Capitolo 32
Vivere è amare, amare è vivere
“Ci sono volte
in cui vivere la vita è come entrare a mani tese in un cespuglio spinoso di
fiori. Dopo ti senti tremendamente graffiato ma pieno di luce”.
Fabrizio
Caramagna
Käthe
indugiò davanti alla stanza di suo figlio. I suoi occhi erano stanchi di troppe
notti insonni e lacrime versate, le sue mani reggevano mollemente due grosse
scatole di cartone e il suo cuore sembrava non battere più come prima. Si
sentiva svuotata Käthe, vuota, proprio come quelle scatole che aveva posato con
fiacchezza sul letto per riempirle dei cimeli nazisti collezionati da suo
figlio. Radolf era stato processato e condannato per violazione di domicilio,
detenzione abusiva di armi e apologia del nazismo e, dal carcere, rifiutava
ogni contatto con sua madre. Ma per Käthe era ora di farsi
forza. Energicamente, legò i capelli in una coda spettinata e si rimboccò le
maniche del maglioncino per poi avvicinarsi con decisione all’armadio. Sospirò
e, raccogliendo dall’armadio i primi cimeli, iniziò a fare un bilancio della
propria vita, contandone le sofferenze. Ai tempi del regime, nella sua ingenua
incoscienza, aveva sposato un ufficiale delle SS, violento, senza cuore; aveva
perso suo padre e sua madre, che si erano opposti alla persecuzione razziale e,
dopo la guerra, aveva ritrovato un fratello, irriconoscibile, a causa della
violenza nazista che lo aveva quasi ucciso. Il nazismo l’aveva resa orfana e
poi vedova, dopo anni di umiliazioni e maltrattamenti, e adesso la condannava
ancora una volta alla tristezza e alla solitudine, prendendosi anche suo figlio.
Come un male contagioso, continuava a mietere vittime nella sua famiglia. Käthe
ripose nella scatola anche la fotografia del suo defunto marito e, fissandola,
capì di dover riprendere in mano la propria vita, impedendo al passato di
continuare a farle del male. Il dolore nel pensare suo figlio in carcere non
poteva certamente sparire ma, al suo ritorno – qualora fosse ritornato –, Radolf
avrebbe ritrovato una madre più forte, una donna libera, viva. Proprio in quel
momento, apparve sull’uscio il suo compagno. “Fritz!” esclamò in un sussurro
rauco e, per alcuni istanti, i due rimasero a guardarsi in un loquace silenzio.
Il primo passo per ritornare a vivere era quello di lasciarsi alle spalle i
soprusi di suo marito, ricominciando ad aprire il cuore, senza più paure. Con
gli occhi velati di lacrime e la voce rotta dalla commozione, disse: “Fritz, la
risposta alla tua domanda è sì.” Dopo quasi un anno, Käthe aveva accettato di
sposarlo.
Lago
di Schlachtensee, agosto 1970
Nell’aria
aleggiava ancora il tepore di un’estate ormai agli sgoccioli; la lieve brezza,
che di tanto in tanto soffiava sul lago, spruzzava sui loro visi ambrati
gradevoli goccioline d’acqua mentre l’ombra delle foglie ricercava i loro corpi
distesi, desiderosi ancora di sole. Era un sabato pomeriggio, uno di quelli che
ti lascia ricordare le attese deluse e, allo stesso tempo, guardare alla vita
con nuove speranze, che dà alla tua spensieratezza dei tratti malinconici di
una gioventù diventata ormai adulta. Andrej e Brigit erano lì, con i loro
venticinque anni e un bagaglio di sogni e ferite che come amici di una vita
intera avevano da sempre condiviso, all’inizio di un decennio che il mondo
avrebbe ricordato per il desiderio di libertà e progresso, per le lotte
politiche e sociali, per la trasgressione e la musica rock, per i pantaloni a
zampa e i fiori tra i capelli. Come tanti giovani, anche Andrej e Brigit
sognavano un mondo migliore, ma a modo loro, lontani da una mentalità
divorzista e abortista, estranei alla banalizzazione dell’odio come dell’amore,
convinti che solo la memoria e la parola avrebbero abbattuto i muri e
accorciato le distanze. A tal proposito, dopo l’arresto di Radolf, decisero
coraggiosamente di organizzare degli incontri tra i figli delle vittime e dei
carnefici della Shoah, promossi e mediati dai loro genitori. Kurt, Engel,
Nadine e Werner raccontarono le loro storie di vita e quest’ultimo non ebbe
paura nel presentarsi come carnefice e vittima al tempo stesso, figlio del
dottor Günther. Nonostante la riluttanza e le critiche di molti, i due giovani,
grazie all’indispensabile e prezioso supporto dei loro genitori, riuscirono ad
aiutare un cospicuo numero di persone a riconciliarsi con il proprio passato e,
per la sempre più vicinanza l’uno dell’altra, Andrej e Brigit spinsero la loro
amicizia verso un sentimento più grande. L’amore vissuto in gioventù da Nadine
e Kurt era destinato a rivivere nei cuori dei loro figli, in un tempo diverso,
con modalità diverse, accolto ed espresso con maggiore libertà e sicurezza.
Dall’alba del loro giovane amore, scaturì un lungo bacio al tramonto che ne
riempì i cuori di una felicità mai provata prima, una di quelle che ti fa
inumidire gli occhi di pianto e risa. Prendendosi per mano, Andrej e Brigit
lasciarono l’asciugamano e la spiaggia ormai deserta per correre sulla riva.
Tra risate e giochi, acchiapparella e solletico, grida di allegria e abbracci,
si ritrovarono nelle acque del lago con le mani intrecciate e le labbra di
nuovo vicine.
Sulla spiaggia
si allungavano le ombre,
guardando l’uva
mi dicesti è già settembre.
Metti su la mia
camicia e via il costume,
m’innamorai di
quel pulcino senza piume.
Il Giardino dei
Semplici, M’innamorai