dell’uomo l’aveva messa subito di buonumore. Eh sì, da buona francese era sempre felice di vedere che gli ospiti si sforzavano di esprimersi nell’idioma nazionale. Li invitò pertanto ad accomodarsi dove volevano e, una volta scelto un tavolo un po’ appartato, portò loro i menù e sparì in cucina.

“Questo posto è adorabile!” commentò Stana guardandosi intorno e osservando con attento interesse l’allestimento della stanza.

“Ehm.. sì… vero. Adesso però pensiamo a nutrirci” rispose Nathan in modo pragmatico, senza sollevare lo sguardo dall’elenco, assai promettente, delle prelibatezze che quel piccolo ristorante sembrava poter offrire.

“Nate, così uccidi la poesia!” lo rimbrottò bonariamente la donna, ma quando anche il proprio stomaco volle intervenire nella diatriba dovette arrendersi e concentrarsi sul soddisfare i bisogni primari. Ci sarebbe stato tempo, più tardi, per studiare con attenzione il locale.

Dalla cucina uscì un’altra donna, che si avvicinò al loro tavolo e si presentò: “Buonasera, sono Aurélie Bredin e sono felice di darvi il benvenuto nel mio ristorante. Posso prendere la vostra ordinazione?”

“Per me une salade de chèvre chaude, per favore” chiese educatamente Stana.

“E per lei signore?” disse Aurélie rivolgendosi a Nathan. Quando lui sollevò lo sguardo verso di lei per comunicarle la sua scelta e i loro occhi si incrociarono, Aurélie trasalì e impallidì, come se avesse visto un fantasma.

Madame, tutto bene?” si informò Nathan, stupito da quella reazione.

“Sì, mi scusi, è che i suoi occhi e il suo sorriso mi ricordano una persona che pensavo di conoscere e invece era tutta una finzione. Sa, era uno scrittore inglese che aveva ambientato parte del suo romanzo in questo posto, poi invece è venuto fuori che a scrivere quel libro era stato un francese, però mi aveva fatto credere che la storia non fosse sua bensì di quell’inglese che invece era solo un dentista. Oh il vero autore è una persona deliziosa a dir la verità, l’ho persino sposato, però…” farfugliò Aurélie. Poi si schiarì la gola, consapevole di poter passare per una pazza che parla a vanvera e infastidisce i clienti, e continuò in modo professionale ma cortese: “Oh, scusatemi, non vi volevo tediare. Cosa desidera ordinare?”

“Prenderò il bœuf bourguignon, grazie” le rispose, corrugando la fronte e decidendo poi di non indagare oltre per non mettere in difficoltà quella poveretta. Anche se dovette ammettere che la storia che aveva accennato sembrava intrigante e non gli sarebbe dispiaciuto saperne di più.

“Posso portarvi del vino? Magari del rosso?” chiese la proprietaria del ristorante e, alla loro risposta affermativa, si congedò da loro e fuggì in cucina, dalla quale decise non sarebbe più uscita per almeno una settimana. Anzi, facciamo fino a Natale.

“Bè, hai sempre un grande effetto sulle donne” lo canzonò Stana appena madame Bredin si allontanò da loro.

“Non su tutte, per mia sfortuna…” rispose lui, evitando di guardarla negli occhi. “Piuttosto, affascinante la storia di quella libreria dove siamo stati oggi, vero?” continuò, spostando la conversazione su un argomento decisamente meno intimo e compromettente.

Chiacchierarono in modo amabile per qualche minuto, finché la cameriera, quella che stava sistemando i tavoli al loro arrivo, portò loro le pietanze ordinate e entrambi ci si tuffarono, intervallando i bocconi con grandi apprezzamenti per il cibo che stava deliziando le loro papille gustative. La cucina francese sapeva regalare grandi soddisfazioni, con i sapori avvolgenti delle sue salse, la spinta fornita dalle spezie e dalle erbe aromatiche e l’ottima qualità delle materie prime. Spazzolarono in breve tempo il contenuto dei loro piatti e optarono entrambi per una crêpe Suzette come dessert.

Un uomo uscì dalla cucina e si avvicinò al loro tavolo, presentandosi come Jacquie, il cuoco. Sbucciò a vivo le arance sotto i loro occhi, le tagliò a fette, aggiunse il Grand Marnier alle crepes e lasciò divampare le fiamme per qualche minuto nella padella di rame, con un grande effetto scenografico che colpiva sempre i clienti. Stana osservò rapita i gesti eleganti e sicuri di quella liturgia, mentre l’uomo al tavolo con lei si concentrò su quanto fosse diventato luminoso il volto della donna davanti a quel gioco e capì di essere ormai un caso disperato. Ci doveva essere qualcosa nell’aria di Parigi. Forse le sue particelle contenevano gli ingredienti segreti dell’amore? Qualunque fosse la ragione, di una cosa era ormai certo: era perdutamente e irrimediabilmente innamorato di lei.

Altri commensali raggiunsero il ristorante, ma trattandosi di un giorno feriale l’atmosfera rimase raccolta e piacevole: il servizio era impeccabile e l’ambiente era arredato con semplicità e raffinatezza. I piatti che avevano gustato, poi, erano stati davvero eccellenti. E non solo perché entrambi stavano morendo di fame! In breve terminarono la loro cena ed uscirono dal locale. Stana si offrì di pagare la sua parte, ma Nathan fu irremovibile: disse che suo padre non gliela avrebbe mai perdonata se non si fosse comportato da cavaliere. Ripresero a camminare nella direzione dell’hotel di Stana, ancora a braccetto come avevano fatto per gran parte della giornata, parlando del più e del meno, in un clima di grande serenità e complicità. Ripercorsero molti aneddoti avvenuti durante le riprese, passando da un “ti ricordi quella volta che Seamus….” a “e poi, quando stavamo girando quella scena, Jon e Tamala hanno cominciato a ridere e non c’è stato verso di portare avanti la registrazione…” Avevano lavorato insieme per tanti anni, come un gruppo affiatato e coeso. Esclusa l’ultima stagione, naturalmente. Lì tutto era precipitato. Al riemergere prepotente e doloroso di quel ricordo, Stana si fermò all’improvviso, gli si parò davanti e disse: “Perché non può essere sempre così?”

“Così come?” le chiese Nathan, perplesso, anche se temeva di aver capito benissimo a cosa si stesse riferendo.

“Perché non siamo riusciti a mantenere questo rapporto anche negli ultimi mesi in cui abbiamo lavorato insieme?” gli domandò a chiare lettere, non schiodando gli occhi da quelli dell’uomo. Quel tarlo le stava mangiando l’anima da troppo tempo e i giorni trascorsi insieme a Parigi, nei quali Nathan era stato meraviglioso nei suoi confronti, le avevano creato ancora più confusione, portandola a credere che lui avesse una pericolosissima, seppur affascinante, doppia personalità.

Nathan sospirò. Il momento tanto temuto era arrivato. Doveva dirle la verità. O almeno una parte. Glielo doveva. “Ehm… sì… hai ragione. E’ colpa mia, Stana, è solo colpa mia. Tu… non hai niente da recriminarti. Io, invece… lo so, sono stato un lurido bastardo… e non capisco come tu mi abbia permesso di starti accanto in questi giorni… però, credimi, sono felicissimo che tu sia stata così generosa con me... non pensavo che Parigi mi avrebbe regalato tanti momenti splendidi in tua compagnia… non me li meritavo proprio… ma vedi… io…”

Stana abbassò lo sguardo, infastidita da quel farneticare senza senso che lui le stava propinando e determinata a giungere in fondo a quella storia. Prese un respiro profondo e, senza sollevare la testa, gli domandò a bruciapelo: “Perché mi hai trattato così male?” Fece una piccola pausa, confidando in una reazione da parte dell’uomo, che invece rimase in silenzio, così riprese, tentando di controllare il tremito della voce: “Nate, accidenti, mi hai ferito! Nemmeno tu mi considerassi il tuo peggior nemico! Gli ultimi mesi sul set sono stati un inferno! Sai quante volte ho pianto per il modo in cui ti rivolgevi a me?”

“Mi… mi dispiace davvero… non posso rinnegare quello che è stato, ma non sono certo fiero di me. E’ che… tu eri… avevi tutto quello che volevo. Sul set tutti ti stimavano, ti eri appena sposata, la tua casa di produzione andava alla grande, avevi raggiunto tutti gli obiettivi e io invece… lo so, è stato un comportamento infantile. Mi mollerei un ceffone se servisse a qualcosa. Però, credimi, non sono più così, Stana. Io… non vorrei mai che tu stessi male per causa mia.” Con l’indice le sollevò il mento, cercando di incrociare il proprio sguardo con quello della donna di fronte a lui. Si trovavano in una strada poco illuminata, ma sperò con tutto il cuore di riuscire a farle vedere la sua, almeno parziale, sincerità. Non era ancora pronto, infatti, a dirle qual era la vera ragione per cui l’aveva trattata tanto duramente l’anno prima. “So di chiederti tanto, ma ti prego, prova a perdonare quell’imbecille e pensa all’uomo nuovo che hai davanti adesso. Quello che è persino andato al Louvre, e a cui è piaciuto tanto da starci dentro una giornata senza nemmeno accorgersene! Vorrà pur significare qualcosa, no?” aggiunse, per cercare di sdrammatizzare la situazione, spostando la mano fino ad accarezzarle teneramente una guancia. Facendo quel movimento, il pollice le sfiorò le labbra e si dovette imporre di non pensare neanche lontanamente a quanto dovesse essere meraviglioso poterla baciare.

Il tempo sembrò cristallizzarsi, mentre il cuore di entrambi batteva all’impazzata, da una parte alla ricerca di un immeritato perdono e dall’altra in bilico fra la voglia di credere al cambiamento e il dubbio che, un domani, lui avrebbe potuto infliggerle di nuovo quel dolore.

“Non lo so, Nathan… in questo momento non so cosa pensare. Non hai idea di come sia stato difficile portare a termine le riprese. E non era niente in confronto a quello che mi è successo dopo, con la storia di Kris… io… ho bisogno di tempo” sussurrò, abbassando di nuovo il volto.

L’uomo allontanò la mano dal viso di lei e sospirò, con un misto di delusione, tristezza e consapevolezza di non meritarsi altro che disprezzo per come erano andate le cose. Poi le disse: “Andiamo, ti accompagno in albergo”

Stana annuì e per il resto del tragitto nessuno dei due aprì bocca né sfiorò l’altro. Si salutarono con un cenno del capo, senza alcuna promessa di rivedersi il giorno successivo e senza augurarsi nemmeno buonanotte.

 

Dopo una notte di sonno agitato e inquieto, Stana decise di recarsi nel negozietto di Rosalie. Non sapeva perché sentisse il bisogno di aprirsi proprio con lei: in fin dei conti, avevano solo preso un tè insieme e chiacchierato per un po’ di tempo. Eppure, qualcosa dentro di lei le diceva che quella donna avrebbe potuto comprenderla e aiutarla a dipanare il groviglio di sensazioni che albergavano nel suo cuore.

Appena arrivata davanti al piccolo laboratorio dei desideri, Stana la scorse dietro il bancone, mentre serviva un cliente. La campanella della porta ne annunciò l’ingresso, sottolineato dal borbottio del cane accovacciato nella cesta proprio accanto all’uscio e Rosalie le rivolse un sorriso sorpreso ma sincero e accogliente, che la rassicurò: era nel posto giusto. Gironzolando nella minuscola cartoleria, Stana non volendo ascoltò parte della conversazione fra la sua nuova amica e l’acquirente.

“Allora, monsieur, come posso esserle d’aiuto?” gli chiese gentilmente la proprietaria del Luna Luna.

“Vede, madame… ho avuto un incarico professionale a Parigi, ma mia moglie è rimasta in Provenza insieme a nostra figlia Mathilde di due anni e a me mancano entrambe tantissimo… ci vediamo via Skype ogni giorno, ma comprenderà bene che non è la stessa cosa…” le spiegò brevemente.

Rosalie lo osservò per un breve momento e percepì la profonda nostalgia dell’uomo per la propria famiglia e la terra di origine. Nella sua mente si dipinse un paesaggio di lavanda, nel quale un uomo, una donna e una bambina correvano nel sole tenendosi per mano, mentre una nuvola nel cielo azzurro riportava “questa mattina mi sono svegliato e avrei voluto essere lì”, scritto con una delicata calligrafia in corsivo. Annuì a sé stessa e gli disse: “Sarà pronto domani, monsieur. Si fidi di me!”

Il cliente la guardò con attenzione e poi decise che valeva la pena riporre la propria fiducia in quella bella persona davanti a lui. Si congedò da lei e uscì dal negozio.

“Sono impressionata!” le disse Stana, con sincera ammirazione.

“Faccio solo il mio lavoro” le rispose Rosalie, modesta. Poi aggiunse: “Sono contenta di vederti, come stai?”

Stana prese un sospiro profondo e le rispose: “Posso dirti che non lo so? Vedi, io sono sempre stata una donna forte. Però… certi giorni proprio non ho voglia di essere una roccia.” Rosalie annuì e commentò: “La fragilità è un sacrosanto diritto, amica mia”. Approfittando della mancanza di clienti, Stana le raccontò degli ultimi giorni, dell’incontro fortuito al cinema, del delizioso pomeriggio al café Le Procope, di quanto fosse stato bello, naturale, piacevole, giusto chiacchierare per ore senza nemmeno rendersi conto del tempo che passava, dell’intera giornata che avevano trascorso insieme e di quello che lui le aveva detto la sera precedente. Ma le spiegò anche come erano andate le cose quando avevano lavorato insieme e le accennò anche alla storia che avevano avuto in passato. “Insomma, non vorrei continuare a rincorrere emozioni per poi finire a collezionare cicatrici” concluse con un sospiro addolorato.

Rosalie la ascoltò con pazienza e con autentico interesse, guardandola negli occhi per cercare di leggere anche quello che la sua amica non diceva a parole, per pudore o perché lei stessa non lo aveva ancora compreso. Al termine di quel fiume di ricordi e sensazioni, la proprietaria della cartoleria dei desideri le disse soltanto: “Se riconosci che è cambiato, lascia la rabbia dietro di te e concentrati sul presente”

Un debole sorriso spianò l’espressione corrucciata di Stana. Poi si rattristò di nuovo e disse: “Sai, Rosalie, una parte del mio cervello continua a ripetermi che non ci si può fidare di Nathan. E temo che in questo momento non ci sia da fidarsi tanto nemmeno di me stessa... la ferita per la separazione dal mio ormai ex marito è ancora troppo recente e io mi sento vulnerabile.”

La proprietaria della cartoleria annuì comprensiva, poi le chiese: “Cosa pensi di fare adesso? Lo rivedrai?”

L’attrice scrollò le spalle e rispose: “Non lo so. Non ci siamo dati nessun appuntamento. Ho ancora dieci giorni di vacanza prima di ritornare in Bulgaria per ricominciare le riprese, vorrei trascorrerli nel modo migliore, senza ulteriori fonti di stress…”

Una cliente interruppe la loro chiacchierata e prima che Stana se ne andasse, Rosalie scrisse il proprio numero di cellulare su un delizioso bigliettino azzurro ortensia e le ordinò: “Chiamami per qualsiasi cosa, ok? Anche solo per bere un café crème insieme. Mi farebbe piacere!”

L’attrice annuì, riconoscente, e la lasciò al suo lavoro.

 

Nota dell’autrice

Aurélie e Jacquie appartengono a Nicolas Barreau: io li ho solo presi in prestito, con tutto il ristorante, prelibatezze incluse! Per Stana e Nathan siamo a una (parziale) resa dei conti. Spero che continuerete a leggere per sapere come va a finire!

Grazie per avermi regalato il vostro tempo arrivando fino qui,

Deb

 

  
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