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Autore: Nadine_Rose    19/02/2018    0 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Capitolo 32

 

Vivere è amare, amare è vivere

 

“Ci sono volte in cui vivere la vita è come entrare a mani tese in un cespuglio spinoso di fiori. Dopo ti senti tremendamente graffiato ma pieno di luce”.

Fabrizio Caramagna


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Käthe indugiò davanti alla stanza di suo figlio. I suoi occhi erano stanchi di troppe notti insonni e lacrime versate, le sue mani reggevano mollemente due grosse scatole di cartone e il suo cuore sembrava non battere più come prima. Si sentiva svuotata Käthe, vuota, proprio come quelle scatole che aveva posato con fiacchezza sul letto per riempirle dei cimeli nazisti collezionati da suo figlio. Radolf era stato processato e condannato per violazione di domicilio, detenzione abusiva di armi e apologia del nazismo e, dal carcere, rifiutava ogni contatto con sua madre. Ma per Käthe era ora di farsi forza. Energicamente, legò i capelli in una coda spettinata e si rimboccò le maniche del maglioncino per poi avvicinarsi con decisione all’armadio. Sospirò e, raccogliendo dall’armadio i primi cimeli, iniziò a fare un bilancio della propria vita, contandone le sofferenze. Ai tempi del regime, nella sua ingenua incoscienza, aveva sposato un ufficiale delle SS, violento, senza cuore; aveva perso suo padre e sua madre, che si erano opposti alla persecuzione razziale e, dopo la guerra, aveva ritrovato un fratello, irriconoscibile, a causa della violenza nazista che lo aveva quasi ucciso. Il nazismo l’aveva resa orfana e poi vedova, dopo anni di umiliazioni e maltrattamenti, e adesso la condannava ancora una volta alla tristezza e alla solitudine, prendendosi anche suo figlio. Come un male contagioso, continuava a mietere vittime nella sua famiglia. Käthe ripose nella scatola anche la fotografia del suo defunto marito e, fissandola, capì di dover riprendere in mano la propria vita, impedendo al passato di continuare a farle del male. Il dolore nel pensare suo figlio in carcere non poteva certamente sparire ma, al suo ritorno – qualora fosse ritornato –, Radolf avrebbe ritrovato una madre più forte, una donna libera, viva. Proprio in quel momento, apparve sull’uscio il suo compagno. “Fritz!” esclamò in un sussurro rauco e, per alcuni istanti, i due rimasero a guardarsi in un loquace silenzio. Il primo passo per ritornare a vivere era quello di lasciarsi alle spalle i soprusi di suo marito, ricominciando ad aprire il cuore, senza più paure. Con gli occhi velati di lacrime e la voce rotta dalla commozione, disse: “Fritz, la risposta alla tua domanda è sì.” Dopo quasi un anno, Käthe aveva accettato di sposarlo.

 

Lago di Schlachtensee, agosto 1970

 

Nell’aria aleggiava ancora il tepore di un’estate ormai agli sgoccioli; la lieve brezza, che di tanto in tanto soffiava sul lago, spruzzava sui loro visi ambrati gradevoli goccioline d’acqua mentre l’ombra delle foglie ricercava i loro corpi distesi, desiderosi ancora di sole. Era un sabato pomeriggio, uno di quelli che ti lascia ricordare le attese deluse e, allo stesso tempo, guardare alla vita con nuove speranze, che dà alla tua spensieratezza dei tratti malinconici di una gioventù diventata ormai adulta. Andrej e Brigit erano lì, con i loro venticinque anni e un bagaglio di sogni e ferite che come amici di una vita intera avevano da sempre condiviso, all’inizio di un decennio che il mondo avrebbe ricordato per il desiderio di libertà e progresso, per le lotte politiche e sociali, per la trasgressione e la musica rock, per i pantaloni a zampa e i fiori tra i capelli. Come tanti giovani, anche Andrej e Brigit sognavano un mondo migliore, ma a modo loro, lontani da una mentalità divorzista e abortista, estranei alla banalizzazione dell’odio come dell’amore, convinti che solo la memoria e la parola avrebbero abbattuto i muri e accorciato le distanze. A tal proposito, dopo l’arresto di Radolf, decisero coraggiosamente di organizzare degli incontri tra i figli delle vittime e dei carnefici della Shoah, promossi e mediati dai loro genitori. Kurt, Engel, Nadine e Werner raccontarono le loro storie di vita e quest’ultimo non ebbe paura nel presentarsi come carnefice e vittima al tempo stesso, figlio del dottor Günther. Nonostante la riluttanza e le critiche di molti, i due giovani, grazie all’indispensabile e prezioso supporto dei loro genitori, riuscirono ad aiutare un cospicuo numero di persone a riconciliarsi con il proprio passato e, per la sempre più vicinanza l’uno dell’altra, Andrej e Brigit spinsero la loro amicizia verso un sentimento più grande. L’amore vissuto in gioventù da Nadine e Kurt era destinato a rivivere nei cuori dei loro figli, in un tempo diverso, con modalità diverse, accolto ed espresso con maggiore libertà e sicurezza. Dall’alba del loro giovane amore, scaturì un lungo bacio al tramonto che ne riempì i cuori di una felicità mai provata prima, una di quelle che ti fa inumidire gli occhi di pianto e risa. Prendendosi per mano, Andrej e Brigit lasciarono l’asciugamano e la spiaggia ormai deserta per correre sulla riva. Tra risate e giochi, acchiapparella e solletico, grida di allegria e abbracci, si ritrovarono nelle acque del lago con le mani intrecciate e le labbra di nuovo vicine.

 

Sulla spiaggia si allungavano le ombre,

guardando l’uva mi dicesti è già settembre.

Metti su la mia camicia e via il costume,

m’innamorai di quel pulcino senza piume.

 

Il Giardino dei Semplici, M’innamorai

 

   
 
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